CIRONI, Piero

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 26 (1982)

CIRONI, Piero

Ernesto Sestan

Nacque a Prato l'11 genn. 1819 da Clemente, archivista del comune, e da Giuseppa Conti, nativa di Coiano vicino a Prato, in una famiglia mediocremente agiata, che possedeva casa in città e terra in campagna. Fece le prime scuole a Prato, ma già nel 1831, ravvisata in lui qualche inclinazione al disegno, passava a Siena all'Imperiale Regio Istituto di belle arti, diretto allora da Francesco Nenci, dove si trattenne appena un anno sotto la guida dell'aretino Iacopo Martellini, un ex vicecancelliere del comune di Prato (quindi collega del padre del C.) che viveva di G. Giusti, col quale i Cironi e il Martellini erano in dimestichezza (Giusti nella famiglia Cironi in un ménage un po' curioso sul quale non mancò qualche insinuazione maligna (Guasti, I, p. 255): da molti indizi pare che il signor Clemente contasse poco in famiglia. Sempre guidato dal Martellini passò nel 1832 a Livorno, nella scuola di architettura ed ornato del cav. Carlo Michon, di recente istituzione (1825), e vi restò tre anni. Nel 1835 tornò in famiglia e riprese gli studi nelle scuole comunali, per passare poi nel 1837, diciottenne, a Firenze all'Accademia di belle arti, dove era professore di mitologia e storia G. B. Niccolini, che non consta abbia avuto su lui qualche influenza. Frequentò anche il collegio calasanziano per lo studio delle matematiche, e lo studio dell'architetto Baccani. Un curricolo scolastico un po' irregolare ed incerto, finché, nel novembre 1840, anche per consiglio, I, pp. 297, 413), si iscrisse all'università di Pisa per gli studi di matematica, insieme col fratello Giovanni Battista (Bista) che seguì gli studi di giurisprudenza.

Non fu all'università di Pisa che il giovane C. si schiuse dapprima ad idealità politiche; come molti, i più degli adolescenti della sua generazione, si era entusiasmato alla lettura del Foscolo e dell'Alfieri, alla cui casa natale in Asti andò, in anni successivi, due volte in pellegrinaggio, e perfino alla lettura della Margherita Pusterla di C. Cantù; e per quanto non comprovata, si può dare per certa l'influenza del suo tutore Martellini guadagnato, in questo tempo, da idealità patriottiche non meglio precisabili, ma pare mazziniane. Fu anche, probabilmente per amicizia e non per lucro, precettore in una famiglia pisana (Ciullini, p. 389). Nell'ambiente universitario partecipò attivamente alle manifestazioni, talora anche solo chiassate studentesche. Il suo bagaglio di idee era ancora piuttosto modesto: influssi sansimoniani e lamennaisiani per letture dirette non sono dimostrabili. Le sue letture sono italiane; se quegli influssi francesi ci furono, vennero per via mediata, per quel tanto che si muovevano nella cultura moderna italiana del tempo. Iscrivendosi a Pisa, il C. entrava in una università allora rinnovata dalla riforma del 1839 e riaccesa di nuova vita studentesca. Vi erano entrati nuovi professori, G. Montanelli dal 4 genn. 1841, e S. Centofanti dall'11 nov. 1841; benché estranei alla sua facoltà, fu in rapporti con entrambi, e più col Centofanti che col Montanelli, del cui cenacolo non risulta fosse abituale frequentatore; anzi (ma nel 1848) lochiama "conventicola di scolari" che "boriosi gonfiavano e assumevano tuono di protezione della plebe scolaresca" (Diario, II, VII, 94, c. 6). Certo, il C. fu subito fra gli studenti più in vista nelle agitazioni di quegli anni; partecipò, nel luglio 1841, al significativo incontro ai Bagni di San Giuliano con gli studenti lucchesi, cioè, allora, di uno Stato estero (Michel, p. 140); nell'aprile 1842 fu, con altri, severamente ammonito per offese fatte al prof. Corridi (ibid., p. 151), e ancora, nel settembre successivo (ibid., p. 157); e nel maggio 1843 era punito con l'arresto in casa per tre giorni, per avere dato l'estremo commiato al defunto prof. Giovanni Pieraccioli, della facoltà di matematiche (ibid., p. 164). Fatto più importante, perché farebbe risalire agli anni universitari la prima adesione alle idee e alla propaganda mazziniana, la diffusione, per opera dei fratelli Cironi, del periodico mazziniano L'Apostolato popolare (ibid., p. 141).

