MARTELLO, Pier Jacopo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 71 (2008)

MARTELLO, Pier Jacopo

Marco Catucci

MARTELLO (Martelli), Pier Jacopo (Pietro Jacopo, Pieriacopo). – Nacque a Bologna il 28 apr. 1665, da Giovanni Battista, medico e dottore in filosofia, e da Margherita Giacomini, entrambi sposatisi in seconde nozze il 21 dic. 1662.

Il M. apprese grammatica e retorica al collegio dei gesuiti ed ebbe un gesuita anche come precettore privato. Alla sua educazione contribuirono il padre Camillo Ettorri e il pittore Carlo Cignani, ospite per diversi anni in casa del padre. Per volontà paterna studiò per tre anni teologia, quindi frequentò la facoltà di medicina, alla scuola di G.A. Volpari e M. Malpighi. Si iscrisse poi alla facoltà di giurisprudenza, che lasciò per seguire gli insegnamenti del padre Paolo Sangetti, lettore di filosofia. Il 21 dic. 1686, con il nome di Indugiato, fu tra i fondatori dell’Accademia degli Accesi di Bologna. Nel 1690 compose Il sogno deluso, pubblicato a Modena e, a casa dell’amico E. Manfredi, già compagno di collegio, partecipò alla costituzione dell’Accademia scientifica degli Inquieti. L’anno successivo apparve il suo poema in ottava rima Versaglie nella raccolta Alla sacra reale maestà Cristianissima di Luigi il grande (Bologna 1691).

Fra le prove giovanili del M. va annoverata anche La nova fatica d’Ercole. Sogno e poesia d’Amarilli. Nelle felicissime nozze d’Elpino Prospero Francesco Maria Lombardi Malvezzi e di Lilla, Eleonora contessa Ercolani (ibid. 1692). Vi ricompare il motivo del sogno, ma in più vi è l’espediente, che avrà diversi sviluppi in futuro, di attribuire i versi a un’altra identità. Qui lo schermo è rappresentato da Amarilli, amante di Mirtillo, che si fa poetessa per aggirare il divieto dell’amico Prospero Malvezzi di comporre versi in sua lode.

Il M. entrò in corrispondenza con il padre Paolo Segneri, con il giovane L.A. Muratori e, almeno dal 1689, con C.M. Maggi. Nel 1694 si associò all’Accademia giuridica degli Impazienti, fondata alcuni anni prima dagli accademici Indivisi. Al 1° nov. 1694 risale il matrimonio con Caterina Torri, la quale rimase nella casa paterna di Borgo Tovaglie. Dal 1694 al 1696 recitò tra gli Indivisi egloghe latine insieme con Manfredi, mentre come accademico Impaziente, con il nome di Trasportato, collaborò a Le leggi d’Apollo (ibid. 1695). Frattanto entrò in corrispondenza con gli arcadi romani G.M. Crescimbeni, Vincenzo Leonio, Giuseppe Paolucci e G.B.F. Zappi. Nel circolo del marchese G.G. Orsi iniziò intanto una feconda attività di traduttore di tragedie francesi, destinate alla rappresentazione in teatri bolognesi pubblici e privati, che si rivelò fondamentale per la futura attività di drammaturgo.

La sua prima versione, dall’Iphigénie di Racine, del 1694, fu eseguita insieme con G.M. Piantini e A.A. Sacco. Seguirono altre traduzioni, non più in collaborazione, e tutte in prosa: della Statire di Nicolas Pradon (testimoniata nel Canzoniere una sua recita nell’Accademia degli Ardenti di Bologna, diretta dai padri somaschi), dell’Alexandre di Racine (1701) e, di data incerta, dello Scévole di Pierre Du Ryer, del Germanicus e della Marie Stuart di Edme Boursault (anche di quest’ultima una testimonianza nel Canzoniere). Attribuibili con fondamento al M. sono anche le traduzioni del Manlius Capitoline di Antoine La Fosse, della Sophonisbe e del Cinna di Corneille contenute, insieme con la Maria Stuarda e il Muzio Scevola, nel secondo volume della raccolta Opere varie trasportate dal francese e recitate in Bologna (ibid. 1724).

