LIBERI, Pietro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 65 (2005)

LIBERI, Pietro

Alberto Crispo

Nacque a Padova il 15 apr. 1614 da Giuseppe e da Maddalena Rossi, secondo Gualdo Priorato (1664, p. 1); ma se si dà credito all'atto di morte del 18 dic. 1687, in cui il L. è "detto di anni 82 in ca.", la sua nascita andrebbe anticipata al 1605 (De Kunert, p. 559).

Lo stesso Gualdo Priorato, nella sua minuziosa - ma romanzata - biografia del L., redatta sulla base di informazioni fornite dallo stesso pittore, riferisce che nel 1628 questi si recò a Costantinopoli e in Medio Oriente, dove rimase fino al 1632, quando fu fatto schiavo presso l'isola di Metelino da due vascelli di Barberia, che lo condussero in catene a Tunisi. Dopo otto mesi di prigionia riuscì a fuggire e a raggiungere la Sicilia per passare a Napoli, Livorno e Pisa, accompagnando, tra il 1633 e il 1636, il capitano granducale A. Manfredini in alcune spedizioni navali contro i Turchi. Nel 1637 si recò a Lisbona, Madrid, Barcellona e Marsiglia, da dove si imbarcò per tornare a Livorno; l'anno successivo raggiunse Roma, dove frequentò Stefano Della Bella. Gualdo Priorato sottolinea come fin dalla prima giovinezza il L. mostrasse una particolare inclinazione per la pittura e vi si dedicasse anche durante le sue peregrinazioni, e dà particolare rilievo al soggiorno romano, durante il quale il L. "cominciò a studiare giorno e notte tre anni continui" (p. 11).

Se il L. guardò senz'altro ai grandi maestri della stagione rinascimentale - soprattutto Michelangelo - e alle sperimentazioni del più significativo esponente del barocco romano, Pietro Berrettini da Cortona, come ha sottolineato Fiocco (1929), l'amicizia con Stefano Della Bella lo introdusse, con ogni probabilità, alla committenza medicea. Giuliano de' Medici gli chiese infatti di illustrare la gloria della casata nel soffitto dell'oratorio dei Vanchetoni a Firenze, che il L. portò a termine tra il 5 sett. 1639 e il 17 marzo 1640 (Barsanti). Leopoldo de' Medici, governatore di Siena, gli commissionò nel 1641 il Ratto delle sabine, oggi presso la locale pinacoteca, che rivela chiare ascendenze reniane, tanto da far presupporre un viaggio in Emilia del Liberi. Nel 1643 si trasferì a Venezia, dove, sempre secondo Gualdo Priorato (p. 12), dipinse su vecchie tavole due Madonne a imitazione di G. Reni, acquistate come tali dal senatore V. Gussoni e dal nobile G.D. Correggio, ma non è chiaro se la notizia sia stata introdotta per sottolineare la maestria del L. o per accennare a una pratica di falsificazione, peraltro assai diffusa in ambito veneziano.

Agli anni immediatamente successivi risalgono la S. Elena che ritrova la vera Croce per l'altare della Confraternita della S. Croce in S. Moisè (Coleti; Nalin), che prendeva spunto ancora una volta da un modello emiliano (l'analogo soggetto dipinto da G.F. Barbieri detto il Guercino per la chiesa veneziana di S. Lazzaro dei Mendicanti) e due opere oggi perdute, un Crocifisso e santi (1646) già in S. Agostino (Martinioni) e un ciclo affrescato nella villa di Benedetto Selvatico a Battaglia Terme, di cui sono stati rintracciati i pagamenti (dal 14 febbraio al 15 ag. 1649: Ruggeri, 1996, p. 231). Sempre nel 1649 dipinse il Cristo crocifisso con i ss. Luigi e Maddalena nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, messo in opera il 1° genn. 1650 (Gualdo Priorato, p. 14), la cui gloria angelica è di evidente matrice cortonesca; poco dopo portò a termine la pala per S. Giovanni Evangelista (Pazzi), ancora costruita secondo i collaudati modelli del barocco romano, e la Sacra Famiglia e angeli, già in S. Procolo a Venezia (ora in S. Pietro a Modena), dai caratteri parmensi, correggeschi e parmigianineschi.

