PIO VII

Enciclopedia dei Papi (2000)

Pio VII

Philippe Boutry

Barnaba Chiaramonti nacque a Cesena il 14 agosto 1742 dal conte Scipione e dalla contessa Giovanna Coronati Ghini. Le due famiglie appartenevano al patriziato locale, ma non avevano una tradizione curiale: per la carriera di Barnaba fu decisiva l'ascesa in Curia, poi l'ingresso nel Sacro Collegio (1771) e l'elezione pontificale (1775) del conterraneo Angelo Braschi-Pio VI: pur non essendo, probabilmente, imparentati (Consalvi ne diede assicurazione ai cardinali riuniti in conclave a Venezia), i Chiaramonti e i Braschi erano legati dalla comune appartenenza alla nobiltà cittadina, nonché da solidarietà e conoscenze (Olimpia Chiaramonti, sorella maggiore del futuro P., entrò nelle Celibate di Rimini di cui Olimpia Braschi, sorella di Pio VI, era la superiora), che fecero del cardinale Chiaramonti "la creatura più diletta" di papa Braschi (L. Pásztor, Le "Memorie sul conclave tenuto a Venezia", p. 289), il suo debitore, il suo protetto e, contrariamente alle consuetudini, il suo immediato successore. I primi passi di Barnaba Chiaramonti, in mancanza di fonti, restano oscuri. La sua famiglia, a causa di rovesci di fortuna subiti dalla generazione precedente, occupava a Cesena una posizione modesta. Il nonno aveva dovuto abbandonare il palazzo avito (che P., malgrado la sua radicale estraneità a qualsiasi forma di nepotismo, cercò di riacquisire con le proprie finanze per restituirlo al nipote Scipione); il padre morì nel settembre 1750, lasciando la vedova con una femmina e quattro maschi. Il primogenito, Giacinto, entrò nei Gesuiti nel 1749 per essere ridotto in seguito allo stato secolare, finché il fratello nel 1809 gli assegnò la modesta carica di arcidiacono di Cesena; Tommaso, il secondogenito, perpetuò la casata; Gregorio abbandonò molto presto l'Accademia dei Nobili Ecclesiastici e dipese dalla famiglia; Olimpia, come già si è detto, entrò nelle Celibate di Rimini per morire nel 1828 come semplice "monaca di casa"; l'ultimogenito Barnaba, dopo studi verosimilmente conclusi (secondo l'ipotesi avanzata da J. Leflon) come oblato nel monastero benedettino di S. Maria del Monte, che domina Cesena, qui fu ammesso il 26 luglio 1756. Sei anni più tardi anche la madre prese il velo assumendo il nome di suor Teresa Diletta di Gesù e Maria e si ritirò presso le Carmelitane di stretta osservanza a Fano, dove morì il 26 novembre 1777. Il figlio Barnaba, di ritorno dal conclave di Venezia, celebrò una messa sulla sua tomba il 20 giugno 1800. Il cardinale Chiaramonti, divenuto vescovo di Imola, rientrò a Cesena nel 1796; in seguito papa P. soggiornò quindici giorni nella città romagnola nella primavera del 1814, prima di raggiungere di nuovo Roma: se pure sono state sottolineate, talvolta, certe esuberanze e alcune asprezze del suo "temperamento romagnolo", l'austero pontefice benedettino, al contrario del suo munifico predecessore, procurò alla famiglia, alla città natale e ai compatrioti solo vantaggi assai modesti. Sottratto al "mondo" per entrare a quattordici anni nell'Ordine benedettino, l'orfano cominciò il suo noviziato il 2 ottobre 1756 in S. Maria del Monte, sotto la guida di don Gregorio Caldarera; il 10 ottobre 1756 indossò l'abito di novizio in presenza del futuro cardinale segretario di Stato de Zelada e prese il nome di don Gregorio; infine, il 20 agosto 1758, pronunciò i voti nello stesso monastero. Il programma di studi filosofici e teologici in seno all'Ordine benedettino era stato rinnovato dalla Congregazione di Montecassino e approvato da Innocenzo XI nella bolla Inscrutabili divina sapientia (1687): una volta concluso il noviziato, istituiva cicli di insegnamento specializzato nei principali monasteri dell'Ordine, mentre gli allievi più promettenti erano destinati ad un collegio centrale (S. Anselmo) con sede nel monastero romano di S. Paolo fuori le Mura. La formazione teologica, lunga e approfondita, del futuro papa coprì un arco di otto anni (1758-1766) e si svolse fra Cesena, Padova e poi Roma: ad essa seguirono quindici proficui anni di insegnamento a Parma e Roma (1766-1781). Don Gregorio Chiaramonti, in data ignota, venne trasferito da Cesena al monastero di S. Giustina a Padova, nella Repubblica di Venezia, dove rimase fino al 1763, conservandone un ricordo affettuoso (vi si recò poco dopo la sua elezione nel marzo del 1800). Il potente monastero accoglieva i novizi delle famiglie aristocratiche veneziane; disponeva di insegnanti rinomati e di una ricca biblioteca e intratteneva relazioni culturali abbastanza strette con la Congregazione di St-Maur in Francia. A Padova il futuro papa approfondì le sue conoscenze del latino, del greco e dell'ebraico e venne avviato agli studi teologici in un clima spiccatamente giansenista e antigesuitico: "A me poi fino dalla prima adolescenza [confidò molto più tardi al cardinal Pacca, che lo riportò nelle sue Memorie] s'insinuarono sentimenti d'odio, e di avversione, e quasi fino al fanatismo contro la Compagnia. Basti il dire, che mi furono date da leggere per farne anche qualche estratto, le famose Lettere Provinciali di Pascal in lingua francese, e poi la traduzione latina con note peggiori del testo di Nicole sotto il cognome di Wendrak; la Morale politique des Jésuites d'Arnaldo, ed altri libri di simile argomento, ai quali io allora di buona fede prestai piena credenza". Passato nel 1763 al collegio S. Anselmo di Roma, in seguito a segnalazione dei suoi maestri (la scuola si limitava infatti ad accogliere dieci allievi ogni anno e J. Leflon individua in questa scelta "un riconoscimento ufficiale del suo singolare valore", Pie VII, p. 66), don Gregorio vi completò la sua formazione teologica; forse all'epoca era influenzato (senza tuttavia che ciò sia suffragato da prove incontestabili) dall'ambiente filogiansenista romano, eredità del pontificato di Benedetto XIV e ancora relativamente attivo ed autorevole. Promosso nel 1766 docente di teologia nel monastero di S. Giovanni Evangelista a Parma, don Gregorio lasciò Roma per recarsi nella corte più ostile dell'intera penisola alle posizioni ecclesiologiche del papato. In questa città rimase nove anni. Sotto l'egida dei duchi di Borbone-Parma, il primo ministro du Tillot perseguiva una politica risolutamente anticurialista. Avviato nel 1764, il conflitto si riaccese il 30 gennaio 1768 con la pubblicazione del monitorio Alios ad apostolatus (30 gennaio 1768) dell'intransigente Clemente XIII; il 3 febbraio la corte di Parma bandì dai suoi territori tutti i membri della Compagnia di Gesù, decretandone la confisca dei beni, mentre i Borbone di Francia, Spagna e Napoli manifestarono la loro solidarietà alla casata parmense occupando Avignone, il Contado Venassino, Benevento e Pontecorvo. Pur essendo incluso nell'editto sulla riforma dei conventi (2 febbraio 1768) che determinò l'espulsione di quasi quattrocento religiosi stranieri dai Ducati di Parma e Piacenza, don Gregorio fu risparmiato dal provvedimento. Sembra sia rientrato nel novero di "coloro che per la loro pietà e la loro scienza meritano di ottenere un permesso di soggiorno": questo "placet" governativo testimonia perlomeno l'esistenza di potenti appoggi a corte, se non addirittura di esplicite simpatie di Gregorio per la politica parmense, che gli evitarono ogni sorta di difficoltà fino alla sconfitta finale di du Tillot sfociata nella fuga del 10 novembre 1771. A Parma il futuro papa ebbe l'opportunità di conoscere e frequentare un ambiente intellettuale attratto dalla politica di mecenatismo culturale promossa dal ministro riformatore. Il personaggio di maggior spicco era Condillac, precettore dell'infante don Ferdinando di Borbone-Parma dal 1758 al 1767; vi figuravano anche il teatino Paciaudi, direttore della Biblioteca Palatina di Parma e consigliere personale di du Tillot, i padri Jacquier e Le Sueur, che avevano insegnato alla Sorbona, e alcuni professori del collegio Alberoni di Piacenza. È a Parma che il futuro P., in veste di bibliotecario dell'abbazia di S. Giovanni, cominciò a coltivare le sue inclinazioni di bibliofilo, una delle rare passioni della sua vita: si procurò le opere esegetiche di don Calmet e le edizioni greche e latine dei Padri della Chiesa, la Summa di s. Tommaso, la teologia positiva di Denys Petau, il De re diplomatica di Mabillon, il Novus thesaurus veterum inscriptionum di Muratori; il nome del futuro papa compare anche (per conto della biblioteca) fra i ventisette sottoscrittori parmensi dell'edizione livornese dell'Encyclopédie (1770-1779). Dopo la sua partenza da Parma, essendo stato nominato vescovo di Tivoli, Tommaso Vincenzo Falcetti, canonico del Laterano, gli dedicò nel 1784 la sua traduzione italiana dell'Essai sur l'origine des connaissances humaines (1754) di Condillac, di cui don Gregorio è stato l'ispiratore; ulteriore indizio, questo, dell'apertura del futuro pontefice, nei burrascosi anni di pontificato di Clemente XIII e Clemente XIV, alle tendenze moderate dell'"Aufklärung" cattolica, pur nella impossibilità, in mancanza di fonti, di precisare meglio le sue posizioni ed opinioni personali. Gli anni di lettorato nel collegio di S. Anselmo (1775-1781), se rappresentano una vera e propria consacrazione per il giovane teologo, non consentono tuttavia di far luce sull'evoluzione intellettuale del futuro papa: i suoi corsi non si sono conservati e fra gli allievi non emerse alcuna personalità significativa. Il benedettino fu richiamato a Roma in coincidenza con l'elevazione al soglio di Angelo Braschi (15 febbraio 1775): i due uomini si erano senz'altro conosciuti e apprezzati prima di questa data, quando il futuro P. risiedeva nell'abbazia benedettina di Subiaco che il cardinal Braschi aveva ricevuto in commenda. Gli archivi di S. Paolo fuori le Mura conservano soprattutto le tracce di dispute interne all'abbazia, dove il protetto di Pio VI era oggetto dell'ostilità di una parte dei confratelli. Nominato nel 1781 per grazia pontificale abate commendatario di S. Maria del Monte di Cesena e abate onorario di S. Paolo, don Gregorio si scontrò con l'autorità dell'abate "di governo". Pio VI risolse la controversia elevando il suo compatriota alla sede della diocesi suburbicaria di Tivoli, nel corso del Concistoro dell'11 dicembre 1782; il nuovo vescovo fu consacrato dal cardinale de Zelada in S. Ambrogio il 21 dicembre. Il breve episcopato a Tivoli (1782-1785) non ha lasciato traccia negli archivi. La diocesi, benché prestigiosa per le memorie archeologiche e storiche e per la sua prossimità a Roma (dove il vescovo si recò di frequente su invito di Pio VI, ospite nel palazzo di Monte Cavallo), contava soltanto ventidue parrocchie, in gran parte povere e isolate tra le montagne. Don Gregorio lasciò S. Paolo per Tivoli il 30 gennaio 1783, preceduto da una significativa lettera pastorale latina. Si dimostrò un vescovo attento alle prescrizioni del concilio di Trento, compì una visita pastorale (malgrado le difficoltà del percorso, affrontò tre viaggi nell'ottobre e nel novembre 1783, poi nel maggio 1784) ed entrò in conflitto con il rappresentante locale del Sant'Uffizio per difendere la propria giurisdizione espiscopale. Il favore di Pio VI si manifestò in modo eclatante nel Concistoro del 14 febbraio 1785, quando elevò il suo protetto, all'età di quarantadue anni, al Sacro Collegio e gli affidò la diocesi di Imola, in cui successe al cardinale Bandi, uno zio materno di papa Braschi scomparso nel marzo 1784. Preceduto da una lettera pastorale datata 1° luglio, redatta a S. Paolo fuori le Mura, il nuovo vescovo, dopo aver preso possesso del titolo cardinalizio di S. Callisto il 27 giugno, fece il suo ingresso nella cattedrale di Imola il 12 agosto 1785. I quindici anni di episcopato del cardinale Chiaramonti (legato alla sua sede episcopale al punto da sostarvi quasi dieci giorni, nella primavera del 1814, per celebrare in questa città da pontefice l'ufficio della Settimana santa, e da rinunciare alla sua sede solo nel Concistoro dell'8 marzo 1816, in favore del cardinale Rusconi) rappresentano a tutti gli effetti un periodo di maturazione. La diocesi emiliana, alla vigilia della Rivoluzione, contava novantaquattromila fedeli distribuiti in centoventotto parrocchie amministrate da un migliaio di preti (di cui un quarto soltanto preposto alla "cura animarum"). Con intelligenza e determinazione, che non escludono la meticolosità, il nuovo vescovo elaborò una pastorale d'ispirazione tridentina, attenta alla tutela degli interessi della Chiesa, alla dignità del culto, alla formazione del clero e all'istruzione dei fedeli. Dette prova di fermezza anche nel difendere le prerogative episcopali di fronte all'autorità politica e amministrativa del cardinal legato di Ferrara, cui l'oppose un conflitto piuttosto vivace. Nell'esercizio delle funzioni pastorali, le sue prospettive si aprirono su orizzonti più vasti: a Imola e nei dintorni della città offrì ospitalità ad un centinaio di Gesuiti cileni, rifugiatisi in Italia dopo la soppressione della Compagnia, fra cui Manuel de Lacunza y Díaz, l'apocalittico autore de La venuta del Messia in gloria e maestà (1790). Si preoccupò inoltre di accogliere nella sua diocesi - nei limiti consentiti dalle modeste risorse a disposizione - i preti refrattari francesi che avevano trovato asilo nello Stato pontificio all'indomani della rivoluzione del 10 agosto 1792: esaudendo le richieste della Congregazione "de caritate Sanctae Sedis erga Gallos", diretta a Roma dal prelato Lorenzo Caleppi, nell'autunno 1792 accettò di provvedere ai bisogni di venti converse e trentadue preti e religiosi (il cui numero fu elevato a quarantuno); nei loro confronti applicò rigorosamente le direttive antigianseniste e antigallicane preconizzate dalle autorità romane. Il suo episcopato fu ben presto turbato dall'eco, sempre più ravvicinata, degli eventi rivoluzionari. Richiamato presso Pio VI per consultazioni, il cardinale Chiaramonti lasciò Imola il 7 gennaio 1793 per raggiungere Roma il 15 gennaio; fu ospitato in S. Paolo fuori le Mura. Testimone del radicalizzarsi del clima controrivoluzionario nella capitale pontificia (dove Bassville era stato assassinato il 14 gennaio), partecipò al Concistoro segreto del 17 giugno 1793, nel quale Pio VI pronunciò l'elogio funebre di Luigi XVI, assimilato di fatto ad un martire della fede. Di ritorno nella sua diocesi, nella primavera del 1796 subì gli effetti dell'intervento militare francese in Italia. Imola fu occupata una prima volta il 22 giugno dalle truppe del generale Augereau e il 28 giugno dovette versare ai vincitori un tributo di 61.000 scudi. Fautore di una politica di conciliazione, il vescovo di Imola, pur riuscendo ad evitare il peggio alla sua città, si rivelò impotente a scongiurare la sollevazione della vicina Lugo, investita il 6 luglio da diverse migliaia di insorti, e in seguito il sacco della città da parte dei Francesi, nella notte fra il 7 e l'8 luglio: Augereau si vantò con Bonaparte di aver lasciato trecento morti sul campo di battaglia. Alla partenza dei Francesi il cardinale Chiaramonti celebrò un Te Deum nella cattedrale, il 6 agosto; ma, essendo esposto agli attacchi dei partiti della sua diocesi, il 14 ottobre abbandonò Imola alla volta di Cesena. Era dunque assente dalla sua sede episcopale, allorché venne occupata una seconda volta dalle truppe del generale Victor (1° febbraio 1797), e non incontrò neppure Bonaparte che vi si stabilì il 2 febbraio.