Nell’estate 1697 furono rappresentati due melodrammi del M. al teatro Malvezzi, il Perseo, scritto in collaborazione con Manfredi, e la Tisbe. Successivamente, presso i filippini della chiesa della Madonna di Galliera furono messi in scena l’oratorio La beata Caterina da Bologna tentata di solitudine e La ninfa costante, scherzo pastorale in nove scene, sempre con la collaborazione di Manfredi. Il 17 settembre nacque il secondogenito Carlo Francesco Maria, tenuto a battesimo dal marchese Costanzo Zambeccari (la prima figlia, Virginia, era morta a soli sei mesi). È dello stesso anno l’egloga per le nozze del conte Alessandro Bianchi con Costanza Tortorelli (in Applausi poetici…, ibid. 1697), firmata con lo pseudonimo Lelio Mattia Promogreci, utilizzato anche in altre raccolte di quegli anni.

Con la nomina, il 23 novembre, ad assistente alla cancelleria del Senato iniziò la carriera pubblica nella Municipalità di Bologna. Nel 1698 fu tra i fondatori della colonia Renia dell’Arcadia, con il nome di Mirtilo Dianidio, che ricorda il Mirtillo delle prime composizioni poetiche. Nello stesso anno partecipò a due nuove opere collettive: Il Paradiso, un’imitazione di Dante (suoi il quarto e il quinto canto, in cui ricorda la figlia Virginia), e il Dell’arte di amar Dio (suo il terzo libro, tranne le prime dodici sestine, di Manfredi). In estate furono rappresentati l’Apollo geloso al teatro Formagliari e la pastorale per musica Gli amici al teatro Malvezzi. Con l’amico P. Malvezzi compose l’egloga a due voci Il sepolcro di Filli. Prima del 1700, anno della morte del padre, scrisse un poemetto d’imitazione marinista, Gli occhi di Amarilli, ma che diede alle fiamme. Il 28 luglio 1701 conseguì la laurea in filosofia e nello stesso anno nacque una seconda figlia, battezzata con il nome della prima, Virginia. Partecipò alla composizione delle Egloghe dei pastori Arcadi per l’esaltazione di G.F. Albani, eletto papa Clemente XI nel novembre del 1700, e compose il mese di Ottobre dei Fasti di Luigi XIV per il battesimo del primogenito del marchese Filippo Sampieri (Bologna 1701).

Due eventi fausti contrassegnarono l’anno successivo: la nascita del figlio Giovanni Battista e la promozione nella carriera pubblica con il voto del Senato (23 giugno). Va collocata in quegli anni la composizione della sua prima tragedia originale, La morte di Nerone, stesa prima in prosa latina e poi tradotta in endecasillabi sciolti, un metodo che mantenne nella composizione delle successive tragedie. Negli anni immediatamente successivi, mentre attendeva alla stesura del poema Gli occhi di Gesù (ibid. 1707), si limitò a curare, con G.A. Bergamori e T. Stanzani, I trionfi dell’antichissima casa Bianchetti… (ibid. 1703), dei quali redasse la dedicatoria e il Trionfo della Sapienza, e a partecipare a una miscellanea in onore del padre Pantaleone Dolera (L’Ecclesiaste, ibid. 1704). Intanto, nel Della perfetta poesia italiana (Modena 1706), Muratori additò come modelli per le immagini e le comparazioni alcuni versi del M., accogliendone e commentandone due composizioni, Le Montanine e In morte di Prospero Malvezzi.

Alla fine del 1707 il Senato votò la sua destinazione a segretario dell’ambasciata bolognese di Roma. Prima della partenza gli fu conferito il titolo di lettore di umanità nello Studio bolognese (31 marzo 1708). Si trasferì a Roma in primavera e assunse il nuovo incarico presso l’ambasciatore Filippo Aldrovandi. Nell’inverno, poco dopo il ritorno del M. da una breve missione a Bologna presso il cardinal legato Niccolò Grimaldi, il figlio Giovanni Battista si ammalò di febbri e morì la vigilia di Natale. Nel 1709 nacque un altro figlio maschio, a cui fu dato lo stesso nome del fratello defunto. A Roma il M. partecipò alle riunioni degli Arcadi che si radunavano in casa dell’abate Paolucci.

