JAHIER, Piero

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 62 (2004)

JAHIER, Piero

Giuseppe Izzi

Nacque l'11 apr. 1884, secondo di sei figli, da Pier Enrico e da Giuseppina Danti, a Genova, dove la famiglia si trovava per una missione pastorale del padre.

Pier Enrico, infatti, di famiglia valdese originaria di Pramol in Val Chisone, fratello di Elisa, governante a Firenze dell'evangelico conte Piero Guicciardini, fu da questo assunto come bibliotecario e inviato a fare studi di teologia a Ginevra, dopo i quali, nel 1871, entrò nella Chiesa libera come evangelista. Nel 1877 si fece ribattezzare e passò al servizio dell'Unione cristiana apostolica battista, mentre anche la moglie, di educazione cattolica, si convertì nella Chiesa pietista dei fratelli (Darlisti).

Il fallimento della banca Guarducci privò dei suoi risparmi la famiglia che, dal 1889, seguì il padre nel suo ufficio di pastore a Torino e Susa, dove lo J. frequentò le scuole elementari. Nel 1895 gli Jahier rientrarono a Firenze, e qui, nel 1897, il padre, dilaniato dal rimorso per un adulterio e "al quale la vita era diventata insopportabile perché si credeva indegno di predicare il Vangelo avendo peccato, riuscì a eludere la sorveglianza della casa e portatosi al Cimitero degli Allori si uccise" (lettera dello J. a E. Cecchi, 31 genn. 1920, in Petrocchi, p. 23).

A Firenze lo J. frequentò il liceo Dante, dove ebbe come insegnante F. Romani, più volte ricordato come maestro di umanità e di arte. Terminati gli studi liceali, nel giugno 1903, grazie anche a una borsa di studio, s'iscrisse alla scuola di teologia valdese di Firenze, che abbandonò, dopo meno di due anni, nell'aprile 1905, non riconoscendosi più nella dimensione teologica della fede protestante. Pressato dalle necessità economiche della famiglia, nel maggio dello stesso anno lo J. si impiegò come "applicato" nella Società adriatica di ferrovie, in procinto di essere assorbita nelle Ferrovie dello Stato, e iniziò il suo lavoro a Bari, per essere dopo pochi mesi trasferito a Firenze, come contabile nelle officine di Porta a Prato. Nel 1910 sposò Elena Rochat Cordey, figlia anch'essa di un pastore, dalla quale ebbe quattro figli, mentre nel 1911 conseguì a Urbino la laurea in legge cui aggiunse successivamente il diploma superiore di abilitazione all'insegnamento del francese, ottenuto a Torino. Intanto, dal 1909, era iniziata la sua collaborazione a La Voce, della cui libreria, dal dicembre 1911 al 1913, fu anche gerente responsabile, mettendosi in aspettativa dalle Ferrovie e ricevendo come compenso il rimborso del suo stipendio base di ferroviere.

Nel 1911-12, nella zona di Campo di Marte, lo J., insieme con G. Prezzolini e usufruendo di un mutuo trentennale all'uno per cento della Cooperativa ferrovieri, costruì, disegnandola e seguendone personalmente i lavori, una villetta, che chiamò poi "casa rossa".

La coabitazione fra i due letterati non fu però felice, tanto da sfociare in lite, con intervento di probiviri, nell'abbandono della casa da parte di Prezzolini nel 1915 e, molti anni dopo, in amare recriminazioni da parte di entrambi.

La produzione più significativa dello J., articoli, traduzioni, poesie, i volumi Resultanze in merito alla vita e al carattere di Gino Bianchi (Firenze 1915), Ragazzo (Roma 1919), Con me e con gli alpini (ibid. 1919), risale tutta agli anni della Voce e della guerra. Nel 1915, infatti, lo J., interventista come gli altri vociani, partì volontario, sottotenente e poi tenente della milizia territoriale nel corpo degli alpini, uomini in cui avrebbe poi visto incarnato il mito della guerra democratica e rivoluzionaria, riversando questa sua esperienza nel citato diario di guerra Con me e con gli alpini. Profondamente colpito dall'esperienza di Caporetto, "sciopero di tutti", lo J., con lo pseudonimo di Barba Piero, diresse, per incarico del generale E. Caviglia, L'Astico. Giornale delle trincee.

