DIEDO, Pietro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 39 (1991)

DIEDO, Pietro

Franco Rossi

Figlio di Nicolò di Bernardo, da S. Agostino, e di Orsa di Giovanni Mantiner, da Modone, nacque a Venezia con tutta probabilità nel 1430.

Il padre, dopo la morte - avvenuta in epoca a noi sconosciuta - di Orsa, che aveva sposato nel 1425, si era unito in seconde nozze nel 1442 con Graziosa di Pietro Martini, da poco rimasta vedova di Francesco di Ismerio Querini. Non sembra che da questo secondo matrimonio Nicolò di Bernardo abbia avuto prole; e, d'altro canto, il D. sembra essere stato il di lui unico figlio maschio.

Non si debbono confondere col D. alcuni omonimi a lui contemporanei, di cui qui si ricordano: un Pietro Diedo figlio di Alvise, provato in Maggior Consiglio nel 1460; ed un Pietro Diedo, figlio di Marco, provato nel 1458, che fu governatore di galera nelle guerre di Morea e provveditore nel lago di Garda.

Nel novembre del 1450 il D. entrò in Maggior Consiglio senza aver dovuto attendere il compimento del venticinquesimo anno, avendo estratto la balla d'oro. Nel 1455 sposò Elena Gritti, figlia di Benedetto e di Bianca Pisani, dalla quale ebbe un figlio, Nicolò, morto nel 1484 senza eredi, e una figlia, Orsa, andata sposa nel 1488 ad Antonio di Andrea Diedo. Null'altro sappiamo sulla sua giovinezza, sui suoi studi, sui suoi interessi. Tuttavia è probabile che egli si sia formato - come era consuetudine per i giovani appartenenti al patriziato veneziano - dedicandosi al commercio e ai traffici internazionali: può esserne prova il fatto che, a quanto ci risulta, egli fu nel 1461 patrono di galera nella "muda" di Negroponte. A questo riguardo si può ritenere a buon diritto - anche se in proposito le notizie a nostra disposizione sono alquanto lacunose - che gli interessi commerciali e mercantili abbiano prevalso, almeno sino alle soglie della prima maturità, sulle sue ambizioni politiche. Infatti il D. riapparve sulla scena politica veneziana, dopo essere stato dal febbraio del 1460 (1459 more veneto) consigliere di Quarantia e dal luglio del 1462 giudice al Forestier, solo dopo un buon lasso di tempo, nel 1469, come podestà e capitanio di Bassano. Bailo a Cipro nel 1471, dal giugno del 1473 all'agosto dell'anno successivo fu ufficiale alla Camera degli imprestiti. Fece quindi ritorno a Cipro tra il febbraio e il marzo del 1475, mentre con tutta probabilità era ancora dei Pregadi: era stato nominato insieme con Iacopo Querini, consigliere della regina di Cipro, Caterina Corner.

Tale ufficio era stato istituito soltanto un anno prima, a seguito della ribellione di Famagosta e dell'assassinio di Andrea Corner, zio di Caterina e procuratore del Regno (13-14 nov. 1473). I consiglieri avevano funzioni scopertamente politiche, investiti com'erano di poteri quanto mai ampi, che andavano da una sorta di attenta tutela della regina sino all'esercizio della giustizia, appuntandosi particolarmente sul controllo delle rendite e delle risorse dell'isola. Essi dovevano operare in modo tale da dare al governo e ai maggiorenti locali l'impressione che Cipro, nonostante la massiccia presenza veneziana, continuasse ad essere una entità politica a sé stante, sottoposta sì a una sorta di interessata protezione, ma ad ogni modo formalmente indipendente. Frequenti furono tuttavia i conflitti, e non esclusivamente di competenza, tra i consiglieri veneziani e le autorità locali, conflitti dilatati anche dalla presenza a Cipro di Marco Corner, padre di Caterina, teso piuttosto a perseguire una politica personale e a crearsi una base di consenso che non ad assecondare le direttive che il governo veneziano gli aveva impartito al momento di affidargli la protezione della figlia.

