PEROTTO, Pier Giorgio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PEROTTO, Pier Giorgio

Michele Pacifico

PEROTTO, Pier Giorgio. – Nacque a Torino il 24 dicembre 1930, secondogenito di Luigi – imprenditore attivo nel settore costruzioni, specializzato in infrastrutture e centrali elettriche – e di Anita Squillario.

Dopo aver conseguito il diploma di maturità scientifica al liceo Galileo Ferraris, si iscrisse alla facoltà di ingegneria del Politecnico di Torino, dove già aveva studiato il fratello maggiore Giovanni (nato il 14 febbraio 1927 e laureato in ingegneria edile).

Nel 1953 si laureò in ingegneria elettrotecnica e, l’anno successivo, iniziò un’attività di ricerca presso la Scuola di ingegneria aeronautica dello stesso Politecnico, allora diretta da Carlo Ferrari, docente di meccanica razionale ed eminente studioso di aerodinamica e gasdinamica.

Il gruppo di ricercatori – ricorderà Perotto molti anni dopo – «stava sviluppando alcune teorie avanzate [sui] comportamenti delle superfici portanti degli aeromobili in regimi prossimi alla velocità del suono. […] I calcoli da sviluppare erano di grande complessità e […] richiedevano una continua interattività tra l’uomo e la macchina […] che era in netto contrasto con la necessità di trasferire al centro [di calcolo] una richiesta di elaborazione predefinita. La soluzione adottata fu quella […] di dotarci delle più sofisticate calcolatrici meccaniche e di impegnarci direttamente a fare i calcoli. Ma la cosa più stressante non fu solo la natura routinaria del lavoro ma anche la perenne incertezza circa la correttezza […] dei risultati» (Programma 101, 1995, pp. 37 s.).

La sua prima esperienza universitaria contribuì a orientare la successiva attività di ricercatore e di progettista industriale. L’interesse per la ricerca lo spinse infatti ad approfondire gli studi e, nel 1956, a conseguire – sempre al Politecnico di Torino – una seconda laurea, in ingegneria aeronautica. Pur essendo intellettualmente gratificante, l’attività universitaria era poco remunerativa e questo lo indusse a cercare un lavoro nell’industria.

Nel 1955, assunto alla Fiat di Torino, fu impiegato nel dipartimento Esperienze dove, oltre a ricerche di meccanica applicata con studi nel campo dei servosistemi e della dinamica dell’automobile, iniziò a interessarsi di calcolatori elettronici. Non per caso dunque nel 1957 fu chiamato dalla società Olivetti, impegnata allora in un importante progetto per la realizzazione del primo calcolatore elettronico italiano, e destinato al laboratorio di ricerche elettroniche della società a Pisa.

Il laboratorio – creato da Adriano Olivetti nel novembre 1955 per aprire una nuova linea di sviluppo per un’impresa all’epoca leader mondiale nel mercato delle macchine per ufficio meccaniche ed elettromeccaniche – era diretto da Mario Tchou, un ingegnere italiano di origini cinesi, impegnato nel progetto di sviluppo di un prototipo di computer commercializzabile in non più di tre anni.

Tchou affidò a Perotto – dal 1958 libero docente di meccanica applicata – l’incarico di realizzare una macchina specializzata che avrebbe dovuto conquistare la fiducia dei tecnici della sede centrale a Ivrea, assai diffidenti nei confronti di una tecnologia (l’elettronica) allora agli albori ed estranea alle tradizioni di meccanica raffinata dell’azienda. Perotto concepì una macchina capace di leggere flussi di dati registrati come perforazioni su nastro continuo di carta e trasferirli su schede perforate, utilizzabili come ‘input’ nelle elaborazioni meccanografiche.

