VINCI, Pietro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VINCI, Pietro

Rodobaldo Tibaldi

VINCI, Pietro. – Nacque presumibilmente a Nicosia da genitori ignoti.

La provenienza è orgogliosamente dichiarata su quasi tutti i frontespizi dei suoi libri musicali, apparsi tra il 1558 e il 1584 («Di Pietro Vinci siciliano della città di Nicosia», «Petri Vincii siculi nicosiensis»; solo nel 1558 l’epiteto è un generico «siculo»).

È ignota la data di nascita. Nell’Amorosa filosofia Francesco Patrizi riporta l’entusiastica reazione di Vinci, definito «vecchio», all’ascolto di certi suoi madrigali intonati da Tarquinia Molza (Patrizi, 1577, 1963, p. 41). Se ne è voluta dedurre un’età superiore ai cinquant’anni, collocando la data di nascita intorno al 1525 (cfr. P.E. Carapezza, nel Primo libro di madrigali a cinque voci di Vinci edito nelle Musiche rinascimentali siciliane [d’ora in poi: MRS], V, Firenze 1985, p. IX). Ma si trattò forse di una pura finzione letteraria, non risulta che Patrizi incontrasse mai Vinci, e una nascita collocata intorno al 1533 sembra più compatibile in relazione alle vicende biografiche del musicista, altrimenti attestate essenzialmente dalle dediche dei suoi libri, stante la scarsità delle notizie d’archivio.

Nulla è noto della sua formazione musicale, avvenuta verosimilmente in patria. Non si hanno notizie prima del Primo libro di motetti a cinque voci (Venezia, Girolamo Scotto, 1558; gli Scotto furono gli editori pressoché esclusivi delle prime edizioni ed eventuali ristampe dei libri di Vinci). Le prime due opere – il suddetto libro di mottetti, preparato evidentemente in vista di una carriera come maestro di cappella, e uno di composizioni a due voci (1560, ristampato nel 1586; in MRS, II, a cura di P.E. Carapezza, Roma 1971), di carattere didattico – sono legate alla Sicilia: sono entrambe dedicate a Francesco e Imara di Santa Pau, marchesi di Butera (la Musica a due voce al solo Francesco); il mottetto Lucia virgo – Sicut per me civitas catanensis è un’invocazione alle sante patrone di Catania (Agata) e Siracusa (Lucia); Ave virginum gemma sancta Chatarina è dedicato a una santa molto venerata nell’isola; e quasi tutte le composizioni a due voci recano intitolazioni in siciliano (proverbi, luoghi, persone, come donna Giulia Moncada Barresi, imparentata con i Santa Pau).