Richiamato da Pio VI a Roma, dove giunse il 10 febbraio, il cardinale Chiaramonti assisté impotente al crollo militare e diplomatico dello Stato pontificio e alla conclusione del trattato di Tolentino (19 febbraio 1797), negoziato sotto la minaccia di un'invasione dal cardinale Mattei, il quale cedé al vincitore Avignone, il Contado Venassino e le Legazioni, nonché opere d'arte e preziosi manoscritti. Il trasferimento della sovranità sulle Legazioni alla Francia rivoluzionaria sconvolse l'assetto degli equilibri politici e religiosi in cui il cardinale Chiaramonti aveva vissuto fino a quel momento: Imola non apparteneva più agli Stati della Chiesa e il sovrano non era più il pontefice. La laicizzazione delle strutture statali si iscrisse anch'essa in un processo di democratizzazione dell'intera società. Il congresso di Reggio, composto da delegati delle quattro città di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia, riorganizzò i territori del Ducato di Modena e delle Legazioni in una Repubblica Cispadana (1° gennaio 1797), riunita sei mesi più tardi alla Repubblica Cisalpina (18 luglio 1797). Nella sua breve lettera pastorale datata 4 marzo, scritta alla vigilia della partenza da Roma (22 marzo), il vescovo di Imola si richiamò con forza all'insegnamento di s. Paolo (Romani 13, 2) per raccomandare ai fedeli la sottomissione al "Vittorioso Supremo Generale dell'Armata Francese d'Italia" (era la prima allusione a Bonaparte da parte del futuro P.): "Ricordatevi che se d'ogni onesto cittadino è un preciso dovere la subordinazione, l'obbedienza, il rispetto alle costituite Potestà, molto più lo è di un buon Cattolico, che non può ignorare con quanto impegno vengano inculcate nelle sagre pagine, le quali in più luoghi non lasciano di farci riflettere, che la pubblica Autorità è una derivazione della potestà divina, e che non si può conseguentemente resistere a quella senza resistere a Dio medesimo, e senza andare incontro all'eterna dannazione" (I. Spada, p. XXVIII). Questo primo testo indica con chiarezza i principi che ispirano la "teologia politica" del vescovo di Imola nel naufragio dello Stato ecclesiastico: una sottomissione di stampo provvidenzialista alle vicissitudini politiche e militari contingenti; una preoccupazione di conciliazione, di ordine pastorale e civico, con i poteri civili e di pacificazione delle popolazioni; e un impegno particolare nel dimostrare la precedenza e la superiorità dell'insegnamento del cristianesimo in rapporto ai principi della morale, del diritto naturale e della società politica, che derivino dall'Antichità oppure dai Lumi. Il cardinale Chiaramonti, il 29 marzo 1797, ritrovò la sua sede episcopale occupata e "rivoluzionata": dovette affrontare la situazione creatasi per il clero all'interno di un'organizzazione giuridica, civile e politica integralmente rinnovata. La costituzione della Repubblica Cisalpina, ricalcata su quella francese dell'anno III e promulgata da Bonaparte a Milano l'8 luglio 1797, pur riconoscendo la libertà di culto (art. 355), si fondava su un principio di sovranità democratica interamente secolarizzato; d'altra parte imponeva sia al clero che all'insieme dei funzionari pubblici l'obbligo del giuramento di fedeltà al nuovo regime. Il 16 novembre 1797 giunsero ad Imola i due commissari della Repubblica Cisalpina incaricati di applicare questa legislazione politica ed ecclesiastica, uno dei quali era il poeta Vincenzo Monti, l'opportunista autore della Bassvilliana. Pretesero dal vescovo di Imola un intervento pubblico che affermasse la stretta unione fra vangelo, libertà e fraternità. È in questo contesto di rivolgimenti civili e di pressioni politiche che dev'essere inquadrata la celebre Omelia del cittadino cardinal Chiaramonti vescovo d'Imola diretta al popolo della sua diocesi nella repubblica Cisalpina nel giorno del Santissimo Natale l'anno MDCCXCVII. Non è opportuno sopravvalutarne né l'importanza né l'originalità: il testo riflette, nelle sue linee generali, le istruzioni contemporanee dei vescovi delle ex Legazioni e delle correnti ecclesiastiche "conciliatrici" del "Triennio"; e il sermone del vescovo di Imola non suscitò particolari inquietudini tra i cardinali riuniti in conclave a Venezia. L'omelia acquistò una certa notorietà soltanto quando il cardinale Chiaramonti fu eletto papa e assunse una coloritura polemica all'epoca delle restaurazioni monarchiche, allorché l'"abbé" Grégoire ne diffuse una traduzione francese (1818); quanto ai primi biografi di P., cercheranno di ridimensionarne il significato, passandola sotto silenzio (E. Pistolesi nel 1824) oppure contestandone, a torto, la paternità (J.-A.-F. Artaud de Montor nel 1836). Queste polemiche sono ormai vane. L'omelia del 25 dicembre 1797 (di fatto, antidatata di dieci giorni), testo capitale per la comprensione del futuro pontificato, dev'essere interpretata al contempo come opera di circostanza e come tentativo di elaborazione di una teologia politica cristiana in epoca rivoluzionaria. A tale proposito, dev'essere posta in relazione con i due testi che la precedettero e la seguirono, ossia la lettera pastorale già menzionata, del marzo 1797, conseguente all'annessione delle Legazioni, e quella del 25 luglio 1799, pubblicata all'indomani dell'occupazione austriaca di Imola: ciò detto, è necessario cercare di coordinare queste argomentazioni apparentemente contraddittorie. Infatti, da un uomo che perseguì come linea costante del suo pontificato la restituzione degli Stati della Chiesa nella loro integralità, sia l'invasione francese del 1797 sia la "liberazione" austro-russa del 1799 non potevano che essere considerate come usurpazioni del Patrimonio di S. Pietro, di cui gli imperscrutabili decreti della Provvidenza imponevano di prendere atto. E, allo stesso modo, non era tanto per opportunismo politico (come talvolta è stato suggerito), quanto piuttosto per un profondo attaccamento alla pace civile, acuito senz'altro dalla memoria dei sanguinosi eventi di Lugo, e per un'intima sottomissione alla volontà di Dio, che il cardinale Chiaramonti, a dispetto delle incertezze e delle ansie suscitate dall'invasione francese, salutava nel 1797 "il Vittorioso Supremo Generale dell'Armata Francese d'Italia" per aver "nella più energica maniera promesso non solo la sicurezza delle vostre proprietà, e persone, [ma] in oltre protestato, che da buon Cattolico si pregierà sempre di proteggere, e sostenere i veri Coltivatori della santissima nostra Religione, e di lei Ministri, che senza punto mischiarsi negli affari del Governo politico, unicamente si occuperanno nel soddisfare esemplarmente i doveri del Sagro loro Ministero, né cessarono d'inspirare ai popoli alla spirituale loro cura affidati sentimenti di tranquillità, e di pace" (I. Spada, p. XXVII). Il tono della lettera pastorale del 1799 è senz'altro più caloroso verso "l'Augusto nostro Liberatore, l'invitto difensore dei diritti della Chiesa, e del Trono, il piissimo Imperatore Francesco Secondo" ed esprime senza perifrasi la nostalgia per l'"Ancien Régime": "Grazie al Dio degli Eserciti, il timore non più ci circonda. Io miro, o dilettissimi, ridervi la gioia sul volto. Voi benedicite e nelle Chiese, e nelle vostre case quella mano benefica, la quale vi liberò, e sostenne i sacri diritti della Chiesa e dei Troni. Le vittoriose Armate Austro-Russe sono rivolte alla grande impresa, e l'Onnipossente le anima, e le conduce, e compisce i preziosi trionfi" (ibid., pp. XXXVII, XXXIX). Ma questo discorso di sottomissione alle autorità costituite, d'ispirazione paolina, come già nel 1797 sottintende la contemporanea rivendicazione del rispetto delle proprietà, delle persone e delle coscienze da parte dei vincitori, la conciliazione delle autorità politiche ed ecclesiastiche, il ristabilimento del culto cattolico e della pace civile: "Se alcuna volta la prudenza ci ha obbligati ad una ragionevole circospezione, questo nostro contegno proveniva dal puro desiderio di non esporre la causa della verità, e della religione. La pietà ha le sue parole, ha il suo silenzio, ha il suo zelo, ha la sua circospezione" (ibid., p. XXXVIII), spiegò il vescovo di Imola nel 1799.

Quest'orientamento religioso e pacifico assunse un certo rilievo nell'estate del 1799, segnata dalla crociata controrivoluzionaria degli eserciti della coalizione della Santa Fede e dei Viva Maria e dalle lotte civili che insanguinarono le città e le campagne all'indomani del crollo delle municipalità democratiche: "Furono pubblici i delitti, e pubblica ancora esser deve la penitenza, sempre in edificazione", rammentò il cardinale, per esortare subito alla riconciliazione: "Io non vorrei che vi trasportasse ad odiare i vostri fratelli traviati, che si lasciarono sedurre dalla novità della dottrina, dall'incanto delle passioni, e molto più dai tristi incantatori. Abbiate pure in odio l'iniquità, ma separate la persona dal delitto. I vostri prossimi in quanto sono prossimi, sebbene peccatori possono avere parte con voi nell'eterna eredità, e sotto questo aspetto dovete amarli" (ibid., pp. XXXIV, XXXVIII). L'omelia del 1797, se nell'immediato fu dettata dalle esigenze dei commissari della Repubblica Cisalpina, si inserì nondimeno in un approccio di più ampio respiro alle possibili condizioni teologiche di una conciliazione fra vangelo, libertà e democrazia: si trattò di un esercizio circostanziato di teologia politica, di elevata qualità intellettuale e grande forza argomentativa, che spiega il carattere al contempo astratto e strategico del testo, la cui architettura retorica è essenziale alla sua comprensione storica. L'oratore si applica innanzitutto a formulare una definizione cristiana della libertà, fondata sul rispetto della legge divina e umana e sull'equilibrio fra ragione e grazia, e a determinare i doveri dell'uomo nella vita sociale. È in questo contesto che si colloca il primo passaggio politico del testo: "La forma di governo democratico addottata fra di noi, o dilettissimi fratelli, non è in opposizione colle massime fin qui esposte, né ripugna al Vangelo; esige anzi tutte quelle sublimi virtù, che non s'imparano che alla scuola di Gesù Cristo e le quali, se saranno da voi religiosamente praticate, formeranno la vostra felicità, la gloria e lo splendore della nostra Repubblica" (cfr. La religione amica della democrazia, p. 280). Dopo aver posto la rivelazione cristiana a fondamento di ogni società umana, il vescovo di Imola si prodiga per porre la morale cristiana alle origini di un'autentica democrazia politica. Evocando la legislazione e i valori repubblicani dell'antica Roma (riportando una lunga citazione dal Catilina di Sallustio), ne mette in relazione la morale scaturita dalla sola "ragione naturale" con il "verbo divino" che fonda la Città di Dio di s. Agostino: "Le morali virtù, che non sono poi altro, che l'ordine dell'amore, ci faranno buoni democratici, ma di una democrazia retta, e che non altro cura, che la comune felicità" (ibid., p. 282). Infine, trattando il tema dell'uguaglianza sotto la legge comune, esalta l'insegnamento del vangelo e le prime comunità cristiane, adoperandosi per definire una dottrina cristiana della fraternità (e richiamandosi, a sostegno della morale evangelica, ad una lunga citazione apologetica dall'Émile di Rousseau). La conclusione è scontata: la fedeltà all'insegnamento del cristianesimo e l'obbedienza alle prescrizioni della Chiesa costituiscono il fondamento morale e la miglior garanzia politica della democrazia. "Sì, miei cari fratelli, siate buoni cristiani e sarete ottimi democratici" (ibid., p. 289). Lungi dall'essere un riconoscimento del principio della democrazia e del regime repubblicano, come pretendeva l'"abbé" Grégoire, l'omelia del cardinale Chiaramonti opera un'inversione delle relazioni reciproche fra religioso e politico e una gerarchizzazione dei valori. Il vescovo di Imola era tenuto ad indurre i suoi fedeli a sostenere la Repubblica Cisalpina: è la democrazia che è chiamata a fondare il suo sviluppo sul cristianesimo, in virtù del primato e dell'anteriorità della legge divina su quella umana, della religione sulla morale e della morale sulla politica. Questi testi capitali, nei quali si può cogliere distintamente la personalità intellettuale e spirituale del futuro papa, esprimono alcune linee portanti che possono agevolare un'interpretazione più generale del successivo pontificato: una notevole fermezza di convinzioni e di pensiero; una capacità particolare di individuare, ponderare ed estendere il campo delle possibilità dalla teologia alla storia; uno spirito di conciliazione e pacificazione; infine, un'intima e passiva sottomissione alla volontà divina. Questa sensibilità per gli eventi era senz'altro il segno distintivo di un percorso singolare in tempo di guerre e di rivoluzioni.