È a quest’epoca che si può far risalire la composizione, in soli quindici giorni, del Radicone, poema giocoso in tre canti di stanze alla siciliana, dedicato agli Arcadi e pubblicato senza data a Trento, in un’edizione a detta del M. scorrettissima, che non fu più ristampato, forse a causa del giudizio negativo del conte Giovan Battista Recanati che, non conoscendone l’autore, aveva ingenuamente confessato al M. di non avere mai letto cosa peggiore.

Protagonista del poemetto è un asino che porta, come tutti i suoi antenati e discendenti, il nome di Radicone. Per una bizzarra e perfida trama demoniaca, l’asino risulta beneficiario dei frutti di un ricco fedecommesso. La redditizia tutela di Radicone è oggetto di contesa fra i frati neri e i frati leonati, rivali di due cenobi vicini, sperduti fra le montagne della Calabria. La disputa ha fine solo con la morte di Radicone, ucciso dal giovane frate Pippo, sedotto per opera del demonio dall’attempata vedova Ghita. L’asino è rapito in cielo da Apollo, trasformato nell’alato Pegaso e posto a guardia del Parnaso.

Nello stesso anno il M. pubblicò il Teatro (Roma 1709), contenente il trattato Del verso tragico e quattro tragedie, La Perselide, Il Procolo, L’Ifigenia in Tauride e La Rachele, tutte in distici di quattordicisillabi a rima baciata, il «verso tragico», nuovo metro che sarà poi detto martelliano. Pochi mesi dopo, con l’aggiunta dell’Alceste e del Gesù perduto, ne fu stampata una seconda edizione.

È questo il primo volume di un monumentale repertorio che, dapprima limitato alla sola tragedia, si estese negli anni successivi a tutti i generi drammatici. Cura del M. è fornire all’interno di ogni volume il più ampio campionario di soggetti e temi: dalla tragedia esotica, alle tragedie ispirate alle vite dei santi, al Vecchio e al Nuovo Testamento, come alla storia romana e al rifacimento, adeguato al moderno gusto della bienséance e della verosimiglianza, del teatro greco di Sofocle ed Euripide.

Nel 1710 il M. raccolse in un unico volume di Versi e prose (ibid.), dedicate al cardinale Ulisse Giuseppe Gozzadini, Gli occhi di Gesù, in una nuova edizione, il dialogo Del volo e i Sermoni della poetica. Il Teatro e i Versi e prose furono subito segnalati dal Giornale de’ letterati di Venezia (t. II [1710], articolo XIII). Un addio alla lirica per dedicarsi completamente alla tragedia sembrò quindi concretizzarsi nella decisione di raccogliere l’ampia produzione poetica in un Canzoniere, che fece precedere da un Comentario (ibid. 1710), tuttavia anche negli anni successivi continuò a comporre sonetti per le raccolte dedicate all’Accademia del disegno in Campidoglio.

Il Canzoniere, dedicato al cardinale Benedetto Pamphili, già legato di Bologna, pur adottando un titolo programmaticamente petrarchesco, ha l’indiscusso merito di ampliare notevolmente il canone delle composizioni poetiche, ammettendo quasi tutti i generi in cui l’ormai maturo M. si era cimentato. L’attenzione della critica recente si è invece concentrata esclusivamente sul gruppo di rime per la morte di Osmino (il figlio Giovanni Battista), estrapolate dal loro originario contesto per essere edite separatamente, lasciando completamente in ombra il resto del Canzoniere. Il Comentario, ampia prefazione del Canzoniere, notevole per impegno teorico e invenzione originale, è ambientato nelle Stanze di Raffaello in Vaticano, dove alla presenza dello stesso M., del pittore Carlo Maratta e dei coniugi G.B.F. e Faustina (Maratti) Zappi, si finge di assistere a una disputa davanti ad Apollo fra G.B. Marino, F. Petrarca e i loro rispettivi seguaci.

