Sraffa, Piero

Il Contributo italiano alla storia del Pensiero: Economia (2012)

Piero Sraffa

Alessandro Roncaglia

Piero Sraffa non è solo uno dei maggiori economisti del 20° sec., ma è anche un importante protagonista della cultura filosofica e politica. I suoi contributi teorici si affiancano all’influenza che ha esercitato tramite il rapporto diretto con colleghi, amici e allievi. Il suo interesse poliedrico per il mondo delle idee e per il mondo delle persone rende difficile un’illustrazione lineare dello sviluppo del suo pensiero e dei suoi contributi teorici; nelle pagine che seguono la trattazione dei temi economici si interseca inevitabilmente con quella di temi politici e filosofici.

La vita

Piero Sraffa nasce a Torino il 5 agosto 1898. Il padre, Angelo Sraffa, è un noto professore di diritto commerciale, per anni rettore dell’Università Bocconi di Milano. Dopo le elementari a Parma, il ginnasio a Milano e il liceo a Torino, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza torinese. Nel 1917-20 presta il servizio militare; nel novembre 1920 si laurea con una tesi su L’inflazione monetaria in Italia durante e dopo la guerra; il relatore è Luigi Einaudi, con cui Sraffa manterrà buoni rapporti per tutta la vita.

Dopo una breve esperienza come impiegato bancario, un soggiorno in Inghilterra di poca durata e un incarico di direttore del costituendo Ufficio del lavoro per la provincia di Milano (che lascia quando il presidente socialista viene costretto alle dimissioni dalla violenza fascista), Sraffa inizia l’attività di docente universitario a Perugia nel 1923. Vincitore di un concorso a cattedra per l’Università di Cagliari, dopo l’arresto di Antonio Gramsci preferisce trasferirsi a Cambridge, su invito di John M. Keynes, dal 1927. Qui ricopre vari incarichi: lecturer per tre anni, poi director of researches, infine bibliotecario della Marshall library, l’incarico più congeniale, che conserverà fino alla morte. Dal 1939, dopo un primo periodo trascorso al King’s College, si trasferisce al Trinity College.

Nel corso del 1929 Sraffa conosce Ludwig Josef Wittgenstein: il filosofo austriaco è appena approdato a Cambridge, chiamatovi da Bertrand Russell, che qualche anno prima ne aveva fatto pubblicare il Tractatus logico-philosophicus (1922). Le discussioni con Sraffa esercitano un’influenza decisiva sul filosofo austriaco e sulla sua transizione dall’atomismo logico del Tractatus alle posizioni mature espresse nelle Philosophische Untersuchungen, pubblicate postume nel 1953. Lo stesso Wittgenstein nella prefazione alle Philosophische Untersuchungen dice:

La mia gratitudine va alla critica che un insegnante di questa Università, P. Sraffa, ha per molti anni esercitato incessantemente sul mio pensiero. A questo stimolo [il corsivo è di Wittgenstein] sono debitore delle più feconde idee contenute nel presente scritto.

Nel 1961 gli viene conferita la medaglia Södeström dell’Accademia svedese delle scienze, un onore che condivide con Keynes e che costituisce l’antecedente dei premi Nobel di economia. Muore a Cambridge il 3 settembre 1983.

I temi monetari

Il primo contributo di Sraffa in campo economico è la tesi di laurea (1920). Il rapido aumento dei prezzi viene collegato all’espansione della circolazione monetaria, in linea con la dominante tradizione della teoria quantitativa della moneta. Tuttavia, l’analisi empirica se ne discosta pragmaticamente, per considerare l’andamento differenziato di diversi indici dei prezzi, il cui significato è ricondotto al differente punto di vista dei vari gruppi di protagonisti della vita economica, in particolare le classi sociali dei lavoratori e degli imprenditori. Questo punto merita di essere sottolineato, dal momento che proprio la non univocità del concetto di livello generale dei prezzi (e quindi del suo inverso, il potere d’acquisto della moneta) costituisce la base della critica di Keynes alla teoria quantitativa della moneta nei primi capitoli del suo Treatise on money (2 voll., 1930).

Sraffa, inoltre, distingue tra stabilizzazione del valore esterno e del valore interno della moneta: ossia tra stabilizzazione del livello medio dei prezzi nazionali e del tasso di cambio. Le due cose coincidono secondo la tradizionale teoria del gold standard, ma vanno tenute distinte sia quando si considerino problemi di breve periodo, sia nel caso di sistemi a cartamoneta inconvertibile: la distinzione quindi ha un’importanza cruciale per le scelte di politica economica dell’epoca. Questa stessa distinzione viene poi ripresa da Keynes nel Tract on monetary reform (1923), di cui Sraffa cura l’edizione italiana (1925).

Sempre a temi monetari sono dedicate le prime pubblicazioni di Sraffa: un articolo del 1922 nell’«Economic journal» sulla crisi della Banca italiana di sconto, e uno sulla crisi bancaria in Italia pubblicato, sempre nel 1922, sul supplemento «Reconstruction in Europe» del «Manchester Guardian» curato da Keynes. I due articoli mostrano una profonda padronanza degli aspetti istituzionali e tecnici dell’attività bancaria, una notevole informazione e la consapevolezza degli interessi in gioco.

I temi monetari riaffioreranno più volte tra gli interessi di Sraffa; riguarda problemi di teoria monetaria la controversia con Friedrich August von Hayek del 1932, di cui parleremo più avanti.