Nel 1561 apparve il suo titolo più fortunato, il Primo libro di madrigali a cinque voci (ripubblicato riveduto e corretto nel 1563, 1566 e 1589; ebbe anche un’edizione presso Antonio Gardano nel 1564; in MRS, V, a cura di M.R. Adamo . P.E. Carapezza, cit.). Il libro, prima fatica in un genere che all’epoca poteva assicurare notorietà internazionale a un compositore, è dedicato a don Antonio d’Aragona, duca di Montalto e nobile di sangue reale, e mostra tutte le caratteristiche di un’opera confezionata ad arte per esibire la competenza del musicista e nel contempo il rango del dedicatario, in primis nella scelta dei testi: tolti due sonetti adespoti (il primo di essi elogia le virtù d’armi del dedicatario), gli altri sono dal Canzoniere petrarchesco, per lo più sonetti (in due parti), ma anche l’intera canzone Che debb’io far, che mi consigli, Amore? Due composizioni sono di Giulio Severino «discipulo di Pietro Vinci», qualifica che scomparve poi nelle edizioni successive. L’origine napoletana di Severino «detto della Viola», liutista piuttosto rinomato menzionato da Scipione Cerreto tra i «sonatori eccellenti del liuto della città di Napoli, che oggi non vivono» (Della prattica musica vocale e strumentale, Napoli 1601, p. 159), sembra collocare Vinci a Napoli all’inizio degli anni Sessanta. Un caso analogo sembrerebbe avvalorare un soggiorno partenopeo: nel Secondo libro dei madrigali a cinque voci (1567) figura un componimento encomiastico rivolto al dedicatario, il barone Gionforte de Alessi, del francese Ambrogio Marien d’Artois, compositore inserito nel contesto napoletano (entrò poi nel circolo della famiglia Gesualdo), anch’egli definito «discepolo di Pietro Vinci». Questo secondo libro di madrigali, che nel contenuto conferma il carattere del primo – gran parte dei testi poetici sono di Francesco Petrarca, per lo più sonetti in due parti, ma anche l’intera sestina Là ver l’aurora che sì dolce l’aura –, pone qualche problema: la data indicherebbe che il periodo napoletano fu di una certa lunghezza, ma anche che vi furono sei anni di silenzio editoriale per il compositore, un lasso occupato soltanto dalle riedizioni del primo libro. Il dedicatario, barone di Sisto, apparteneva alla piccola nobiltà nicosiense; la dedica, senza data, è firmata «da Nicosia», non si sa se come indicazione del luogo o della provenienza dell’autore: non si può escludere che il compositore fosse ritornato in patria prima di partire verso il Nord e che la data dell’edizione sia di qualche anno posteriore alla compilazione del libro (cfr. MRS, II, cit., pp. XVI s.). È peraltro l’unico libro di Vinci pubblicato in prima edizione da un editore diverso da Scotto, il veneziano Francesco Rampazetto: si può ipotizzare che fosse uscita già qualche anno prima un’edizione Scotto (poi ripubblicata nel 1589 dall’erede di questi, Melchiorre), non pervenuta.

Nella dedicatoria dei Madrigali a tre voci (1582) – una sorta di autobiografia – Vinci disse di aver lasciato la Sicilia alla volta dapprima di Livorno e poi della Lombardia, in cerca di un’occupazione stabile a fronte di probabili ma occasionali incarichi in qualche chiesa: «feci tanto ch’or ero chiamato a questa chiesa principale, or a quell’altra ad esercire questa professione mia della musica» (Antonino Mongitore nel 1714 lo disse inoltre «musices moderator Romae», città che Vinci non menzionò nel descrivere le proprie peregrinazioni).

Nella Milano spagnola, probabile meta principale del viaggio, poté farsi apprezzare nei circoli della nobiltà cittadina; lo testimonia una lettera del 16 febbraio 1568 con cui il barone Paolo Sfondrati, fratello di Nicolò (vescovo di Cremona e poi Gregorio XIV), ringraziò il duca Ottavio Farnese per aver preso in considerazione la possibilità di assumere a servizio il compositore siciliano (Pelicelli, 1932). La lettera offre anche un raro squarcio sulla figura umana di Vinci (seppur filtrata dal tipico sussiego nobiliare) e su una caratteristica artistica che lo connotò poi anche in seguito: premesso che, «sebene in prima vista pare inetto, è però sufficientissimo nel mestero del componere, né ha oggidì molti pari», il mittente osservò che «la sua musica ha del difficiletto, né ogni uomo è buono a cantarla all’improviso, però se alla prima cantata non vi riuscisse molto, non si scandalizase, perché bisogna che chi cantarà ne abbi o faccia un puo’ di prattica». L’impervietà che la musica di Vinci poteva porre all’esecutore è implicitamente rimarcata anche nel summenzionato elogio di Tarquinia Molza, capace di cantare con sicurezza «alcuni difficili madrigali del Vincio» (Patrizi, 1577, 1963, p. 38). La documentazione d’archivio tace completamente su un possibile rapporto con la corte farnesiana, e pochi appigli offre la dedica di Vinci al duca qualche anno dopo nel primo libro dei madrigali a sei voci («quella gratia che per l’adietro ho ritrovato presso V.S. Eccellentissima», gennaio 1571). Di certo il duca non approfittò dell’occasione: il 14 maggio Vinci fu eletto maestro di cappella in S. Maria Maggiore di Bergamo al posto di Bartolomeo Torresani, detto l’Oste da Reggio; l’indomani venne redatto l’atto ufficiale e il 22 luglio, su richiesta del compositore, fu stabilito che il suo incarico sarebbe durato dodici anni (Scotti, 1901, docc. 226, 227 e 231); in tal modo sarebbe stata assicurata una certa stabilità al compositore, ma anche all’istituzione bergamasca, che negli ultimi sette anni aveva visto avvicendarsi ben quattro maestri di cappella, con vari problemi di gestione. Il musicista venne «onorevolmente stipendiato», come ammise lo stesso Vinci (dedica dei Madrigali a tre voci, 1582): nel 1575 aveva raggiunto la cospicua cifra di 664 lire annue, più del doppio di un normale cantore (Gli atti della visita..., 1936).