Nel luglio 1843, laureatosi, tornò in famiglia. Attese a qualche lavoro di ingegneria a Prato e anche fuori Prato, a lavori stradali alla Briglia, a 7 km da Prato, in Val di Bisenzio. Significativo, nell'agosto 1844, un pellegrinaggio, con amici, a Gavinana, sui luoghi del Ferrucci, e relativi entusiasmi repubblicani. Ma attese anche a lavori letterari-patriottici. Nel 1846 pubblicò a Bruxelles una traduzione italiana di Une voix de prison del Lamennais col titolo Il presente e l'avvenire dei popoli. Nel 1846-48 rimase affatto estraneo alle infatuazioni neoguelfe; ciò che traspare dagli opuscoli, pubblicati anonimi, Toscana,il governo,il paese, Capolago 1847, e Quattro mesi del 1847, Bastia 1847.

Nel primo denunciava la debolezza del granduca di fronte alla Curia romana, quale si era manifestata nella estradizione di Pietro Renzi, nella tentata introduzione a Pisa delle suore del S. Cuore di Gesù; si esprimeva con diffidenza su Carlo Alberto; denunciava le pressioni sugli universitari Centofanti e Moritanelli; sentiva prossima una rivoluzione; e il principio repubblicano trapelava dall'accusa fatta a Leopoldo II di godere di una lista civile di 370.000 scudi. L'opuscolo ebbe l'elogio del Guerrazzi.

Il 12 sett. 1847, giorno della concessione della guardia civica, in contrasto con la esposizione della bandiera toscana biancorossa, il C. per primo percorse le vie di Firenze alzando il tricolore: un gesto che gli procurò una certa notorietà. Rifiutò però il grado di ufficiale nel corpo; vi militerà solo come soldato semplice e con una certa diffidenza, perché non vedeva in quella istituzione l'espressione delle vere classi popolari, ma piuttosto uno strumento della borghesia (Assing, p. 54). Fra il 1847 e la prima metà del '48 l'attività del C. si compendiò nella citata ed altra pubblicistica anonima. Conaltro opuscolo prendeva le difese del Guerrazzi imprigionato nel gennaio 1848 per i fatti di Livorno.

Il 23 marzo 1848 il C. partì con la colonna di volontari toscani che si dirigeva in Lombardia per fare la guerra agli Austriaci. Ma la colonna non andò oltre Pievepelago nel Frignano modenese e lì fu sciolta. Il 29 apr. 1848, incaricato dai democratici toscani, partì per Milano, ove giunse il 9 maggio, munito di una lettera del Guerrazzi di presentazione al Mazzini. Fu un momento capitale nella vita del C., perché a Milano fece la conoscenza personale del Mazzini e della madre di lui, Maria Drago.

Il C., che non era né studente né professore universitario, non ebbe occasione di trovarsi al combattimento di Curtatone e Montanara (29 maggio 1848); ciò che, ingiustamente, provocò le ironie maligne d'un coetaneo pratese, C. Livi, inimicissimo del C. perché repubblicano, che a quel combattimento aveva partecipato, e che lo incontrò a Milano il 21 giugno 1848 e lo giudicò un imboscato (Guasti, I, p. 255). Ma il C. un imboscato non era: il 17 maggio era partito con la colonna dei volontari del colonnello, poi generale D. D'Apice per la Val Camonica e per la Valtellina. Giunto allo Stelvio il 25 maggio, partecipò alle sparatorie contro le truppe tirolesi (tutti i movimenti del C. in questi mesi sono registrati con, si direbbe, pedantesca precisione di giorni e ore nel Diario, II, c. 12: c'è una lacuna fra il 30 maggio e il 2 agosto: pare sia sceso a Milano, dove il Livi lo incontrò il 21 giugno). Il 2 agosto era di nuovo allo Stelvio, da dove, dopo altri scontri con gli Austriaci, ignorando volutamente l'armistizio Salasco, e dopo la sfida, in quelle balze montane, della proclamazione di una Repubblica italiana durata tre giorni (P. Pieri, Storia milit. del Risorgimento, Torino 1962, p. 345), ripiegava col corpo D'Apice il 17 agosto, per passare in Svizzera. Il 23 agosto il corpo D'Apice deponeva le armi a Coira e si scioglieva. Il C. si trattenne nel Canton Ticino, con una puntata, fra il 20-28 sett. 1848, alla villa della Sabbioncella presso Cannero (cioèsulla riva piemontese del lago Maggiore), ospite di Laura Solera coniugata Mantegazza, che aveva conosciuto a Milano, infaticabile soccorritrice e confortatrice dei combattenti lombardi. Ma alla fine di ottobre 1848 partecipò, sempre col D'Apice, alla disperata puntata, dal Canton Ticino, in territorio lombardo in Val d'Intelvi, e combatté nello scontro al "Casino dei tre signori".