L'anno 1799 rappresentò una netta cesura nell'esistenza del cardinale Chiaramonti. La sconfitta militare francese in Italia ad opera delle armate della seconda coalizione e la disfatta politica della democrazia davanti all'Insorgenza, da cui il vescovo di Imola sembra essersi sempre tenuto prudentemente a distanza, determinarono la vittoria degli eserciti austro-russi e degli insorti, che il 31 maggio 1799 fecero il loro ingresso di concerto ad Imola, evacuata il giorno precedente dalle truppe del generale Hullin; i beni dei "giacobini" furono immediatamente saccheggiati. Il ritorno inopinato dei Francesi, il 1° giugno, suscitò un'ondata di panico e il vescovo di Imola assunse di nuovo un ruolo essenziale di pacificazione: placò la collera del generale Hullin e celebrò un Triduum di azioni di grazie, poi assisté alla partenza definitiva dei Francesi (10 giugno), salutò il ritorno degli Austriaci (11 giugno), officiò un nuovo Te Deum in onore della liberazione della città (9 luglio) e pubblicò la sua lettera pastorale sulla conclusione degli eventi rivoluzionari (25 luglio): dando prova di un certo coraggio in considerazione dei progetti di annessione delle Legazioni all'Austria, vi evoca la figura del "Commun Padre de' Fedeli il nostro Sommo Pontefice Pio VI, le di cui luttuose circostanze vi sono troppo note" (I. Spada, p. XL). In settembre apprese la notizia della morte del suo protettore, sopraggiunta a Valence il 29 agosto 1799. Il papa defunto, con un breve datato 11 febbraio 1797 e due bolle del 30 dicembre 1797 e del 13 novembre 1798, si era preoccupato di fissare le condizioni in cui avrebbe potuto riunirsi il conclave dei cardinali, anche fuori di Roma, sotto la protezione di una potenza cattolica: su iniziativa del cardinale decano Gianfrancesco Albani fu scelta l'isola veneziana di S. Giorgio Maggiore per beneficiare della tutela ravvicinata dell'imperatore austriaco. Il 1° dicembre 1799 Chiaramonti entrò in conclave con gli altri prelati. Il conclave di Venezia si protrasse per centoquattro giorni. Sui quarantasei porporati in vita solo trentacinque vi presero parte: ventinove italiani, due spagnoli (de Zelada e Lorenzana), un inglese (il cardinale di York, ultimo Stuart in esilio), un savoiardo molto romanizzato (Gerdil), un francese (Maury, rappresentante personale del pretendente al trono Luigi XVIII, che il conclave prese l'iniziativa di riconoscere come re di Francia) e un austriaco (l'influente Herzan von Harras, entrato in conclave il 12 dicembre con pieni poteri conferitigli dalla sua corte). La lunghezza del pontificato (ventiquattro anni) spiega come solo quattro cardinali presenti, due di Benedetto XIV (il decano Albani e il vicedecano duca di York) e due di Clemente XIV (de Zelada e Carafa di Traetto), non fossero creature del papa defunto. L'onnipotente "partito" Braschi si divideva quindi in una minoranza zelante e filoaustriaca, raggruppata intorno a Leonardo Antonelli, prima creatura di Pio VI, e a Herzan, che appoggiava la candidatura di Alessandro Mattei, arcivescovo di Ferrara, e una maggioranza "politica", riunita intorno al debole cardinal nipote Romualdo Braschi Onesti e sostenuta discretamente dalla Spagna, che caldeggiava la candidatura di Carlo Bellisomi, vescovo di Cesena. A quest'ultimo gruppo si aggregava, per fedeltà al suo protettore di sempre, il timido cardinale Chiaramonti. Si noti che i due candidati contrapposti erano entrambi vescovi delle Legazioni perdute a Tolentino. La maggioranza necessaria all'elezione era pari a ventiquattro voti: il conclave, per lunghi mesi, fu spaccato tra una maggioranza favorevole a Bellisomi (che arrivò a ventidue voti) e una minoranza schierata con Mattei (che ottenne tredici voti), tra le quali oscillavano alcuni elettori, in balia degli scrutini, che il prelato Ercole Consalvi, prosegretario del conclave, definì "neutrali" o "volanti". Quali progetti ed interessi, al di là delle inimicizie personali e delle dispute di parte che dividevano il Sacro Collegio, separavano i due gruppi antagonisti? I partigiani del cardinale Mattei perseguivano obiettivi eterogenei: per Herzan e l'Austria, Mattei era il firmatario del trattato di Tolentino, ossia il principale garante dell'abbandono delle Legazioni che l'imperatore Francesco II voleva annettersi; all'intransigente Antonelli e agli zelanti, uniti da un aspro risentimento nei confronti della Francia rivoluzionaria, Mattei era gradito per la sua reputazione di profonda pietà e perché, in quanto candidato dell'Austria, era il più accreditato ad ottenere dall'imperatore e dal cancelliere Thugut la restituzione delle tre province perdute; per Maury, che aveva una visione più spiccatamente politica, Mattei era soprattutto il cardinale della seconda coalizione contro il Direttorio. Il partito "politico" del cardinale Braschi, al contrario, nella persona del cardinale Bellisomi propendeva per un candidato che potesse garantire continuità e conciliazione, idoneo a promuovere, grazie alle buone relazioni ristabilite tra Spagna e Francia in seguito al trattato di Basilea (1795), un processo di pacificazione su scala europea. Per uscire dall'impasse, Albani e Herzan (la cui inettitudine compromise non poco gli interessi dell'Austria) si accordarono per inviare un corriere all'imperatore Francesco II, che avrebbe dovuto concedere il suo benestare all'elezione di Bellisomi: ma da Vienna non giunse risposta. Il 19 febbraio i capi della maggioranza e della minoranza, per evitare che il conclave s'impantanasse, convennero sull'opportunità di esaminare altre candidature (Gerdil, Albani, Calcagnini, Onorati per la maggioranza; Valenti Gonzaga, Livizzani, Archetti, Giovannetti per la minoranza), tutte di volta in volta scartate. In questa situazione di incertezza il conclave si orientò lentamente verso l'elezione di un cardinale in carica di una diocesi, che fosse estraneo agli antagonismi politici interni alla Curia. Se la candidatura del cardinale Hyacinthe Gerdil, primo teologo del Sacro Collegio, fu respinta da Herzan (che gli contestò la qualità di suddito del re del Piemonte-Sardegna, occupato dalla Francia, e lo minacciò di veto da parte dell'Austria), i nomi più accettabili per entrambe le fazioni si rivelarono quelli dei vescovi di Senigallia (Onorati), di Osimo e Cingoli (Calcagnini) e di Bologna (Giovannetti): si noti anche come si delineasse la figura di un regolare, infatti Gerdil era un barnabita e Giovannetti un camaldolese. Alla fine, il 12 marzo, per iniziativa di Rote Despuig y Dameto, già auditore della Rota ed emissario della Spagna presso il conclave (è l'ipotesi sostenuta da J. Leflon sulla base dei dispacci di Despuig prima dell'apertura del conclave) o del prosegretario del conclave Consalvi (è quanto suppone L. Pásztor, ma il principale interessato non è mai nominato), "accade finalmente ciò che avverte lo Spirito Santo nelle Divine Scritture e che la giornaliera esperienza dimostra, cioè che vexatio dat intellectum per escire dalle difficili posizioni delle cose" (così lo stesso Consalvi nelle sue Memorie del 1812 in L. Pásztor, Le "Memorie sul conclave tenuto in Venezia", p. 288): la candidatura del cardinale Chiaramonti, benedettino e vescovo di Cesena, fu avanzata per la prima volta. Ma si scontrò con una serie di argomenti di ordine diverso: in primo luogo, le origini cesenati, il particolare attaccamento e addirittura la presunta parentela che univano il candidato al papa defunto e facevano temere un prolungamento invariato del pontificato precedente; inoltre l'età (cinquantotto anni), che riproponeva il rischio di un altro pontificato molto lungo; l'inesperienza politica e l'assenza di prospettive chiare sulle questioni più pressanti, ossia la restituzione degli Stati pontifici, occupati dall'Austria e da Napoli, e la realizzazione di una nuova intesa europea dopo la vittoria degli eserciti della coalizione e il colpo di Stato del generale Bonaparte, avvenuto il 9 novembre 1799 (18 brumaio dell'anno VIII), alla vigilia dell'apertura del conclave; da ultimo, le resistenze dell'interessato, di cui Consalvi riuscì ad avere ragione. A favore del candidato giocarono la sua mitezza di carattere e l'amabilità, la lunga e solida formazione teologica di benedettino, la sua dignità e fermezza come vescovo, la sua estraneità ai conflitti che dividevano la Curia. Il cardinale Ruffo (infinitamente più moderato e "politico" di quanto non lasci supporre la riconquista di Napoli alla testa dell'armata della Santa Fede, di cui disapprovò le ritorsioni, e che sotto l'Impero si schierò fra i "cardinali rossi"), assecondato dal suo conclavista, l'abate Sparziani, e dall'attivo e intelligente prosegretario del conclave Consalvi, si adoperò per convincere i cardinali del partito zelante ad accettare una candidatura di consenso, che ottenne agevolmente l'approvazione del cardinale Braschi e del suo "partito".

A conclusione di un colloquio con il cardinale Herzan "è fatto il papa": il 14 marzo 1800, all'unanimità dei voti eccetto il suo, il cardinale Chiaramonti fu eletto papa e assunse il nome di Pio VII, in segno di riconoscenza e di fedeltà nei confronti del suo predecessore. Incoronato in S. Giorgio Maggiore il 21 marzo (l'acredine dell'Austria gli precluse la basilica di S. Marco), P. prese senza fretta una serie di decisioni fondamentali per l'avvenire del suo pontificato. Il 15 marzo scelse come prosegretario di Stato Ercole Consalvi, che aveva solo quarantatré anni ed apparteneva alla piccola nobiltà romana: la sua energia, l'intelligenza politica e l'infaticabile attività da lui dispiegata sono inscindibili dall'azione di Pio VII. Protetto del cardinale di York, allievo del seminario di Frascati e dell'Accademia dei Nobili Ecclesiastici, dal 1784 aveva percorso all'interno della Curia una rapida e brillante carriera prelatizia nella Congregazione del Buon Governo, come amministratore dell'ospizio di S. Michele a Ripa, auditore di Rota e assessore della Congregazione militare; imprigionato a Castel S. Angelo dalle autorità militari francesi, poi espulso da Roma, aveva manifestato la sua fedeltà a Pio VI raggiungendolo alla Certosa di Firenze nell'inverno 1798, prima di assolvere le funzioni decisive di prosegretario del conclave. I quindici anni di ministero del cardinale Consalvi a fianco di papa Chiaramonti (dal 1800 al 1806, poi dal 1814 al 1823), interrotti solo a causa dell'ostilità di Napoleone verso il responsabile di maggior spicco della Santa Sede, insieme ad un'intesa, un'influenza e una fiducia mai venute meno, accentuarono l'orientamento "politico" del pontificato, rendendo tuttavia disagevole allo storico distinguere ciò che attiene all'iniziativa del pontefice o del suo principale collaboratore: a questo proposito, la condivisione dei compiti tra Consalvi e P. preluse alla situazione analoga che si creò fra Antonelli e Pio IX mezzo secolo più tardi, preannunciando la separazione di temporale e spirituale nel destino storico dello Stato ecclesiastico. P. si trattenne a Venezia ancora tre mesi. Cercò invano di ottenere dall'imperatore Francesco II la restituzione delle Legazioni occupate dalle armate austriache. Il 15 maggio 1800 pubblicò a Venezia una prima enciclica, Diu satis, che esaltava il sacrificio di Pio VI, riaffermava con vigore la perennità della Chiesa nella persecuzione e poneva il proprio pontificato sotto il segno della "vera filosofia cristiana"; in un passaggio che alludeva alla Francia elogiò "la forza e la costanza" dell'episcopato, del clero e dei fedeli di fronte ad "una rinnovata crudeltà dei tempi antichi". Il 22 maggio inviò a Roma come legati i cardinali Albani, Roverella e Della Somaglia per ristabilire il governo pontificio. Rifiutò anche di recarsi a Vienna, come già Pio VI nel 1782, e decise di raggiungere rapidamente la capitale in considerazione della nuova offensiva che Napoleone si apprestava a lanciare in direzione delle Alpi. L'Austria, per timore di manifestazioni di solidarietà politica, gli vietò di attraversare le Legazioni: il papa, così, scortato dall'ambasciatore austriaco Ghislieri, raggiunse Pesaro via mare il 17 giugno, prima di rientrare a Roma passando per Fano, Ancona e il santuario mariano di Loreto (23 giugno). Il 3 luglio 1800 entrò trionfalmente nella capitale, restituita dalle truppe napoletane, ma dovette attendere oltre un anno per riprendere possesso, come vescovo di Roma, della basilica di S. Giovanni in Laterano (24 novembre 1801). Sul fronte interno, la principale preoccupazione sia di P. che di Consalvi (promosso segretario cardinale di Stato nel Concistoro dell'11 agosto) consisté nel portare a compimento la restaurazione morale e materiale degli Stati pontifici, sconvolti da tre anni di occupazione straniera, di rivoluzione e controrivoluzione, e ormai privati delle loro province più ricche (e delle loro entrate fiscali). Il periodo "giacobino", represso nel 1799 dalla "Giunta di Stato", senza tuttavia provocare un bagno di sangue come a Napoli, fu definitivamente liquidato da un'ampia amnistia che favorì il ritorno di numerose personalità civili ed ecclesiastiche, compromesse più o meno gravemente con gli occupanti francesi; mentre gli "insorgenti" delle campagne furono ricondotti all'ordine e all'obbedienza senza tanti riguardi, si cercò di ricomporre al servizio di una politica di moderate riforme l'unità delle élites aristocratiche, sia nobili che borghesi, pregiudicata dall'episodio repubblicano. Un gruppo di prelati riformatori (Lante, Nicolai, Vergani), riunito in una Congregazione Economica, definì intorno a Consalvi le linee generali di una politica di ispirazione preliberale, che prevedeva un'apertura dell'economia, l'abolizione o l'attenuazione dei vincoli collettivi e corporativi, una parziale secolarizzazione degli ingranaggi statali e una relativa semplificazione dei meccanismi della giustizia, della fiscalità e dell'amministrazione. Questo progetto di ampia portata fu preparato da quattro Congregazioni cardinalizie istituite il 9 luglio "per gli affari di governo, per il ristabilimento dell'antico sistema di governo, per la riforma economica del Palazzo Apostolico" e "per gli acquisti fatti nel tempo della rivoluzione", cui si aggiunse a fine luglio una quinta Congregazione particolare "sopra gli Affari ecclesiastici". Il progetto sfociò nella bolla Post diuturnas (30 ottobre 1800), o Constitutio super restauratione regiminis pontificii, che ripristinò l'antico sistema di governo ecclesiastico di Pio VI, pur cercando di introdurvi sensibili modifiche: furono nominati funzionari laici a capo dell'esercito, delle poste, dell'Annona e di numerosi settori dell'amministrazione locale e provinciale; l'amministrazione fiscale ed economica venne centralizzata e semplificata intorno alla figura del cardinale camerlengo, alla Camera apostolica e alla Congregazione del Buon Governo; la razionalizzazione della giustizia fu perseguita fissando con maggior precisione competenze, procedure e giurisdizioni (in particolare a discapito dei privilegi del Palazzo Apostolico); per finire, furono riformate anche le attribuzioni dei prelati e degli ufficiali di Curia. Queste disposizioni di natura amministrativa furono integrate da decisioni di ordine economico. Un breve dell'11 marzo 1801 stabilì la libertà di commercio del grano e di altre derrate alimentari, esaurendo progressivamente l'organizzazione plurisecolare dell'Annona a Roma, che garantiva agli abitanti della città un prezzo stabile e "politico" del grano. Due brevi del 13 marzo e del 16 dicembre 1801 estesero queste disposizioni a diverse industrie e manifatture (ad eccezione, tuttavia, dei settori chiave della lana, della seta e dell'oreficeria) sopprimendo corporazioni e privilegi. Nell'autunno 1801 il governo pontificio mise a punto una trasformazione del numerario per ritirare dalla circolazione la "moneta erosa" degli ultimi anni di pontificato di Pio VI e del periodo repubblicano. Una riforma fiscale ("motu proprio" del 19 marzo 1801 e Nuovo regolamento del sistema daziale del 20 aprile) determinò il trasferimento dei debiti dei Comuni alla Camera apostolica, una drastica riduzione dell'ammontare dei crediti dello Stato (dell'ordine di tre quinti per i luoghi di Monti e di un quinto per i "vacabili") e la soppressione di trentadue imposte o tasse, sostituite da una doppia "dativa" reale e personale. Quest'ambizioso progetto soddisfece in parte le aspirazioni politiche dell'aristocrazia romana e dei patriziati urbani delle province pontificie (a favore dei quali, l'11 maggio 1801, fu creata la Guardia nobile), e tuttavia si scontrò con i pregiudizi, le intolleranze e le multiformi resistenze dei ceti privilegiati, come pure con le apprensioni e le inquietudini delle popolazioni rurali e cittadine. Infatti, il progetto consalviano di liberalizzazione graduale delle strutture economiche liquidò brutalmente un sistema complesso e rassicurante di vincoli, controlli e forme di assistenza intimamente connesse e intrecciate fin nel profondo delle mentalità collettive, senza essere realmente sostenuto né dai grandi proprietari terrieri né da un settore manifatturiero in embrione. Le opposizioni più tenaci si manifestarono all'interno della Curia. Il cardinale Braschi Onesti, promosso camerlengo il 30 ottobre 1800, si dimise dall'incarico il 10 novembre 1801 dopo aver violentemente contrastato Consalvi a causa del ridimensionamento delle prerogative della Camera apostolica e della riduzione delle proprie rendite; e più di un prelato oppose alle riforme la forza invincibile dell'inerzia. Contemporaneamente il tracollo delle finanze pontificie e gli sconvolgimenti intervenuti in Italia modificarono l'assetto sociale e territoriale della Curia. Nel 1798 si contavano centoquarantatré prelati referendari, nel 1809 erano diventati solo centododici; l'età media d'entrata in prelatura era di ventinove anni all'epoca di Pio VI, mentre si elevò a quarantuno per i cinquantasei prelati reclutati dal 1800 al 1809; per i due grandi gruppi considerati, la quota dei napoletani si abbassa da un quarto (24%) ad un ventesimo (5%), mentre gli "statisti" (ossia i sudditi dello Stato pontificio) passano dalla metà (52%) a tre quarti (76%): sono tutti indizi di quanto la Curia fosse invecchiata, isterilita e provinciale.