In tale clima teso ed esacerbato da reciproci sospetti maturò l'ostilità della regina, e soprattutto del padre, per i due consiglieri in carica, in particolare per il D., accusato, anche presso il governo veneziano, di continue e insopportabili ingerenze. Nella fattispecie Caterina Comer e il padre si dolsero più volte del comportamento del consigliere, a loro dire arrogante e irriguardoso dell'autorità della regina, umiliata agli occhi dei sudditi e costretta - dall'attento controllo esercitato dal D. e dal Querini, che agì in quelle circostanze in piena sintonia con il collega, sulle risorse dell'isola - a un tenore di vita giudicato non compatibile con il suo rango e con le sue funzioni regali. In ogni caso il rigore con cui i due consiglieri eseguirono le direttive ricevute non fu affatto arbitrario e, quel che più conta, sospetto; anzi rimase sempre entro i limiti delle istruzioni ricevute. Le lamentele della regina e particolarmente quelle del padre non sortirono comunque alcun effetto perché il governo veneziano, tenuto costantemente informato pure dal D. e dal Querini circa gli avvenimenti dell'isola, per quanto non sia mai giunto a sconfessare apertamente l'operato della regina e del padre di lei, conservò la piena fiducia nei due consiglieri, che poterono portare a termine il mandato ricevuto senza troppi incidenti. Insieme con il collega, scaduto il tempo previsto per l'incarico, il D. fece ritorno in patria nel 1477.

Tra il 1478 e il 1479 il D. fu ambasciatore della Repubblica presso il re d'Ungheria, dal quale venne probabilmente creato, al termine dell'incarico, cavaliere: titolo che infatti solamente dopo questa missione si accompagna nelle fonti coeve al suo nome. Nel 1480 fu eletto provveditore al Sal.

Arduo avanzare ipotesi nel tentativo di spiegare i motivi di tale elezione, che in qualche modo sembra sminuire il prestigio acquistato dal D., sottraendo quest'ultimo alla politica internazionale, nella quale pure non aveva dato cattiva prova di sé. Forse essa fu la conseguenza di vecchi rancori nutriti dalla famiglia Corner nei suoi confronti e risalenti agli anni dei suoi incarichi a Cipro; forse fu il risultato di un semplice avvicendamento di persone nella gestione delle cariche pubbliche; forse poté anche essere espressione di quella capacità tutta veneziana di collocare gli uomini giusti al posto giusto, nel senso che si intendeva rendere il D. maggiormente esperto nel campo finanziario, attesa la notevole quantità di denaro amministrato da quella magistratura. In ogni caso, che il Pietro Diedo eletto nel 1480 provveditore al Sal si debba identificare col D. è senz'altro provato dalla qualifica di miles che, nella documentazione relativa, viene giustapposto al suo cognome; mentre scarsamente attendibile risulta l'ipotesi che possa trattarsi di un suo omonimo, dato che per il nuovo provveditore le fonti non indicano il patronimico.

Nel 1482 il D. tornò ad occupare una posizione di primo piano sulla scena politica veneziana. Fu infatti eletto, alla scadenza del proprio mandato del Pregadi, savio di Terraferma. In tale veste, il 22 aprile, insieme con Zaccaria Barbaro e con Giovanni Emo, savi del Consiglio, pattuì con Pietro de' Cattanei, procuratore del conte Amurat Torelli, la condotta di quest'ultimo al servizio di Venezia, impegnata allora nella guerra di Ferrara. Sempre come savio di Terraferma, il 9 maggio fu eletto dall'unanimità del Consiglio dei pregadi ambasciatore straordinario presso il Comune di Bologna al fine di dissuaderlo dal dare aiuti al duca di Ferrara Ercole I d'Este. L'8 giugno venne quindi comandato di accompagnare quale provveditore, a Roma, assieme con Giacomo de Mezzo, il capitano generale delle truppe veneziane Roberto Malatesta, vivamente richiesto dal papa Sisto IV preoccupato per la sicurezza della città. Quale provveditore in campo presso l'esercito di Roberto Malatesta partecipò il 21 agosto alla battaglia di Campomorto, nelle Paludi pontine, presso Velletri, che vide la sconfitta e la fuga di Alfonso, duca di Calabria e figlio primogenito del re di Napoli Ferdinando, e la vittoria delle armi pontificie e veneziane collegate contro Milano, Firenze e Napoli. Nel settembre dello stesso anno, dopo la morte di Roberto Malatesta, venne inviato a Rimini presso il figlio di quello, Pandolfo, non ancora adolescente ma da tutti riconosciuto signore della città, grazie anche all'aperto appoggio dei Veneziani.