Qui, secondo la Assing (p. 51), sarebbe stato "gravemente ferito alla testa" (anche nell'edizione tedesca, la lingua della Assing, Piero Cironi. Ein Beitrag zur Geschichte der Revolution in Italien, Leipzig 1867, cioè posteriore di due anni all'edizione italiana, p. 72: "gefährlich am Kopfe verwundet"). Ma la notizia è dubbia: il C. non ne parla; e sembra poco verisimile che un ferito grave al capo il 1º nov. 1848, possa il giorno dopo a Gandria, presso Lugano, sottoscrivere di suo pugno la consegna alle guardie di finanza svizzere delle sue due pistole (Diario, II, c. 18). Il nome del C. non figura fra quelli, come D'Apice ed altri, inquisiti dalle autorità svizzere (Martinola, pp. 10-20).

Dopo un'altra sosta alla Sabbioncella, dal 9 al 16 nov. 1848, riprese, per Novara, Alessandria, Genova e Livorno, la via per Firenze, ove giunse il 1º dic. 1848 (Diario, II, C. 12). Ma vi rimane pochi giorni: il 6 partiva per Roma (Diario, II, cc. 21 e 23) e vi arrivava il 12 dicembre. Era stato deputato dal Circolo del popolo di Firenze ad andare, insieme con F. De Boni e P. Maestri, presso il Circolo popolare di Roma per caldeggiarvi la convocazione a Roma di una Costituente italiana (Corrado, p. 65). Rimase a Roma fino al 14 febbr. 1849: il 3 era di nuovo a Firenze. Il C. fu, col De Boni, gran parte in questo comitato, anche dopo che, il 31 dic. 1848, era stato rinforzato con la venuta a Roma di rappresentanti di altri circoli toscani (ibid., p. 76). Ma ne ebbe anche amarezze: scriveva al Mazzini in aggiunta a lettera del De Boni del 31 dic. 1848: "Qui è grande la debolezza originata primamente da noi che alcuni dei nostri usano arti e misteri schifosi e ci separano e non si uniscono ad altri che per montare in mostra" (ibid., pp. 60 s.). Nel contrasto fra chi voleva limitare la Costituente a Roma e agli Stati romani e chi la voleva Costituente nazionale italiana, il C. si batté tenacemente per questa soluzione nazionale unitaria, non federale, repubblicana. Sotto l'impulso del C. e De Boni, il comitato, l'8 genn. 1849, prese il nome di Comitato dei circoli italiani: "Siamo una potenza qui a Roma", annota il C. in un suo Diario dei commissari del Circolo del popolo di Firenze al Circolo popolare di Roma (ibid., p. 82), e da Roma saluta la fuga del granduca Leopoldo II e la istituzione del governo provvisorio (Adami, P. C. Dibattiti..., p. 105).

Tornato a Firenze, il 6 marzo 1849 venne proposto dal Circolo popolare di Firenze candidato per le elezioni all'Assemblea toscana; e vi sedette fino alla dissoluzione dell'Assemblea, per la caduta della dittatura guerrazziana e l'avvento del governo provvisorio moderato (12 apr. 1849). Dopo l'ingresso in Firenze delle truppe austriache del gen. D'Aspre tentò, la sera del 28 giugno 1849, di subornare i reparti ungheresi di quelle truppe (la rivoluzione ungherese non era ancora spenta a Vilagos, 13 ag. 1849) buttando nella caserma dei foglietti con un proclama asserito di Kossuth. Poco dopo, il 12 luglio, sapendosi ricercato per il sospetto che, stabilitosi a Firenze senza una precisa occupazione, fosse mantenuto da una società segreta, si costituì in prigione e vi rimase, prima a Firenze, poi a Piombino, per quattro mesi, finché l'amnistia del 23 nov. 1849 lo rimise in libertà. Per poco: un anno e mezzo, trascorso facendo un gran lavorio di propaganda segreta a Firenze e a Prato, in senso unitario repubblicano: con la raccolta e l'organizzazione di aderenti, divisi per centurie secondo un ordinamento militare (gli affiliati nella sola Firenze sarebbero stati 2.500); con la diffusione di stampati clandestini redatti in parte dal C. stesso. Risultato di questo lavorio segreto la manifestazione popolare in S. Croce per il terzo anniversario di Curtatone e Montanara (29 maggio 1851). Tutto ciò richiamò su di lui l'attenzione della polizia: perquisizioni nella sua casa di Prato, con scoperta di materiale veramente non molto compromettente, non tale da giustificare una condanna, ma tale da giustificare il proposito dell'autorità governativa di allontanarlo dalla Toscana come individuo sospetto. Gli fu offerto di emigrare, con regolare passaporto, dalla Toscana, con l'ingiunzione di non rientrarvi se non col permesso del governo. Rifiutarsi avrebbe significato sottoporsi a molestie e forse angherie quotidiane: accettò. Munito di passaporto, ma senza il visto del governo sardo per la residenza, partì da Firenze il 25 luglio 1851 stabilendosi a Genova, dove risiedeva la sorella Ernesta, coniugata col marchese Ridolfi D'Oria.

