Giordani, Pietro

Enciclopedia machiavelliana (2014)

Giordani, Pietro

Floriana Calitti

Scrittore, nato a Piacenza nel 1774 e morto a Parma nel 1848. Per G., il secolo aureo della prosa italiana è il più ‘puro’ Trecento: con qualche significativa eccezione (come la Historia d’Europa di Pier Francesco Giambullari), gli scrittori del nostro Rinascimento non assurgono perciò a modelli, visto che non rispondono positivamente alle due categorie di ‘lingua’ e di ‘stile’ che dovrebbero rappresentare la base per ogni giudizio critico. M. resta, tuttavia, una lettura imprescindibile (specie per i giovani, ai quali G. indica piani di studio e canoni ideali sui quali costruire la propria formazione culturale) perché, al di là dei limiti formali, la materia alta dei suoi scritti induce sempre alla riflessione. In una nuova e ‘personale’ articolazione di un canone che privilegi i migliori esempi nell’arte dello scrivere, G. sceglie in base a una suddivisione degli scrittori in prosa più eminenti nella lingua, nello stile o nella ‘materia’ (è il caso, appunto, di M.). Fondamentale è che i giovani evitino gli scrittori contemporanei e si concentrino sugli storici, perché sono i più rappresentativi di un binomio di lingua e ‘pensiero’. Scrive, per esempio, G. in una lettera a Pompeo Dal Toso del 5 marzo 1817: «lo scrivere italiano dipende dal pensare italiano: il che mi pare, che l’Italia oggidì abbia perduto». In una graduatoria che tenga conto soprattutto di eloquenza e stile, M. figura al terzo posto, dopo Giambullari e Francesco Capecelatro, e prima di Angelo di Costanzo:

Principierei 1.° dall’Europa del Giambullari […] farei a questa [la storia napoletana del Costanzo] precedere le storie del Macchiavelli, esempio perfetto di lucidissimo stile: 5.° Verrei quindi al Guicciardini (Opere, a cura di A. Gussalli, 4° vol., 1854, pp. 16-17).

In precedenza aveva scritto a Giuseppe Ligi, il 22 novembre 1814: «Degli italiani voglio che leggiate bene la storia di Napoli del Giannone, la Storia, il Principe, i Discorsi di Macchiavelli, la Storia del Guicciardini, e le lettere del Caro» (Lettere, a cura di G. Ferretti, 1° vol., 1937, p. 59).

Sin dal 1810 G. lavora a un progetto di cui rimane un piccolo zibaldone di 40 appunti sparsi, brevi notazioni, abbozzi, estratti dagli scritti di M., che il curatore intitola Orditura di lavoro sul Macchiavelli. Notevoli, fra gli altri, l’appunto 10: «Paragone col Guicciardini, come storico, come scrittore, come politico, e nella fortuna domestica. Guicciardini amico della monarchia, Machiavelli della republica»; e il severo giudizio, ai numeri 12 e 13, contro le «parole insulse per incitare Lorenzo a liberare l’Italia da’ barbari» e, sul finale del cap. xxv del Principe, per la similitudine tra la fortuna e la donna (Opere, cit., 9° vol., 1856, pp. 97-104).

Si parla di M. anche nel lungo saggio, non finito, Istruzione per l’arte di scrivere (1821), indirizzato a un «giovane italiano», come secondo capitolo di un trattato, non realizzato, Del perfetto scrittore italiano:

Questo Giambullari è veramente caro prosatore, e da leggere attentamente. Leggerai dipoi il Macchiavello, troppo rettorico nelle Storie, troppo negletto ne’ Discorsi, neglettissimo nelle Legazioni, migliore nel Principe, saviamente colto nell’Arte della Guerra. Gli succederà il Guicciardino; la prima testa politica degl’Italiani (superiore non poco al Macchiavello checché si creda in contrario dai più) (Opere, cit., 11° vol., 1857, p. 24).

Ancora nel 1821 loda l’editore Nicolò Bettoni per aver ripubblicato i Discorsi di M., ma formula un giudizio severo sullo «stile dimestico e negletto del Macchiavelli», nel quale «apparisce non poca arroganza». M. in effetti

propone come certa la sua sentenza: e spesso con un solo fatto la conferma. E perché gli è continuo il cavare da un particolare uno universale, gli accade anche facilmente che ora sostenga una massima, e non molto poi dia per vera una contraria. Certo preferirò senza paragone il Macchiavello all’Ammirato; sia per la materia, sia per lo stile: poiché lo stile del Macchiavelli in quella sua familiarità ha pure un certo vigore: ma dopo il Macchiavelli non mi par da tenere a vile il Bartoli (Opere, cit., 10° vol., 1856, p. 424).