La macchina, chiamata CBS (Convertitore Banda Schede), rispondeva a una concreta esigenza commerciale ed ebbe successo. La produzione del convertitore nastro-schede fu avviata «nell’autunno del 1958, cosa che contribuì notevolmente a sostenere il vacillante prestigio della elettronica in ditta. […] La macchina […] fu il primo oggetto elettronico prodotto dalla Olivetti nella sua storia e sembrò poter spianare la strada a uno sviluppo di prodotti a tecnologia avanzata» (Programma 101, cit., p. 4).

In effetti lo sviluppo, almeno agli inizi, vi fu e Olivetti propose con successo sul mercato italiano tre modelli di computer, l’Elea 9003, 6001 e 4001, progettati nel laboratorio e commercializzati da una divisione Elettronica creata nel 1959 e attiva fino al 1965 quando – per complesse ragioni finanziarie e commerciali – l’intera attività della Olivetti nel settore dei computer sarebbe stata ceduta all’americana General Electric.

Una pattuglia di ricercatori, capitanata da Perotto, timorosa che il colosso americano potesse non essere interessato a un piccolo calcolatore, rimase tuttavia alle dipendenze della Olivetti e si trovò a costituire l’unica risorsa di esperti di elettronica in una società che aveva rinunciato a svilupparsi in quel settore.

Perotto decise di progettare una nuova macchina: qualcosa di realizzabile dal gruppo di ricercatori e progettisti, una calcolatrice da tavolo nella quale gli organi di calcolo fossero componenti elettronici e non leve e ingranaggi meccanici. Ma il suo vero colpo di genio, all’origine di una meritata fama nel mondo dell’informatica, fu concepirla fin dall’inizio come una calcolatrice programmabile, cioè come un vero e proprio computer, di dimensioni ridotte, ma dotato anche di un meccanismo di stampa per l’‘output’ dei risultati e per creare liste di istruzioni.

A questa decisione non dovette certo essere estraneo il ricordo delle estenuanti sedute di calcolo meccanico al Politecnico di Torino: con una calcolatrice programmabile sarebbe stato sufficiente immettere pochi dati e un programma di calcolo e lasciare che la macchina fornisse il risultato desiderato. Una macchina simile non era mai stata realizzata su scala ridotta.

Nel corso di un solo anno Perotto mise insieme un prototipo funzionante, presentato poi al direttore generale tecnico della Olivetti, l’ingegnere Natale Capellaro, massima autorità nel campo delle macchine calcolatrici.

«La prima persona alla quale pensai di far vedere la macchina fu Capellaro […] Dopo avergli descritto il funzionamento, cominciai a dimostrargli alcuni dei programmi che avevamo provato nei giorni precedenti. […] Capellaro osservò con grande attenzione le fasi del lavoro […] e restò a lungo in silenzio, come assorto. Quando si riprese, mi batté una mano sulla spalla e disse: “caro Perotto, vedendo funzionare questa macchina, mi rendo conto che l’era della meccanica è finita”» (Programma 101, cit., pp. 45 s.).

Durante la fase di realizzazione, la macchina era chiamata scherzosamente ‘Perottina’, ma una volta ottenuto il benestare della massima autorità tecnica si decise di darle un nome ufficiale, Programma 101, e un aspetto adeguato, incaricando del design l’architetto Mario Bellini che, nel miglior stile Olivetti, realizzò un prodotto capace di racchiudere i componenti in una carrozzeria compatta e funzionale.

La Programma 101 fu presentata alla Fiera di New York del 1965 richiamando l’immediata attenzione del pubblico e dei giornalisti e, nonostante il prezzo elevato (3200 dollari), ricevette ancor prima di entrare in produzione moltissime prenotazioni. Particolarmente entusiasti si mostrarono The Wall Street Journal, The New York Herald Tribune, Business Week e The New York Times, che descrissero la Programma 101 come un desktop computer e personal computer anticipando di sedici anni il nome destinato ad affermarsi stabilmente dal 1981 con l’uscita sul mercato del personal computer IBM.