L’amicizia con Gramsci

Nel 1919, presso l’Università di Torino, Sraffa aveva conosciuto Gramsci, con cui manterrà uno stretto rapporto intellettuale, pur senza mai iscriversi al Partito comunista.

Un importante documento sulle discussioni politiche fra i due amici è costituito da un lettera di Sraffa, che Gramsci pubblica (senza firma, siglata S.) su «L’Ordine nuovo» nell’aprile 1924 con una sua risposta (Problemi di oggi e di domani, «L’Ordine nuovo», 1-15 aprile 1924, 1, p. 4). Nella lettera Sraffa sottolinea la funzione delle opposizioni borghesi nella lotta al fascismo e l’importanza delle istituzioni democratiche per lo sviluppo sociale e politico del proletariato. A parere di Sraffa, nella situazione del momento, caratterizzata dalla dittatura fascista, la classe operaia è assente dalla vita politica, il sindacato e il Partito comunista non sono in grado di organizzare un’azione politica, gli operai sono costretti ad affrontare individualmente i loro problemi.

La questione urgente, pregiudiziale a qualsiasi altra, è quella della ‘libertà’ e dell’‘ordine’: dopo verranno le altre, ma per ora non possono neppure interessare gli operai. Ora [...] è il momento delle opposizioni democratiche e mi par necessario lasciarle fare e magari aiutarle.

In linea con le posizioni di Amadeo Bordiga, allora segretario del Partito comunista, Gramsci respinge i suggerimenti di Sraffa, in quanto avrebbero portato il partito a sottomettersi alla strategia delle opposizioni borghesi. La pubblicazione della lettera di Sraffa, probabilmente preceduta da ampie discussioni tra i due amici, costituisce però un riconoscimento significativo dell’importanza dei problemi ivi sollevati e delle tesi politiche sviluppate.

Quest’episodio induce a supporre che Sraffa abbia giocato un ruolo non trascurabile nello sviluppo del pensiero politico di Gramsci. Affine alla posizione sostenuta da Sraffa risulta, vari anni più tardi, la proposta di Gramsci di un accordo tra le forze politiche antifasciste per la ricostruzione di un’Italia democratica, sintetizzata nella parola d’ordine della Costituente.

Dopo l’arresto di Gramsci nel 1926, Sraffa si preoccupa di far arrivare libri e riviste all’amico in carcere, di esplorare le vie per ottenerne la libertà (evitando qualsiasi concessione al fascismo, come una domanda di grazia), di tenere i collegamenti con i dirigenti comunisti in esilio e di stimolare l’amico (tramite la cognata Tania Schucht) nel lavoro di riflessione che confluisce nei Quaderni del carcere. Di quest’attività resta testimonianza un volume, pubblicato postumo, di lettere di Sraffa a Tania (Lettere a Tania per Gramsci, a cura di V. Gerratana, 1991).

Le critiche alla teoria marshalliana

Nel novembre 1923 Sraffa inizia una carriera accademica come professore incaricato di economia politica e di scienza delle finanze presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Perugia. È allora indotto a fare i conti con l’impostazione accademica dominante in Italia: il marginalismo nella versione marshalliana di Maffeo Pantaleoni, che Sraffa stesso (Obituary. Maffeo Pantaleoni, «Economic journal», 1924, 34) indica come «il principe degli economisti italiani» (p. 648).

I frutti della riflessione di Sraffa, una critica radicale della teoria marshalliana dell’equilibrio dell’impresa e dell’industria, vengono esposti in un lungo articolo pubblicato nel 1925 sugli «Annali di economia», Sulle relazioni fra costo e quantità prodotta. L’articolo rientra in un dibattito sulle «leggi dei rendimenti»; il punto in discussione ha importanza vitale per la costruzione teorica marshalliana e, più in generale, per la teoria marginalista del valore.

Secondo l’approccio marginalista, i prezzi sono indici di scarsità relativa; i valori di equilibrio per prezzi e quantità prodotte di ciascuna merce sono determinati dal confronto fra gusti dei soggetti economici e scarsità delle risorse disponibili, quindi dal livellamento fra domanda e offerta. Nell’ambito di quest’approccio, in particolare nell’ambito del metodo marshalliano degli equilibri parziali in cui viene analizzato il mercato di una singola merce considerata isolatamente, gioca un ruolo determinante la costruzione per ciascun prodotto di una curva d’offerta che esprime il costo unitario come funzione della quantità prodotta, per la singola impresa come per l’industria nel suo complesso.