Grazie al Ragionamento intorno allo stato degli Arcadi, recitato dal M. il 14 luglio 1710 nel giardino del principe di Cerveteri Francesco Maria Ruspoli, l’Accademia ottenne una nuova sede per edificare un teatro. Continuava intanto anche la collaborazione con Manfredi a Bologna, sia per affari pubblici, come la fondazione e dotazione del nuovo Istituto bolognese delle scienze e delle arti o la controversia con i Ferraresi per l’immissione delle acque del Reno nel Po, sia per questioni letterarie, come la selezione di materiali per l’antologia di Agostino Gobbi, morto nel 1708, o più strettamente private. Dieci sonetti del M. furono inclusi da Manfredi nel terzo volume della celebre Scelta di sonetti, e canzoni… (Bologna 1711). Nel settembre 1711 la compagnia Riccoboni, con la mediazione di Scipione Maffei, rappresentò con grande successo a Verona L’Ifigenia in Tauride del Martello. Maffei persuase Riccoboni a dare di quest’opera altre due rappresentazioni a Venezia per il carnevale e a mettere in scena la Rachele per la quaresima.

Come si era astenuto dal partecipare alla querelle Orsi-Bouhours, il M. non partecipò neppure allo scisma d’Arcadia promosso da Gian Vincenzo Gravina nel 1711. Due anni prima, incaricato dal maestro del Sacro palazzo della lettura dei Commentari di Crescimbeni, ne aveva dato un giudizio estremamente positivo (revisione datata 16 ott. 1709), tanto da meritarsi il ruolo di protagonista, insieme con Paolucci, del IX dialogo nell’edizione accresciuta de La bellezza della volgar poesia (Roma 1712), incentrato sulla discussione dei criteri che avrebbero informato la grande antologia poetica di Gobbi. In quell’anno il M. fu maggiormente occupato dai doveri d’ufficio, dovendo reggere per diversi mesi l’ambasciata per l’assenza di Aldrovandi, rientrato in Bologna per una grave malattia. Il 24 luglio 1712 tenne il Discorso celebrativo che inaugurò il nuovo teatro arcadico (Prose degli Arcadi, II, ibid. 1718). Presumibilmente di poco successivo a quella data è il ritratto del M. eseguito da Girolamo Odam, esposto nel Serbatoio dell’Arcadia. Nel marzo 1713 il M. si recò in Francia come segretario dell’ambasciata diretta dal cardinale Pompeo Aldrovandi, delegato da Clemente XI a comporre, con la mediazione francese, il conflitto diplomatico tra la S. Sede e il re di Spagna Filippo V. Secondo gli Avvisi secreti di Bologna (in Ghiselli, c. n.n., 17 maggio 1727), a richiederlo sarebbe stato il nunzio apostolico a Parigi Cornelio Bentivoglio. Il M. partì portando con sé i manoscritti di cinque tragedie (Il M. Tullio Cicerone, L’Edipo coloneo, Il Quinto Fabio, Il Sisara e I Taimingi).

Il M. viaggiò da Livorno a Marsiglia, sulla galea fornita dal granduca di Toscana. La navigazione fu lunga e non priva di pericoli. Dapprima la nave riparò nel porto di Savona a causa del tempo avverso e per la possibile presenza di navi corsare, poi rischiò di naufragare nella rada di Agay. L’ambasciata arrivò a Parigi il 29 maggio.

A Parigi il M. strinse amicizia con l’erudito conte Bartolommeo Edoardo Pighetti, ministro di Parma, e rivide l’abate Antonio Conti, appena stabilitosi a Parigi. Il 9 giugno, a Versailles, il M. fu presentato al re Luigi XIV e ammesso come auditore della nunziatura di Spagna. Il ritorno del M., su sua richiesta, avvenne in corrispondenza dello stallo dei negoziati. Lasciato a Conti il manoscritto del Della tragedia antica e moderna, o sia, L’impostore, che l’abate pubblicò senza la revisione dell’autore (Parigi 1714), recò invece con sé alcune comunicazioni riservate del nunzio Aldrovandi sui negoziati in corso.