E il 10 dicembre 1831 scrive al conte Antonio Papadopoli:

Il Macchiavelli a me par certo un valentuomo, e da leggersi con profitto; ma non un dio, come lo fanno molti. […] Macchiavelli ne’ discorsi ha uno stile veramente abbietto; la storia sente troppo il retorico. Ma di stile assai purgato e nobile mi pare l’arte della guerra. Ne’ Discorsi mi dispiace ch’egli da un fatto particolare cava subito una regola generale che mai non falla. Avrai certamente letti i Discorsi del Paruta: non ti paiono assai belli, e nobilissimamente scritti? (Opere, cit., 6° vol., 1855, p. 108).

Dopo il 1815, con l’approdo a Milano, le attenzioni alla nostra tradizione letteraria, al lavoro filologico da dedicare ai nostri testi si fanno progetto sistematico, che vede la scelta di quel canone di classici giocare la partita cruciale della nostra identità letteraria e di quella storico-politica dell’unità nazionale. Ne sono una testimonianza le attestazioni di merito sulla Collezione dei classici italiani della Società tipografica de’ classici italiani che, nel nome di una promozione ‘italiana’, attraverso l’ossequio della lingua e delle lettere, mancava però il suo obiettivo principale, per il peccato intollerabile della «scorrezione» di molte stampe. Le Opere di M. uscite nel 1804 venivano presentate dai curatori come «la più compiuta edizione», nella quale «si è seguito specialmente il testo dell’edizione di Livorno colla data di Filadelfia 1796, testo che fu reso alla più perfetta lezione mercé della sollecitudine del cav. Giovambattista Baldelli», autore anche di un elogio dello scrittore fiorentino quando la sua città lo celebrò nel 1794 (Bibliografia od elenco ragionato…, 1979, pp. 113-17).

È proprio a partire dalle considerazioni sulla raccolta della Società de’ classici italiani che G. scrive una specie di manifesto programmatico, sotto forma di lettera al marchese Gino Capponi, Scelta di prosatori italiani, uscito sull’«Antologia» il 1° gennaio 1825 (Opere, cit., 11° vol., pp. 93-117). G. disegnava di offrire il modello del perfetto scrittore italiano e la risposta definitiva alla calunnia che «per imparare la nostra lingua bisogni per un deserto noioso di vane parole perdere assai tempo», attraverso la pubblicazione proprio di M., Francesco Guicciardini, Galileo Galilei o Francesco Redi. Ma l’originale impianto, arrivato a poco dalla stampa e con il meccanismo delle sottoscrizioni già in atto, naufragò miseramente forse, come aveva scritto in un’ultima – accorata – lettera Giovan Pietro Vieusseux il 6 ottobre dello stesso 1825, per l’eccessiva vastità del progetto, bello, ma di troppo difficile esecuzione.

Bibliografia: Opere, a cura di A. Gussalli (1°-7° vol., Epistolario, Milano 1854-1855; 8°-13° vol., Scritti editi e postumi, Milano 1855-1862; Appendice, Milano 1863); Frammento inedito. Il peccato impossibile, Londra 1862 (rist. anast. a cura di W. Spaggiari, Parma 1985).

Per gli studi critici si vedano: P. Gussalli, Memorie intorno alla vita ed a scritti inediti di Pietro Giordani, 1° vol., Milano 1854; R. Mori, Baldelli Boni Giovanni Battista, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 5° vol., Roma 1963, ad vocem; G. Leopardi, Crestomazia italiana. La prosa, introduzione e note di G. Bollati, Torino 1968; Bibliografia od elenco ragionato delle opere contenute nella Collezione de’ Classici Italiani, Milano 1979; E. Garavelli, Pensieri e giudizi giordaniani sulla letteratura italiana, in Giordani Leopardi 1998, a cura di R. Tissoni, Piacenza 2000, pp. 313-78; G. Monsagrati, Giordani Pietro, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 55° vol., Roma 2000, ad vocem; L. Melosi, In toga e in camicia. Scritti e carteggi di Pietro Giordani, Lucca 2002, in partic. pp. 51-72; G. Cingolani, L’officina di Pietro Giordani, Piacenza 2009; F. Calitti, Le biblioteche ‘patrie’ degli scrittori. Trasformazioni e tendenze fra Sette e Ottocento, in La letteratura degli italiani. Rotte, confini, passaggi, a cura di A. Beniscelli, Q. Marini, L. Surdich, Novi Ligure 2012, pp. 169-86.

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