La creazione di un'Accademia di religione cattolica (5 febbraio 1801) su iniziativa del prelato Zamboni, approvata da P., espresse al contempo una vigorosa rinascita dell'apologetica cattolica e una cauta opposizione dei circoli intransigenti del clero romano e della Curia nei confronti della politica consalviana. "Riformista conservatore" (R. Aubert), Consalvi va incontro così ad un parziale insuccesso nel suo tentativo di attuare una serie di riforme che giudicava indispensabili alla sopravvivenza dello Stato teocratico in cui vedeva, al pari di P., la garanzia dell'indipendenza e della libertà della Sede apostolica. Quando fu costretto ad abbandonare la segreteria di Stato, nel giugno 1806, il suo progetto di trasformazione statale era già sprofondato nell'immobilismo. Gli esordi del pontificato furono segnati comunque da un clamoroso successo diplomatico: la conclusione del concordato con la Repubblica francese, il 15 luglio 1801, seguita dal concordato del 16 settembre 1803 con la Repubblica italiana. Primo paese cattolico d'Europa per popolazione e potenza, la Francia dal 1789 aveva conosciuto notevoli sconvolgimenti religiosi (proclamazione della libertà di coscienza e di culto, nazionalizzazione dei beni della Chiesa gallicana, soppressione degli Ordini religiosi, formazione di una Chiesa "costituzionale" indipendente da Roma e fondata sul principio dell'elezione dei vescovi e dei preti) seguiti da un periodo violento di decristianizzazione, associato dal 1795 ad una forma intollerante e precaria di separazione tra Stato e Chiesa. Papa di compromesso, P. pose fra i suoi obiettivi prioritari il ristabilimento del cattolicesimo in Francia. Il suo spirito di conciliazione si accordava con i disegni stabilizzatori del primo console Napoleone, preoccupato di ricomporre il conflitto fra Chiesa e Stato, perché potesse giovare alla pace civile e al ritorno all'ordine, e di restaurare a proprio profitto, in un nuovo equilibrio, il precedente concordato di Bologna (1516). Le prime aperture di Bonaparte (in un discorso pronunciato di fronte al clero milanese il 5 giugno) furono contemporanee alla battaglia di Marengo (14 giugno 1800) e al ristabilimento della dominazione francese nell'Italia settentrionale. L'anziano cardinale Martiniana, vescovo di Vercelli, svolse in un primo tempo il ruolo di intermediario, poi P. inviò a Parigi due negoziatori: il prelato Giuseppe Spina, arcivescovo di Corinto ed esecutore testamentario di Pio VI, assistito dal teologo servita Carlo Francesco Caselli, consultore del Sant'Uffizio. A Parigi, nella massima segretezza, i legati intrapresero a partire dal 15 novembre una laboriosa trattativa con il ministro delle relazioni estere Talleyrand, già vescovo di Autun, e l'abate Bernier, abile negoziatore della pacificazione della Vandea nel 1795. Di fronte all'incagliarsi delle trattative Cacault, ambasciatore di Francia a Roma, convinse il cardinale Consalvi a recarsi di persona a Parigi: giunto in città il 20 giugno, questi riuscì non senza difficoltà a siglare un accordo il 15 luglio 1801 (26 messidoro dell'anno IX). Il bilancio di questo breve testo che si compone di un preambolo e diciassette articoli, aspramente negoziato per otto mesi, è contrastante: rappresenta al contempo una notevole concessione della Santa Sede ai principi religiosi scaturiti dalla Rivoluzione, il ristabilimento della "concordia" fra Chiesa e Stato e delle principali garanzie per l'esercizio del culto, un vero "colpo di Stato" messo a segno a discapito dell'antica Chiesa gallicana e, a più lungo termine, un formidabile rafforzamento dell'autorità del papato sulle Chiese particolari. Il cardinale Consalvi dovette abbandonare il principio che, sotto la vecchia monarchia, faceva della "religione cattolica, apostolica e romana" la religione "del Re e del regno". Ora il cattolicesimo non era altro che "la religione della grande maggioranza [maxima pars] dei cittadini francesi": formula prettamente statistica, e non giuridica, che metteva in rapporto la situazione della religione cattolica al numero dei fedeli divenuti ormai "cittadini". Si menziona nondimeno la "professione particolare" fatta dai tre consoli, clausola che salvaguarda in certa misura l'appartenenza individuale del capo del governo francese alla religione cattolica. Tramite questo dispositivo la libertà di coscienza e di culto delle minoranze protestante ed ebrea è garantita da qualsiasi impedimento di natura giuridica, mentre lo Stato, in quanto istituzione secolarizzata, afferma implicitamente la propria neutralità religiosa. Per converso la Chiesa cattolica recupera la sua gerarchia, le sue chiese e le sue rendite: le principali disposizioni del concordato di Bologna sono riconfermate a beneficio del primo console, e la Chiesa costituzionale dell'"abbé" Grégoire viene abbandonata quasi interamente dallo Stato che l'aveva creata. I vescovi saranno nominati dal governo e preconizzati dalla Santa Sede che conferisce loro l'istituzione canonica; lo Stato si assume l'onere del trattamento del clero, ormai stipendiato, e gli restituisce gli edifici religiosi non alienati; il clero è tenuto a prestare giuramento di fedeltà al governo. La Chiesa gallicana era annientata: il papa esigeva dal vecchio episcopato dimissioni collettive prima di procedere alla riorganizzazione delle circoscrizioni ecclesiastiche e alle nuove nomine; riconosceva ugualmente ai loro acquirenti la proprietà dei beni ecclesiastici alienati. Questo sconvolgimento "inaudito" (protestarono i vescovi gallicani) manifestava anche l'onnipotenza della giurisdizione pontificia che si appoggiava al potere pubblico: P., "vescovo dei vescovi", aveva negoziato di sua autorità le condizioni del ristabilimento del cattolicesimo in Francia concludendo un compromesso duraturo con lo Stato scaturito dalla Rivoluzione; la sua opera si distingueva come un atto di restaurazione religiosa e di affermazione ecclesiologica. La determinazione dimostrata da P. e da Consalvi nell'applicazione pratica dei termini dell'accordo siglato il 15 luglio 1801 appare altrettanto sorprendente: consolidava un'intesa fra Roma e la Francia che nel 1804 culminava nella consacrazione di Napoleone I da parte del papa nella chiesa di Notre-Dame a Parigi. Durante i negoziati P. aveva respinto risolutamente le pressioni ostili dell'imperatore d'Austria e del re di Napoli, liquidando senza eccessivi riguardi anche le opinioni del cardinale Maury, rappresentante del pretendente al trono di Francia Luigi XVIII. Di ritorno a Roma il 9 agosto, Consalvi, con l'appoggio del papa ottenne l'assenso della Congregazione generale degli Esteri di Francia, a dispetto delle reticenze dei cardinali Antonelli e Albani di fronte all'ampiezza delle concessioni accordate dal pontefice. Il 15 agosto 1801 P. ratificò l'accordo, lo rese noto al mondo cattolico con l'enciclica Ecclesia Christi e pubblicò lo stesso giorno il breve Tam multa, che esigeva dai titolari delle diocesi francesi le dimissioni dalla propria sede per il bene della Chiesa: su centosette vescovi dell'"Ancien Régime" ancora in vita, cinquantadue le rassegnarono nelle mani del papa, mentre quarantacinque rifiutarono di farlo (secondo le cifre fornite da J. Leflon). Quanto ai vescovi costituzionali (riuniti in concilio nazionale a Parigi), furono tutti costretti alle dimissioni dallo Stato, ma evitarono la ritrattazione adottando una formula-tipo. Il 24 agosto l'anziano cardinale Caprara, uomo di natura eminentemente conciliante che era stato nunzio a Vienna presso l'imperatore Giuseppe II, fu inviato a Parigi come legato "a latere", provvisto di poteri assai estesi, allo scopo di procedere alla riorganizzazione della Chiesa e alla riconciliazione del clero e dei fedeli a conclusione di dieci anni di rivoluzioni: fu un "papa a domicilio" (P. de la Gorce). Il 5 settembre Caprara lasciò Roma (con i futuri cardinali Sala, in qualità di segretario della legazione, e Mazio, come ciambellano) per stabilirsi il 4 ottobre a Parigi, dove negoziò con il nuovo "direttore dei Culti", il consigliere di Stato Portalis, di spirito legista e gallicano, l'insieme delle questioni relative all'applicazione del concordato. Bonaparte ratificò a sua volta l'accordo a Parigi l'8 settembre e P. pubblicò il concordato in Concistoro il 28 dello stesso mese. Il 29 novembre 1801, la bolla Qui Christi Domini rimaneggiò la carta ecclesiastica della Francia, sopprimendo le centotrentacinque diocesi dell'"Ancien Régime" e istituendo un'ampia rete articolata in dieci arcidiocesi e cinquanta diocesi per una Francia che, all'epoca, si estendeva fino alle Alpi e lungo tutta la riva sinistra del Reno. Nell'inverno 1801-1802 Bonaparte effettuò le proprie scelte nominando un episcopato "misto", composto di sedici vescovi dell'"Ancien Régime", dodici vescovi costituzionali, dai quali il papato non riuscì ad ottenere una vera e propria abiura, e trentadue promossi, fra cui l'"abbé" Fesch, zio di Bonaparte, che era stato prete giurato e ora era eletto arcivescovo di Lione e primate della Gallia. Nelle relazioni conflittuali fra Roma e Parigi sembrava fosse stata voltata pagina: dietro pressante richiesta di P., monsignor Spina riceveva l'incarico di rimpatriare le spoglie di Pio VI; esumata il 25 dicembre 1801, la salma del pontefice lasciava Valence l'11 gennaio e raggiungeva Roma via mare; le solenni esequie si svolsero a S. Pietro il 17 e 18 febbraio 1802; una statua di Canova, posta al centro della cripta dei papi, esaltava per i posteri la figura del "papa martire" della Rivoluzione francese. Lo "spirito" del concordato fu soggetto comunque ad un brusco raffreddamento in seguito alla promulgazione unilaterale, da parte del governo francese, di disposizioni regolamentari particolarmente rigide note con il nome di Articles organiques du culte catholique. I settantasei "articoli organici", opera di Portalis, fissarono limiti rigorosi alla libertà di comunicazione del papa con la Chiesa di Francia (autorizzazione governativa per la pubblicazione degli atti pontificali, indipendenza dell'episcopato nei confronti del nunzio, obbligo di insegnare nei seminari la Dichiarazione del clero di Francia del 1682), alla libertà del clero e a quella di culto nel suo complesso. Le vibranti proteste di P. rimasero inascoltate. Il concordato propriamente detto, insieme agli Articles organiques du culte catholique e agli Articles organiques des cultes protestants, fu presentato con successo da Portalis, come una legge unica, di fronte al Consiglio di Stato e alle assemblee create dalla Rivoluzione, il Tribunato e il Corpo legislativo (epurati in anticipo dei loro elementi più critici). La legge che per oltre un secolo presiedé all'assetto giuridico del cattolicesimo e del protestantesimo in Francia (i decreti relativi al culto israelita furono emanati nel 1808) fu adottata l'8 aprile 1802 (18 germinale dell'anno X) e solennemente promulgata a Parigi il 18 aprile, giorno di Pasqua: il 14 aprile vide la luce Le Génie du Christianisme di R. de Chateaubriand, che aprì la strada ad una rinnovata apologetica del cattolicesimo in conflitto con lo spirito dell'Illuminismo. Un anno più tardi, il 6 aprile 1803, trentotto vescovi dell'"Ancien Régime" non dimissionari si fecero portavoci di un'estrema, solenne protesta contro le modalità e gli effetti della riorganizzazione concordataria: due di loro, monsignor Thémines, vescovo di Blois, e monsignor de Coucy, vescovo di La Rochelle, crearono una Chiesa anticoncordataria o "Piccola Chiesa", separata da Roma, che soprattutto nella parte occidentale della Francia e nella regione di Lione riuscì ad aggregare diverse migliaia di fedeli. Questo nuovo scisma, insieme ai molteplici attriti che si manifestarono nella fase di attuazione della Chiesa concordataria, non compromise tuttavia il clima straordinariamente caloroso dei rapporti fra P. e Bonaparte, divenuto successivamente console a vita e imperatore dei Francesi. Il 17 gennaio 1803 il papa promosse quattro cardinali francesi (de Boisgelin, de Belloy, Cambacérès e Fesch); l'8 aprile il cardinale Fesch, zio del primo console, fu nominato ambasciatore a Roma (con Chateaubriand in veste di effimero segretario d'ambasciata): infine, il 29 ottobre 1804, P. accettò l'invito di Napoleone di recarsi a Parigi per celebrare la sua incoronazione in Notre-Dame, un gesto che il futuro Luigi XVIII non perdonò al papa.

