Pilade

Enciclopedia Dantesca (1970)

Pilade (Pillade)

Antonio Martina

Figlio di Strofio, il re della Focide che si faceva risalire attraverso Foco ed Eaco sino a Zeus, e di Anassibia, sorella di Agamennone.

Quando Oreste fu allontanato dalla reggia di Agamennone, o perché non avesse a soffrire per la sua tenera età a causa della paventata morte di Clitennestra, come si vuol far credere in Eschilo (Agam. 877 ss.), o perché, come attesta Stesicoro seguito da Pindaro (Pyht. IX 17), la nutrice lo avrebbe sottratto a Clitennestra nel momento in cui costei uccideva Agamennone, o, infine, per evitargli di vivere accanto a Clitennestra ed Egisto durante l'assenza di Agamennone, fu posto sotto la protezione di Strofio. Oreste e P. furono allevati insieme, ed ebbe così origine quell'amicizia che sarebbe divenuta celebre nell'antichità. Il personaggio di P. si sviluppò soprattutto nella tragedia: dopo che Agamennone fu ucciso da Clitennestra con l'aiuto di Egisto, P. fu vicino con esortazioni e consigli a Oreste, cui l'oracolo delfico aveva suggerito di vendicarsi uccidendo la madre. Si vuole che egli abbia lottato contro il figlio di Nauplio, venuto in soccorso di Egisto. Fu vicino a Oreste anche durante il viaggio in Tauride; ne sposò poi la sorella, Elettra, dalla quale ebbe due figli, Medone e Strofio Il. La testimonianza più grande dell'amicizia tra i due si ebbe quando Oreste dovette comparire come matricida davanti ai giudici del tribunale dell'Areopago per essere processato. P. si presentò a sua volta davanti ai giudici deciso a sacrificarsi in nome dell'amico, mentre Oreste perseverava nel dichiarare di essere lui il colpevole.

D. allude a P. in Pg XIII 32, nel secondo girone, dove sono condannati gl'invidiosi. Quivi si sentono gridare da ignote voci trasvolanti nell'aria esempi di amore, la virtù contraria all'invidia. Tra due moniti alla carità derivati dal mondo cristiano è inserito, con procedimento non inconsueto in D., quello di Oreste e Pilade.

D. ne aveva notizia dal De Amicitia di Cicerone, che ricorda i fragorosi applausi con cui era accolta la relativa scena della tragedia di Pacuvio, il Dulorestes: " Qui clamores tota cavea nuper in hospitis et amici mei M. Pacuvi nova fabula! cum ignorante rege [cioè Toante] uter eorum esset Orestes, Pylades Orestem se esse diceret, ut pro illo necaretur; Orestes autem, ita ut erat, Orestem se esse perseveraret. Stantes plaudebant in re ficta; quid arbitramur in vera facturos fuisse? Facile indicabat ipsa natura vim suam; cum homines, quod facere ipsi non possent, id recte fieri in altero iudicarent " (VII 24). Anche in un passo del De Finibus Cicerone, alludendo alla stessa tragedia, parla delle acclamazioni che suscitava la scena, riferendo le parole di Oreste: " Ego sum Orestes ", e quelle di P.: " Immo enimvero ego sum, inquam, Orestes ". L'episodio ricorre in Ovidio (Pont. III II 69 ss.) e Valerio Massimo (IV 7); ma la fonte di D. è Cicerone.

Le parole l' sono Oreste, che possono essere attribuite sia a Oreste sia a D., costituiscono il nucleo centrale di un episodio altamente significativo rievocato nella sua essenzialità dalla voce trasvolante. D. non ha esitato a inserirlo tra due esempi derivati dal mondo cristiano, perché, come di quelli, ha considerato soprattutto lo spirito caratterizzante l'azione. V. ORESTE.

Il nome di P. ricorre anche in Rime dubbie IX 13 (" qual fu ad Oreste ne la insania dira / Pillade, me offro a te fin a la pira ").

Bibl. - Oltre ai commenti alla Commedia, cfr. P. Renucci, D. disciple et juge du monde gréco-latin, Parigi 1954, ad indicem.

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