La teoria marshalliana identifica tre casi, esaustivi di tutte le possibilità: rendimenti costanti, crescenti o decrescenti, a seconda che il costo medio unitario resti costante, diminuisca o cresca al crescere della quantità prodotta. Sraffa prende posizione nel dibattito sostenendo che il problema delle ‘scatole vuote’ non riguarda l’applicazione alla realtà delle categorie teoriche dei rendimenti costanti, crescenti e decrescenti, ma l’esistenza di difficoltà teoriche insormontabili all’interno della teoria dell’equilibrio dell’impresa e dell’industria. Alla base di tutto, ricorda Sraffa, vi è una confusione concettuale: nell’economia politica classica la ‘legge’ dei rendimenti decrescenti era associata al problema della rendita (teoria della distribuzione), mentre la ‘legge’ dei rendimenti crescenti era associata alla divisione del lavoro, cioè al progresso economico generale (teoria della produzione). Alfred Marshall e gli altri economisti neoclassici avevano cercato di mettere su uno stesso piano queste ‘leggi’, coordinandole in un’unica ‘legge dei rendimenti non proporzionali’, per esprimere i costi come funzione della quantità prodotta, per l’impresa come per l’industria. Tali funzioni sono poi utilizzate nell’ambito della teoria dei prezzi, trasformate in curve d’offerta dei vari prodotti da contrapporre («come le due lame di una forbice») alle corrispondenti curve di domanda, ricavate dalla ‘legge’ dell’utilità marginale decrescente. Questa trasposizione dei rendimenti crescenti e decrescenti in un ambito diverso da quello originario, tuttavia, rende difficile applicare nel nuovo ambito le giustificazioni originariamente addotte per spiegare l’andamento dei costi. Sraffa illustra tali difficoltà analizzando una vasta letteratura sull’argomento e concentrando la sua attenzione sul lungo periodo.

In particolare, Sraffa ricorda che i rendimenti decrescenti hanno a che fare con modifiche nelle proporzioni tra i fattori di produzione, mentre i rendimenti crescenti hanno a che fare con l’espansione della produzione e la crescente divisione del lavoro.

Il primo fenomeno si verifica in conseguenza dell’esistenza di un fattore scarso di produzione. A meno di non far coincidere l’industria con l’insieme delle imprese che utilizzano un fattore scarso, le variazioni del costo medio connesse all’aumento di produzione nell’industria considerata avranno lo stesso ordine di grandezza delle variazioni dei costi che contemporaneamente si verificheranno nelle altre industrie che utilizzano lo stesso fattore di produzione. Viene così violata la condizione del ceteris paribus, alla base dell’analisi marshalliana degli equilibri parziali.

Quanto ai rendimenti crescenti, questi non possono riguardare simultaneamente sia l’industria sia le imprese al loro interno, perché altrimenti queste ultime tenderebbero a espandersi fino a uscire dalla condizione di concorrenza; né possono riguardare varie industrie contemporaneamente, perché altrimenti verrebbe meno la clausola del ceteris paribus. Solo il caso di economie di produzione esterne alla singola impresa ma interne all’industria assicura la coerenza tra rendimenti crescenti, ipotesi di concorrenza e metodo degli equilibri parziali; ma tale caso è del tutto irrealistico. In conclusione, l’edificio analitico della tradizione marshalliana non può rispettare il canone della coerenza logica se non ricorrendo a irrealistiche ipotesi ad hoc, inaccettabili per una teoria che pretende di avere validità generale.

La concorrenza imperfetta

Il saggio sraffiano del 1925 suscita ampio interesse e Keynes chiede a Sraffa un articolo per l’«Economic journal» (The laws of returns under competitive conditions, 1926, 36, pp. 535-50). Questo articolo è assai più corto di quello italiano (trad. it. in P. Sraffa, Saggi, a cura di P. Garegnani, 1986, pp. 85-96); per metà è dedicato a una sintesi dell’articolo precedente, mentre nella seconda parte sviluppa una linea di ricerca originale, una teoria della concorrenza imperfetta basata sull’ipotesi di curve di domanda negativamente inclinate anche per la singola impresa, quindi compatibili con rendimenti costanti o moderatamente crescenti. Sraffa, tuttavia, sottolinea i limiti di questa linea di ricerca a conclusione del suo articolo, rilevando di avere «fatto astrazione dall’influenza perturbatrice esercitata dalla concorrenza delle nuove ditte che sono attratte in un’industria le cui condizioni consentono alti profitti monopolistici», cioè dalla concorrenza nel senso classico del termine, consistente nello spostamento di capitali da un settore all’altro alla ricerca del massimo rendimento.

La teoria della concorrenza imperfetta costituisce negli anni successivi un campo in rigoglioso sviluppo, in particolare a opera di Joan Robinson (The economics of imperfect competition, 1933) e di Edward Chamberlin (The theory of monopolistic competition, 1933). Pur essendo all’origine di questa linea di ricerca, Sraffa l’abbandona ben presto. Infatti, essa si basa su una nozione ‘marginalista’ di concorrenza, legata alla presenza di numerose imprese che offrono un prodotto identico, che è nettamente diversa da quella sviluppata dagli economisti classici, relativa alla libertà di movimento dei capitali tra i vari settori dell’economia: quest’ultima costituisce la base della linea di ricerca di cui Sraffa sviluppa già in quegli anni il primo abbozzo (discusso con Keynes nel 1928) e che sfocerà nel libro del 1960, Produzione di merci a mezzo di merci.

La critica dell’impresa rappresentativa

Il distacco radicale di Sraffa dall’impostazione tradizionale della teoria dell’impresa e dell’industria è evidente negli ultimi scritti da lui dedicati a questo tema: i suoi contributi al simposio su La produttività crescente e l’impresa rappresentativa nell’«Economic journal» del marzo 1930. La sua conclusione (A rejoinder, «Economic journal», 1930, 40, p. 93) è che la teoria marshalliana «non può essere interpretata in modo da darle una coerenza logica interna, ed in pari tempo da metterla d’accordo coi fatti che si propone di spiegare»; pertanto «la mia opinione è che [la] si debba scartare» (trad. it. in P. Sraffa, Saggi, cit., p. 101).