Giunto a Roma in dicembre, il M. provvide al riordino dell’archivio e ne compilò un indice, completato nel 1715 (Arch. di Stato di Bologna, Ambasciata bolognese a Roma, Repertori e registri div., 23: Indice di tutte le scritture della secreteria dell’ambasceria di Bologna…). Il riordino, voluto da Aldrovandi, era principalmente finalizzato alla ricerca dei documenti necessari a far valere le ragioni del Senato bolognese alla corte di Roma per ottenere la conferma dei privilegi riconosciuti alla città dai Capitoli di Niccolò V del 1447 (Orlandelli, p. 82). Intanto era apparsa la Vita dell’abate Alessandro Guidi commissionatagli da Crescimbeni (Le vite degli Arcadi illustri, III, Roma 1714), mentre a Venezia gli accademici Giocosi recitavano la tragedia esotica Perselide nel teatro di palazzo Foscari. Poco più tardi la compagnia Riccoboni rappresentò a Venezia, al teatro di S. Luca, con l’aiuto di G.B. Recanati e all’insaputa di Maffei, L’Adria, favola marittima (30 genn. 1715). In autunno uscì il Teatro italiano, in due tomi (ibid. 1715), dedicato al cardinale Annibale Albani. Il primo tomo raccolse le tragedie già pubblicate nella seconda edizione del Teatro (1709), il secondo le cinque tragedie portate manoscritte a Parigi e L’Adria. Sue poesie furono accolte nel secondo volume delle Rime degli Arcadi (ibid. 1716), mentre Recanati inserì nelle Poesie di rimatrici viventi (Venezia 1716) una decina di componimenti a nome di Teresa Zani, più tardi rivendicati dal M. nel Secretario Cliternate. A Recanati il M. dedicò poco dopo la nuova commedia in versi sdruccioli Che bei pazzi, liberamente ispirata alla novella della vedova di Efeso delle Metamorfosi di Apuleio.

Il 16 genn. 1717 il M. fu ascritto tra gli accademici Intronati di Siena con il nome di Tragico e pubblicò, anonimo, Il secretario Cliternate al baron di Corvara di satire libro (Cosmopoli 1717). Dello stesso anno è Lo starnuto di Ercole, una «bambocciata» per il teatro di marionette, in cui potrebbero ravvisarsi suggestioni figurative delle bambocciate di Faustino Bocchi. Il 29 maggio 1717 il Senato bolognese nominò il M. segretario maggiore, ma con l’obbligo di rimanere a Roma fino alla conclusione della controversia sulle acque del Reno. L’11 settembre il M. inviò a G. Gigli, esiliato a Viterbo in seguito allo scandalo del Vocabolario cateriniano, un’altra satira antiaccademica, in forma di commedia e contro la Crusca, Il piato dell’H. Intanto era terminata la redazione di un’opera inerente al suo ufficio di segretario, il Cerimoniale dell’ambasciata di Bologna (Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Cerimoniale dell’ambascieria di Bologna…1717).

L’importanza politica del soggetto trattato è ben sottolineata dal M. nell’Introduzione: «Non è dunque la Ceremonia un solo esterno ridevol puntiglio, ma un alimento sostanzialissimo del negozio, per la qual cosa mi sono dato a questa fatica […] più tosto confidenziale, che pubblica». Nella commedia Le cerimonie di Maffei, recitata per la prima volta a Venezia poco dopo la morte del M., si può ravvisare la coincidenza quasi perfetta fra il numero dei capitoli di questioni cerimoniali (87) con i quali l’anonimo Archivista dei Titolarii vuole importunare il protagonista (IV, 9) e quello del Cerimoniale martelliano (86).