Per la sua nuova città, definita «amena» e «felicissima» (così nel primo libro di madrigali a quattro voci, 1583), egli ebbe sempre parole di gratitudine, in primo luogo per motivi personali: nella tranquillità infine raggiunta prese moglie ed ebbe dei figli. Fu anche il periodo professionalmente più prolifico; dal 1571 al 1580 pubblicò una decina di libri che, oltre a consolidarne la fama di madrigalista, lo fecero conoscere anche come importante compositore di musica da chiesa, fino a quel momento limitata al giovanile libro di mottetti a cinque.

I libri di musica sacra sembrano i più direttamente legati al contesto bergamasco, sia per i dedicatari, sia per occasioni particolari evidenti all’interno. Il secondo libro di mottetti a cinque voci (1572) è dedicato al Collegio dei Reggenti della Misericordia Maggiore, il consorzio cittadino che dal 1449 amministrava la basilica; e il primo libro di mottetti a quattro voci (1578) al podestà Giacomo Contarini. Tra i mottetti delle due raccolte, che indicano l’occasione liturgica, secondo un principio piuttosto frequente nelle sillogi mottettistiche coeve (pur in assenza di un ordinamento liturgico vero e proprio), spiccano tre composizioni d’occasione su testo latino nel volume a cinque voci. Due sono «in magni Hestoris Baleonis funeribus», ovvero per le esequie celebrate in Bergamo per Astorre Baglioni, uno dei due comandanti della guarnigione di Famagosta ucciso di turchi nel 1570 (e per le quali furono pubblicati diversi opuscoli poetici); l’altro, «in destructione Turcharum», per celebrare la vittoria di Lepanto. Maggior rilievo sembra conferito al libro di messe a cinque, sei e otto voci (1575), dedicato ad Antonello Arcimboldi, protonotario apostolico e componente del Senato di Milano. È un’opera ambiziosa, che nella sua ingegnosa distribuzione offre diversi modelli di procedure compositive, compresa la bicoralità (cfr. Tibaldi, 2010). Allo stesso Arcimboldi già nel 1573 Vinci aveva dedicato il quarto libro dei madrigali a cinque voci, con due sestine spirituali di Gabriele Fiamma e un madrigale del giovane Tasso, Mentre mia stella miri, una primizia che avrebbe avuto poi vasta fortuna tra i musicisti.

Da Bergamo continuò a mantenere i contatti con gli ambienti milanesi, e soprattutto con lo spagnolo don Antonio Londonio (de Londoño), dal 1568 presidente del Magistrato ordinario di Milano e componente del Consiglio segreto di Filippo II. Personalità ingombrante e controversa, nutrì molti interessi culturali (fu anche membro dell’Accademia degli Affidati di Pavia) e intorno a sé riunì un cenacolo di esecutori e di compositori: Vinci vi ebbe un ruolo di spicco, in primo luogo come compositore. A Londonio dedicò due libri di madrigali, il terzo a cinque voci nel 1571 (su testi per lo più anonimi, salvo tre da Petrarca, uno dall’Orlando furioso e una rima di Tarquinia Molza con esplicita indicazione dell’autrice) e il secondo a sei (1579), vero e proprio simbolo delle riunioni accademiche presso Londonio: mancano del tutto gli autori canonici, sostituiti da rimatori coevi tra cui, oltre al citato Fiamma, spiccano due poeti legati a Londonio quali Girolamo Casoni, membro degli Affidati, e soprattutto Giuliano Goselini, che «a Pietro Vinci musico eccellente» dedicò una delle sue Rime (Venezia, Deuchino, 1581, p. 182). Singoli madrigali nella raccolta sono dedicati alla figlia Isabella e al genero Carlo Trivulzio, entrambi partecipi delle riunioni musicali come cantanti e strumentisti (Di Cintio, 2017, pp. 34-41). Nei libri dedicati a Londonio compaiono anche composizioni di Paolo Caracciolo, Giovanni Monino e dell’inglese John Cowden (Giovanni Coudenno); il primo dei tre è espressamente indicato come «discepolo di Pietro Vinci».