Redatto da combattenti, ma con la collaborazione di intellettuali come Cecchi e G. Lombardo Radice e l'assistenza degli ufficiali dell'appena istituito Servizio propaganda, uscì per 39 numeri, dal 14 febbraio al 10 nov. 1918. Il giornale aveva per motto "una stessa fronte, uno stesso cuore - combattere e seminare" e, partendo dal dato di fatto della forte presenza contadina nelle file dell'esercito, ne assumeva i peculiari valori di attaccamento alla terra e alla famiglia per trasportarli sul piano della solidarietà patriottica, contrapposta alle egoistiche divisioni operaie della lotta di classe. Proprio dello J. è, in ogni modo, il sincero amore per la cultura popolare, per il suo lessico e le sue tradizioni.

Smobilitato in ritardo e con il grado di capitano, lo J. riprese per breve tempo servizio presso le Ferrovie, da cui si mise nuovamente in aspettativa per dirigere e redigere, accogliendo una proposta di Prezzolini, Il Nuovo Contadino, uscito per 11 numeri, dal 31 luglio al 31 dic. 1919.

Con il nuovo giornale egli avrebbe voluto continuare in tempo di pace l'azione di sostegno alle masse di contadini-soldati congedati, portando su di un piano più squisitamente politico la solidarietà sentimentale e patriottica dell'esperienza bellica. Ma il vagheggiato incontro fra contadini e proprietari fu sabotato dall'Associazione agraria toscana, che era dietro l'iniziativa, tanto da indurre lo J. alle dimissioni.

Tornato al lavoro nelle Ferrovie, e dopo aver rifiutato il posto di redattore de Il Popolo d'Italia offertogli personalmente da B. Mussolini, lo J. si legò alle attività dell'antifascismo fiorentino: dal Circolo di cultura all'Associazione clandestina Italia libera al giornale Non mollare.

Memorabili la commemorazione di C. Battisti il 16 luglio 1924, con il caldo discorso dello J. in cui si coniugavano la morte del martire trentino e quella di G. Matteotti, l'affissione di migliaia di manifesti con il ritratto del martire socialista; il breve scritto dello J. intitolato Il cadavere sulla via; e il pubblico omaggio a Matteotti nella cappella Vannucci del cimitero fiorentino delle Porte Sante, conclusosi con un violento pestaggio da parte delle squadre fasciste e il fermo degli antifascisti, tra cui lo stesso Jahier. La precisa scelta antifascista dello J. è confermata anche dalla pubblicazione, tra il luglio 1923 e il dicembre 1924, di tre suoi brevi pezzi nella Rivoluzione liberale di P. Gobetti (riediti in P. Briganti, J. e la "Rivoluzione liberale", in Studi e problemi di critica testuale, ottobre 1975, n. 11, pp. 211-221). Significativo gesto morale per chi con il socialismo aveva polemizzato fu, infine, l'iscrizione dello J., insieme con un folto gruppo di antifascisti fiorentini, al Partito socialista unitario, il partito di Matteotti, macchia sempre ricordata nelle relazioni poliziesche che da allora in avanti avrebbero accompagnato il suo cammino.

L'antifascismo fu causa, infatti, del suo trasferimento a Bologna, dove solo nel 1928 si fece raggiungere dalla famiglia. Fu poi nominato ispettore di movimento sulla Porrettana e successivamente ispettore per la repressione dei reati ferroviari e avvocato per il contenzioso ferroviario nel contratto di trasporto.

