BOSCOLI, Pietro Paolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 13 (1971)

BOSCOLI, Pietro Paolo

Carlo Pincin

Nacque a Firenze da Giachinotto e monna Cosa il 30 giugno 1481, discendente di una famiglia tra le più antiche e nobili della città. Il padre aveva partecipato nel '75 alla giostra di Giuliano, ma il B. crebbe nella Firenze di Savonarola e del gonfaloniere Pier Soderini. Nel 1506 fu ammesso coi fratelli Francesco e Giambattista nella matricola dell'arte del Cambio, nella quale era già iscritto il padre. Si sposò ed ebbe almeno un figlio, Alessandro. Ci resta di lui una lettera, autografa, con la quale raccomanda a Niccolò Machiavelli l'amico Giovannino della Bella come cavalleggero, il 13 ag. 1512.

Sopravvenne la restaurazione medicea: di quell'agosto, il 29, è il sacco di Prato, seguito dalla deposizione del Soderini; il 14 settembre il cardinal de' Medici entra in città e il 16 i medicei prendono il palazzo. Comincia lo smantellamento della Repubblica. "Tornò Giuliano, figliuolo di Lorenzo de' Medici, il primo in Firenze. Si ridusse la città che non si facea se non quanto volea il card. de' Medici" ricorda Francesco Vettori narrando che "in Firenze questo nuovo modo di governo era a molti insopportabile". Poco dopo, infatti, il 18 febbr. 1513, una dozzina di cittadini, tra cui il B., viene arrestata sotto l'accusa di voler uccidere Giuliano, Lorenzo e il cardinale Giulio. Le cose sembrano essere andate in questo modo. Nella casa dei Lenzi, in borgo Ognissanti, si trovavano spesso amici della famiglia e dei Soderini, loro parenti. In una di queste riunioni pare che il B. avesse perduto una carta con una ventina di nomi e che questa lista fosse stata trovata da Bernardino Cocci, oratore senese, il quale l'avrebbe portata agli Otto. Il B. fu arrestato con numerosi altri congiurati. "La qualità degli uomini di questa intelligenza - scriveva il giorno successivo Giuliano - sono, benché nobili, di poco conto e men seguito; e le cose son procedute senza alterazione pubblica o privata e piuttosto da poterne trar frutto che danno, atteso l'universale unione e concorso della città e maxime de' primi parenti de' delinquenti".

Il B. venne condannato a morte insieme con Agostino Capponi. "Di poi si è aperta e purgata ben la piaga... - scrive ancora, soddisfatto, Giuliano - Abbiamo fuggito il pericolo e fatto paragone degli amici e della fede e benevolenza della città in forma che ne ho immortale obbligazione". E, riportando le condanne: "e tutto questo giudizio è fatto con pratica e parere unito di buon numero di cittadini dei primi e ben qualificati" (Sanuto). Ma c'era chi era convinto - riferisce il Baldovinetti - che i più responsabili non erano stati presi e che il vescovo de' Pazzi e altri grandi cittadini stavano dietro ad essi: "non fu riciercho tutta ditta congiura, perch'era troppo gran cosa". Il Capponi e il B. furono decapitati il 23 febbr. 1513.