Un’importante dedizione al madrigale spirituale – genere occasionalmente affrontato in precedenza nel confronto con rime di Fiamma – testimoniano i Quattordeci sonetti spirituali (1580) cavati dalle Rime spirituali di Vittoria Colonna d’Avalos (in MRS, XXIII, a cura di G. Patti, Firenze 2002). L’organizzazione interna della raccolta segue un principio ordinatore tendenzialmente gerarchico (la Trinità, Maria, s. Giovanni, i Magi, gli Innocenti), con una forte componente vuoi penitenziale (la Passione, il Venerdì santo) vuoi contemplativa (la Vergine), in linea con le tendenze devozionali coeve (può darsi che i Quattordeci sonetti fossero intesi come quinto libro di madrigali a cinque voci, a meno di non prestar fede alla notizia di un altrimenti ignoto quinto libro, datato 1584, citato in Mongitore, 1714). Il libro è dedicato a un’omonima discendente della nobildonna poetessa, figlia di Marc’Antonio Colonna, già ammiraglio pontificio nella battaglia di Lepanto e dal 1577 viceré di Sicilia, nominato con deferenza nella lettera dedicatoria. L’intento, verosimilmente politico, doveva preparare il terreno per il ritorno di Vinci in Sicilia.

La dedica alla giovane Vittoria è datata 10 gennaio 1580; il 28 luglio, nell’imminenza della scadenza dei dodici anni, Vinci chiese e ottenne dai Reggenti di Bergamo il permesso di recedere dall’incarico per tornare a Nicosia dai propri familiari, un ritorno sollecitato da lettere provenienti dal padre e dai fratelli; per i suoi servizi, evidentemente apprezzati, gli vennero elargiti 25 scudi, oltre alle consuete lettere di referenze (Bergamo, Biblioteca civica Angelo Mai, MIA, Terminazioni 1272, c. 20r).

Il libro delle messe a quattro voci del 1581 e il libro di mottetti a otto voci del 1582 recano sul frontespizio «Di Pietro Vinci siciliano della città di Nicosia maestro di capella in essa città», ma il ritorno non fu immediato, né è facile collocarlo anche solo in via ipotetica. La dedica ad Antonio Londonio del sesto libro dei madrigali a cinque voci, che conosciamo nell’edizione del 1584 – potrebbe essere una prima edizione pubblicata tardi, o una riedizione (l’indicazione «nuovamente posti in luce» non è sempre fededegna) – è datata Bergamo, 11 ottobre 1581, e preannuncia l’imminente partenza per la Sicilia («sono sul partirmi di Lombardia per tornare ad abitare in Sicilia, mia patria»). Del pari la dedica, ancora a Londonio, dei madrigali a quattro voci, noti nella stampa del 1583 (e valgono le considerazioni fatte per l’altro libro), è datata Bergamo, 17 settembre 1582, ma deve trattarsi di un refuso dello stampatore per 1581. La lettera annuncia la prossima partenza dalla città lombarda, e la dedica si rivolge ancora una volta al «regio senator presidente del Magistrato ordinario e del Consiglio secretto della Maestà Catolica nello stato di Milano»: il quale però proprio nel 1581 fu coinvolto in un’inchiesta ordinata da Filippo II sulla gestione della Lombardia spagnola, e in seguito ai capi d’accusa venne sospeso dall’incarico ed esiliato.

