RAMO, Pietro

Enciclopedia Italiana (1935)

RAMO, Pietro (Pierre de la Ramée, latinizzato in Petrus Ramus)

Guido Calogero

Pensatore francese, nato a Cuth (Vermandois) nel 1515, morto a Parigi nel 1572, nella strage della notte di San Bartolomeo. Di umili origini, dovette compiere gravi sforzi per riuscire a frequentare l'università di Parigi: e, datosi principalmente agli studî di logica, finì per sentire avversione per l'angustia mentale degli aristotelici che l'insegnavano. Ottenne così, nel 1536, il titolo di magister artium sostenendo, nonostante lo scandalo dei docenti, la tesi che "tutto ciò che Aristotele aveva detto era falso" (quaecumque ab Aristotele dicta sint, commenticia esse); e nel 1543, dopo alcuni anni d'insegnamento a Parigi, pubblicò le Dialecticae partitiones ad Academiam parisiensem (più tardi ristampate col titolo di Institutionum dialecticarum libri tres, Parigi 1553), e le Aristotelicae animadversiones. In queste opere, e specialmente nella prima, egli svolgeva la tesi della sua riforma della logica scolastica: ma la fiera opposizione degli aristotelici riuscì ad ottenere che il re Francesco I le condannasse e vietasse entrambe. Nel 1551 il R., che aveva continuato a insegnare privatamente a Parigi, ebbe peraltro da Enrico II una cattedra all'università. Convertitosi nel 1561 al protestantesimo, dovette nell'anno seguente fuggire da Parigi: tornatovi nel 1563, dovette ancora allontanarsene nel '67 e nel '68: si recò allora in Germania e in Svizzera, e diede lezioni a Heidelberg, a Ginevra e a Losanna. Ma, tornato a Parigi nel 1570, vi perì, come si è detto, due anni dopo.

Gli scritti più importanti di R., oltre a quelli citati, sono i seguenti: Dialectique (Parigi 1555, anche in redazione latina); Scholarum physicarum libri octo (Parigi 1565); Scholarum metaphysicarum libri XIV (ivi 1566); Scholae in liberales artes (Basilea 1369); Defensio pro Aristotele adv. Jacobum Schecium (Losanna 1571). Un elenco completo dei suoi scritti si può trovare nella sotto citata monografia del Waddington. Nei suoi scritti, che riproducono sostanzialmente i suoi corsi di lezione, il R. sottopose ad esame critico tutte le principali concezioni aristoteliche: ma i suoi intenti di riforma si rivolsero soprattutto, come si è detto, alla logica. Quel che egli principalmente rimproverava alle dottrine dell'Organo (che egli del resto volle sempre considerare come non autentiche) era la sterilità intrinseca al loro metodo deduttivo; e ciò a cui egli mirava con la sua riforma, era una dottrina che insegnasse non soltanto a controllare formalmente ma anche a trovare la verità. Di qui la sua distinzione della logica in una teoria dell'inventio (in cui rivivevano in certo modo la retorica e la topica degli antichi) e in una teoria del iudicium (più vicina alla logica classica). Pur nella sua ingenuità formale, l'opera del R. tradiva quindi, come quella degli altri "filosofi della retorica" suoi contemporanei, un certo senso dei limiti della logica antica e della intrinseca sua connaturalezza a quella oratoria, da cui si era venuta storicamente svolgendo e separando: com'è dimostrato anche dal fatto che egli intendeva di considerare Aristotele soprattutto dall'angolo visuale della logica socratico-platonica. Le concezioni del R. esercitarono enorme influsso: dopo di lui continuarono ad esservi per lungo tempo "ramisti", "antiramisti" e "semiramisti".

Bibl.: Ch. Waddington, De P. vita, scriptis, philosophia, Parigi 1849 (redazione francese, ivi 1855); Ch. Desmaze, P. R., ivi 1864; R. Chagnard, R. et ses opinions religieuses, Strasburgo 1869; K. Prantl, in Sitzungsb. d. bayer. Akad. d. Wiss. (Phil.-Hist. Klasse), 1878, p. 157 segg.; F. P. Graves, P. R. and the educ. reform. of the 16. century, Londra 1912. Ulteriore bibliografia in Ueberweg, Grundr. d. Gesch. d. Philos., III, 12ª ed., Berlino 1924, p. 647.

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