Rimase a Genova per più di due anni, fino al 14 sett. 1853. Il rapporto finora piuttosto superficiale col Mazzini si approfondì in questi anni, sia per le visite quasi quotidiane alla madre di questo, sia per la collaborazione continuata, e ispirata alle sue parole d'ordine, al giornale genovese Italia e popolo. Ma nell'estate del 1853 ci fu un intiepidimento nei loro rapporti: il C. era piombato in una fase di abbattimento e di sconforto. C'entrava la crisi, che del resto percorse tutto il mazzinianesimo dopo il fallimento dello sciagurato tentativo milanese del 6 febbr. 1853; ma c'entrava anche il fallimento della sua violenta passione amorosa, rimasta probabilmente sempre platonica, per la Solera Mantegazza; passione nata già nel '50 (Acrini Innocenti, Diario, p. 156), romanticamente infiammata e poi spenta, nel maggio 1852, per il rifiuto dell'amata di lasciare la propria famiglia. Benché il C. non avesse parte alcuna nella preparazione del 6 febbraio, un'ombra di sospetto calò su tutti i mazziniani ospitati negli Stati sardi. Il 5 sett. 1853 il C. ricevette l'ordine di lasciarli, entro due giorni. Lo stesso ordine colpiva anche il Martellini, riparato anche lui a Genova. Ma questi riusciva ad ottenere una proroga allo sfratto, mentre il C., lasciata Genova, per la via di Locarno raggiunse Zurigo l'11 novembre. Rimarrà in Svizzera, con molti intervalli e spostamenti, quasi quattro anni, fino al giugno 1857. Dal 20 ott. 1854 al 28 novembre villeggia a Kriens presso Lucerna; alla fine di giugno 1855 viene a Torino e poi soggiorna per quattro mesi (9 luglio-31 ott. 1855) a Genova presso il cognato; e altri soggiorni brevi a Lucerna e a Lugano.

Zurigo era un centro, più che di intrighi e di cospirazioni, di pettegolezzo di esuli italiani. Il C. vi si sentiva a disagio, pur apprezzando la libertà svizzera, e facendo ammenda di giudizi espressi alla fine del '48: "La libertà che vi si gode è assoluta, nissuno vi cerca di niente, Si arriva, si va all'albergo, il giorno di poi il Tagblatt, foglietto locale, annunzia l'arrivo e finché uno resta all'albergo non sono reclamate necessità di presentarsi alla polizia" (Acrini Innocenti, Diario, p. 160). Rinsaldò l'amicizia col De Boni, col mantovano L. Melegari, frequentò l'ambiente ospitale del ricco commerciante comasco, ma con cittadinanza svizzera, Filippo Caronti, poi clamorosamente fallito e fuggitivo in Argentina, e anche l'ambiente pettegolo di Georg ed Emma Herwegh; non simpatizzò - e fu una sua insufficienza di mente e di cuore - con F. De Sanctis, professore a Zurigo dal 29 marzo 1856; giudicò "un povero e meschino discorsino per un asilo infantile" un discorso di chiusura del De Sanctis (Ghisalberti, Noterelle, p. 413).

Il soggiorno a Zurigo lo portò ad essere implicato nella fuga di F. Orsini dal castello di Mantova, che egli, veramente, dapprima aveva considerata una follia venuta in capo alla "Sibilla Emma", cioè ad Emma Herwegh (Luzio, pp. 41, 82). Del resto, aveva poca simpatia per l'Orsini. La parte del C. consistette principalmente nel procurare i mezzi finanziari per la fuga: durante quei quattro mesi di soggiorno fra Genova e Lavagna presso la sorella e il cognato, andò - prevenuto dalla Herwegh - a Nizza (fra il 24-27 ott. 1855; cfr. Orsini, Lettere, p. 273) e insierne con Garibaldi cercò di convincere il banchiere Colombo a dare 5.000 franchi; ma invano. Solo più tardi riuscì ad avere in prestito dall'amico conte G. Grilenzoni 6.700 franchi (Orsini, Memorie, p. 311; Luzio, p. 88), e altro denaro procurò all'Orsini dopo la fuga (Orsini, Memorie, p. 313). Collaborava intanto a giornali, anche ad uno argentino.