Richiamato il 19 dicembre in patria, in considerazione anche dell'inutilità della sua permanenza nella città adriatica, dopo che i rapporti tra Venezia e il papa si erano guastati, fu l'anno successivo eletto capitanio di Bergamo. In tale veste accompagnò il 15 luglio 1483 Roberto Sanseverino, allora al soldo di Venezia, nella sua spedizione oltre l'Adda. Tra i Pregadi nel 1484 e successivamente savio di Terraferma e savio del Consiglio, fu eletto il 12 marzo 1485, insieme con Antonio Loredan, Bernardo Bembo e Alvise Bragadin, ambasciatore straordinario, presso il papa Innocenzo VIII da poco asceso al soglio pontificio.

Partito, ai primi di maggio, con largo seguito per questa ambasciata apparentemente di complimento, ma in realtà volta a ristabilire le buone relazioni tra la Chiesa e Venezia, fece il suo ingresso a Roma, dopo numerose soste intermedie, tra il 27 e il 28 dello stesso mese. Già di ritorno a Venezia il 4 luglio, dopo che a Roma era rimasto quale ambasciatore ordinario Antonio Loredan, venne nello stesso mese eletto avogadore di Comun.

Tra l'11 e il 18 nov. 1485 partecipò all'elezione del nuovo doge, risultando, il giorno 18, uno dei quarantuno che chiamarono alla più alta dignità della Repubblica Marco Barbarigo. Rifiutata il 19 novembre la carica di avogadore, fu immediatamente eletto in Minor Consiglio. Scaduto dal mandato, fu più volte chiamato a far parte di alcune zonte al Consiglio dei dieci per deliberare su questioni di notevole importanza. Il 21 marzo 1486, mentre era ancora consigliere in carica, fu eletto insieme con Sebastiano Badoer ambasciatore presso l'imperatore Federico III; aveva il compito di portare a quel sovrano le congratulazioni della Serenissima per l'elezione del figlio Massimiliano a re dei Romani; ma rifiutò l'incarico. Anche l'elezione del doge Agostino Barbarigo, avvenuta il 30 ag. 1486, vide il D. partecipare a più scrutini; fu infatti pure questa volta tra i quarantuno che nell'ultima tornata elessero il nuovo doge. Ancora in zonta al Consiglio dei dieci nel settembre dello stesso anno, fu savio del Consiglio dall'ottobre del 1486 al marzo dell'anno successivo. Il 23 ott. 1486 fu nominato ambasciatore straordinario al papa in luogo di Nicolò Michiel: doveva perorare la causa di Gerolamo Lando, patriarca di Costantinopoli, che il governo veneziano desiderava fosse elevato alla porpora cardinalizia.

Gli avvenimenti immediatamente successivi, legati all'accusa di sodomia rivolta dal Consiglio dei dieci contro l'oratore ordinario a Roma Antonio Loredan e contro il suo segretario Bernardo Teatini, per quanto celati dal più rigoroso segreto di Stato, sconsigliarono la partenza del D., che pure doveva, per voto espresso del Consiglio dei pregadi, essere immediata: la sede romana, dopo il congedo del Loredan e del suo segretario, rimase pertanto affidata alle cure del segretario Antonio Vinciguerra, allo scopo accreditato, in attesa dell'arrivo dell'ambasciatore ordinario Bernardo Bembo.

Dall'aprile del 1487 il D. fu capitanio a Verona, dove ebbe occasione di mettere a frutto l'esperienza militare maturata ai tempi della guerra di Ferrara.