Il M. era ancora a Roma quando ebbe in dono da V. Leonio un cane da caccia, chiamato Po con allusione alla controversia in corso. Al cane Po, tra il 1717 e il 1721, il M. dedicò una favola teatrale esopiana, A re malvagio consiglier peggiore. Aggravatosi lo scandalo del Vocabolario, che coinvolse i letterati che ne avevano dapprincipio lodato la pubblicazione, il M. inviò una lettera al segretario della Crusca affermando di non aver mai scritto a Gigli affermazioni ingiuriose verso l’Accademia. Una nuova protesta di Zeno e del M. fu pubblicata anche nel Giornale de’ letterati (t. XXIX [1717], f. 210). Intanto, grazie agli sforzi congiunti del M. e di Manfredi, che lo aveva raggiunto a Roma per patrocinare la causa dei Bolognesi, la controversia delle acque sembrò arrivare a una conclusione pienamente soddisfacente con il decreto papale In decisis (9 apr. 1718). Nel maggio dello stesso anno il M. rientrò a Bologna per assumere la carica di segretario maggiore del Senato e riprendere l’ufficio di lettore nello Studio. Videro la luce in quell’anno Il Reno pensile, favola pescatoria stampata con data di Lucca, e Il vero parigino italiano (Prose degli Arcadi, II), una «comedia didascalica in prosa» dedicata al marchese Orsi, divisa in tre dialoghi a imitazione di Luciano, considerata da Fubini (1975, p. 212) la migliore prosa del Martello.

È a questa altezza temporale che con ogni probabilità il M. iniziò a comporre il Carlo Magno, o Cronaca di Turpino vescovo di Rense, un poema in ottave sulla venuta di Carlo Magno in Italia e la sua incoronazione a imperatore.

Il primo canto fornisce al lettore una specie di autobiografia letteraria che si conclude accennando alle satire del Secretario cliternate e al laudatorio giudizio dei critici francesi, che può identificarsi con quello pubblicato nei Mémoires pour l’histoire des sciences et des beaux-arts (o Journal de Trévoux, giugno 1718, pp. 1141 s.). Nella finzione poetica il vescovo Turpino appare al M. mostrandogli la sua cronaca Caroli Magni atque Rolandi gesta e affidandogli l’incarico di tradurla e verseggiarla in italiano. Nel raccontare le imprese di Carlo Magno contro Desiderio, numerosi appaiono i riferimenti a personaggi ed episodi della recente guerra di successione spagnola. In Gudemberto si adombra per esempio la figura di Vittorio Amedeo II di Savoia. Sebbene i modelli dichiarati siano tre, Dante, L. Ariosto e T. Tasso, il poema appare di ispirazione prevalentemente ariostesca.

Nel 1721 il M. compose La rima vendicata, commedia satirica in tre atti dedicata al marchese Giovanni Rangone, e stampò a Firenze l’Elena casta, tragedia in versi sciolti tratta dall’Elena di Euripide, dedicata ad Aretafila Savini de’ Rossi. L’anno successivo, nell’edizione postuma del Vocabolario cateriniano (Manilla s.d., ma Lucca 1722), apparve, senza il consenso dell’autore e con una lettera di dedica a Gigli, Il piato dell’H. Del M. è anche il dialogo Il Tasso o Della vana gloria, che funge da proemio alle Opere di Tasso stampate da Carlo Buonarrigo (Venezia 1722). A Bologna l’editore L. Dalla Volpe iniziò a pubblicare nel 1723 le Opere del M. a cominciare dai volumi IV e V, intitolati Seguito del Teatro italiano, in quanto considerati continuazione dell’edizione romana del 1715.

Nel Seguito, accanto agli inediti L’Arianna, Il Catone (tradotto da T. Addison), Che bei pazzi, Il Davide in corte, L’Edipo tiranno, La morte, Il Perseo in Samotracia, A re malvagio consiglier peggiore, La rima vendicata e Lo starnuto di Ercole, furono riproposti Il piato dell’H (dedicato al conte Alamanno Isolani, ma rivisto e modificato rispetto al manoscritto inviato a Gigli), L’Elena casta, Il vero parigino italiano e Del volo. Separatamente apparve l’opuscolo In morte di Po cane mormusse: orazione di Mirtilo Dianidio (Firenze 1723).