La nostalgia della patria toscana si faceva sempre più acuta. Nel giugno 1857 accettò le condizioni poste dal governo toscano e tornò a Firenze; ma resosi sospetto per avere frequentato persone a loro volta sospette, gli venne ingiunto (6 ag. 1857) di risiedere a Prato e di non allontanarsene senza il permesso della polizia. Riprese l'attività giomalistica: collaborava oramai poco alla genovese Italia del popolo, mentre era abbondante la sua collaborazione alla allor nata Rivista di Firenze, diretta da A. Vannucci, pratese anche lui; ma non erano articoli di politica attuale, o almeno non di politica itaIana: sui monumenti artistici in Svizzera, sull'India che allora attirava l'attenzione per la rivolta dei sepoys, e specialmente sugli Stati Uniti d'America e il giornalismo di là. Certo, il C. godeva di una certa notorietà anche fuori di Toscana, specie in Liguria, dove il Corriere mercantile dava notizia del suo ritorno in Toscana (Fioravanti, Bibliografia..., p. 129); e maggiore notorietà gli dava in quei giorni la pubblicazione delle Memorie dell'Orsini, sia nella veste inglese uscita nel giugno 1857 (Ghisalberti, in Orsini, Memorie, p. 40) sia, e ancor più, nell'edizione italiana, il 17 genn. 1858 (ibid., p. 46). Ma lo resero anche più sospetto alle autorità toscane (Assing, p. 154).

Sulla fine del 1858 era caduto ancora in una fase di profondo abbattimento. Le nuove prospettive politiche che si aprirono nei primi mesi del '59 lo rianimarono, anche se la guerra che si delineava non era la guerra di popolo che egli, mazzinianamente, avrebbe preferito. Nell'aprile dava anch'egli il suo obolo per i volontari che andavano ad arruolarsi in Piemonte (Ciullini, p. 253); il 19 aprile cedeva alle insistenze di Ermolao Rubieri, pratese anche lui, si accordava con G. Dolfi su un programma dei gruppi democratici (ibid., p. 258), e insieme con loro partecipava il 23 aprile alla riunione, in casa di B. Ricasoli, dove, contro il parere di alcuni di inviare una delegazione, si stabiliva la dimostrazione contro il granduca. Il C. ebbe parte nell'assicurarsi l'appoggio della guarnigione nellariunione del 26, frenando gli impazienti e spargendo la parola d'ordine che la dimostrazione doveva svolgersi a mezzodì del 27 aprile, e inducendo V. Malenchini, livornese, ad accettare di far parte della commissione provvisoria che assumerà il governo, per eliminare il possibile antagonismo fra Firenze e Livorno. Lo storico 27 aprile il C. lo passò a Prato, secondo le intese col Rubieri (Ciullini, pp. 258 ss.); non entrò nella commissione che, nel Magistrato civico, assunse il governo di Prato.

Del resto, rifiutò, propostogli dal Dolfi, ogni ufficio governativo "per essere in accordo coi precedenti di tutta la mia vita, di dovermi tenere lontano da qualunque funzione pubblica sotto questo governo" (ibid., p. 262). Preferì darsi alla propaganda giornalistica, alternandosi fra Prato e Firenze, diffidente verso i liberali moderati che davano il tono al governo provvisorio toscano; ma c'erano dei malumori anche entro iI gruppo democratico: "La cosa è che il Dolfi, ottimo uomo, soggiace all'influenza di Leonida Biscardi, il quale non ha altra mira che quella di isolarlo; ... e così il Dolfi, invece di essere un individuo che unisce, diviene un elemento di separazione" (ibid., p. 271). Secondo la parola d'ordine mazziniana era per l'unione con lo Stato sardo, e contro il Montanelli, ostile "perché il debito del Piemonte è più grosso che il debito toscano. Ingenerosa idea che non può venire ad altri che a un Montanelli, ganzo di vecchie; e che cela la ragione di opposizione, che è di favorire gli interessi del principe Napoleone Girolamo" (ibid., p. 272).

Nelle elezioni per l'Assemblea del 7 ag. 1859 ottenne soltanto ventisei voti (i più andarono a G. Mazzoni e al Rubieri), nemmeno quelli dei suoi familiari, tranne quello del Martellini. Nei giorni seguenti ebbe vari incontri col Mazzini giunto clandestinamente a Firenze l'8 agosto, finché vi si trattenne, cioè fino al 17 0 18 settembre. In Prato l'ambiente inoderato gli era ostile, si sentiva tenuto d'occhio, invigilata la sua corrispondenza. Protestò contro l'arresto di Jessie White Mario (ibid., p. 378). Ma la sua partecipazione attiva alla politica andava gradualmente scemando, e non solo per ragioni di salute sua e della sorella Artemia, da lui assistita affettuosamente. Si adoperò tuttavia molto assiduamente per le varie sottoscrizioni aperte in favore dei garibaldini e per la direzione del nuovo giornale (dal 1º apr. 1860) l'Unità italiana, nel quale scrisse fino al 30 sett. 1860 (Fioravanti, Bibliografia..., p. 173). Ebbe di nuovo contatti personali col Mazzini, negli altri suoi due brevi soggiorni a Firenze (13 agosto-14 sett. 1860) e di passaggio, il 26 nov. 1860.