Partito da Roma il 2 novembre accompagnato da molti cardinali (Antonelli, di Pietro, Braschi, Caselli, Bayane e Fesch) e da un seguito illustre (fra cui l'erudito abate Cancellieri), P. fu acclamato lungo tutto il percorso del suo viaggio attraverso l'Italia e la Francia. Il quadro (molto "ritoccato") di J.-L. David conserva la memoria dell'incoronazione avvenuta il 2 dicembre 1804, con il papa che assiste silenzioso all'autoconsacrazione di Napoleone e poi di Giuseppina (alla quale il primo si univa in matrimonio, per l'occasione, di fronte alla Chiesa) ad opera dell'imperiale sposo. P. prolungò il soggiorno a Parigi fino al 4 aprile: continuò a negoziare senza troppo successo con l'imperatore e i suoi ministri, tenne Concistoro il 1° febbraio e il 22 marzo, visitò chiese, ospedali e musei (Visconti gli fece ammirare nel Louvre le collezioni sottratte a Roma con il trattato di Tolentino); ricevette un'entusiastica accoglienza nel Faubourg St-Antoine, quartiere popolare che era stato culla della Rivoluzione. Nel viaggio di ritorno il papa effettuò una lunga sosta a Lione, dove celebrò gli uffici della Settimana santa (un importante testo del filosofo Ballanche ne perpetua la memoria), poi si diresse di nuovo verso l'Italia. Il lungo periplo di P., che appare una replica più felice del viaggio di Pio VI a Vienna, segnò, all'indomani della Rivoluzione, l'affermazione di un "carisma pontificale" che seppur privo di conseguenze politiche immediate o di effetti religiosi durevoli sulle popolazioni, trasformò tuttavia in profondità, nell'età democratica delle moltitudini, le relazioni del pontefice romano con le masse cattoliche. Il viaggio di ritorno a Roma si concluse con un'entrata trionfale in città, il 16 maggio 1805, che si prolungò il 26 giugno in una calorosa allocuzione concistoriale. Gli anni 1802-1806, nella scia del successo del concordato francese, compendio e modello di un nuovo tipo di rapporto fra la Chiesa e le nazioni "rivoluzionate" dell'Europa occidentale, segnarono una fase di un'offensiva di grande portata da parte della Santa Sede. Il 27 novembre 1801 P. mandò il cardinale Caprara a Parigi per negoziare un concordato con il rappresentante della nuova Repubblica italiana, Marefoschi. Nella costituzione della Repubblica, promulgata il 26 gennaio 1802 da Bonaparte in seguito alla consulta di Lione, il cattolicesimo fu la religione del nuovo Stato (art. 1). Il concordato italiano del 16 settembre 1803 (ventuno articoli), che non fece parola delle Legazioni annesse, era più favorevole alla Santa Sede del concordato francese (da cui riprese i dispositivi relativi alla nomina e all'investitura dei vescovi, nonché l'obbligo di prestare giuramento al governo): il cattolicesimo fu confermato nel suo statuto di religione di Stato; i beni della Chiesa non alienati furono restituiti al clero; la legislazione religiosa precedente fu abolita (art. 21). Tuttavia, il vicepresidente della Repubblica italiana Melzi d'Eril, influenzato dalla tradizione giuseppina, ne attenuò la portata abbinandolo, all'atto della sua promulgazione a Milano il 24 gennaio 1804, ad un "decreto relativo all'applicazione del trattato", che ristabilì la preminenza della legge civile sul concordato. Le indignate proteste di P. (4 agosto e 28 settembre 1804) restarono inascoltate, come pure le rimostranze seguite all'introduzione del Codice civile (compreso il divorzio) nel Regno d'Italia, l'8 giugno 1805. P. abbozzò anche un progetto di concordato per contrastare la secolarizzazione dell'Impero germanico. Il trattato di Lunéville (9 febbraio 1801), che riconosceva alla Francia l'annessione della riva sinistra del Reno, prevedeva infatti di risarcire i principi tedeschi espropriati con i beni e i Principati ecclesiastici dell'Impero: questa soluzione - che comportò l'estinguersi delle proprietà della Chiesa in terra tedesca - fu ratificata dalla Dieta di Ratisbona il 25 gennaio 1803 e confermata dall'imperatore Francesco II il 28 aprile. Il papa esternò la sua preoccupazione sia all'imperatore Francesco II (brevi del 27 giugno 1801 e del 29 gennaio 1803) che al primate Dalberg, già principe elettore di Magonza, arcivescovo di Ratisbona e arcicancelliere dell'Impero, adoperandosi affinché venisse avviato un negoziato complessivo che conducesse ad un "concordato dell'Impero" ("Reichskonkordat"). Le trattative, nelle quali Dalberg assunse un ruolo determinante ed ambiguo, coinvolsero i principi tedeschi nella loro totalità e in un primo tempo si svolsero a Vienna nel corso del 1803, fra il nunzio Severoli e il consigliere referendario Franck. In seguito i negoziati furono ripresi non a Parigi, come aveva auspicato Napoleone all'epoca della sua incoronazione, ma a Ratisbona dal nunzio di Monaco, Annibale della Genga (futuro Leone XII), che presentò tardi le sue lettere credenziali alla Dieta, il 26 giugno 1806, ma dovette ritirarsi nell'autunno 1807. Il progetto non riuscì a decollare sia a causa delle aspirazioni contraddittorie dell'Austria e dei principi (Baviera, Württemberg), sia delle ambizioni crescenti di Napoleone, vittorioso sull'Austria ad Austerlitz nel 1805 e sulla Prussia a Jena nel 1806. Il fallimento del "concordato dell'Impero" (il cui progetto fu ripreso senza successo da Consalvi al congresso di Vienna nel 1814-1815) aprì la strada a concordati particolari con gli Stati. La rottura tra la Francia e la Santa Sede si consumò al ritorno di P. a Roma. La nuova "disputa fra sacerdozio e Impero" fu generata da un duplice conflitto, di natura politica e religiosa. L'ambizione di esercitare un dominio politico, militare ed economico sull'Europa indusse Napoleone ad organizzare un "blocco continentale" contro l'Inghilterra, destinato a soffocare l'economia britannica fondata sulle esportazioni. Alla luce di questo progetto la neutralità rivendicata dal governo pontificio era impensabile. Il 15 ottobre 1805 Ancona, il porto principale degli Stati pontifici, fu occupata dalle truppe francesi: P. denunciava sdegnato questo "crudele affronto". Il 15 febbraio 1806 l'armata del generale Gouvion-Saint-Cyr fece il suo ingresso a Napoli, dopo aver attraversato senza autorizzazione gli Stati pontifici: i Borbone si rifugiarono in Sicilia e il Regno di Napoli fu sottoposto al governo di Giuseppe Bonaparte, poi del maresciallo Murat, cognato dell'imperatore; le due enclaves pontificie nel Regno erano sottratte al papa: Benevento era assegnata a Talleyrand, Pontecorvo a Bernadotte. Il porto di Civitavecchia fu presidiato nel maggio 1806. Napoleone pretese inoltre che fossero espulsi da Roma tutti i rappresentanti delle potenze che gli erano nemiche: "Vostra Santità è il sovrano di Roma, ma io ne sono l'imperatore. Tutti i miei nemici devono essere i vostri". Il 21 marzo P. riaffermò solennemente la propria neutralità: "Noi, Vicario di questo Verbo che non è il Dio delle dispute, ma della concordia non possiamo opporci ai doveri che ci impongono di preservare la pace con tutti, senza distinzione di cattolici ed eretici". Il 10 aprile il cardinale Fesch fu richiamato a Parigi per essere sostituito nella carica di ambasciatore da Alquier, che era stato membro della Convenzione (e regicida). Il 17 giugno 1806 il cardinale Consalvi fu costretto alle dimissioni in seguito alle pressioni francesi. P., che conservava intatta la sua fiducia nel segretario di Stato, nominò successivamente cardinali prosegretari Filippo Casoni (giugno 1806), Giuseppe Doria Pamphili (febbraio 1808), Giulio Gabrielli (marzo 1808) e infine l'energico e intransigente Bartolomeo Pacca (18 giugno 1808). Il 10 novembre 1806 Napoleone convocò a Berlino il nunzio Arezzo per esigere l'adesione degli Stati pontifici al blocco continentale, sancito da un decreto in data 21 novembre, ma P. rifiutò l'ingiunzione. Un ultimo tentativo di conciliazione fu intrapreso sotto l'egida del cardinale di Bayane, che era stato auditore francese del Tribunale della Rota, inviato a Parigi il 19 settembre 1807 per trattare con il ministro Champagny: ma contemporaneamente Napoleone fece occupare dalle sue truppe le Marche e l'Umbria. Il 9 novembre P. revocò a Bayane i suoi poteri, ma senza arrivare ad una rottura definitiva. Il 21 gennaio l'imperatore ordinò l'occupazione di Roma: le truppe del generale Miollis invasero la città il 2 febbraio 1808. Il papa si considerò prigioniero nel suo palazzo del Quirinale e il 27 marzo si appellò al giudizio del "Re che è al di sopra dei re".

L'imperatore mise in atto, nello stesso tempo, una politica di deliberato asservimento della Chiesa ai suoi interessi temporali e spirituali. Il 19 febbraio istituì in tutti i territori dell'Impero un "san Napoleone", oscuro martire la cui festa venne fissata il 15 agosto, giorno in cui la Chiesa celebrava l'Assunzione. Il 12 aprile il concordato italiano fu esteso al Ducato di Lucca, assegnato a Elisa Bonaparte: P. espresse una vibrante protesta che rimase inascoltata. Il 30 maggio 1806, con l'approvazione del debole cardinale Caprara, fu promulgato un Catechismo imperiale che esigeva dai fedeli "l'amore, il rispetto, l'obbedienza, la fedeltà, il servizio militare [e] i tributi imposti per la conservazione e la difesa dell'Impero". A questa Chiesa "napoleonizzata", in cui docili vescovi erano consacrati al ruolo di "prefetti viola", l'autorità del magistero pontificale era assoggettata agli interessi della dittatura imperiale, e una "teologia della guerra" era posta al servizio della politica francese di aggressione militare e di espansione territoriale in Europa, P., circondato da un Sacro Collegio intransigente in cui dominavano forti personalità come Consalvi, Pacca e di Pietro, si oppose con un desolato Non possumus. L'11 ottobre 1806 il papa rifiutò di accordare l'investitura canonica ai vescovi designati per occupare le sedi vacanti nel Regno d'Italia, rompendo con questo gesto il concordato. Nell'autunno 1807 vietò a Bayane di accettare la partecipazione dello Stato pontificio alla coalizione contro l'Inghilterra e l'aumento del numero dei cardinali francesi. Infine, a partire dal 1808, rifiutò l'investitura canonica ai vescovi nominati nelle diocesi dell'Impero: l'insieme dell'edificio concordatario era ormai compromesso. Il duplice conflitto spirituale e temporale trovò uno sbocco brutale nella soppressione degli Stati pontifici e nell'imprigionamento del papa. Il 23 marzo 1808, all'indomani dell'occupazione di Roma, il generale Miollis fece espellere quattordici cardinali non nativi dello Stato pontificio, tra cui il prosegretario di Stato Doria Pamphili, di origine genovese. Il 2 aprile le Marche furono annesse al Regno d'Italia. Il cardinale Gabrielli, il 19 maggio, pronunciò una solenne protesta a nome del papa, in seguito alla quale fu arrestato il 16 giugno e obbligato a risiedere nella sua diocesi di Senigallia. Il 6 settembre P. dovette intervenire personalmente per far liberare il cardinale Pacca e insieme a lui si rinchiuse nel Quirinale. Infine, in un decreto firmato a Vienna il 17 maggio 1809, Napoleone ordinò l'annessione di Roma e dell'Umbria all'Impero perché formassero i dipartimenti del Tevere e del Trasimeno: il 10 giugno il vessillo pontificio fu ammainato al Quirinale. Nello stesso giorno P. promulgò e fece affiggere sulle porte delle basiliche più importanti di Roma la bolla Quam memorandum, redatta dai cardinali Pacca e di Pietro: "Per l'autorità di Dio onnipotente, dei santi apostoli Pietro e Paolo, e nostra dichiariamo che tutti coloro che, dopo l'invasione di Roma e del territorio ecclesiastico, dopo la violazione sacrilega del patrimonio di S. Pietro da parte delle truppe francesi, hanno commesso a Roma e nelle Chiese contro le immunità ecclesiastiche, contro i diritti anche temporali della Chiesa e della Santa Sede, gli attentati o alcuni degli attentati che hanno suscitato le nostre giuste rimostranze […] tutti i loro artefici, fautori, consiglieri o aderenti; tutti coloro, infine, che hanno agevolato l'esecuzione di queste violenze o le hanno eseguite essi stessi, sono incorsi nella scomunica maggiore". Se pure l'imperatore non era esplicitamente menzionato, era evocato con molta chiarezza. "È un pazzo furioso che va internato", replicò quest'ultimo a Murat in una lettera inviata dal palazzo di Schönbrunn il 20 giugno. Il generale della gendarmeria Radet eseguì l'ordine imperiale nella notte fra il 5 e il 6 luglio 1809, con un assalto al Quirinale reso possibile da complicità interne. Il papa, in compagnia del solo cardinale Pacca, fu portato in una berlina verso una destinazione ignota. Condotto a Grenoble, fu separato da Pacca, che restò rinchiuso nel forte di Fenestrelle dall'agosto 1809 al gennaio 1813; P. fu poi trasferito a Savona dove giunse il 17 agosto. Il papa rimase internato a Savona per quasi tre anni (agosto 1809-giugno 1812), prima rinchiuso nel municipio, poi nel vescovato della città ligure, sotto la rigida sorveglianza del prefetto Chabrol e del comandante della gendarmeria Lagorse (un dottrinario passato in successione alla Rivoluzione e all'Impero, che per cinque anni fu il carceriere del pontefice), in un isolamento sempre crescente: il papa si considerò prigioniero, rifiutò di uscire, e nella solitudine ritrovò la disciplina di vita del "povero monaco Chiaramonti", coltivando un senso di rassegnazione e una speranza che non escludevano fermezza di principi e tenacia nella difesa dei diritti della Santa Sede. Furono pochi coloro che in Italia, in Francia e in Europa provarono turbamento per la sorte che l'imperatore aveva riservato al papa: le rare iniziative intraprese per instaurare una comunicazione con il pontefice prigioniero provennero dalla società segreta realista dei Cavalieri della Fede (molti membri della quale furono incarcerati dalla polizia imperiale), cui era collegato François-David Aynès, il principale diffusore della bolla di scomunica dell'imperatore. Prigioniero impotente della dittatura imperiale, privo di informazioni e di consigli, P. rappresentò nondimeno un rimprovero vivente alla hybris di Napoleone all'apogeo della propria potenza: "Siete il rifiuto di Dio nel silenzio di tutti gli uomini", scriverà P. Claudel nel dramma L'otage (1911). Gli anni di Savona furono contrassegnati dall'attuazione di una politica religiosa che sembrò mirata unicamente ad annientare o asservire l'autorità pontificia. Il 2 febbraio 1810 Napoleone ordinò il trasferimento a Parigi degli Archivi Vaticani, con conseguenze molto pesanti sul piano documentario. Il 2 aprile l'imperatore, all'apice della gloria, sposò a Parigi l'arciduchessa Maria Luisa, figlia dell'imperatore Francesco II, dopo che il precedente matrimonio con la sterile Giuseppina, il 17 febbraio, era stato dichiarato nullo dalle autorità francesi. Tredici cardinali, tra cui Consalvi, di Pietro, Mattei e Gabrielli, rifiutarono di indossare l'abito rosso durante la cerimonia: i "cardinali neri" furono privati senza indugio delle loro rendite e imprigionati in diverse città francesi. Il 14 maggio il diplomatico austriaco Lebzeltern, inviato a Savona su richiesta di Napoleone per ordine di Metternich, nel corso di un'udienza con il papa cercò di piegarne la resistenza, ma si scontrò con un netto rifiuto: "Quando le opinioni sono fondate sopra la voce della coscienza e sul sentimento dei proprii doveri, diventano irremovibili, e non vi è forza fisica al mondo che possa, alla lunga, lottare con una forza morale di questa natura", è la replica di P. (Un collaborateur de Metternich, pp. 153-89). I cardinali Caselli e Spina, il 5 luglio, non ebbero miglior fortuna. Il 14 ottobre 1810 l'ambizioso cardinale Maury, ormai legato all'Impero, era posto da Napoleone a capo dell'arcivescovato di Parigi (dopo il rifiuto del cardinale Fesch): P., con due brevi da Savona, del 5 novembre e 18 dicembre (che Maury finse di ignorare), gli rifiutò l'investitura canonica vietandogli di governare la diocesi. Il 20 marzo 1811 Napoleone ebbe un figlio, al quale conferì, senza alcun riguardo per il pontefice prigioniero, il titolo di "re di Roma". Da questo momento si adoperò per ottenere da P. (accanto al quale aveva collocato, nella primavera 1811, il debole monsignor Bertazzoli, suo elemosiniere, e il medico Porta) l'istituzione canonica dei vescovi da parte dei metropoliti, con la conseguenza di ridurre ulteriormente le competenze della Sede apostolica e di minacciare l'unità della cattolicità. Nello stesso tempo convocò un concilio nazionale dei vescovi dell'Impero. Il 13 giugno una deputazione di vescovi (Barral, Duvoisin, Mannay) ottenne la tacita approvazione di una nota che, al termine di sei mesi di rifiuti, attribuiva l'investitura canonica al metropolita: ma il papa si ricredette ben presto. Il concilio nazionale dei vescovi dell'Impero (sei cardinali, otto arcivescovi, ottantuno vescovi, di cui quarantuno titolari italiani) si aprì a Notre-Dame di Parigi il 17 giugno 1811: anche se Napoleone vide profilarsi minacce di scisma, i padri conciliari, compreso Fesch, riaffermarono la propria fedeltà alla Sede apostolica e all'unità della Chiesa. Una delegazione composta da quattordici membri (tre arcivescovi, sei vescovi e i cinque "cardinali rossi" Ruffo, Dugnani, Bayane, Roverella e Doria Pamphili) fu inviata a Savona per negoziare, dal 3 al 30 settembre, un decreto in cinque articoli sulle investiture canoniche: ma Bonaparte lo respinse, perché salvaguardava il principio dell'autorità pontificia limitandosi a delegarne i poteri al metropolita.