Della morte del B. e del Capponi ha lasciato una Recitazione Luca Della Robbia. Questi faceva parte della compagnia dei neri e assistette l'amico B. nelle sue ultime ore. La composizione dell'opuscolo è posta dal suo editore "presso a poco nel mese di febbraio 1513", con l'argomento che altrimenti lo scritto non potrebbe essere così vero ed efficace; il fatto che alla fine di esso si trovino riferite parole che sarebbero state pronunziate nel maggio seguente sarebbe da spiegare con l'ipotesi di un'aggiunta, fatta tre mesi dopo, al racconto originario. In realtà non possediamo elementi per datare lo scritto. La frase finale: "E questo l'ho poi letto", per quanto considerabile un espediente letterario, sembra allontanare in una prospettiva remota, forse di anni, quel maggio in cui il Della Robbia non conosceva ancora la distinzione di Tommaso d'Aquino circa le congiure. Intento dello scritto è la giustificazione del B. sul piano dell'ortodossia religiosa: trionfo di Cristo, non solo, ma della Chiesa, nel confronto finale, su Bruto e i filosofi; liceità, anzi carattere meritorio, di congiure contro il tiranno che regna a dispetto del popolo. Si attribuiscono al B. tratti non conformi alla comune religiosità: rifiuto prima di un confessore, Iacopo Mannelli, per ottenerne invece uno di S. Marco, rifiuto della immagine del Redentore sulla tavoluccia, rifiuto del canto dei salmi penitenziali che usava cantare la compagnia dei neri, resistenza - vinta al fine - a dichiarare di credere ciò che comanda la Chiesa; come nelle tradizionali lotte dell'angelo e del diavolo per il possesso di un'anima, la battaglia è vinta di stretta misura. Il valore storico dello scritto è affermato dall'autore, che assicura "che li si può prestar fede come a cosa vera, perché mi farei non poca coscienza di scriver bugie, massime in tal materia che s'io non m'inganno, assai appartiene alla cristiana religione". La natura squisitamente letteraria del testo e il suo intento edificatorio spiegano come la narrazione proceda "lasciando indietro le minime parole e d'onde non si trarrebbe nessun documento, ma solo notizie". Il B. è presentato "biondo e bello e di gentile aspetto", "pareva quella testa un angioletto" (p. 307); si parla della madre e dei fratelli, non della moglie, che pare avesse. Si narra che andarono a trovarlo un miniatore e un cartolaio; che egli afferma di non aver avuto "mai bene in questo mondo". Sebbene non si possa escludere affatto, nel Della Robbia, un certo intento annessionistico, per quanto in buona fede e a maggior gloria di Dio, dettato dalla sua religione e dal suo affetto per l'amico, sembrerebbe tuttavia credibile l'appartenenza del B. a un ambiente nel quale la cultura classica non avrebbe intaccato che in superficie una educazione religiosa di tipo piagnone. La Recitazione costituisce fonte di conoscenza della religiosità del Della Robbia e del suo ambiente, non sappiamo quanto simile a quella del B., in un tempo posteriore alla sua morte. Conferma il Della Robbia ("dite agli amici che studino la sacra Scriptura"), se non ne è amplificazione, Iacopo Nardi: "sappiamo che per Luca della Robbia... fu mandato a dire da Pietro Pagolo ad un suo carissimo amico e ricordatogli che si dovesse astenere dagli studi delle umane lettere, che gonfiavano il cervello, e convertirsi tutto agli studi e discipline della cristiana filosofia".

Fonti eBibl.: Sulla famiglia: E. Gamurrini, Istoria geneal. d. fam. nobili toscane et umbre, IV, Fiorenza 1679, pp. 108-33; A. Ademollo, Marietta de' Ricci, a cura di L. Passerini, VI, Firenze 1845, p. 1944; su Giachinotto: Arch. di Stato di Firenze, Decime,Catasto del Monte, 1469, Ruote, cc. 437-8; Cat. 1480, Campione delle portate dei cittadini, f. 1006, c. 403; Decima repubblicana, 1498, Ruote, A-G, cc. 396-7; P. O. Kristeller, Studies in Renaissance Thought and Letters, Roma 1956, pp. 437 ss. Sul B.: Arch. di Stato di Firenze, Tratte, f. 40, c. 139r; Necr. d. grascia 1560-81, c. 219r; Arte del Cambio, f. 12, c. 134v; Bibl. Naz. di Firenze, Carte Machiavelli, V, 101; O. Tommasini, La vita e gli scritti di N. Machiavelli, II, Roma 1911, p. 70. Sulla congiura cfr.: Bibl. Naz. di Firenze, Fondo Baldovinetti, F. Baldovinetti, Memoriale, ms., 244, cc. 159v-160r; Ibid., B. Cerretani, ms.II, I, 106, cc. 160-1; Ibid., P. Parenti, ms. II, IV, 171, c. 84r; L. Landucci, Diario fiorentino, Firenze 1883, p. 355; A. Lapini, Diario fiorentino, ibid. 1900, p. 86; B. Masi, Ricordanze, ibid. 1906, pp. 117 ss. (il quale menziona un Cambi - "Lamberto Cambi" aveva scritto Baldovinetti - in luogo del Cocci); I. Nardi, Ist. di Firenze, ibid. 1840, II, pp. 23-26; I. Pitti, Ist. fiorentine, in Arch. stor. ital., I (1842), p. 109; Id., Apologia de' Cappucci,ibid., IV (1853), parte II, p. 321; M. Sanuto, Diarii, XV, Venezia 1886, coll. 572-74; B. Varchi, appunto in Ist. fiorentine, Firenze 1843, I, p. 61; F. Vettori, Sommario della storia d'Italia dal 1511 al 1527, in Arch. stor. ital., VI (1848), Appendice VI, p. 295.

La Recitazione del caso di P. P. B. e di Agostino Capponi di Luca Della Robbia ci è stata tramandata da molti manoscritti; fu edita nel 1839 da F. L. Polidori in La viola del pensiero,Miscell. di letterat. e morale, II, Livorno 1839, pp. 61-98, poi, con nuove cure, dal medesimo in Arch. stor. ital., I (1842), pp. L-LII, 273-312; ristampa di R. Bacchelli, Firenze 1943, sulla quale cfr. A. Frugoni, Incontri nel Rinascimento, Brescia 1954, pp. 93-100; Enc. Ital., VII, p. 547.

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