Uno sguardo retrospettivo sulla cultura figurativa del Rinascimento veneto si coglie negli affreschi in villa Foscarini Negrelli a Stra (1652), tipicamente veronesiani nei toni chiari e nelle solenni partiture architettoniche, e nel Diogene e Alessandro di collezione privata (ante 1652), in cui prevalgono i ricordi tizianeschi. Il crescente successo della maniera del L., con la sua attenta miscela di linguaggio barocco e colte citazioni dalla tradizione veneta, persuase i Provveditori sopra il tempio votivo della Salute a commissionargli la pala con Venezia supplice e s. Antonio da Padova che intercedono presso la Trinità per la cessazione dell'assedio di Candia (1652-56), in cui il L. riprende la messa in scena monumentale e la tavolozza schiarita del Veronese (P. Caliari). Tra gli incarichi di prestigio affidatigli in quegli anni dalle principali autorità della Repubblica, che gli valsero la nomina a cavaliere, vanno segnalati l'affresco, perduto, nella loggetta del campanile di S. Marco, con Il doge F. Molin, Venezia, la Gloria, la Carità e la Prudenza (De Kunert, p. 557), l'Allegoria del podestà Alvise Foscarini nella rotonda di Rovigo (1656) e soprattutto la Battaglia dei Dardanelli in Palazzo ducale, la cui esecuzione fu affidata al L. il 10 dic. 1658. Dopo aver firmato, nello stesso anno, il Serpente di bronzo per S. Pietro di Castello, nel luglio l'artista presenziò alla solenne entrata in Vienna dell'imperatore Leopoldo I, che lo nominò conte palatino. Durante la permanenza nella capitale asburgica, interrotta da viaggi in Ungheria e Boemia, il pittore ritrasse l'imperatore e gli consegnò il dipinto allegorico in suo onore, conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna. Nel settembre del 1659 il L. era di nuovo a Venezia, come provato da documenti relativi alla Battaglia dei Dardanelli (Bratti); l'anno successivo, oltre a eseguire affreschi e dipinti per l'ospedale dei Mendicanti (Aikema - Meijers), stipulava un accordo con i deputati della Misericordia Maggiore di Bergamo per la fornitura di sedici dipinti destinati alla basilica di S. Maria Maggiore (Pinetti, pp. 121-123). Il 25 maggio 1661 gli stessi deputati si dichiaravano insoddisfatti del Diluvio universale consegnato dal L. e ne chiedevano il parziale rifacimento, respingendo, il 5 agosto dell'anno seguente, anche il bozzetto del Giudizio universale (ibid., pp. 123-125).

Nel Diluvio, che ricalca la ritmica orizzontale del Serpente di bronzo di S. Pietro di Castello, si coglie un gigantismo di matrice michelangiolesca, ma soprattutto un'attenzione del tutto nuova per le contemporanee prove di L. Giordano, evidente anche nell'Annunciazione di S. Maria della Salute. Se il S. Antonio da Padova col Bambino del duomo di Lentiai (1662) riprende il neotizianismo del Padovanino (A. Varotari), l'Allegoria del podestà Zaccaria Vendramin alla rotonda di Rovigo (1663) e il S. Alberto vescovo carmelitano che benedice un fanciullo al Carmine di Venezia (1664) si pongono ancora al crocevia tra Giordano e la tradizione veneta, in questo caso tintorettiana. Che il L. fosse ritenuto tra i principali interpreti e conoscitori della cultura figurativa veneziana del Cinquecento è confermato dal fatto che nel 1664 fu incaricato di realizzare un dipinto per il convento di S. Giorgio Maggiore che sostituisse la Cena del Veronese, opera che la Repubblica volle destinare a Luigi XIV e che lo stesso L. fu incaricato, con Pietro Della Vecchia, di rimuovere dal convento e trasportare a Parigi (Baschet; Meijer, 1988, p. 116 n. 7). In quegli anni, d'altra parte, il L. divenne consulente della regina Cristina di Svezia per i suoi acquisti di dipinti veneti, soprattutto del Veronese. Nel 1667 eseguì inoltre, su richiesta dell'elettrice di Baviera Enrichetta Adelaide di Savoia moglie del principe Ferdinando Maria, una serie di sette dipinti per la camera dell'Udienza e la camera dell'Amore nella residenza di Monaco, con soggetti tratti dall'Ars amatoria di Ovidio, di cui è rimasto soltanto l'Evadne e Capaneo dell'Alte Pinakothek della stessa città (Kultzen). Grazie ai ricchi proventi della sua attività, il 16 genn. 1671 il L. acquistò una casa sul Canal Grande (S. Samuele), venduta fittiziamente due anni dopo per ottenere benefici fiscali (De Kunert, p. 549; Rodriguez Canevari, pp. 122, 125 docc. III s.). Se nella volta della sacrestia della basilica del Santo a Padova, commissionatagli nel marzo del 1665 (Gonzati; Sartori 1976, pp. 134 s.), riaffiora il ricordo dei cieli barocchi visti a Roma, con i loro precedenti correggeschi e lanfranchiani, e nell'incisione con il Venetiarum pugillatus (1676) si colgono riferimenti alla cultura disegnativa tosco-romana, in particolare alla Battaglia di Cascina di Michelangelo, nell'Estasi di s. Gertrude in S. Giustina a Padova (1676-78: De Kunert, p. 573 doc. XII; Sartori, 1976, pp. 135 s.) si ritrova invece una materia morbida e sfrangiata, di matrice giordanesca, come nello Sposalizio mistico di s. Caterina dell'omonima chiesa a Vicenza (1681), che tradisce un impianto ancora veronesiano. Il 12 genn. 1683 il L. convocò nella sua casa veneziana la prima riunione del Collegio dei pittori, che aveva fondato in contrapposizione all'antica fraglia dei pittori, accusata di accogliere artisti di mediocre levatura (Favaro, pp. 115, 122, 134). Il L. fu eletto priore e gestì per qualche tempo il Collegio, ma in seguito la sua direzione fu messa in discussione, tanto che i Provveditori sopra la giustizia vecchia fecero estrarre a sorte i nominativi di tre pittori a cui delegare la soluzione della controversia (Ewald).

