COSSA, Pietro

Enciclopedia Italiana (1931)

COSSA, Pietro

Silvio D'Amico

Poeta drammatico, nato a Roma il 20 gennaio 1830, morto a Livorno il 30 agosto 1881. Apparso fra il decadere di quello che fu poi chiamato il basso romanticismo, e le prime avvisaglie di quelle idee che, specie in Francia, annunciarono l'avvento sulle scene del cosiddetto naturalismo, il C. espone ingenuamente il suo credo poetico in un breve tratto del prologo del Nerone:

Quanto allo stile e al modo di condurre

Le scene, credo che l'autor s'attenne

A quella scola che piglia le leggi

Dal verismo e, stimando che in ogni arte

Sia bello il vero, bandì dalla scena

Il verso ch'à rumore e non idea

Pago se potè trar voci ed affetti

Dal lirismo del core...

Basta questa dichiarazione, ancora fresca, come si vede, d'echi victorughiani e dei principî d'un'asserita estetica nuova, per differenziarlo nettamente dai "poeti della scuola romana", con i quali - tutti accademici e classici - non ebbe altre relazioni se non personali. Il C. ha concepito e scritto le sue tragedie - che egli chiamò drammi, o poemi drammatici, o addirittura (come il Nerone) commedie - in versi d'andatura prosaica e di fattura povera e sciatta (tranne il Puschin, che è in prosa). Liberale, anticlericale, laico e borghese, egli conosceva l'arte di sbozzare i caratteri, e di farli vivere sulla scena con tocchi vigorosi, fra ambienti storici evocati con una sua sana gagliardia: il che gli riuscì soprattutto tornando con predilezione alla storia di quella Roma in cui riponeva la sua schietta fede. Le opere migliori del C. sono infatti quelle di argomento romano. In Nerone, che è la più ammirata, il protagonista ci è rappresentato romanticamente, come un misto di crudeltà e d'ingenuità fanciullesca, di braveria e di ciarlataneria, d'ambizioni estetiche e di viltà: l'opera, concepita alla brava, sulle tracce di Tacito e di Svetonio, è svolta in quadri epigodici, che sulla scena si sono sostenuti, per circa mezzo secolo, con innegabile efficacia. In Messalina c'è la stessa facilità nel trattare un ambiente, e la stessa abilità nel collocarvi, al centro, una persona viva: il dramma sente forte di lascivia e di suburra. In Plauto e il suo secolo il C., con un procedimento non dissimile da quello seguito dal Ferrari nel Goldoni e le sue sedici commedie, mette in scena il poeta latino in mezzo ai suoi proprî personaggi presentandolo, con dubbia esattezza storica e critica, come un austero vindice della morale oltraggiata, in una Roma che dall'antica severità di costumi va precipitando nelle nuove mollezze. In Giuliano l'Apostata, in Cola di Rienzo, nei Borgia, il C. espresse i suoi ideali anticlericali. Da ricordare un suggestivo quadro finale nei Napoletani del 1799.

Semplice, ovvio, italiano d'arte e d'intenti, lontanissimo da interpretazioni originali, appesantito dalla grossezza del taglio scenico e del verso trasandato, il C. è tuttavia scrittore sincero e, nei suoi momenti buoni, d'una riconosciuta potenza teatrale: certamente, il più notevole drammaturgo italiano di quell'epoca di transizione.

Opere: Tutti i suoi drammi sono di soggetto storico. Esordi nel 1860 con Mario e i Cimbri; a cui seguirono Sordello, I Monaldeschi, Beethoven, Puschin. Il suo grande successo lo ebbe, quarantenne, col Nerone (1871). Poi: Plauto e il suo secolo (1874); Ludovico Ariosto e gli Estensi (1875); eVlessalina (1875); Cleopalra (1876); Giuliano l'Apostata, I Borgia, Cecilia, I Napoletani del 1799, rappresentati negli ultimi anni di sua vita, e pubblicati dopo la sua morte. Il C. ha anche un volume di Poesie liriche (Milano 1876); e un Silla, dramma non finito.

Bibl.: F. Martini, Al teatro, Firenze 1895; G. Costetti, Il teatro italiano nel 1800, Rocca S. Casciano 1901; L. Tonelli, L'evoluzione del teatro contemporaneo in Italia, Palermo 1913; id., Il teatro italiano, Milano 1924; B. Croce, La letteratura della Nuova Italia, 3ª ed., Bari 1929, II. E, per not. bibl., C. Levi, Bibliografia di P.C., in Rivista delle biblioteche e archivi, 1906.

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