Nello stesso anno Maffei pubblicò un’edizione di tragedie di antichi autori italiani usando polemicamente lo stesso titolo del Martello. Nella prefazione al primo tomo del Teatro italiano, o sia Scelta di tragedie per uso della scena (Verona 1723) Maffei sostenne di aver scelto tale titolo «per vendicarlo dalla profanazione ch’altre volte se n’è fatta» e criticò insistentemente, senza nominarlo, il M. che rispose alla provocazione nell’esamina introduttiva dell’Euripide lacerato e il Fior d’Agatone, commedia in commedia (apparsa postuma nel 1729), criticando i tagli effettuati da Maffei alle antiche commedie italiane (mentre nel protagonista eponimo dell’opera, Euripide, lacerato tanto da Aristofane che dai cani, si poteva adombrare un autoritratto del M. lacerato da Maffei). Un’amica comune, Aretafila Savini de’ Rossi, che si interpose tra i due letterati, ottenne solo una superficiale riconciliazione.

Alla querelle con Maffei è anche legata l’opera forse più nota e apprezzata del M., Il Femia sentenziato, satira in cinque atti, in versi endecasillabi con cori di settenari, stampata segretamente in 100 copie da Filippo Argelati (Cagliari, ma Milano 1724). Maffei vi è raffigurato, con il nome di Femia, nelle vesti dell’omerico Femio, unico superstite del banchetto dei proci dopo la vendetta di Ulisse. Pur non sottovalutando i pregi della sua tragedia, Femia è criticato per l’eccessiva vanità e ansia di primeggiare, che lo hanno indotto a disprezzare e offendere il poeta Mirtilo (il Martello). Sotto il nome di Bione è invece raffigurato Gravina, al quale si rimprovera di aver voluto ricercare la gloria piuttosto nella poesia che nella scienza giuridica per la quale aveva genuina vocazione. Femia è condannato da Apollo a scrivere in versi «mirtiliani» cioè nel metro usato dal M., mentre Bione accetta le critiche rivolte alle sue tragedie imperfette. Nelle dichiarate intenzioni dell’autore l’opera sarebbe dovuta apparire postuma e solo nel caso Maffei si fosse comportato con il M. come con Maggi, oggetto di una violenta demolizione critica subito dopo la sua scomparsa. Contrariamente alle intenzioni dell’autore, poche copie del Femia furono messe in circolazione da Argelati (sei, a detta del M.), e una di esse arrivò nelle mani di Pier Caterino Zeno, che ne diede notizia a Maffei. Questi cercò con ogni mezzo di impedire la diffusione della satira, richiedendo l’intervento di potenti personaggi, e persino, secondo una lettera di G. Fontanini al conte Ottolino Ottolini, con intimidazioni e minacce. Il M. assicurò la distruzione delle copie stampate, ma l’opera continuò a circolare in copie manoscritte. Nel frattempo egli scrisse la lettera apologetica Della ritirata del Femia, per rendere conto «a tre amici in Italia» della sua decisione di ritirare la satira. Ma già nell’autunno del 1724 la querelle sembrava risolta. In una lettera a P.C. Zeno (Verona 27 ott. 1724) Maffei espresse il suo compiacimento per la conclusione della vicenda, e una lettera del M. dove non mancano espressioni di lode per Maffei e la sua Merope fu pubblicata con Il Cesare dell’abate Conti (Faenza 1726).

Gli ultimi anni bolognesi del M. furono impegnati nei doveri d’ufficio di segretario maggiore e di lettore nello Studio (il 15 nov. 1724 ebbe anche l’incarico di recitare l’orazione inaugurale) e allietati dalle assidue conversazioni in casa dell’abate Conti e in casa Isolani, dove si incontravano F.A. Ghedini, i fratelli Zanotti e i Manfredi. Conclusa la lunga esperienza teatrale, il M. riprese con maggior lena la composizione del Carlo Magno.