E tale era la Programma 101, macchina da calcolo a programma registrato in grado di eseguire calcoli anche molto complessi registrando una opportuna sequenza di istruzioni (un programma) su una scheda di cartoncino dotata di due piste magnetiche. L’idea di usare schede di cartoncino con piste magnetiche venne quasi subito adottata dalla Hewlett-Packard, leader delle macchine calcolatrici scientifiche negli Stati Uniti, che pagò 900.000 dollari alla Olivetti per la licenza d’uso del brevetto. La Programma 101 rimase in produzione per oltre cinque anni vendendo circa 44.000 pezzi in gran parte negli Stati Uniti.

Nel 1961, intanto, Perotto aveva sposato Gina Veneri, e dal loro matrimonio sarebbero nati due figli: Pierpaolo e Gian Luigi, anch’essi poi laureati in ingegneria, ma all’Università di Genova.

Nel 1967 Olivetti creò una direzione generale Ricerca e sviluppo affidandola a Perotto con l’obiettivo di traghettare l’azienda verso il mondo delle macchine elettroniche per il trattamento delle informazioni. Il gruppo da lui diretto arrivò a contare un organico di circa 2500 persone. Furono avviate nuove strutture di ricerca e progettazione in Italia e all’estero, una delle quali a Cupertino in California, nel cuore di quella che era diventata la Silicon Valley. Tra i risultati ottenuti si ebbero i sistemi TC800, terminali bancari ‘intelligenti’, le nuove calcolatrici programmabili P6040/P6060 basate su microprocessori e la prima macchina per scrivere al mondo interamente elettronica: la ET 101.

Nel 1978 l’imprenditore e finanziere Carlo De Benedetti entrò in Olivetti come amministratore delegato, vicepresidente e principale azionista e avviò una strategia di sviluppo incompatibile con la tradizionale organizzazione per funzioni, sostituendo l’intera prima linea direttiva della società. La scelta fu all’origine della creazione di una società di servizi di consulenza orientata alla formazione manageriale, Elea, affidata nel 1979 a Perotto, e guidata da questi per diversi anni con ottimi risultati in termini di fatturato e di immagine.

Nel 1991, l’Associazione italiana progettisti industriali gli assegnò il premio internazionale Leonardo da Vinci in quanto «realizzatore del primo calcolatore elettronico programmabile da tavolo», la Programma 101.

Nel 1996, uscito dall’area della Olivetti, fondò – insieme con Sergio Raimondi – una società di consulenza manageriale, Finsa Consulting srl, dalla quale ebbe grandi soddisfazioni professionali; al contempo assunse la vicepresidenza di Sogea, scuola di organizzazione e gestione aziendale di Genova.

Morì a Genova il 22 gennaio 2002.

Opere. Tra i suoi principali scritti Il darwinismo manageriale: il nuovo Principe e la strategia dell’innovazione, Milano 1988; L’origine del futuro. Manuale d’ingegneria del futuro per innovatori, manager e uomini di buona volontà, Milano 1990; Il paradosso dell’economia, Milano 1993; Programma 101. L’invenzione del personal computer: una storia appassionante mai raccontata, Milano 1995; Come fare carriera nelle aziende dell’era digitale. Manuale scandaloso di management, Milano 2001.

Fonti e Bibl.: L. Gallino, La scomparsa dell’Italia industriale, Torino 2003, pp. 23 s.; O. Beltrami, Sul ponte di comando: dalla Marina militare alla Olivetti, a cura di A. De Macchi - G. Maggia, Milano 2004, p. 141; E. Piol, Il sogno di un’impresa. Dall’Olivetti al venture capital: una vita nell’information technology, Milano 2004, pp. 30, 59, 65-69; E. Renzi, Comunità concreta. Le opere e il pensiero di Adriano Olivetti, Napoli 2008, pp. 129, 141; D. Casalegno, Uomini e computer. Storia delle macchine che hanno cambiato il mondo, Milano 2010, pp. 145-149. Notizie diverse sono ricavabili dai siti www.piergiorgioperotto. it/home.aspx e www.storiaolivetti.it/percorso.asp? idPercorso=630

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