In quest’occasione le critiche di Sraffa sono rivolte a una versione evoluzionistica della teoria marshalliana, basata sulla concezione del ‘ciclo vitale’ dell’impresa. Come un organismo biologico, l’impresa passa attraverso le fasi successive dello sviluppo, della maturità e della decadenza; l’impresa ‘rappresentativa’ è a metà del suo processo di sviluppo, ed è quindi in una situazione di rendimenti di scala crescenti. Come osserva Marshall stesso, una concezione di questo tipo, in cui l’espansione delle imprese dipende dal ‘ciclo vitale’ delle capacità imprenditoriali, è plausibile nel caso di imprese familiari a conduzione diretta, ma non nel caso delle moderne società per azioni.

Le analogie biologiche risultano dunque una falsa via d’uscita per il vicolo cieco in cui si viene a trovare l’analisi marshalliana, stretta nella contraddizione tra rendimenti crescenti ed equilibrio concorrenziale. Sraffa rileva la natura di deus ex machina delle metafore biologiche, che non possono supplire alle carenze di coerenza logica degli schemi analitici:

nei punti critici della […] argomentazione, le imprese e l’industria escono di scena, e ne prendono il posto gli alberi e la foresta, le ossa e lo scheletro, le gocce d’acqua e l’onda: e in verità tutti i regni della natura sono messi a contributo (Sraffa 1930, trad. it. 1986, p. 98).

L’amicizia con Keynes e le critiche a Hayek

Dopo Gramsci e Wittgenstein, un terzo protagonista della cultura del 20° sec. con cui Sraffa ha avuto un importante interscambio culturale è John M. Keynes. Questi è di grande aiuto a Sraffa in varie occasioni, dalla pubblicazione dei suoi lavori alla chiamata a Cambridge, dall’affidamento del compito di curare l’edizione delle opere di David Ricardo alla liberazione dal campo di concentramento in cui Sraffa era stato rinchiuso durante la guerra come enemy alien. L’unico lavoro che Sraffa pubblica a firme congiunte è assieme a Keynes: entrambi bibliofili appassionati, curano nel 1938 la ristampa di un rarissimo opuscolo, An abstract of “A treatise on human nature”, corredato di una dotta introduzione in cui vengono offerte prove decisive per la sua attribuzione a David Hume, anziché ad Adam Smith, come comunemente si credeva. Inoltre Sraffa è il curatore dell’edizione italiana (1925) del Tract on monetary reform di Keynes; e Keynes è l’unico economista ringraziato nella prefazione di Produzione di merci a mezzo di merci. Sraffa ricorda nella prefazione che

quando nel 1928 Lord Keynes lesse un abbozzo delle proposizioni con cui si apre questo lavoro, consigliò che, se non si dovevano presupporre i rendimenti costanti, il lettore fosse messo in guardia con un chiaro avvertimento.

Il punto su cui Keynes interviene è di fondamentale importanza, dal momento che l’assenza di ipotesi sui rendimenti costituisce un elemento distintivo cruciale del libro di Sraffa, implicando, fra l’altro, l’abbandono del concetto marginalista di equilibrio.

Il terzo episodio riguarda la partecipazione di Sraffa al cosiddetto Cambridge Circus: un gruppo composto dai migliori fra i giovani economisti di Cambridge – oltre a Sraffa, il gruppo comprende Richard Kahn, che ne era il tramite con Keynes, James Meade, Austin e Joan Robinson – che dibattono sul Treatise on money di Keynes e sulle sue idee nella fase di transizione dal Treatise alla General theory of employment, interest and money (1936).

Un quarto episodio è legato allo sviluppo dello strumento analitico dei saggi propri d’interesse che Keynes utilizza nel capitolo XVII della General theory, proposto da Sraffa in un articolo pubblicato nel marzo 1932 sull’«Economic journal» (Dr. Hayek on money and capital). Si tratta di un articolo-recensione, assai critico, a Prices and production di Hayek (1931) seguito da una risposta di Hayek (Money and capital. A replay, «Economic journal», 1932, 42, pp. 237-49) e da una breve nota di replica di Sraffa.

L’obiettivo implicito dell’articolo-recensione è di sottolineare la radicale differenza fra l’analisi keynesiana del Treatise on money e la teoria della moneta e del ciclo di Hayek, che poggia su un apparato marginalista (più precisamente, austriaco) di teoria del valore. Era evidente già allora il rischio che venisse attuata un’operazione di riassorbimento dell’analisi di Keynes nell’alveo del marginalismo tradizionale, analoga a quella che dopo la pubblicazione della General theory sarà tentata dagli esponenti della cosiddetta sintesi neoclassica: l’efficacia delle critiche di Sraffa a Hayek ha il non trascurabile risultato di approfondire, almeno per qualche tempo, il fossato che separa Keynes dalla tradizione marginalista più rigorosa, quella continentale e in particolar modo austriaca.

L’analisi di Hayek dell’equilibrio di un’economia ‘reale’ poggia sul concetto di ‘periodo medio di produzione’ e sulla tesi per cui l’‘intensità capitalistica’ dei processi produttivi sarebbe una funzione decrescente del tasso d’interesse. Tale tesi è oggetto di una critica distruttiva da parte di Sraffa nei capp. VI e XII del suo libro del 1960. Nell’articolo del 1932, invece, Sraffa concentra l’attenzione sull’analisi monetaria di Hayek.