La situazione era in una fase di stallo assoluto allorché Napoleone, nella primavera 1812, partì alla conquista della Russia alla testa della Grande Armata. Con un ordine datato Dresda, 21 marzo 1812, l'imperatore, avendo avuto sentore del rischio di un'incursione inglese, dispose affinché il principe Camillo Borghese, suo cognato e governatore del Piemonte, trasferisse il papa in Francia. La decisione imperiale fu eseguita con particolare rapidità e brutalità. P., partito da Savona il 9 giugno a mezzanotte sotto la scorta del comandante Lagorse e con la sola compagnia di Bertazzoli e Porta, fu trasportato nella massima segretezza e senza alcun riguardo per l'età - aveva quasi settant'anni - in una vettura sigillata, a briglia sciolta, attraverso le Alpi in direzione della Francia. Il 19 giugno entrò nel castello di Fontainebleau, nel quale rimase prigioniero sotto stretta sorveglianza per diciannove mesi. Napoleone, nel dicembre 1812, tornò sconfitto dalla disastrosa campagna di Russia. Con la mediazione del cardinale Doria Pamphili, in un primo tempo, assistito dal vescovo di Nantes Duvoisin e da monsignor Bertazzoli, cercò di fiaccare definitivamente la resistenza del papa. Il 19 gennaio, accompagnato da Maria Luisa e dal figlio, incontrò P. a Fontainebleau e per un'intera settimana trattò con lui direttamente e senza testimoni. Ottenne dal pontefice, indebolito dalla vecchiaia, la firma di un progetto di convenzione noto con il nome di "concordato di Fontainebleau" (25 gennaio 1813): il papa cedé su tutta la linea, accettò il trasferimento della sua sede di residenza, l'istituzione dei vescovi da parte del metropolita al termine di sei mesi di vacanza e il riassetto della geografia ecclesiastica di Italia e Germania; in compenso ricevette un'importante dotazione, si vide riconosciuta una rappresentanza diplomatica, recuperò la libertà per sé e per i suoi cardinali. Mentre Napoleone si affrettò a pubblicare e celebrare il nuovo concordato, P., rinfrancato dall'appoggio dei suoi consiglieri ritrovati (Consalvi, Pacca e di Pietro), il 24 marzo inviò a Napoleone una lettera in cui ritrattava il concordato, che tuttavia l'imperatore decise di ignorare. I cardinali furono di nuovo allontanati e assoggettati all'obbligo di residenza e il papa fu ancora una volta isolato: inutili trattative si protrassero lungo l'intero corso del 1813, mentre l'Impero francese era in declino sia sul fronte politico che militare. Di fronte all'avanzata delle truppe alleate in Francia, Napoleone decise di far ricondurre il suo prigioniero a Savona. Il 23 gennaio 1814 P. lasciò Fontainebleau e, scortato da Lagorse, compì un tortuoso itinerario che toccò Orléans, Limoges, Tolosa, Montpellier, Aix e Nizza, per procrastinare il ritorno ed aggirare la valle del Rodano dove il fermento antibonapartista era al culmine. Il lungo percorso del prigioniero si tramutò in un trionfo: il carisma papale si impose nelle tappe successive del lento procedere attraverso il Midi della Francia. Folle sbandate in seguito al crollo dell'Impero e avide di pace si accalcarono al passaggio dell'anziano pontefice. Il 16 febbraio P. ritrovò la sua prigione di Savona, senza aver compiuto un solo gesto per riconquistare la propria libertà. Alla fine, in marzo, Napoleone ordinò la liberazione del prigioniero e lo fece accompagnare a Bologna, calcolando in tal modo di contrastare i progetti di annessione dell'imperatore austriaco e del re Murat. P. lasciò Savona il 19 marzo, il 25 marzo varcò le linee austriache sul Taro e fece il suo ingresso a Bologna il 31 marzo. Celebrò le cerimonie della Settimana santa ad Imola, sua antica città episcopale, si trattenne a Cesena, sua città natale, dal 20 aprile al 7 maggio, poi il 15 maggio si recò al santuario di Loreto a rendere grazie per la sua liberazione. Questo lungo soggiorno consentì al papa di attendere la conclusione delle operazioni militari e politiche in Francia (gli alleati entrarono a Parigi il 31 marzo, Napoleone abdicò a Fontainebleau il 6 aprile, Luigi XVIII si insediò alle Tuileries il 3 maggio), di avvalersi dell'appoggio dell'emissario britannico in Italia, l'intraprendente Lord Bentinck, di dare risonanza alla sua presenza non solo di pontefice ma anche di sovrano nelle Legazioni e nelle Marche, di misurare il fervore e l'attaccamento delle popolazioni, per le quali incarnò, nei rovesci della guerra, il ritorno alla pace e alla sicurezza dell'antico ordine. Nel primo messaggio rivolto alla cattolicità, pronunciato a Cesena il 4 maggio 1814, P. formulò un'interpretazione in chiave provvidenzialista delle sue tribolazioni e della sua restaurazione, riaffermando anche con forza i suoi diritti di pontefice e di sovrano. "Il trionfo della Misericordia divina è ormai compiuto sopra di Noi strappati con inaudita violenza dalla nostra Sede pacifica, dal seno de' nostri amati Sudditi; e trascinati di una in un'altra Contrada, siamo stati condannati a gemere tra la Forza quasi cinque anni. Noi abbiamo versato nella nostra prigionia lacrime di dolore prima per la Chiesa alla nostra cura commessa perché ne conoscevamo i bisogni senza poterle apprestare un soccorso, poi per i Popoli a Noi soggetti perché il grido delle loro tribolazioni giungeva perfino a Noi senza che fosse in nostro potere di arrecargli un conforto. Temperava però l'affanno acerbissimo del nostro cuore la viva fiducia, che placato finalmente il pietosissimo Iddio giustamente irritato dai nostri peccati alzarebbe l'Onnipotente sua destra per infrangere l'arco nemico, e spezzar le catene che cingevano il Vicario suo sulla Terra. La nostra fiducia non è stata delusa. L'umana alteriggia, che stoltamente pretese di uguagliarsi all'Altissimo, è stata umiliata, e la nostra liberazione, cui anche miravano gli sforzi generosi dell'Augusta Alleanza, è per prodigio inaspettatamente seguita" (A.S.V., Segr. Stato, 1814, rubrica 1).

L'entourage pontificio, che nella primavera del 1814 andò progressivamente ricostituendosi, fu dominato da un ristretto gruppo di prelati zelanti (Rivarola, Morozzo, della Genga, Sala, Mauri) che premettero per una politica radicale di restaurazione. Inviato a Roma per predisporre il ristabilimento dell'autorità papale nelle province "di prima recupera" (Roma e l'Umbria, occupate dalla truppe napoletane di Murat, ormai alleato dell'Austria), il futuro cardinale Rivarola abolì tutte le riforme introdotte dall'amministrazione napoleonica, soppresse il Codice civile, ripristinò l'amministrazione ecclesiastica e rinchiuse nuovamente gli ebrei nell'area del ghetto. L'arrivo dei primi cardinali presso P. determinò la suddivisione dei compiti: il 14 maggio a Foligno il papa restituì all'abile ed energico Consalvi le sue funzioni di cardinale segretario di Stato e lo incaricò senza indugio di negoziare con le potenze alleate la restituzione integrale dei suoi Stati; continuò ad affiancarlo, nel ruolo di prosegretario di Stato, l'intransigente cardinale Pacca, al quale fu affidata l'opera di restaurazione immediata. Il duplice carattere della restaurazione pontificia negli anni 1814-1815 fu fortemente tributario di questa scelta: per quanto attenne ai rapporti con le case regnanti, trovò attuazione su un piano eminentemente diplomatico e concordatario, mentre sul versante interno assunse una connotazione conservatrice, se non reazionaria. La restaurazione degli Stati pontifici rappresentò il capolavoro di Consalvi in ambito internazionale. Partito da Foligno il 20 maggio, raggiunse Parigi il 2 giugno, troppo tardi per reclamare la restituzione di Avignone e del Contado Venassino (confermati alla Francia dal primo trattato di Parigi del 30 maggio 1814); nondimeno, riuscì a ritirare a monsignor della Genga alcune istruzioni che rimettevano in discussione il concordato napoleonico. Il 6 giugno lasciò Parigi, dopo essere stato ricevuto da Luigi XVIII, e in una spettacolare tappa a Londra, dove giunse il 10 giugno, si incontrò con il reggente e con il ministro Castlereagh: fece valere con abilità il rifiuto opposto dalla Santa Sede al blocco continentale nel 1806 e sottolineò la necessità di un ritorno all'equilibrio nella penisola italiana divenuta oggetto delle bramosie dell'Austria. Il 23 giugno, in una nota diplomatica, reclamò la restituzione integrale degli Stati pontifici, il 9 luglio era di nuovo a Parigi, dove di fronte all'amministrazione reale che intendeva tornare al concordato del 1516, difese quello da lui concluso nel 1801; infine, lasciata la capitale francese, si stabilì a Vienna il 2 settembre per partecipare al congresso incaricato di ridisegnare la nuova carta politica dell'Europa. La sua intelligenza tattica, la capacità di mettere sul tappeto tanto gli argomenti politici quanto quelli religiosi, il rapporto di stima e di fiducia che riuscì ad instaurare con Metternich gli consentirono di realizzare gli auspici più ferventi del papa, al quale il trattato di Vienna (9 giugno 1815) restituì sia le Marche e le Legazioni (salvo alcuni territori situati a nord del Po) sia le enclaves di Benevento e di Pontecorvo. Il genio diplomatico di Consalvi salvaguardò per un altro mezzo secolo l'esistenza degli Stati ecclesiastici, garanzia indispensabile, agli occhi del cardinale e del pontefice, dell'indipendenza della Sede apostolica: un traguardo raggiunto, tuttavia, privilegiando logiche di ordine religioso in rapporto alle realtà di uno Stato ormai estraneo, nei suoi principi di governo e nelle sue strutture amministrative, al mondo scaturito dalla Rivoluzione, e che ben presto si rivelò refrattario a qualsiasi riforma. A partire dal 1815 lo Stato pontificio fu preda di un processo irreversibile di "irrigidimento sacrale" (A. Omodeo) che lo pervase in profondità. L'opera di restaurazione interna compiuta in un primo tempo in senso zelante dal cardinale Pacca, in seguito nell'ottica di un conservatorismo illuminato dal cardinale Consalvi - reintegrato nelle funzioni di segretario di Stato all'indomani del suo rientro a Roma, il 5 luglio 1815 - confermò la difficoltà sia di un mero ritorno all'"Ancien Régime", sia di un'evoluzione graduale dello Stato verso la modernità politico-amministrativa del XIX secolo: "la cosidetta restaurazione, la quale però non si ha abbastanza a decidere che cosa abbia poi veramente restaurato", scrive con amarezza l'intransigente Gioacchino Ventura nelle Memorie di religione, di morale e di letteratura del giugno 1825. La restaurazione concepita dal cardinale Pacca durante il suo "secondo ministero" (maggio 1814-luglio 1815) mirava al risanamento spirituale e materiale della Chiesa, al ripristino dell'amministrazione nelle sue antiche forme, alla punizione dei membri della Curia legati all'Impero. L'atto più spettacolare di questa restaurazione religiosa fu affidato alla costituzione Sollicitudo omnium ecclesiarum (7 agosto 1814), attraverso la quale P., con una netta cesura rispetto alla condotta del suo predecessore Clemente XIV (1773), ristabilì la Compagnia di Gesù. Due Congregazioni furono incaricate di esaminare il comportamento dei vescovi e dei sacerdoti dello Stato ecclesiastico: una dozzina di prelati risultò esclusa dalla Curia e il cardinale Maury fu brevemente imprigionato a Castel S. Angelo. Dopo il rapido intermezzo del viaggio di P. a Genova (22 marzo-7 giugno 1815), per sottrarsi in anticipo alla minaccia che il ritorno in Francia di Napoleone, durante i Cento giorni, e le armate di Murat potevano rappresentare per la libertà del pontefice, il cardinale Consalvi si applicò soprattutto a modernizzare l'amministrazione papale: il "motu proprio" del 6 luglio 1816 definì una nuova semplificazione delle strutture amministrative e giudiziarie dello Stato; fu avviata la riforma del diritto civile e penale; il regime feudale fu progressivamente abolito a partire dal 1818; inoltre, il segretario di Stato si adoperò per attrarre in Curia giovani prelati appartenenti all'aristocrazia e alla nobiltà di tutta la penisola, ottenendo solo modesti successi. Mentre gli archivi e le opere d'arte, non senza svariate difficoltà, furono restituiti dalla Francia di Luigi XVIII, dopo i numerosi progetti elaborati (ma rimasti il più delle volte sulla carta) dall'amministrazione napoleonica, la risistemazione di Roma avviata con il concorso di Canova e Valadier (che ridisegnò piazza del Popolo e i giardini del Pincio) contribuì a rendere la città uno degli epicentri del movimento neoclassico, la capitale degli "antiquari" e dell'archeologia, non senza scuotere in parte l'antica immagine della "città santa" elaborata all'epoca della Riforma cattolica. Consalvi, tuttavia, si scontrò con una duplice resistenza: da una parte, le società segrete dei carbonari, d'ispirazione liberale o patriottica, attive in particolare nelle Legazioni, che furono condannate da una bolla insieme alla massoneria, il 21 settembre 1821; dall'altra, i membri più intransigenti della Curia e del Sacro Collegio (rinnovato dai Concistori dell'8 marzo 1816 e del 10 marzo 1823 a beneficio dei prelati rimasti fedeli alla Santa Sede) che rivendicavano con forza una restaurazione più radicale sia nella Chiesa che nello Stato. Il crescente isolamento di Consalvi - che aveva accolto con molte riserve la pubblicazione del trattato Du Pape dell'irruente Joseph de Maistre - in seno alla Curia, reso più acuto dal lunghissimo esercizio del potere, causa di innumerevoli gelosie e attriti, preluse alle future rivincite del partito zelante che trionfò nel conclave del 1823. Sul piano diplomatico, comunque, Consalvi, forte del sostegno di Metternich, della stima della Gran Bretagna e di una brillante situazione mondana internazionale, perseguì con successo una politica di concordia con le case regnanti. Malgrado la riluttanza di Luigi XVIII, riuscì così a salvaguardare l'edificio del concordato napoleonico: i concordati conclusi a Roma su richiesta delle autorità francesi, il 25 agosto 1816 e l'11 giugno 1817, restarono lettera morta in seguito all'opposizione delle Camere; ma fu ripristinata la Nunziatura di Parigi (1819) e il numero delle diocesi aumentò sensibilmente (bolla del 6 ottobre 1822).