Controllato da polizia di Stato e milizia fascista, "impromovibile" per il suo antifascismo, impegnato in continue trasferte per crescere e mantenere agli studi i quattro figli, lo J. si chiuse in un lungo silenzio. Lo studio dell'inglese, lo sprone di una sua ex allieva fiorentina, che divenne in seguito anche sua collaboratrice nelle traduzioni, Maj-Lis Rissler Stoneman (M.-L. Rissler Stoneman, Tradurre per affinità, in La Fiera letteraria, 24 dic. 1950), e la disponibilità di un editore come V. Bompiani gli consentirono, come disse più volte, di "parlare per bocca di terzi", riprendendo l'attività di traduttore, a partire dal 1939, anno in cui apparve Importanza di vivere di Lin Yutang (Milano). In quello stesso anno Vallecchi ripubblicò Ragazzo, con l'aggiunta della poesia I quattro fratelli, già apparsa in La Riviera ligure nel 1914, e, per la prima volta in volume, di alcune poesie (Ragazzo e prime poesie, Firenze 1939).

Se nel maggio 1938 era stato C. Bo, dalle colonne del Frontespizio, a ricordare, pur tra molte riserve, Le doti di J., la ristampa del volume risvegliò l'interesse per la sua figura e suscitò la curiosità di giovani come G. Pintor che, oltre a recensire il volume, volle anche incontrare lo scrittore.

Ciò dovette senz'altro contribuire allo stabilirsi di rapporti di collaborazione con la casa editrice Einaudi, in particolare attraverso la figura di C. Pavese, che lo J. incontrò a Torino nel 1942 e che mantenne i rapporti con lui per le traduzioni de L'isola del tesoro di R.L. Stevenson (Torino 1943) e dei Racconti di mare e di costa di J. Conrad (ibid. 1946). Inoltre, e la cosa riempì di grata gioia lo J., Einaudi decise di ristampare Con me e con gli alpini (ibid. 1943).

"La lettura di Jahier, le pagine sul soldato Somacal, facevano riflettere più d'uno nella comparazione tra lo stato d'animo con cui la vecchia Italia contadina aveva affrontato quella guerra in grigioverde e ora il disagio per questa guerra in camicia nera" (M. Raicich, Di grammatica in retorica. Lingua scuola editoria nella Terza Italia, Roma 1996, p. 378).

Nello stesso 1943 presero contatto con lo J. esponenti della Resistenza, come M. Zanetti, "Marco", comandante della II brigata "Paolo", attiva nelle campagne bolognesi che lo J. percorreva ogni giorno in bicicletta tra Bologna e Rubizzano prima, Villa Gandino poi, luoghi dove era sfollato in quanto i bombardamenti alleati avevano distrutto la sua casa di via C. Battisti. Nel 1945 morì la moglie, nell'aprile 1948 andò in pensione con il grado di ispettore capo superiore.

Rientrato a Firenze dopo il pensionamento dalle Ferrovie, lo J. tornò nella "casa rossa". Nel secondo dopoguerra, oltre a collaborare non sistematicamente a riviste come IlPonte o Paragone e a proseguire assiduamente la sua attività di traduttore, fu presidente della bolognese Libera Associazione di studi, presidente di giuria del premio Prato e membro di giuria del premio Viareggio. Condirettore per alcuni numeri della rivista La Pace, si presentò come indipendente in liste di sinistra alle elezioni comunali di Bologna (1951) e di Firenze (1956); in quegli anni si recò anche in Svezia, per un incontro sull'interdizione delle armi atomiche promosso dal Consiglio mondiale della pace, e in Unione sovietica, per una conferenza sulla letteratura e la pace.

Negli anni Cinquanta lo J. si dedicò anche ad arricchire la sua raccolta di strumenti di lavoro e suppellettili del mondo delle montagne, destinati al Museo delle arti e tradizioni popolari di Roma e documentati pure nelle illustrazioni dell'edizione Vallecchi di Con me e con gli alpini (Firenze 1953) e nel volume, per cui scrisse la prefazione, Arte alpina (Milano 1958).

Invece il desiderio più volte espresso dallo J. di riprendere il cammino di scrittore, forzatamente interrotto con l'avvento del fascismo, non trovò un vero sbocco creativo, ma si tradusse piuttosto in un complesso lavoro di rilettura e risistemazione del già scritto, animato a tratti da un'accalorata rievocazione del passato, come per esempio nelle Contromemorie vociane (Paragone, agosto 1954, poi in Con me, a cura di O. Cecchi - E. Ghidetti, Roma 1983), scritte in polemica con Prezzolini. In questa luce vanno visti anche Qualche poesia (Milano 1962) e Con Claudel (ibid. 1964), e soprattutto i tre volumi delle Opere, curati dallo J. stesso con discussi interventi: Poesie (Firenze 1964), Resultanze in merito alla vita e al carattere di Gino Bianchi (ibid. 1965), Ragazzo. Con me e con gli alpini (ibid. 1967).