Nel caratterizzare le vicende monetarie come elementi squilibranti del sistema, Hayek focalizza l’attenzione sul ‘risparmio forzato’, prodotto dalla deviazione del tasso d’interesse di mercato da quello ‘naturale’. In tal modo, egli mostra come sotto ipotesi sufficientemente generali il capitale accumulato in corrispondenza del risparmio forzato nella fase ascendente del ciclo viene economicamente distrutto nella fase discendente, riportando l’economia all’equilibrio originario.

Nella sua recensione, Sraffa rileva che il ragionamento di Hayek non tiene conto delle caratteristiche tipiche di un’economia monetaria, in cui la moneta non è solo mezzo di scambio, ma anche unità di misura nei contratti e riserva di valore (Dr. Hayek on money and capital, cit., pp. 41-43). Di conseguenza, non è affatto detto che il capitale accumulato in seguito al risparmio forzato venga economicamente distrutto in seguito al gioco di azioni e reazioni degli automatismi di mercato; in generale il nuovo capitale concorre a definire una nuova posizione di equilibrio del sistema economico.

Sraffa aggiunge poi un’ulteriore critica. Quando l’insieme dei prezzi relativi non è costante nel tempo, ciascuna merce ha uno specifico ‘saggio proprio d’interesse’; ciò accade, nelle fasi di transizione da un equilibrio a un altro, anche nelle economie di baratto. Pertanto, salvo il caso del tutto irrealistico di invarianza o di variazioni omotetiche della tecnologia, le fasi di crescita sono caratterizzate dall’impossibilità di definire un tasso d’interesse di equilibrio, tanto nelle economie di baratto quanto in quelle monetarie. La risposta di Hayek a questo riguardo – che «vi potranno essere tanti saggi ‘naturali’ d’interesse quante sono le merci, e tutti saranno tassi di equilibrio» (Money and capital. A replay, cit., p. 245) – può essere considerata uno dei primi indizi di una nuova concezione analitica, quella dell’equilibrio intertemporale.

L’edizione critica degli scritti di Ricardo

La tradizione classica, nella prima metà del Novecento, risultava sommersa dalla diffusione dell’approccio marginalista. Di qui l’obiettivo che Sraffa persegue con la sua edizione critica delle opere di Ricardo: riproporre l’impostazione data all’economia politica dagli economisti classici, poi ripresa e sviluppata da Karl Marx.

Sraffa inizia il lavoro sugli scritti di Ricardo nel 1930 e lo prosegue per oltre un quarto di secolo affiancandolo alla riflessione teorica che condurrà a Produzione di merci a mezzo di merci. Fra il 1951 e il 1955 appaiono i dieci volumi dei Works and correspondence of David Ricardo, cui seguirà nel 1973 un accuratissimo volume di indici.

L’edizione critica curata da Sraffa è, a riconoscimento unanime, un modello di rigore filologico. L’insieme dei testi editi, l’apparato di note e principalmente l’introduzione di Sraffa al primo volume restituiscono a Ricardo – e, suo tramite, a tutto il filone dell’economia classica – un posto centrale nella teoria economica, liberando l’interpretazione del suo pensiero dai travisamenti delle letture in chiave marginalista.

Sraffa pone in rilievo l’importanza della nozione di sovrappiù e della concezione del sistema economico come un flusso circolare di produzione e consumo, che Ricardo eredita da un’ampia tradizione di pensiero. L’interesse ‘politico’ di Ricardo per le leggi sul grano e i limiti che esse ponevano all’accumulazione lo induce a costruire una struttura analitica nella quale risultino chiari gli effetti negativi degli ostacoli al libero commercio sui profitti, quindi sugli investimenti.

Inizialmente (nell’Essay on the influence of a low price of corn on the profits of stock del 1815) Ricardo ricorre a un modello semplificato, in cui una certa quantità di grano utilizzato come mezzo di produzione (sementi e salario di sussistenza per i lavoratori impiegati nel processo produttivo) permette di ottenere una quantità di grano maggiore; ricostituite le scorte iniziali di mezzi di produzione e di sussistenza si ha così un sovrappiù che va alle classi proprietarie (come profitto ai capitalisti e come rendita ai proprietari terrieri). Se si utilizzano terre con diversa fertilità, la concorrenza tra i capitalisti per ottenere in affitto le terre migliori fa sì che per queste si paghi una rendita determinata dalla differenza tra il costo per unità di prodotto sperimentato su di esse e quello relativo alla peggiore tra le terre in coltivazione (la cosiddetta teoria ricardiana della rendita). Quando aumenta la popolazione è necessario mettere in coltivazione nuove terre, sempre meno fertili; il costo del grano ottenuto sulla terra peggiore fra quelle in coltivazione aumenta, quindi diminuisce il profitto, mentre aumentano le rendite sulle altre terre e il salario reale rimane invariato a livello di sussistenza. Anche il saggio del profitto diminuisce. La concorrenza assicura che nel settore manifatturiero prevalga lo stesso saggio del profitto.

Nella sua corrispondenza con Ricardo, Malthus critica il cosiddetto modello-grano, sostenendo che in nessun settore il prodotto e i mezzi di produzione consistono in una sola merce. Per far fronte a questa obiezione, in On the principles of political economy, and taxation (1817) Ricardo ricorre alla teoria del valore-lavoro contenuto (secondo la quale il valore di ogni merce è dato dalla quantità di lavoro direttamente o indirettamente necessaria alla sua produzione) per misurare sovrappiù e capitale anticipato. In questo modo la teoria appena esposta resta sostanzialmente invariata. La teoria del valore svolge, in questo senso, un ruolo funzionale alla teoria della distribuzione, permettendo a quest’ultima di porre in rilievo il contrasto d’interessi fra le classi sociali dei lavoratori, dei capitalisti e dei proprietari terrieri.