Tuttavia i principali successi diplomatici di questo periodo furono legati alla conclusione di due concordati: quello con la Baviera (24 ottobre 1817), negoziato grazie alla mediazione del futuro cardinale Haeffelin, che mitigò considerevolmente la tradizione giuseppina del Regno, e con il Regno delle Due Sicilie (16 febbraio 1818), che liquidò cinquant'anni di tensioni politiche e religiose fra i due Stati limitrofi. Questa politica di compromesso con gli Stati legittimò un nuovo rapporto, di ordine contrattuale, con i "principi cristiani". Il papa, ormai da molti anni, interveniva raramente nel dettaglio degli affari ecclesiastici e politici, pur continuando a sostenere con una risolutezza mai venuta meno, contro qualsiasi critica, l'opera del suo segretario di Stato. Al compimento del suo ottantunesimo anno, e dopo ventitré di pontificato, P. morì il 20 agosto 1823: al papa benedettino era stato tenuto nascosto l'incendio che aveva devastato, il 16 luglio, la sua antica abbazia di S. Paolo fuori le Mura. Papa delle rivoluzioni, P. attraversò nel pieno del suo svolgersi la storia dell'Impero napoleonico e della Restaurazione di Metternich, affrontò la prova dei cinque anni di prigionia con una disposizione d'animo provvidenzialista che implicava, da parte sua, fermezza sul piano dei principi, fedeltà all'eredità ricevuta e rassegnazione alla volontà divina. In questa luce, nei suoi gesti di fierezza come pure nelle sue esitazioni, egli appare il papa dei "tempi nuovi".

fonti e bibliografia

Le fonti archivistiche relative alla biografia di Barnaba (Gregorio) Chiaramonti e al pontificato di papa P. sono relativamente esigue se commisurate all'importanza della sua personalità e alla lunghezza del suo regno. Nessuna carta personale del Chiaramonti è stata conservata prima del 1780 (J. Leflon, Pie VII. Des abbayes bénédictines à la Papauté, Paris 1958, p. 25). Sono utilizzabili, in una prospettiva storica (come ha fatto lo stesso Leflon nel suo fondamentale studio sulla formazione del futuro papa, esponendosi al rischio di numerose digressioni e di alcune estrapolazioni poco verificabili), soltanto le fonti indirette o strutturali sull'ambiente imolese a metà Settecento e sul mondo benedettino di S. Maria del Monte d'Imola, di S. Giustina a Padova, di S. Anselmo a Roma o di S. Giovanni Evangelista a Parma. Il terreno diviene più sicuro, sul piano archivistico, in rapporto alle notizie sulle lotte intestine nel monastero di S. Paolo fuori le Mura (Memorie del Sagro Monastero di S. Paolo di Roma, aa. 1775-83) e sull'episcopato tiburtino (benché sia rimasto pochissimo materiale nell'Archivio Diocesano di Tivoli, ad eccezione del processo verbale delle visite pastorali effettuate: Archivio Diocesano, XXIX, 6-26 ottobre 1783, 1-22 novembre 1783, 8-18 maggio 1784); è tramandata anche la corrispondenza con l'avvocato cesenate Tommaso Lacchini (Rimini, Biblioteca Malatestiana, Mss. cesenatesi, 10, 2, 3 e 4). Le fonti cesenati, più abbondanti, sono conservate nell'Archivio Diocesano (aa. 1785-1800). La struttura archivistica relativa al pontificato di P. è stata profondamente disgregata dall'episodio, per molti aspetti disastroso ed irreversibile, del trasferimento dell'A.S.V. da Roma a Parigi ordinato da Napoleone il 2 febbraio 1810 e del suo ritorno, non meno disastroso, effettuato negli anni 1814-1817, con diverse perdite di documenti soprattutto contemporanei o recenti (sulla vicenda, v. R. Ritzler, Die Verschleppung der päpstlichen Archive nach Paris unter Napoleon I. und deren Rückführung nach Rom in den Jahren 1815 bis 1817, "Römische Historische Mitteilungen", 6-8, 1962-64, pp. 144-90).

Oltre alle serie classiche dei diversi dicasteri, uffici e segreterie di Curia, la parte fondamentale dell'archivio degli anni 1800-1814, per quanto concerne la politica ecclesiastica e le vicende dello stesso pontefice, è conservata nelle serie Epoca napoleonica (inventario sommario di A. Latreille-J. Leflon, Répertoire des fonds napoléoniens aux Archives vaticanes, "Revue Historique", 203, 1950, nr. 1, pp. 59-63). Dopo la restaurazione pontificia del 1814, le serie archivistiche ritrovano continuità e regolarità. Per la parte rimasta nell'A.S.V., si consulterà la Guida delle fonti per la storia dell'America Latina, a cura di L. Pásztor, Città del Vaticano 1970 (malgrado l'indirizzo specifico, si tratta della presentazione più efficace delle fonti); per la parte conservata nell'Archivio di Stato di Roma (essenziale per gli aspetti finanziari, amministrativi e giuridici del pontificato), v. l'inventario generale Archivio di Stato di Roma, in Guida generale degli Archivi di Stato d'Italia, Roma, Ministero per i Beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i Beni archivistici, a cura di E. Aleandri Barletta-C. Lodolini Tupputi, III, Roma 1986, pp. 1021-279.

L'archivio della Segreteria di Stato per il periodo della Restaurazione è stato oggetto di uno studio approfondito da parte di L. Pásztor, La Segreteria di Stato e il suo archivio, 1814-1833, I-II, Stuttgart 1984, da integrare con Id., La Congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari tra il 1814 e il 1850, "Archivum Historiae Pontificiae", 6, 1968, pp. 191-318.

Di particolare interesse per la storia del pontificato sono le carte del cardinale Consalvi, conservate nell'Archivio storico di Propaganda Fide (Fondo Consalvi: inventario sommario in N. Kowalsky-J. Metzler, Inventory of the Historical Archives of the Congregation for the Evangelization of Peoples or "Propaganda Fide", Roma 1988³, pp. 80-2), come pure le carte dei diversi cardinali strettamente legati al papa conservate nella serie A.S.V., Segr. Stato, Spogli de' cardinali (fondamentali per i rapporti con la Francia gli Spogli del cardinale di Pietro).

Tra gli inventari particolarmente ricchi di notizie archivistiche concernenti il pontificato di P., si segnalano anche:

G. Bourgin, Fonti per la storia dei dipartimenti romani negli Archivi nazionali di Parigi, "Archivio della R. Società Romana di Storia Patria", 29, 1906, pp. 97-144.

B. Peroni, Fonti per la storia d'Italia dal 1789 al 1815 nell'Archivio Nazionale di Parigi, Roma 1936.

E. Lodolini, Un fondo archivistico sul brigantaggio nello Stato Pontificio (Marittima e Campagna, 1814-1825), "Notizie degli Archivi di Stato", 2, 1951, pp. 72-5.

Id., L'Archivio della S. Congregazione del Buon Governo (1592-1847). Inventario, Roma 1956.

M. Loche Spaziani, Il fondo della Commissione pontificia di liquidazione dei crediti insinuati in tempo utile contro la Francia (1819-1825) nell'Archivio di Stato di Roma, "Rassegna degli Archivi di Stato", 37, 1977, pp. 129-33.

O. Cavalleri, Le carte Macchi dell'Archivio Segreto Vaticano. Inventario, Città del Vaticano 1979 (il primo nunzio a Parigi dopo il 1819).

M. Mombelli Castracane, Le fonti archivistiche per la storia delle codificazioni pontificie (1816-1870), "Società e Storia", 6, 1979, pp. 839-64.

C. Nardi, Consulta straordinaria per gli Stati Romani (1809-1810). Inventario, Roma 1990.

E. Lodolini, In tema di inventari archivistici. Inventari di fondi romani del periodo napoleonico, "Nuovi Annali della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari", 5, 1991, pp. 105-36.

Le fonti a stampa costituiscono una massa rilevante di documenti e testimonianze. I testi principali del pontificato sono riuniti nel Bullarium Romanum. Continuatio, XI-XV, a cura di A. Barberi, 1846-53; i testi dei principali concordati nella Raccolta di concordati su materie ecclesiastiche tra la S. Sede e le autorità civili, a cura di A. Mercati, I, Città del Vaticano 1954, pp. 561-68. Sul periodo imolese (1785-1793), si v. L. Costa, Un carteggio inedito del card. Chiaramonti, "Rubiconia Accademia dei Filopatridi (Savignano)", 10, 1970, pp. 80-94.

La corrispondenza del papa con Napoleone è stata oggetto di particolare interesse: H. de Surrel de Saint-Julien, Lettres inédites de Napoléon à Pie VII (1802-1806) et de Pie VII au prince Murat et à l'impératrice Marie-Louise, in Miscellanea napoleonica, Roma 1899, pp. 87-96; J. Fraikin, Les lettres originales de Napoléon Ier à Pie VII conservées aux archives du Vatican, "Revue Napoléonienne", 2, 1909, pp. 1-11.

Tra le memorie dei collaboratori e dei contemporanei di P., particolarmente significative sono le Memorie del cardinale Ercole Consalvi, a cura di M. Nasalli Della Rocca di Corneliano, Roma 1950, e le Memorie storiche del Ministero, de' due viaggi in Francia e della prigionia nel forte di S. Carlo di Fenestrelle del cardinale Bartolomeo Pacca, scritte da lui medesimo e divise in due parti, ivi 1830. Si segnala inoltre, in una prospettiva austriaca, Un collaborateur de Metternich. Mémoires et papiers de Lebzeltern, a cura di E. de Lévis-Mirepoix, Paris 1949; e, per l'occupazione francese di Roma, C. de Tournon, Études statistiques sur Rome et sur la partie occidentale des États romains, I-II, ivi 1831, da integrare con le Lettres inédites du comte Camille de Tournon, préfet de Rome, 1809-1814, a cura di J. Moulard, ivi 1914.

Attualmente sono tre le sintesi essenziali sulla vita e il pontificato di P.: il volume di J. Schmidlin, Papstgeschichte der neuesten Zeit. Pius VII. (1800-1823), München 1933; J. Leflon, in Storia della Chiesa, a cura di A. Fliche-V. Martin, XX, 1, Torino 1982; e Id., Pie VII. Des abbayes bénédictines à la Papauté, già citato. Importanti sia sul piano documentario che interpretativo sono gli elogi funebri di G. Ventura, Elogio del Santissimo Papa Pio Settimo Pontefice Massimo recitato in Napoli, Foligno 1824 e di A. Rosmini, Panegirico alla santa e gloriosa memoria di Pio Settimo Pontefice Massimo, in Prose ossia diversi opuscoli, Lugano 1834, pp. 121-230 (rist. in Opere, XXVIII, Milano 1843, pp. 393-479; su quest'opera, P. Zovatto, Il panegirico di Pio VII di Rosmini, "Ricerche di Storia Sociale e Religiosa", 22, 1993, pp. 55-83).

