BEMBO, Pietro

Enciclopedia Italiana (1930)

BEMBO, Pietro

Vittorio Cian

Nato a Venezia, da antica famiglia patrizia, il 20 maggio 1470, ebbe il primo maestro e ispiratore nel padre Bernardo, uomo di grande autorità in quella repubblica, che servì in uffici diversi, e fornito di grande cultura umanistica e volgare. La ricca biblioteca e gli esempî, paterni contribuirono ad avviare il figlio alle lettere, anche perché l'ufficio di oratore residente a Firenze, tenuto dal padre (1478-80), porse occasione al precoce giovinetto di conoscere la Firenze di Lorenzo il Magnifico, come più tardi (1498) il vicedominato ferrarese gli giovò a introdursi nella corte e nella miglior società colta della metropoli estense. Il giovane Pietro ebbe valenti maestri a Venezia e a Padova e perfino a Messina, dove si recò alla scuola di Costantino Lascaris, il maggiore ellenista del tempo. Nel suo largo eclettismo, rifuggente da intolleranze pedantesche e da esclusivismi dannosi, egli abbracciò con ardore la cultura volgare non meno che la classica, greca e latina, con criterî così di sagace umanista filologo, come di artista elegante. I suoi studî molteplici e l'amore alle arti belle, fiore di quella Rinascita di cui fu un fedele rappresentante, egli proseguì e nelle corti di Ferrara, di Urbino (1506-12), di Roma (1512-20), dove fu, col Sadoleto, segretario ai brevi di Leone X, e nei frequenti soggiorni campestri, soprattutto nella sua villa padovana, dove visse a lungo, in un otium studioso, durante i pontificati di Adriano VI e di Clemente VII, alternando quel soggiorno campestre con quelli di Venezia e di Padova, dove la sua casa era il ritrovo dei migliori ingegni. Dalla Signoria veneziana ebbe (1530) il doppio incarico di bibliotecario della Libreria Nicena - la futura Marciana - e di storiografo della sua repubblica. Fino dai primi anni di papa Leone egli, munito com'era degli ordini minori, convisse con la Morosina romana, dalla quale ebbe tre figli, e che gli morì nel 1535; e questa unione non legittimò per non dover rinunziare ai non pochi, né poco lucrosi benefizî ecclesiastici. Ciò non impedì che Paolo III, nel marzo 1539, lo promovesse alla porpora e poi (1541-1544) lo nominasse ai vescovadi di Gubbio e di Bergamo senza l'obbligo della residenza. Allorché, nel gennaio 1547, il Bembo morì in Roma - dove fu sepolto nella chiesa della Minerva - era circondato di tante e di così illustri amicizie, che era considerato come uno dei cardinali "papabili".

A questa larga estimazione contribuì per gran parte il letterato, che nel vasto e vario ambito dei suoi studî e dei suoi lavori, pur senz'essere originale, bene rappresentò le più caratteristiche tendenze di quella che fu l'età aurea della nostra Rinascita, al punto da esercitare una vera dittatura letteraria.

I principali documenti della molteplice attività del Bembo scrittore sono gli Asolani, i tre dialoghi in prosa boccaccevole dell'amore, soprattutto di quello platonico, editi primamente nel 1505, con dedica galante a Lucrezia Borgia, la principessa da lui non invano corteggiata in Ferrara; le Prose della volgar lingua, anch'esse in forma di dialogo (prima ediz. 1525), che sono il più antico tentativo notevole di grammatica volgare e strenua battaglia in favore della fiorentinità (v. italia: Lingua); le Rime, in gran parte amorose e nella loro eleganza spesso freddamente petrarcheggianti, uscite in luce dapprima nel 1530; i Rerum venetarum Historiae libri XII, dal 1487 al 1513, di carattere cronistico; un gruppo scelto di carmi latini tutti eleganti, alcuni bene ispirati, e, oltre ad alcune prose minori, un ricco e interessante epistolario latino e volgare. L'edizione più ricca, sebbene incompleta e non critica, delle Opere del Bembo è quella di Venezia 1729, in 4 volumi in-folio.

Bibl.: Vecchio, ma sempre utile, l'articolo del Mazzuchelli, Scrittori d'Italia, II; ii; V. Cian, Un decennio della vita di P. B., Torino 1885, e il medaglione, commemorativo P. Bembo, in Giorn. stor. d. lett. it., LXXXVIII (1926), con le relative indicazioni bibliografiche. Sui ritratti, G. Coggiola, L'iconografia di P. B., Venezia 1914, e V. Cian nel medaglione cit., p. 241.

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