In particolare il volume Poesie presentò esiti talmente nuovi dell'opera poetica, per aggiunte e modifiche, da esser diventato fruibile soltanto con l'edizione delle Poesie in versi e in prosa, a cura di P. Briganti (Torino 1981), che riproduce in successione i testi delle poesie dello J. come erano apparsi nelle sedi originarie e come furono rilavorati nell'edizione del 1964.

Secondo il piano e l'ordinamento voluti dallo J. uscì anche il volume progettato come quarto delle Opere (Con me, ed. 1983, cit.), che, nelle tre sezioni Con me, Paesi, Letteratura, raccoglie testi vociani esemplari, contributi autobiografici, scritti vari del periodo successivo alla seconda guerra mondiale.

Lo J. morì a Firenze il 19 nov. 1966.

La vita letteraria dello J. appare divisa in due momenti, separati dalla cesura del fascismo ma unificati da un persistente impegno morale. La crisi religiosa del 1905 aveva investito, infatti, la dimensione teologica della fede dello J., non però quella etica, che ne era uscita, anzi, rafforzata in un forte sentimento di appartenenza alla tradizione morale valdese: lo J. "resterà per tutta la vita una sorta di "libero cristiano" senza dogmi ma sceglierà, per il suo funerale, il villaggio della sua infanzia" (G. Bouchard, I valdesi e l'Italia. Prospettive d'una vocazione, Torino 1990, p. 44). Non è casuale, pertanto, che i primi articoli dello J. nella Voce fossero Quel che rimane di Calvino (12 ag. 1909), I valdesi nelle valli (3 febbr. 1910), I protestanti in Italia (23 giugno 1910), accompagnati da traduzioni da Calvino (24 marzo 1910), culminate nel volume G. Calvino, La religione individuale (Lanciano 1912). È come se lo J. avesse voluto subito verificare la tenuta del suo mondo etico di fronte all'arte cui si sentiva chiamato e che affrontava, ormai, senza il riparo della fede religiosa, ma con l'intransigenza evangelica di una rinnovata sfida al mondo. Perché "ora colui che crede non è l'uomo al riparo ma l'uomo esposto a tutto il mondo; in una posizione di pericolo" (La salute, in La Voce, 25 luglio 1912) e il "martirio della solitudine" attende lo scrittore che non voglia stare con "un piede nella staffa del temporale, uno in quella del divino" (Ritratto dell'uomo moderno, ibid., 13 maggio 1914), ma rispecchiare, invece, nella sua opera, "il senso antagonistico ed agonico fra sole e terra, fra bellezza della morale ed opacità della violenza" (M. Guglielminetti, "Con me" di P. J., in Boll. della Società di studi valdesi, 1985, n. 156, p. 75).

Spronato da questa tensione morale, l'impegno artistico dello J. si consumò negli anni 1909-17, periodo in cui si realizzò, nell'ambito politico e artistico della Voce, anche il confronto con la cultura europea, come attestano le traduzioni da P. Claudel (Partage de midi, Firenze 1912, poi, con il titolo Crisi meridiana, Roma 1920; Arte poetica, Milano 1913), da D. Halévy (Il castigo della democrazia, Firenze 1911), da P.-J. Proudhon (La guerra e la pace, Lanciano 1920, ma preparato negli anni 1914-15).

E agli anni 1912-17 risale anche la sua produzione poetica, in cui la tensione etica si traduce in tensione espressionistica e che è tutta consegnata a riviste (La Voce, Riviera ligure, Lacerba, La Diana), e da queste spesso ripresa per inserimenti nelle opere in prosa, dove, però, a volte compaiono anche componimenti nuovi e la caratteristica ambivalenza vociana tra prosa e poesia dà vita a nuovi composti, grazie anche a un ricercato gioco di collocazioni grafiche.