Invano, nel settembre 1861, il Mazzini lo infervorava all'azione: "Perché, in giorni come questi, con una rivoluzione a mezzo davanti a Venezia e Roma, davanti all'insolenza francese e alle condizioni dell'Ungheria e della Polonia, che moverebbero se noi movessimo, davanti all'imbastardimento del moto nazionale da un lato in mano d'inetti e alla possibile iniziativa italiana fra le nazioni dall'altra, potete restare muto, immobile, nella tenda di Prato, Piero, Piero, fatevi attivo" (Scritti editi e ined., CXXI, pp. 384 s.). Qui il Mazzini era un po' ingiusto. Il C. non era, non era mai stato veramente un cospiratore, nel senso di tramare ed organizzare azioni di parte; ciò non era nella sua natura, schietta, fermissima nei principi, da affermarsi più resistendo che agendo. Così era rimasto estraneo ai moti mazziniani del 1853 e del 1857, e rimarrà a quelli garibaldini del 1862 (Sarnico e Aspromonte). La sua azione, piuttosto, era agitatoria nella stampa: contro il murattismo (22 genn. 1861), per la soluzione della questione di Roma (19 marzo 1861), per la revoca della sentenza della condanna a morte del Mazzini nel 1857 (29 maggio 1861); dettò un indirizzo animatore ai Romani (24 febbr. 1862) portato a Roma da Aleksandr Bakunin, fratello del più noto Michail (cfr. Fioravanti, Bibliografia..., pp. 178-181); e promosse l'organizzazione di società operaie di ispirazione mazziniana: di legnaioli, di rivenditori di piazza, di caffettieri, di sarti, di tipografi, di campagnoli; la stesura dello statuto della nuova Fratellanza artigiana d'Italia, l'inaugurazione della Associazione unitaria a Firenze e a Prato. Ma è strano che il C. non figuri nel congresso delle Società operaie italiane tenutosi a Firenze il 27-29 sett. 1861 (Rosselli, pp. 73-84): c'erano il Dolfi, il Mazzoni ed altri della democrazia toscana, ma non il C., sempre schivo di figurare in prima linea. Angosciato per i fatti di Aspromonte, si spegneva a Prato il 1º dic. 1962.

Il C. non ebbe tempra di forte pensatore. Fu soggiogato dalla forte personalità del Mazzini, che fu il faro della sua vita politica, riconducendola sempre ai punti fondamentali mazziniani di indipendenza, unità, repubblica, con qualche nota personale tuttavia: poco concedendo, dopo una crisi religiosa giovanile, al teologismo laico del Mazzini, e un poco accentuando la nota sociale nell'insegnamento del maestro. Nella quale portava un segno di realismo più concreto, fino al punto di associare, incidentalmente e, in prospettiva storica lontana, pericolosamente, le idealità nazionali di potenza con quelle di rivendicazioni sociali: "Unità d'Italia, ecco la ricchezza delle classi povere, ecco la prosperità delle industrie, la estensione dei commerci; ecco le flotte italiane veleggianti rispettate sui mari a far sicuri i cittadini di questa Italia, che oggi, divisa, sono bersaglio di tutti; ecco la ricchezza dei cambi, la ricchezza effettiva delle esportazioni. Dobbiamo fare questa unità per far grande di gloria e ricca la nazione" (in Assing, p. 95). Per natura timido, introverso, con un fondo di ascoso orgoglio di sé, non ebbe sempre facilità di rapporti umani, e poche, ma salde amicizie. Rigidissimo verso se stesso, sui cardini fondamentali della sua fede politica, fu giudice aspro e talora poco comprensivo dei cedimenti e compromessi ineluttabili della prassi politica. Di umore malinconico, ma variabile, con un che di femmineo, chiuso in se stesso, non oratore comiziante, più facile ad esprimersi nello scritto che nella parola, pacata, non esplosiva né incendiante, anche nella attività giornalistica, si compiaceva della precisione minuta, talora quasi pignolesca e pettegola in tutte le sue cose (e ne sono patetica testimonianza i quattordici volumi del suo Diario), ed esplicava questa sua predilezione, facendosi, dal 1853 in poi, il collezionista e archivista accurato di tutto ciò che potesse interessare, anche in particolari apparentemente poco significanti, un futuro biografo del Mazzini e storico del mazzinianesimo: tutto ciò con poca soddisfazione di quello, che vedeva così il C. distolto dalla vera azione politica. La quale si concentra, ma anche si riduce, sostanzialmente, in sede storica, oltre che in un alto esempio di integrità morale e di rigida coerenza ideale di stampo quasi plutarcheo, nell'opera data alla preparazione popolare del 27 aprile, presto poi richiudendosi in se stesso, amareggiato dagli sviluppi della situazione dominata dai non amati moderati, e da aderenti recenti di provenienza repubblicana, come il concittadino A. Vannucci. Il quale poi nemmeno volle aderire all'invito del Mazzini di una degna commemorazione del C. (Adami, A. Vannucci, p. 10). Al Mazzini, pur fra alti e bassi, fu sempre carissimo; basterebbero a confermarlo fra le molte altre le parole commosse che questi scrisse ai genitori del C. da Londra, il 30 dic. 1862 (Scritti editi e inediti, LXXIII, pp. 300 ss.).