L’importanza della teoria di Ricardo sta nell’aver fornito una rappresentazione analitica, ancorché non perfetta, della concezione classica del sistema economico come flusso circolare di produzione e consumo in una società basata sulla divisione del lavoro. In tale sistema, il prodotto di ciascuna impresa non corrisponde al suo fabbisogno di mezzi di produzione (inclusi i mezzi di sussistenza dei lavoratori impiegati); pertanto ciascun produttore deve entrare in contatto con gli altri settori dell’economia per ottenere da essi i propri mezzi di produzione in cambio di una parte almeno del proprio prodotto. Si ha così un’alternanza logica tra una fase di produzione e una fase di scambi; la rete di scambi che collega le diverse imprese e i diversi settori dell’economia opera in modo che il sistema economico continui a funzionare, garantendo a ciascun settore la reintegrazione dei mezzi di produzione e di sussistenza, oltre a un profitto sufficiente a indurre le imprese a continuare la loro attività. I profitti, come si è detto, costituiscono assieme alle rendite (ed eventualmente assieme ai salari eccedenti il livello di sussistenza) il risultato della distribuzione del sovrappiù (cioè della parte del prodotto sociale che avanza, una volta sottratto da esso quanto è necessario per reintegrare i mezzi di produzione e di sussistenza utilizzati).

L’ampiezza del sovrappiù (il problema smithiano della ricchezza delle nazioni), la sua distribuzione tra le diverse classi sociali (il problema centrale dell’economia politica per Ricardo nei Principles of political economy, and taxation), il suo utilizzo per consumi improduttivi o per l’accumulazione, sono i temi sui quali concentrano la loro attenzione gli economisti classici. Divisione del lavoro, sovrappiù e flusso circolare di produzione e consumo sono dunque gli elementi che caratterizzano l’economia classica: «in netto contrasto – come osserva Sraffa (Produzione di merci a mezzo di merci, cit., p. 121) – con l’immagine offerta dalla teoria moderna di un corso a senso unico che porta dai ‘fattori della produzione’ ai ‘beni di consumo’» (v. anche Roncaglia 2001).

Produzione di merci a mezzo di merci

La rappresentazione analitica fornita da Ricardo della concezione classica dell’economia presentava un punto debole particolarmente grave, l’ipotesi di prezzi relativi proporzionali alle quantità di lavoro richiesto per la produzione delle diverse merci, che è contraddetta dall’assunto di saggio del profitto uniforme nelle varie industrie. In Produzione di merci a mezzo di merci, che appare quasi contemporaneamente in inglese e in italiano nel 1960, Sraffa fornisce, all’interno della concezione classica, una soluzione a questo problema.

Nell’analisi di Sraffa, come in quella degli economisti classici e di Marx, la condizione analitica su cui si basa la determinazione dei prezzi di produzione (i ‘prezzi naturali’ degli economisti classici) consiste nell’eguaglianza del saggio del profitto nei vari settori. Tale assunzione corrisponde all’idea che l’unità di un sistema capitalistico sia assicurata dalla libertà di movimento dei capitali tra i vari settori alla ricerca dell’impiego più redditizio. Nulla è detto, invece, sul rapporto tra domanda e offerta per ciascuna merce: l’ipotesi che i prezzi di equilibrio corrispondano all’eguaglianza tra domanda e offerta, che caratterizza la teoria economica marginalista, è assente dalla trattazione di Sraffa (su questo punto v. Roncaglia 2009, cap. 7).

Vediamo ora la linea d’indagine seguita in Produzione di merci a mezzo di merci.

Quando le merci sono allo stesso tempo prodotti e mezzi di produzione, non è possibile determinare il prezzo di un bene indipendentemente dagli altri, né il complesso dei prezzi relativi indipendentemente dalla distribuzione del reddito tra profitti e salari (che sono espressi in termini della merce scelta come unità di misura, e sono dunque salari reali). Occorre allora considerare il sistema nel suo complesso e considerare congiuntamente distribuzione del reddito e determinazione dei prezzi relativi.

Come primo passo, Sraffa mostra che in un sistema di produzione per sussistenza, «che produce appena il necessario per continuare a sussistere», e in cui «le merci sono prodotte da industrie distinte e vengono scambiate l’una con l’altra al mercato che si tiene dopo il raccolto» (cioè al termine del periodo di produzione),

esiste un’unica serie di valori di scambio, i quali, se adottati dal mercato, permettono di ristabilire la distribuzione originaria dei prodotti, creando così le condizioni necessarie perché il processo possa rinnovarsi; questi valori scaturiscono direttamente dai metodi di produzione (Produzione di merci a mezzo di merci, cit., pp. 3-4).

Se il sistema economico considerato è in grado di produrre un sovrappiù, anche «la ripartizione del sovrappiù deve avvenire attraverso lo stesso meccanismo e nello stesso tempo in cui avviene la determinazione dei prezzi delle merci» (p. 8). Se il salario può superare il livello di sussistenza, i prezzi relativi e una delle due variabili distributive – salario o saggio del profitto – sono determinati congiuntamente, una volta nota la tecnologia e l’altra variabile distributiva; tanto più alto è il salario, tanto più basso sarà il saggio del profitto.