Le Resultanze in merito alla vita e al carattere di Gino Bianchi, con un allegato, già nell'edizione del 1915 sono composte, secondo un procedimento costante dello J., di parti nuove e di parti già pubblicate in riviste. L'impiegato Gino Bianchi è qui promosso da pseudonimo redazionale della Voce (per esempio nella rubrica "Lettere dalla Beozia") a personaggio-prototipo dell'abbrutimento burocratico, che dalla vita d'ufficio si estende alla vita privata, familiare, religiosa, politica del protagonista e dei personaggi a lui simili, colleghi, inferiori e superiori, che lo contornano. La vena pedagogico-riformista della Voce si traduce, attraverso la forma narrativa della relazione d'ufficio, della "pratica", in distacco ironico, con punte non indifferenti di acre sarcasmo antiborghese.

Dopo le Resultanze, lo J. pensò di raccogliere in volume cose più sue, le pagine che videro la luce soltanto più tardi in Ragazzo, e che avrebbero dovuto ora confluire, insieme con altre, poi non scritte, in un'opera indicata come Conversione al mondo (vedi lettere del 14 e 16 apr. 1915 ad A. Casati, in Petrocchi, pp. 219-224). Il progetto riprese corpo al ritorno dal fronte, nel 1919, quando lo J. pubblicò l'edizione con musiche di V. Gui dei Canti di soldati (Trento 1919) - già usciti senza musiche nel 1918 - e raccolse in volume i prosimetri Ragazzo e Con me e con gli alpini.

Ragazzo, la sua opera più amata dalla critica, riprende appunto, anche se parzialmente, il progetto di "Conversione al mondo" e, in sostanza, raccoglie testi già pubblicati (tra il 1911 e il 1914, nella Voce e in Riviera ligure) e ora sistemati secondo un ordine ideale, dalla lacerazione de La morte del padre alle dure esperienze de La famiglia povera, alla impossibile ricomposizione di Visita al paese: "Son io e quella è la mia casa. Ma non sono più io, ma non è più la mia casa". Accanto al recupero di "un modello morale assoluto" vi si manifestano "l'esigenza d'un nuovo, superiore radicamento, la volontà intima d'una integrazione solidale in un ordine nuovo" (M. Isnenghi, P. J., in Diz. critico della letteratura italiana, 2ª ed., 1986, p. 486).

Tali esigenze prendono corpo in Con me e con gli alpini. Primo quaderno (ma i due successivi furono solo progettati), datato giugno 1916, ma apparso in gran parte all'inizio del gennaio 1918 nella Riviera ligure, libro, appunto, del confronto con la realtà, in cui il rapporto antagonistico con il mondo "si placa e quasi si scioglie in un atteggiamento di amore e di umiltà" (E. Balmas, Interrogativi di un silenzio: P. J., in Presenza, I [1952], p. 8), nella felicità di un contatto elementare e genuino tra uomini, non senza qualche rilevato compiacimento paternalistico o manierismo letterario.

A giustificare la pagina non scritta della sua vita letteraria lo J. presentò come "alibi del silenzio" mantenuto durante il periodo fascista la dura sorveglianza cui fu sottoposto ("che non scriva!" avrebbe detto Mussolini). E certo nelle carte del fascicolo dedicato allo J. nel Casellario politico si legge della "riservatissima vigilanza" cui devono essere sottoposti i coniugi Jahier, del sequestro di stampa clandestina inviata allo J., di pericoli, almeno fino al 1931, per il posto stesso di lavoro; ma si legge anche, nelle relazioni della prefettura di Bologna, di uno J. iscritto alla Associazione nazionale ferrovieri fascisti, di una sua presunta domanda di iscrizione al partito, dell'inserimento dei figli ("i quali intendevano vivere tranquilli, come i coetanei figlioli di tesserati", cfr. Contromemorie vociane, in Con me, p. 284) nelle organizzazioni giovanili fasciste e, soprattutto, unico dato certo, della radiazione, prima della moglie, nel 1933, e poi dello stesso J., nel 1937, dall'elenco dei sovversivi. A questi dati si può forse collegare il cauto cenno fatto da Bouchard: "Jahier ebbe anche il suo momento di incertezza: ma si era negli anni '30, quando anche uomini come P. Tillich ritenevano che i regimi di tipo fascista (come quelli comunisti) fossero destinati a durare per un'intera epoca storica" (G. Bouchard, P. J.: vittima e testimone del "secolo breve", postfazione a P. Jahier, Ragazzo. Il paese morale, a cura di A. Di Grado, Torino 2002, p. 222).