Fin dal 1660 Boschini (1660, pp. 532 s.) aveva parlato di due diverse maniere dell'artista: "Se in publico lu fa qualche operona, / El zioga col penel de la distanza: / Se el forma quadri de goder in stanza, / Per finitezza el merita corona"; mentre più tardi Zanetti (pp. 379-381) sosteneva che "Tre maniere si trovano nelle opere di questo Pittore. La prima è grandiosa e nobile; e con questa poche cose ei dipinse. La seconda e la terza tutte in un tempo ei trattò; tenendo, com'ei soleva dire, due sorte di pennelli nella stanza sua; l'una per gl'intelligenti, e l'altra per l'ignoranti. Per i primi ei voleva dipingere con ispeditezza e maestria; e perciò non eran sempre quelle pitture molto finite. Per i secondi all'incontro usava d'un estrema attenzione e diligenza, cosicché si possono numerare i capelli nelle teste". In taluni dipinti, quali l'Assunzione della Vergine nel duomo di Chioggia (1682: Tiozzo, p. 34), si riscontra effettivamente una stesura più libera; mentre in altri, come la Mansuetudine (1681), in collezione privata, le superfici sono più analiticamente descritte, il che conferma, considerando l'esecuzione ravvicinata dei due dipinti, come le due prassi non corrispondano a differenti fasi stilistiche, ma coesistano, e siano dunque spiegabili con le diverse committenze.

L'attività del L. proseguì con grande intensità fino alla morte, come testimoniano le due sale decorate nel castello del Buonconsiglio a Trento (1686-87), in cui il pittore palesa, soprattutto nell'Allegoria della Fama e della Giustizia, notevoli affinità con l'opera di Sebastiano Mazzoni.

Il L. morì a Venezia il 18 dic. 1687.

Il figlio Marco nacque probabilmente attorno al 1644, dal momento che nel Rollo dei pittori del 1690 è detto "d'anni incirca 46" (Favaro, p. 215), e collaborò con il L. fin dal 1665, quando dipinsero la Gloria di s. Antonio sul soffitto della sacrestia della basilica del Santo a Padova (Sartori, 1983). Marco è documentato a Venezia fino al 1688, quando incontrò l'architetto danese N. Tessin, poco prima di andarsene dalla città in seguito a un'accusa di adulterio (Sirén; Garas). Attorno al 1689 si trovava a Trento (Malferrari); ma già nell'anno successivo il Rollo dei pittori lo segnalava a Vienna (Favaro, p. 215), da dove nel 1691 Marco cedeva per 14.000 ducati il palazzo paterno sul Canal Grande (De Kunert, pp. 568-571 docc. VI s.). Non si sa molto del suo soggiorno in terra tedesca, se non che eseguì alcuni dipinti per Lothar Franz von Schönborn (Rave), parte dei quali si trova tuttora presso l'omonima collezione a Pommersfelden. Una prima ricostruzione del catalogo di Marco, che ha preso avvio dall'unica opera firmata, il Giove e Asteria del Museo di belle arti di Budapest, è stata effettuata da Ruggeri (1996, pp. 283-308), che gli ha assegnato una sessantina di dipinti, in cui risulta evidente l'adesione ai modi del padre.

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