Scoppiata infatti la guerra tra Venezia e Sigismondo d'Austria-Tirolo, per le intricate questioni di confine che si trascinavano ormai da anni, mentre si attendeva l'arrivo di Roberto Sanseverino il D., quale provveditore in campo insieme con Gerolamo Marcello, ricevette l'ordine di provvedere alla difesa dei luoghi del Trentino soggetti alla Signoria; in particolare gli fu data disposizione di curare la raccolta e di dirigere i movimenti delle truppe veneziane che dovevano soccorrere Rovereto assediata dagli armati di Sigismondo. Rientrato a Verona verso la fine di agosto, risiedette stabilmente in quella città fino alla scadenza del mandato, salvo un brevissimo soggiorno a Venezia tra la fine di gennaio e i primi di febbraio. Aveva avuto infatti allora licenza dal Maggior Consiglio di far ritorno per otto giorni a causa di alcuni affari privati, a noi non meglio noti - forse si trattava del matrimonio della figlia - che reclamavano la sua presenza in patria.

Chiamato ancora a far parte del Minor Consiglio dal febbraio all'agosto del 1489, fu, il 1º settembre di quello stesso anno, eletto ambasciatore straordinario al Cairo, presso il sultano d'Egitto Melech el Aschraf Kaitbai: doveva comporre il conflitto d'interessi apertosi tra quest'ultimo e Venezia a causa della rinuncia a favore della Repubblica del Regno di Cipro da parte di Caterina Corner.

Alcuni mercanti veneziani infatti erano stati arrestati dagli Egiziani e le loro merci confiscate. Precedenti ambasciate inviate dalla Serenissima non avevano sortito alcun effetto positivo e la vertenza stava guastando, col suo prolungarsi, il lucroso traffico di spezie che tanto contribuiva alla ricchezza veneziana.

Ricevute il 10 settembre le istruzioni e le credenziali dal Pregadi, il D. partì immediatamente con la "muda" di Alessandria e già il 17 scriveva da Pola dolendosi di alcuni contrattempi che rallentavano il suo viaggio. A Corfù, il 19 ottobre, dettò il proprio testamento, nominando esecutori testamentari la moglie Elena, la figlia Orsa e il genero Antonio Diedo. Giunto il 10 novembre ad Alessandria, ripartì il 30, arrivando tra il 7 e l'8 dicembre al Cairo. Presentate le proprie credenziali, il D. diede subito inizio alle trattative, riuscendo a vincere la diffidenza del sultano e della corte, e a porre le premesse per un felice esito della vertenza. Ammalatosi, per quanto non ancora gravemente, verso la fine dell'anno, continuò la propria opera di mediazione, ottenendo, nonostante le numerose difficoltà tra cui ebbe a muoversi, positivi e lusinghieri risultati per gli interessi veneziani.