In ogni caso, lo J. mantenne il suo silenzio, probabilmente, come sostenuto sin dai tempi del Frontespizio, per l'esaurirsi delle sue potenzialità, ma anche perché l'avvento del fascismo, l'interruzione del dialogo con il pubblico (non si dimentichi che lo J. aveva svolto il suo apprendistato alla scrittura essenzialmente in riviste) e il timore di una possibile strumentalizzazione della sua opera segnarono "la distruzione di un rapporto poeta-società, giocato in tutta la sua disparità, soffrendone lacerazioni, cadute, contraddizioni" (Guglielminetti, cit., p. 76).

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Ministero dell'Interno, Dir. gen. di Pubblica Sicurezza, Casellario politico centrale, b. 2612; Dir. gen. delle Ferrovie dello Stato, f. P. J. (posizione 096971, matr. 43314); J. Jalla, Données généalogiques sur la famille des capitaines et des pasteurs Jahier.Avec tableau, in Bulletin de la Société d'histoire vaudoise, avril 1915, t. 34, pp. 62-72 (sulle origini della famiglia).

Per la bibliografia dello e sullo J., nell'impossibilità di tracciarne un profilo esaustivo, si rimanda ad A. Benevento, Studi su P. J., Firenze 1972 (oltre al saggio J. e la critica, si trova un analitico elenco delle opere dello J., ivi comprese le collaborazioni a riviste e le traduzioni), da integrare con Id., Rassegna di studi su P. J. (1970-1983), in Cultura e scuola, XCII (1984), pp. 23-33 e con la bibliografia contenuta nelle monografie di M. Del Serra, L'uomo comune. Claudellismo e passione ascetica in J., Bologna 1986 e di F. Petrocchi, Conversione al mondo. Studi su P. J.; in appendice lettere di J. ad A. Casati, E. Cecchi e G.Papini, Napoli 1989. Per il periodo successivo si veda la bibliografia riportata nell'importante saggio di P. Giovannetti, Addormentare la guerra. Ritmo e senso di "Con me e con gli alpini", in Moderna, II (2000), passim e, in particolare, p. 120, n. 79; cui si aggiungano: G. Gangale, Revival, con una nota di A. Cavaglion, Palermo 1991 (1ª ed. 1927), pp. 71 s.; G. Sebastiani, Quando le parole erano di piombo. Il primo catalogo di poesia e narrativa contemporanea di Einaudi, in Igitur, IX (1997), 16, pp. 7-30, in partic. pp. 10-15; F. Muzzioli, La poesia dei vociani, in Storia generale della letteratura italiana (Motta), Milano 1999, X, pp. 719-726; R. Minore, Prosatori della "Voce", ibid., pp. 995-997; le schede su Resultanze e Ragazzo di A. Piscini, in Il Novecento, IV, Scenari di fine secolo 2, Milano 2001, rispettivamente alle pp. 430 s. e 431 s.; G. Ungarelli, Il ferroviere J., in Belfagor, 30 nov. 2001, pp. 665-682, che attraverso l'esame del fascicolo ferroviario dello J. ne ripercorre le vicende non solo biografiche; Id., Auteurs italiens, ibid., 31 marzo 2002, pp. 187-192, che ricostruisce la storia della traduzione in francese di Ragazzo (Adolescent, Paris 1946) e ripropone la magistrale presentazione di G. Contini. Si vedano altresì: P. Jahier, Ragazzo. Il paese morale, cit., ed. preziosa anche per l'indicazione bibliografica dei contributi di parte valdese; G. Spini, Italia liberale e protestanti, Torino 2002, pp. 24, 217 e passim per il padre e pp. 307 s. e passim per lo Jahier.

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