La stesura era giunta nella seconda metà del 1724 al VII canto (in cui si accenna all’elezione di Benedetto XIII). Presumibilmente contemporaneo al Femia è anche un episodio del canto XI, che ha per protagonista Maffei nelle vesti di un fuoriuscito veronese, Mafeo, implicato in un grottesco amore con la fanciulla Merope. I restanti canti furono composti tra la fine del 1724 e la fine del 1726. Il canto XVII, interrotto all’ottava 37, è dedicato in gran parte al ricordo della figlia Virginia, morta il 25 nov. 1726, pochi giorni dopo il parto. Probabilmente il poema non avrebbe superato i 20 canti, poiché nel XVI, l’ultimo condotto a termine, Carlo Magno era giunto ormai a Sutri, poco lontano da Roma, dove, con l’incoronazione, doveva concludersi l’opera. Tra gli episodi degni di menzione si segnalano il passaggio di Carlo attraverso le Alpi, il ritratto di Gudemberto, l’inganno di Gano nelle vesti della falsa Armellina, l’invulnerabilità di Desiderio per opera della maga Melissa, la storia di Aldagiso e Bradamante, la piena del Taro che travolge i Milanesi, la morte di Teodora sotto gli occhi di Carlo, le imprese di Sventura, la storia di Orlandino e Berta.

Le biografie ufficiali a stampa descrissero con inusuale minuzia la strana e dolorosa malattia che condusse il M. alla morte, a Bologna, il 10 maggio 1727, ma solo alcune cronache manoscritte la collegarono alla scomparsa del principe d’Avellino Francesco Caracciolo, avvelenato con la cioccolata dai parenti della moglie durante una conversazione, alla quale erano stati invitati lo stesso M. e il senatore Alamanno Isolani. Sulla tomba del M., sepolto nella chiesa di S. Proclo a Bologna, fu posta un’epigrafe dettata da E. Manfredi.

Opere. Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Mss., B.1, B.1442, B.3142: Carlo Magno; B.9: Cronaca di monsig.re Turpino arcivescovo di Rense o Carlo Magno (autografo con correzioni del M.); B.10, cc. 312-317 e B.376, c. 25r: poesie; B.399, B.1431, B.1441: Della ritirata del Femia; B.1430: Il Femia sentenziato; B.3193: Il secretario Cliternate; Ibid., Biblioteca universitaria, Mss., 1045, 3756, 4175.2, 4175.6: Della ritirata del Femia; 3747, caps. II n. 14 (n. 1514): Il Mutio Scevola; 1072, f. 12, c. 98: poesie; f. 101: poesie; 1204, vol. II, f. 8, c. 47: poesie; 4153 e 4185, f. 1: Carlo Magno; Ibid., Biblioteca Carducciana, 2d.439: Carlo Magno; Firenze, Biblioteca nazionale, Pal., 366: Carlo Magno; 2431: apografo contenente: Radicone, Apollo geloso, La Tisbe, Versaglie, Trionfo della Sapienza; Siena, Biblioteca comunale, Mss., A.V., 19: Il piato dell’H; Verona, Biblioteca civica, Mss., M., 74 (1403-1404): Della ritirata del Femia; Macerata, Biblioteca comunale, 712: Il Femia sentenziato; Opere, I-VII, Bologna 1723-35; Sonetti d’arcadi, Roma 1727, pp. 210-212; L’Ifigenia in Tauris e Il Femia sentenziato, in Raccolta di tragedie scritte nel secolo XVIII, I, pp. 1-52; II, pp. 331-397, Milano 1825; Il Femia sentenziato…, a cura di P. Viani, Bologna 1869; Lirici del Settecento, a cura di B. Maier, Milano-Napoli 1959, pp. 97-101; Scritti critici e satirici, a cura di H.S. Noce, Roma-Bari 1963; Rime per la morte del figlio, a cura di G. Spagnoletti, Torino 1972; Teatro, a cura di H.S. Noce, Roma-Bari 1980-82; Poeti erotici del ’700 italiano, a cura di L. Tassoni, Milano 1994, pp. 38-41; P.J. Martello, I Taimingi, in Tragedie del Settecento, I, a cura di E. Mattioda, Modena 1999, pp. 265-368.

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Rabboni, La collaborazione alla «Tebaide» del Bentivoglio attraverso le lettere, in Studi e problemi di critica testuale, LXV (2002), pp. 147-200; G. Distaso, Una riscrittura settecentesca del «Torrismondo» e il trattato «Del verso tragico» di P.J. M., in Studi in onore di Michele Dell’Aquila, I, La Nuova Ricerca, XI (2002), pp. 315-323.

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