Fonti e Bibl.: Fondamentale è il Diario, in 14 voll., conservato nella Bibl. naz. di Firenze, in gran parte inedito, sul quale bene informa M. G. Acrini Innocenti, Il Diario di P. C. e altri inediti, in Boll. della Domus mazziniana, XXII (1976) pp. 145-182. È stato utilizzato da innumerevoli studiosi, ma integralmente pubblicato è solo il Diario del 1859, da R. Ciullini, in Rass. stor. toscana, V (1959), pp. 245-298, 375-400 (su cuicfr. E. Ragionieri, in Studi storici, I [1959-60], pp. 618-634). Altre pagine a spizzico in G. Baccini, Ricordi patriottici tratti da un Diario inedito di P. C., in Miscell. del Risorg. ital., I (1911); e Id., Diario polit. ined., di P. C. (1846-49), in Riv. delle bibl. e degli arch., XXV (1914), pp. 110-130, 158-182; XXVI (1915), pp. 31-39; S. Morpurgo, XXVII aprile1859, Firenze 1901. Inoltre: E. Sestini, Per una ediz. del Diario di P. C., in Arch. stor. pratese, XVIII (1940), pp. 14 s. Per gli scritti del C. in opuscoli e in giornali è preziosa la Bibliografia di P. C. Pubbl. dal manoscritto autografo da A. Fioravanti, ibid., XIV (1936), pp. 10-26, 76-87, 118-35 e 169-82. Inoltre anche G. Adami, P. C. e la stampa democratica toscana, in Prato. Storia e arte, III (1962), pp. 37-40. Lettere del C., non molte, sono edite, qua e là, occasionalmente, in alcuni degli studi indicati in seguito. Importanti, naturalmente, le circa trecento lettere del Mazzini al C. pubblicate nei vari volumi degli Scritti editi e inediti (ed. naz.), ad Ind.; e G. Macchia, La prima raccolta di scritti inediti di P. C., in Prato. Storia e arte, VI (1965), pp. 23-30. Per la biografia è ancor sempre fondamentale L. Assing, Vita di P. C., Prato 1865, la quale Assing fu intima amica del C. nell'ultimo anno della sua vita e per prima utilizzò il Diario e lettere. Inoltre, di valore vario, A. Landini Restelli, P. C., in Arch. stor. pratese, XXIV (1946-58), pp. 3-39; G. Giagnoni, P. C.: l'uomo e il patriotta, in Prato e la rivoluzione toscana del 1859, Firenze 1959; G. Adami, P. C. Dibattiti e contrasti per la libertà nazionale e la democrazia. Con docc. rari e ined. e aggiunta la ristampa del saggio "La stampa nazionale ital. 1828-1860", Prato-Firenze 1962; G. Macchia, Il centenario di P. C., in Boll. della Domus mazziniana, IX (1963), pp. 17-36. Per la formazione intellettuale e morale del C. cfr. il fine studio di G. Pansini, Democrazia e umanitarismo in P. C., in Prato e la rivoluz. toscana del 1859, Firenze 1959; per un tentativo di valutazione storica generale: E. Sestan, P. C. e la democrazia toscana del suo tempo, in Rass. stor. toscana, X (1963), pp. 101-15 (dove, a p. 114, è da correggere Luigi Amedeo Melegari in Luigi Melegari). Per i rapporti del C. giovane e la sua famiglia col Giusti, vedi G. Giusti, Epistolario, I, Firenze 1932, pp. 297-413. Per gli studi giovanili del C.: G. B. Picchianti, Cenni sulla scuola Michoniana di Livorno, Livorno 1880; e specialmente E. Michel, Maestri e scolari dell'univers. di Pisa nel Risorgimento naz., Firenze 1949. Per l'ambiente intellettuale e politico a Prato: G. Paradisi, Prato nel Risorg. dal1815 al 1860, in Arch. stor. pratese, XVIII (1940), pp. 16-31, 70-83, 115-36; XIX (1941), pp. 46 ss., 77-92, 131-41; M. Giardelli, Fra gliamici di P. C., in Prato, IX (1968), pp. 67-84; G. Adami, A. Vannucci maestro di umanità e storico moralista, Prato 1968, ad Indicem; C. Guasti, Carteggi, a