Sraffa passa quindi ad analizzare «il segreto del movimento dei prezzi relativi che accompagna una variazione del salario» (p. 16). Come già sapevano gli economisti classici e Marx, esso «risiede nella disuguaglianza delle proporzioni in cui lavoro e mezzi di produzione sono impiegati nelle varie industrie». Infatti, «se tale proporzione fosse uniforme per tutte le industrie, nessun cambiamento di prezzo ne potrebbe seguire», mentre «è impossibile che i prezzi rimangano immutati quando le proporzioni non sono uguali».

Sraffa costruisce anche uno strumento analitico particolare, la ‘merce tipo’, che gli permette di risolvere il problema ricardiano della misura invariabile del valore, dopo averlo adeguatamente ridefinito. Ricardo attribuiva alla ‘misura invariabile’ due significati che vanno tenuti distinti: quello di avere un valore invariabile (rispetto al complesso dei propri mezzi di produzione) quando cambia la distribuzione del reddito tra salari e profitti, ferma restando la tecnologia; e quello di avere un valore invariabile rispetto ai cambiamenti che la tecnologia subisce nel tempo (coltivazione di terre sempre meno fertili da un lato, progresso tecnico dall’altro). Distinti i due problemi nella sua introduzione alle opere di Ricardo, in Produzione di merci a mezzo di merci Sraffa mostra come sia possibile risolvere il primo di essi solo all’interno di una particolare costruzione analitica, la ‘merce tipo’.

L’analisi dei prezzi di produzione è completata dal caso dei prodotti congiunti e, all’interno di questa categoria, dei beni capitali fissi e dei mezzi di produzione scarsi e non riproducibili come la terra. Il libro si conclude con un capitolo sulla scelta tra metodi di produzione economicamente alternativi, al variare del saggio del profitto, e con alcune appendici, tra le quali la Nota sulle fonti con cui Sraffa si ricollega esplicitamente agli economisti classici.

La critica dell’approccio marginalista

Accanto alla proposta di una teoria dei prezzi di produzione interna alla concezione classica del funzionamento di un sistema economico, il lavoro di Sraffa fornisce anche gli strumenti per una critica radicale alle fondamenta della teoria del valore marginalista. Da questo punto di vista possiamo concentrare l’attenzione su due capitoli: quello che discute il periodo medio di produzione e quello conclusivo sulla scelta delle tecniche.

Il concetto di periodo medio di produzione era stato utilizzato dalla scuola austriaca all’interno della teoria marginalista come misura dell’intensità capitalistica della produzione, interpretando il capitale come ‘tempo d’attesa’. Sraffa mostra che il periodo medio di produzione, in quanto dipende dal saggio del profitto, non può essere utilizzato per misurare la quantità del fattore di produzione ‘capitale’ nell’ambito di una spiegazione del saggio del profitto considerato come prezzo di tale fattore.

Per quanto riguarda il problema della scelta tra tecniche alternative di produzione al variare della distribuzione, Sraffa (Produzione di merci a mezzo di merci, cit., pp. 103-06) mostra la possibilità del ‘ritorno delle tecniche’: è possibile che una data tecnica, dopo essere risultata la più conveniente, venga superata da un’altra quando il saggio del profitto cresce, ma torni a essere la più conveniente per saggi del profitto ancora superiori. L’implicazione di questo fatto è che, comunque si misuri l’intensità capitalistica delle due tecniche (cioè il rapporto tra le quantità utilizzate dei due ‘fattori di produzione’, capitale e lavoro), risulta contraddetta la regola generale su cui si basa la tradizionale teoria del valore marginalista. Questa considera le variabili distributive salario e saggio del profitto come prezzi dei corrispondenti fattori di produzione determinati dalla ‘legge’ della domanda e dell’offerta, per cui la quantità di capitale dovrebbe diminuire (e quella di lavoro aumentare) quando il saggio del profitto aumenta (e di conseguenza il salario diminuisce). Attraverso il ‘ritorno delle tecniche’, Sraffa mostra che se questo accade quando all’aumentare del saggio del profitto si passa dalla prima alla seconda tecnica, il contrario avviene quando per saggi del profitto ancora più elevati dalla seconda si torna alla prima tecnica.

Su questa critica si sono sviluppati ampi dibattiti (per una rassegna, cfr. Harcourt 1972), mentre più in ombra è rimasta la questione cruciale della sua portata. Contrariamente a quanto molti sembrano ritenere, essa non si applica solo alla funzione aggregata di produzione (uno strumento che comunque continua a essere utilizzato in tutte le diverse versioni della teoria macroeconomica dominante, dalle teorie del ‘ciclo reale’ ai modelli a generazioni sovrapposte), ma anche a tutti i casi in cui, pur riconoscendo che il capitale è in realtà un insieme eterogeneo di mezzi di produzione diversi, si tenta di determinare il saggio del profitto come prezzo di un fattore di produzione ‘capitale’ comunque definito (aggregato di valore, ‘attesa’, periodo medio di produzione). In particolare, la critica di Sraffa mina alle fondamenta l’idea, cruciale per la teoria macroeconomica marginalista, che un mercato del lavoro concorrenziale in un’economia chiusa tenderebbe automaticamente all’equilibrio perché la riduzione del salario reale che dovrebbe verificarsi in presenza di disoccupazione stimolerebbe un aumento della quantità di lavoro impiegata per unità di capitale.