Dunque Vinci partì da Bergamo non prima di metà ottobre del 1581, e problematica risulta la piena comprensione di quella qualifica di «maestro di cappella in Nicosia»; forse la carica fu assunta in un secondo tempo, forse fu meramente onorifica. Del resto non è menzionata alcuna istituzione religiosa (poniamo la cattedrale). Il titolo di maestro di cappella poteva avere un significato generico, ovvero denotare una persona capace di comporre e di dirigere una cappella, non necessariamente un incarico vero e proprio.

Le messe del 1581 denunciano ancora evidenti legami con Milano, essendo dedicate a Anna Morone Stampa, marchesa di Soncino e sorella del cardinale Giovanni Gerolamo Morone (la prima messa è intitolata Morona), ma i mottetti del 1582 già sono dedicati al viceré Colonna. Allo stesso Colonna sono dedicati il già ricordato libro di Madrigali a tre voci (1582) – nella dedica Vinci ricorda la di lui figlia Costanza, marchesa di Caravaggio (già menzionata nella lettera dedicatoria dei Quattordici sonetti spirituali) – e le Lamentationi a quattro voci (1583); e nel libro di madrigali, oltre a varie composizioni encomiastiche in onore dei Colonna (Costanza, il marito Francesco I di Caravaggio e la loro figlia Faustina; cfr. Morucci), figurano mottetti per s. Lucia, per s. Agata e per s. Nicola, il santo titolare della cattedrale di Nicosia. Sui frontespizi dei due libri non compare più la qualifica di maestro di cappella. Al 1583 risalirebbe anche un secondo libro di madrigali a quattro voci, sempre per i tipi di Melchiorre Scotto (citato in Mongitore, 1714), che non risulta pervenuto.

L’ultimo incarico noto fu di maestro di cappella a Caltagirone, attestato in registrazioni amministrative del 1584 (Maccavino, 1988): ma fu forse una mansione di breve durata od occasionale, giacché una cappella stabile a Caltagirone è documentata solo a partire dal 1620. Sul frontespizio del settimo libro dei madrigali a cinque voci, edito proprio nel 1584, non compare alcuna qualifica, e la dedica a Francesco Spinelli, barone della Perrera, è firmata il 15 giugno dalla città di Piazza (l’odierna Piazza Armerina). Nella lettera il compositore presagisce l’imminente scomparsa, forse per l’età, forse per ragioni di salute («m’era già deliberato queste mie fatiche [...] non mandar altrimenti in luce, anci lasciarlo che dopo la mia morte alcuno, o per amicicia o per cortesia, lo mandasse in stampa»).

Morì appunto nel 1584 e venne sepolto nella cattedrale di Nicosia; la lapide funeraria, non più esistente già ai primi del Settecento, è riportata da Mongitore (1714) sulla base di testimonianze seicentesche.

Dopo la sua morte apparvero a stampa alcune composizioni rimaste inedite, soprattutto per iniziativa del piazzese Antonio il Verso: allievo di Vinci, nel 1588 curò la pubblicazione del terzo libro di mottetti a cinque e sei voci (Palermo, De Franceschi, 1588; perduto, cit. in Mongitore, 1714); nel 1591 il secondo libro di mottetti e ricercari a tre voci (in MRS, III, a cura di P.E. Carapezza, Roma 1972), forse insieme a un primo libro non pervenuto (Mongitore, 1714); nel 1592, nell’ennesima riedizione del primo libro dei madrigali di Arcadelt (Palermo, De Franceschi, 1592), da lui curata, inserì due madrigali nuovi (o forse derivanti dal perduto secondo libro a quattro); e infine nel 1601 accolse nei suoi Madrigali a sei voci libro secondo, stampati a Venezia, l’ancora inedito Dal sacro Pindo ogni pastor più saggio. Fuori dal contesto siciliano si segnala il madrigale Face d’amor non vive nella collettanea Armonia di scelti authori a sei voci sopra altra perfettissima armonia di bellezze d’una gentildonna senese in ogni parte bella (Venezia, Scotto, 1586), dedicata al conte Giovanni Bardi; e a Siena nel 1586 Vincenzo Galilei (che nel suo Fronimo intavolò due madrigali di Vinci) fece eseguire un proprio madrigale in onore del compositore (Vinci te stesso pur cantando, vinci), poi incluso l’anno dopo nel suo secondo libro di madrigali a quattro e cinque voci (Venezia, Gardano). Singoli madrigali furono ristampati anche in antologie edite ad Anversa e a Leida (ed. in MRS, VI, a cura di F. Piperno, Firenze 1991), intavolati per liuto, e sotto forma di travestimento spirituale. Menzionato da Pietro Ponzio per un suo mottetto (Ragionamento di musica, Parma, Viotti, 1588, p. 114), è ricordato da Pietro Cerone, insieme a Marc’Antonio Ingegneri, per la perizia nel contrappunto più artificioso (El melopeo y maestro, Napoli 1613, p. 89).