cura di F. De Feo, I, Firenze 1970, ad Indicem. Per i rapporti personali col Mazzini: M. G. Acrini Innocenti, I rapporti tra Mazzinie C. dal 1857 al 1862 (con sessantotto lettere ined. di Mazzini), in Boll. della Domus mazziniana, XXI (1975), pp. 203-96. Per la sua azione militare nel 1848: G. Ferrabini, Argegno e la Valled'Intelvi negli anni 1848-1849, Milano 1860, passim; P. Conti, L'insurrez. della Valle Intelvi,nell'ottobre1848, Como 1896, passim; F. Schlitzer, Il gen. Domenico D'Apice e un tentativo insurrez. a Chiavenna nell'agosto 1848, in Rassegna stor. napolet., n.s., II (1941), pp. 3-8; G. Martinola, La spedizione mazziniana in Valle Intelvi del 1848 nei docum. ticinesi, in Boll. stor. d. Svizzera ital., s. 4, XXIII (1948), pp. 15-22; T. Urangia Tazzoli, I moti di Valtellina nel 1848 e la Repubblicaitaliana Stelvio-Tonale, in Boll. della Soc. stor. valtellinese, III (1955), pp. 93-122. Per l'azione politica a Firenze e a Roma nel 1849 cfr.: A. Giannelli, 1831-1914. Cenni autobiogr. e ricordi politici, Milano 1925; e specialmente R. Corrado, F. DeBoni e i circoli popolari e la legazione di lui aBerna, in Studi e docc. su Goffredo Mameli e laRepubblica romana, Imola 1927, pp. 61-69, 76-86; e per gli sviluppi del pensiero e dell'azione mazziniana, a cui anche il C. partecipa o aderisce, gli importanti volumi di F. Della Peruta, Democrazia e socialismo nel Risorgimento. Saggi e ricerche, Roma 1973, ad Indicem; e I democratici e larivoluz. italiana. Dibattiti ideali e contrasti polit. all'indomani del 1848, Milano 1974, ad Indicem. Inoltre: C. Ronchi, Idemocratici fiorentini nellarivoluz. del'48-49, Firenze 1963, ad Indicem. Per il soggiorno genovese: G. Cappelli Salvadori, Emigrati toscani in Piemonte. P. C., G. Civinini,C. Cavigli, in Rass. stor. toscana, XXV (1979), pp. 3-23. Sulla Solera Mantegazza il libretto del figlio, il celebre antropologo e igienista Paolo Mantegazza, La mia mamma, Firenze 1886, il quale passa naturalmente sotto silenzio, se pur n'ebbe notizia, quella romantica passione. Per l'esilio in Svizzera e i rapporti col De Sanctis: A. M. Ghisalberti, Noterelle desanctisiane di P. C., in Rass. stor. del Risorgimento, XXV (1938), pp. 411 ss.; e G. Adami, Un compagno di esilio e avversario di F. De Sanctis: P. C. patriota e cospiratore, in Belfagor, XIII (1958), pp. 575-83; e in particolare, per la parte avuta nella fuga dell'Orsini, F. Orsini, Mem. politiche, Roma 1946, e Lettere, Roma 1936, entrambe a cura di A. M. Ghisalberti, ad Indices; A. Luzio, Felice Orsini ed EmmaHerwegh, Firenze 1937; A. M. Ghisalberti, Orsiniminore, Roma 1955, ad Indicem. Per gli anni 1859-1862: E. Rubieri, Storia intima della Toscanadal 1º genn. 1859 al 30 apr. 1860, Prato 1861; del quale, anche, importante la lettera al C. del 28 apr. 1859 in A. Fioravanti, Lettere ined. di E. Rubieri, in Arch. stor. pratese, XI (1933), pp. 73 s.; M. Gioli Bartolomei, Il rivolg. toscano e l'azionepopolare, Firenze 1905, pp. 163, 223, 244 s.; A. Bresci, Prato e il plebiscito del 1860, in Prato ela Rivol. tosc. del 1859, cit., pp. 139, 141; G. Valeggia, G. Dolfi e la democr. a Firenze negli anni1859 e 1860, Firenze 1913, pp. 18, 24, 38, 61, 66, 83, 113; N. Rosselli, Mazzini e Bakounine, Torino 1927; N. Danelon Vasoli, Il plebiscitoin Toscana nel 1860, Firenze 1968, ad Indicem.

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