La rivoluzione sraffiana

Considerato nel suo complesso, il lavoro di Sraffa appare come la somma di tre elementi: la ricostruzione dell’approccio classico con la sua edizione delle opere di Ricardo; la critica della teoria marginalista, sia nella versione marshalliana (con gli articoli del 1925, 1926, 1930), sia nella versione macroeconomica di von Hayek (con l’articolo del 1932), sia per la teoria del capitale come fattore di produzione (con Produzione di merci a mezzo di merci); lo sviluppo di un’analisi del valore e della distribuzione analiticamente coerente e radicata nella concezione classica del funzionamento del sistema economico.

Con le sue ricerche, dunque, Sraffa ha fornito tutti i tasselli fondamentali al perseguimento dell’obiettivo di un abbandono della tradizione marginalista a favore di un ritorno alla tradizione classica: ha riproposto la concezione classica liberandola dei fraintendimenti delle letture marginaliste; ha risolto in modo logicamente coerente il problema dei rapporti di scambio per il quale gli economisti classici avevano fornito una soluzione insufficiente che era stata fra le cause dell’abbandono dell’impostazione classica e dell’affermarsi dell’approccio marginalista; ha mostrato che a quel problema l’approccio marginalista offriva una soluzione solo apparentemente più ‘scientifica’, ma in realtà viziata alle fondamenta per quanto riguarda la teoria del capitale. La ‘rivoluzione culturale’ proposta da Sraffa costituisce quindi l’indicazione di un sentiero di ricerca forse (almeno finora) non così ricco di risultati come si sarebbe potuto sperare, ma sicuramente meritevole di essere approfondito.

Opere

L’inflazione monetaria in Italia durante e dopo la guerra, Milano 1920 (rist. in «Economia politica», 1994, 11, pp. 163-96).

The bank crisis in Italy, «Economic journal», 1922, 32, pp. 178-97 (rist. in Id., Saggi, a cura di P. Garegnani, Bologna 1986, pp. 217-38).

L’attuale situazione delle banche italiane, «Manchester Guardian Commercial. La ricostruzione dell’Europa», 7 dicembre 1922, 11, pp. 694-95 (rist. in Id., Saggi, a cura di P. Garegnani, Bologna 1986, pp. 239-44).

Opinioni, «La rivoluzione liberale», 16 ottobre 1923, 31, p. 128.

Obituary. Maffeo Pantaleoni, «Economic journal», 1924, 34, pp. 648-53.

Sulle relazioni fra costo e quantità prodotta, «Annali di economia», 1925, 2, pp. 277-328 (rist. in Id., Saggi, a cura di P. Garegnani, Bologna 1986, pp. 15-65).

The laws of returns under competitive conditions, «Economic journal», 1926, 36, pp. 535-50 (trad. it. in Id., Saggi, a cura di P. Garegnani, Bologna 1986, pp. 85-96).

Due lettere a Tasca, «Stato operaio», 1927, 1, pp. 1089-95 (rist. come Il vero significato della ‘quota 90’, in Il capitalismo italiano del Novecento, a cura di L. Villari, Bari 1972, pp. 180-91).

A criticism e A rejoinder, intervento al ‘Symposium on Increasing returns and the representative firm’, «Economic journal», 1930, 40, pp. 89-92 e 93 (trad. it. in Id., Saggi, a cura di P. Garegnani, Bologna 1986, pp. 97-101).

Dr. Hayek on money and capital e A rejoinder, «Economic journal», 1932, 42, pp. 42-53 e 249-51 (trad. it. in Id., Saggi, a cura di P. Garegnani, Bologna 1986, pp. 103-17 e 132-34).

J.M. Keynes, P. Sraffa, Introduction, in D. Hume, An abstract of “A treatise of human nature” (1740), ed. J.M. Keynes, P. Sraffa, Cambridge 1938, pp. V-XXXII.

D. Ricardo, Works and correspondence, ed. P. Sraffa, 10 voll., Cambridge 1951-1955, 11° vol., Indexes, 1973 (in partic. Introduction, 1° vol., Cambridge 1951, pp. XIII-LXII; trad. it. in Id., Saggi, a cura di P. Garegnani, Bologna 1986, pp. 137-97).

Produzione di merci a mezzo di merci, Torino 1960.

Production of commodities. A comment, «Economic journal», 1962, 72, pp. 477-79 (trad. it. in Id., Saggi, a cura di P. Garegnani, Bologna 1986, pp. 205-07).

Saggi, a cura di P. Garegnani, Bologna 1986.

Lettere a Tania per Gramsci, a cura di V. Gerratana, Roma 1991.

Bibliografia

Per una bibliografia più ampia della letteratura sul pensiero di Sraffa o attinente a esso si rinvia ad A. Roncaglia, Piero Sraffa, Houndmills 2009, utilizzato come base del presente scritto.

Si vedano inoltre:

N. Malcolm, Ludwig Wittgenstein. A memoir, Oxford 1958 (trad. it. Milano 1960).

G.C. Harcourt, Some Cambridge controversies in the theory of capital, Cambridge 1972 (trad. it. Milano 1973).

A. Roncaglia, Sraffa: la biografia, l’opera, le scuole, Roma-Bari 1999.

A. Roncaglia, La ricchezza delle idee, Roma-Bari 2001.

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