Opere. Per l’elenco delle opere sopravvissute e perdute si rimanda a The new Grove (2001), a Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Kassel 2007, e a Bianconi, 1972.

Fonti e Bibl.: F. Patrizi, L’amorosa filosofia (1577), a cura di J.C. Nelson, Firenze 1963, pp. 38, 41; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula, II, Panormi 1714, p. 162; C. Scotti, Il Pio istituto musicale Donizetti in Bergamo, Bergamo 1901, pp. 192 s.; N. Pelicelli, Musicisti in Parma nei secoli XV-XVI, in Note d’archivio per la storia musicale, IX (1932), p. 45; Gli atti della visita apostolica di S. Carlo Borromeo a Bergamo (1575), a cura di A.G. Roncalli, I, Firenze 1936, pp. 357 s.; F. Mompellio, P.V., madrigalista siciliano, Milano 1937; O. Tiby, I polifonisti siciliani del XVI e XVII secolo, Palermo 1969, ad ind.; L. Bianconi, Sussidi bibliografici per i musicisti siciliani del Cinque e Seicento, in Rivista italiana di musicologia, VII (1972), pp. 34-38; O. Mischiati, Indici, cataloghi e avvisi degli editori e librai musicali italiani dal 1591 al 1798, Firenze 1984, ad ind.; I. Fenlon, “In destructione Turcharum”: the victory of Lepanto in sixteenth-century music and letters, in Andrea Gabrieli e il suo tempo. Atti del Convegno internazionale, Venezia... 1985, a cura di F. Degrada, Firenze 1987, pp. 293 s.; N. Maccavino, Musica a Caltagirone nel tardo Rinascimento: 1569-1619, in Musica sacra in Sicilia tra rinascimento e barocco. Atti del Convegno, Caltagirone... 1985, a cura di D. Ficola, Palermo 1988, p. 97; P.E. Carapezza - G. Collisani, V., P., in The new Grove dictionary of music and musicians, XXIV, London-New York 2001, pp. 575-579; S. Niwa, Duke Ottavio Farnese’s chapel in Parma, 1561-1586, diss., Graduate School of International Christian University, Tokyo 2002; A. Delfino, Scrittura a tre voci e cantus firmus nel tardo Cinquecento: note a margine di un Agnus Dei di P.V., in Il cantus firmus nella polifonia. Atti del Convegno internazionale, Arezzo... 2002, a cura di F. Facchin, Arezzo 2005, pp. 121-139; F. Piperno, «Sì alte, dolce e musical parole». Petrarca, il petrarchismo musicale e la committenza madrigalistica nel Cinquecento, in Petrarca in musica. Atti del Convegno internazionale, Arezzo... 2004, a cura di A. Chegai - C. Luzzi, Lucca 2005, pp. 330 s., 333-335, 337 s.; P.E. Carapezza - G. Collisani, V., P., in Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Personenteil, XVII, Kassel 2007, coll. 17-20; R. Tibaldi, Ingegneri e V. rielaborano Palestrina: alcune riflessioni sulla fortuna del Prenestino nel XVI secolo, in Musica tra storia e filologia. Studi in onore di Lino Bianchi, a cura di F. Nardacci, Roma 2010, pp. 638, 641, 661-677; E. Di Cintio, «Princeps musicorum Mediolani»: Antonio Londonio e il mecenatismo musicale nella Milano spagnola, in Il Saggiatore musicale, XXIV (2017), pp. 23-56; V. Morucci, Baronial patronage of music in early modern Rome, London-New York 2018, pp. 20-23.

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