Improvvisamente e in circostanze non del tutto chiare le sue condizioni di salute peggiorarono, e il D. morì al Cairo tra il 15 e il 22 febbraio 1490.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Miscellanea codici I, Storia veneta 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de patritiiveneti, III, pp. 211, 215; Ibid., I, Storia veneta, 74: P. Gradenigo, Memorie istorico-cronologiche spettanti ad ambasciatori della Serenissima Repubblica di Venezia spediti a vari principi, cc. 17v, 210v; Ibid., G. Giomo, Indice dei matrimoni patrizi per nome didonna, I, p. 552; Ibid., Archivio notarile, Testamenti, bb. 1211, Notaio A. Marsilio, n. 1034; 1216, Id., V, n. 62; 1235, Notaio A. Savina, n. 98; 1237, Id., c. 173; Ibid., Archivio proprio Egitto, reg. unico; Ibid., Avogaria di Comun, regg. 169, cc. 69, 116; 170, c. 79v; 178, c. 75; Ibid., Collegio, Lettere segrete, reg. 4, cc. 92, 100; Ibid., Collegio, Notatorio, regg. 13, cc. 86, 90v, 99v-101v, 102v-104v, 105v-108, 190-192, 193-195v; 14, cc. 1-2v; Ibid., Commemoriali, regg.X VII, cc. 6, 122v-123; XXVII, c. 81v; Ibid., Consiglio dei dieci, Misti, regg. 22, cc. 160v, 163v-164, 176-177v, 184, 188-189v, 194rv, 196rv, 198, 201v-202; 23, cc. 2v-3, 8v, 9v, 10v, 13v-14, 23, 26, 27v-28, 35v, 44, 101-102, 105rv; 24, cc. 56, 58, 59v, 60v, 66v, 68v, 75-76v, 78v-79, 84, 92v, 94; Ibid., Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 24, Liber Stella, cc. 62v-63, 64-66v, 67v, 68v-69v, 76-77v, 89, 98-99; Ibid., Miscellanea attidiplomatici e privati, b. 44, n. 1307; Ibid., Segretario alle Voci, Misti, regg. 6, cc. 17v, 34, 46v, 50, 103, 112; 15, cc. 9v-10, 13, 24v-26, 125v, 126v-127; Ibid., Senato, Deliberazioni segrete, regg. 27, cc. 16, 20, 28; 28, c. 137v; 29, cc. 4rv; 30, cc. 73, 74v, 81v, 82v-83, 84v, 93v, 112, 152v-153; 32, cc. 119rv, 123v, 124v-125, 126-127v, 129, 130v, 131v-132v, 133v, 134v-135, 136-137v, 139rv, 140v, 141, 142v, 146, 149, 151; 33, cc. 2, 9, 37rv, 38v-39v, 40v, 41v, 43rv, 44v-45, 47-48, 50v-52v, 56rv, 58, 6061, 62, 69, 72-73v, 74v-75, 97v; 34, cc. 1v-2v, 17v, 20v, 21v, 26, 28, 30, 32, 33-35, 36-37, 61v-63; Ibid., Ufficiali alla Camera degliimprestiti, reg. 4, Rubeus magnus, cc. 13v-14; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 198 (= 8383): Reggimenti dellaRepubblica Veneta secc. XV-XVII, cc. 17v, 29, 228, 231; Ms. It., cl. VII, 197 (= 8162): Registro degli ambasciatori veneti fino alsec. XVII, cc. 30v, 90v, 176; Padova, Arch. comun., Ducali Cancelleria civica, Libro Verde, 113, c. 47; M. A. Sabellico, Historiae rerum Venetorum ab Urbe condita libri XXXIII, Basileae 1556, p. 1013; A. Navagero, Historia veneta, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXIII, Mediolani 1733, coll. 1176, 1192, 1199; M. Sanuto, Commentari della guerra di Ferrara, Venezia 1829, pp. 23, 39, 41, 44, 56, 85, 102, 158; D. Malipiero, Annali veneti dall'anno 1457 al 1500, a cura di T. Gar-A. Sagredo, in Arch. stor. ital., s. 1, VII (1843-44), 1, pp. 261 s., 298, 302 s.; 2, pp. 612, 678; Ilibri commemoriali della Repubblica di Venezia, Regesti, a cura di R. Predelli, V, Venezia 1901, pp. 269 n. 13, 318 n. 171; VII, ibid. 1907, p. 127 n. 33; Cronaca di anonimoveronese, a cura di G. Soranzo, Venezia 1915, pp. 380 s., 385, 397, 414, 446, 514; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, IX, Podestaria e capitaniato di Verona, Milano 1977, p. LXXXI; XII, Podestaria e capitaniato di Bergamo, ibid. 1978, p. XXXIX; L. De Mas Latrie, Histoire de l'île de Chypre, III, Paris 1855, pp. 404, 472, 474, 478, 841, 843; IV, ibid. 1882, pp. 454, 456, 469, 473 s., 477, 486, 490; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV, Venezia 1866, pp. 378, 427; G. Magnante, L'acquisto dell'isola di Cipro da parte della Repubblica di Venezia, in Archivio veneto, V (1929), 5-6, pp. 26, 28, 30, 78; Archivio di Stato di Venezia, Dispacci degli ambasciatori al Senato (Indice), Roma 1959, p. 37; Aspetti a momenti della diplomazia veneziana, a cura di M. F. Tiepolo, Venezia 1982, p. 27; Ambasciata straordinaria al sultano d'Egitto, a cura di F. Rossi, Venezia 1988.

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