Tra le biografie ottocentesche, si segnalano quelle di J. Cohen, Précis historique et politique sur le pape Pie VII, Paris 1823; E. Pistolesi, Vita di Pio VII, I-IV, Roma 1824-30; J.-A.-F. Artaud de Montor, Histoire du pape Pie VII, I-II, Paris 1836 (trad. it.: Storia del papa Pio VII, Milano 1837); G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, LIII, Venezia 1852, s.v., pp. 115-72; G. Giucci, Storia della vita e del pontificato di Pio VII, I-II, Roma 1857-64; E.L. Henke, Papst Pius VII., Marburg 1860; M.H. Allies, The Life of Pope Pius the Seventh, London 1875; D. Bertolotti, Vita di Pio VII, Torino 1881.

Altri lavori di sintesi:

Nel primo centenario della morte di Pio VII, Ravenna 1923.

G. Mollat, La question romaine de Pie VI à Pie IX, Paris 1932, pp. 69-99.

E. Vercesi, I papi del secolo XIX. I-Pio VII, Napoleone e la Restaurazione, Torino 1933.

Dizionario del Risorgimento Nazionale [...], a cura di M. Rosi, III, Milano1933, s.v., pp. 890-96.

Dictionnaire de théologie catholique, XII, 2, Paris 1935, s.v., coll. 1670-83.

A. Latreille, L'Église catholique et la Révolution française, II, L'ère napoléonienne et la crise européenne (1800-1815), ivi 1950.

E.C., IX, s.v., coll. 1504-08.

C. Marcora, Storia dei papi, V, Da Pio VII a Pio IX, Milano 1973.

Catholicisme, XI, Paris 1988, s.v., coll. 261-68.

Biographisch-bibliographisches Kirchenlexikon, VII, Herzberg 1994, s.v., coll. 670-73.

Theologische Realenzyklopädie, XXVI, Berlin-New York 1996, s.v., pp. 659-61.

V. inoltre le ampie sintesi sulla Roma di Pio VI e P.:

V.E. Giuntella, Roma nel Settecento, Bologna 1971.

F. Bartoccini, Roma nell'Ottocento, ivi 1985.

H. Gross, Roma nel Settecento, Roma-Bari 1990.

Pochi sono gli studi sulle origini familiari e la formazione di P.; fondamentale, a questo proposito, il già citato J. Leflon, Pie VII. Des abbayes bénédictines à la Papauté, in partic. i capp. I-VI; v. inoltre: T. Leccisotti, Il Collegio S. Anselmo dalla fondazione alla prima interruzione (1687-1810), "Benedictina", 3, 1949, pp. 1-53; G. Montuschi, Barnaba Chiaramonti. Cenni sull'opera storica di J. Leflon. Appendici, Forlì 1959.

Sull'importante periodo parmense, per un quadro generale v.: H. Bédarida, Parme et la France de 1748 à 1789, Paris 1928 (trad. it. Parma e la Francia, 1748-1789, I-II, Milano 1985) e F. Venturi, Settecento Riformatore, II, La Chiesa e la repubblica dentro i loro limiti, 1758-1774, Torino 1976, pp. 214-35.

Sull'attività bibliotecaria e sulla bibliofilia di P.: D. Fava, La biblioteca di Papa Pio VII, "Accademie e Biblioteche d'Italia", 16, 1941-42, pp. 257-67; C. Semeraro, Biblioteche papali tra rivoluzione e restaurazione (1775-1823). Contributo per la ricostruzione del patrimonio librario di Pio VI e Pio VII, in Super fondamentum apostolorum. Studi in onore di S. Em. il cardinale A.M. Javierre Ortas, a cura di A. Amato-G. Maffei, Roma 1997, pp. 273-313. Ispirata dallo stesso Chiaramonti è la trad. italiana, eseguita dal canonico lateranense T.M. Falletti, del Saggio dell'Abate Condillac, accademico di Berlino, sopra l'origine delle umane cognizioni, dedicato all'Ill.mo e Rev.mo Monsignore Chiaramonti, patrizio Cesenate e vescovo di Tivoli, ivi 1784.

Sull'ambiente riformatore moderato romano v.: E. Dammig, Il movimento giansenista a Roma nella seconda metà del secolo XVIII, Città del Vaticano 1955.

Sul vescovato di Tivoli, v. G. Cascioli, Nuova serie dei vescovi di Tivoli, LXXIV, Gregorio Barnaba Chiaramonti (1782-1784), "Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia e d'Arte", 11-2, 1931-32, pp. 72-8 (con il testo latino della prima lettera pastorale).

Sul vescovato di Imola e gli eventi rivoluzionari degli anni 1796-1799:

G.C. Cerchiari, Ristretto storico della città d'Imola, Bologna 1847, pp. 81-94.

D.L. Baldisserri, Pio VII vescovo d'Imola, Imola 1923.

C. Zaghi, Il generale Augereau, il cardinale Chiaramonti e il sacco di Lugo, Ferrara 1934.

G. Mazzini, Gesuiti cileni in Imola (1766-1839), Bologna 1938.

R. Galli, Il cardinal Gregorio Chiaramonti, vescovo d'Imola, in Atti del XXIII Congresso di storia del Risorgimento italiano (Bologna, 11-14 settembre 1935), Roma 1940, pp. 159-69.

A. Lazzari, Una relazione inedita del sacco di Lugo nel 1796, "Studi Romagnoli", 1953, pp. 37-49.

G. Filippone, Le relazioni tra lo Stato Pontificio e la Francia rivoluzionaria. Storia diplomatica del trattato di Tolentino, I-II, Milano 1961-67.

R. Picheloup, Les ecclésiastiques français émigrés ou déportés dans l'État pontifical, 1792-1800, Toulouse 1972.

I. Spada, La Rivoluzione francese e il papa, Bologna 1989 (contiene il dossier delle lettere pastorali, pp. I-LXXII). La famosa Omelia del cittadino cardinal Chiaramonti vescovo d'Imola diretta al popolo della sua diocesi nella repubblica Cisalpina nel giorno del Santissimo Natale l'anno MDCCXCVII, è stata oggetto di una riedizione commentata a cura di V.E. Giuntella, La Religione amica della democrazia. I cattolici democratici del Triennio rivoluzionario (1796-1799), Roma 1990, pp. 274-90; l'omelia è stata tradotta con intento polemico in francese dall'"abbé" H. Grégoire, Homélie adressée au peuple de son diocèse [...] le jour de la naissance de Jésus-Christ, l'an 1797, Paris 1818. Per una prospettiva comparatista v.: Le dolci catene. Testi della controrivoluzione cattolica in Italia, a cura di V.E. Giuntella, Roma 1988.

Il conclave di Venezia è ampiamente documentato e studiato; fonti e analisi essenziali sono: L. Pásztor, Ercole Consalvi prosegretario del conclave di Venezia, "Archivio della Società Romana di Storia Patria", 83, 1960, pp. 99-187 (testo originale del Diario, pp. 145-87) e Id., Le "Memorie sul conclave tenuto in Venezia" di Ercole Consalvi, "Archivum Historiae Pontificiae", 3, 1965, pp. 239-308 (testo originale delle Memorie, pp. 271-308, in B.A.V., Vat. lat. 14605).

Sulla fase anteriore al conclave: E. Celani, I preliminari del conclave di Venezia (1798-1800), "Archivio della Società Romana di Storia Patria", 36, 1913, pp. 475-518. Tra i principali studi sull'argomento:

A. Cipolletta, Memorie politiche sui conclavi da Pio VII a Pio IX, compilate su documenti diplomatici segreti rinvenuti negli archivi degli esteri dell'ex Regno delle Due Sicilie, Milano 1863.

F. Petruccelli della Gattina, Histoire diplomatique des conclaves, IV, Paris 1864-66, pp. 281-326.

Ch. Van Duerm, Un peu plus de lumière sur le conclave de Venise et les commencements du pontificat de Pie VII, Louvain 1897.

G. Cappello, Il Conclave di Venezia (1° dicembre 1799-14 marzo 1800). Saggio storico corredato da documenti inediti, Firenze 1900.

A. Lumbroso, Ricordi e documenti sul conclave di Venezia, Roma 1903.

R. Cessi, L'Austria al conclave di Venezia del 1800, "Il Risorgimento Italiano. Rivista Storica", 1922, pp. 356-448.

A. Mater, La République au conclave et l'alliance avec Rome en régime de séparation. Le conclave de Venise, Paris 1923.

G. Damerini, Il Conclave di San Giorgio nel diario inedito del cardinale Lodovico Flangini, poi patriarca di Venezia, in L'isola e il cenobio di San Giorgio Maggiore, Venezia 1956.

B. Bastgen-H. Tüchle, Pius VII. und Consalvi. Zur Geschichte des Konklaves in Venedig, "Historisches Jahrbuch", 79, 1960, pp. 146-74.

T. Gallarati Scotti, Il conclave del 1800, in La Civiltà veneziana nell'età romantica, Firenze 1961, pp. 1-37.

G. Incisa Della Rocchetta, Il conclave di Venezia nel diario del principe don Agostino Chigi, "Bollettino dell'Istituto di Storia della Società e dello Stato Veneziano", 4, 1962, pp. 268-323.

Sulla prima restaurazione (1800-1809) nei suoi aspetti interni v.:

L. Dal Pane, Le riforme economiche di Pio VII, "Studi Romagnoli", 16, 1965, pp. 257-76.

D. Cecchi, L'amministrazione pontificia nella Prima Restaurazione, 1800-1809, Macerata 1975.

N. La Marca, Liberismo economico nello Stato Pontificio, Roma 1984.

Sulla figura del cardinal Consalvi, si rimanda a Pio VII e il card. Consalvi: un tentativo di riforma nello Stato Pontificio. Atti del Convegno internazionale di storia del Risorgimento (Viterbo, 22-23 settembre 1979), Viterbo 1981, e ad A. Roveri, Consalvi, Ercole, in D.B.I., XXVIII, pp. 33-43 (con ampia bibl.).

Sulla restaurazione romana del 1800:

M. Rossi, L'occupazione napoletana di Roma (1799-1801), "Rassegna Storica del Risorgimento", 19, 1932, pp. 693-732.

M.C. Buzelli Serafini, La reazione del 1799 a Roma. I processi della Giunta di Stato, "Archivio della Società Romana di Storia Patria", 92, 1969, pp. 137-211.

M. Cattaneo-M.P. Donato-F.R. Leprotti-L. Topi, "Era feroce giacobino, uomo ateo e irreligioso". Giacobini a Roma e nei dipartimenti nei documenti della Giunta di Stato (1799-1800), "Ricerche per la Storia Religiosa di Roma", 9, 1993, pp. 307-82.

M. Caffiero, Perdono per i giacobini, severità per gli insorgenti: la prima restaurazione pontificia, "Studi Storici", 39, 1998, pp. 569-602.

Sul ritorno a Roma del corpo di Pio VI: A..J. Rance-Bourrey, Documents sur le transport des cendres de Pie VI de Valence à Rome, Valence-Paris 1891. In merito ai concordati tra le Repubbliche francese e italiana, il punto di vista della Santa Sede è illustrato dalle pubblicazioni curate dal futuro cardinale G.A. Sala, Documenti relativi alle contestazioni insorte fra la Santa Sede ed il governo francese, I-VI, Roma 1833-34; inoltre: A. Theiner, Documents relatifs aux affaires religieuses de la France, 1790 à 1800, extraits des archives secrètes du Vatican, I-II, Paris 1857-58; I. Rinieri, La diplomazia pontificia nel secolo XIX, I, Il concordato tra Pio VII e il Primo Console. Anno 1800-1802; II, Riconciliazione del Talleyrand e de' preti di second'ordine. Il congresso di Lione. Concordato tra la S. Sede e la repubblica italiana. Anno 1802-1805, Roma 1902; sul versante francese, la pubblicazione più ampia è quella di A. Boulay de la Meurthe, Documents sur la négociation du Concordat et sur les autres rapports de la France avec le Saint-Siège en 1800 et 1801, I-V, Paris 1891-97.

Sulla legazione in Francia del cardinale Caprara per l'applicazione del concordato, i due inventari curati da J. Charon-Bordas: Inventaire des archives de la légation en France du cardinal Caprara (1801-1808), ivi 1975, e La légation en France du cardinal Caprara, 1801-1808. Répertoire des demandes de réconciliation avec l'Église, ivi 1979.

Sull'interpretazione storica dei concordati:

J.O.B. d'Haussonville, L'Église romaine et les négociations du concordat, ivi 1866.

A. Theiner, L'histoire des deux concordats de la République française et de la République cisalpine, I-II, Bar-le-Duc 1869.

J. Crétineau-Joly, Bonaparte, le concordat de 1801 et le cardinal Consalvi, Paris 1872.

F. Mathieu, Le concordat de 1801, ivi 1907.

A. Boulay de la Meurthe, Histoire de la négociation du concordat, Tours 1920.

J. Leflon, Étienne-Alexandre Bernier, évêque d'Orléans, 1762-1806, I-II, Paris 1938.

M. Gabriele, Per una storia del concordato del 1801 tra Napoleone e Pio VII, Milano 1958.

J. Martin, L'élaboration de l'article I du concordat napoléonien, in Miscellanea Amato Pietro Frutaz, Roma 1978, pp. 365-84.

C. Langlois, "Philosophe sans impiété et religieux sans fanatisme": Portalis et l'idéologie du système concordataire, "Ricerche di Storia Sociale e Religiosa", 15-6, 1979, pp. 37-57.

Sulle trattative relative alla Germania:

L. König, Pius VII., die Säkularisation und das Reichskonkordat, Innsbruck 1904.

H. Bastgen, Napoleons und Dalbergs Kirchenpolitik, Paderborn 1917.

R. Colapietra, La formazione diplomatica di Leone XII, Roma 1966.

K. Hausberger, Staat und Kirche nach der Säkularisation. Zur bayerischen Konkordatspolitik im frühen 19. Jahrhundert, Sankt Ottilien 1983.

Sulle trattative con la Russia: M.J. Rouët de Journel, Nonciatures de Russie, d'après les documents authentiques. Nonciature d'Arezzo, 1802-1806, I-II, Roma 1922-27.

Sul conflitto tra P. e Napoleone:

J.O.B. d'Haussonville, L'Église romaine et le Premier Empire, I-V, Paris 1868-70.

H. Welschinger, Le Pape et l'empereur, 1804-1815, ivi 1905.

I. Rinieri, La diplomazia pontificia nel secolo XIX, III, Napoleone e Pio VII (1804-1813). Relazioni storiche su documenti inediti dell'Archivio Vaticano, Torino 1906.

P. Féret, La France et le Saint-Siège, I, Le premier Empire et le Saint-Siège, Paris 1911.

E. Ruck, Die Sendung des Kard. de Bayane nach Paris 1807-1808. Eine Episode aus der Politik Napoleons I. und Pius VII., Heidelberg 1913.

A. Latreille, Napoléon et le Saint-Siège (1801-1808). L'ambassade du cardinal Fesch à Rome, Paris 1936.

A. Fugier, Napoléon et l'Italie, ivi 1947.

B. Melchior-Bonnet, Napoléon et le pape, ivi 1958.

E.E.Y. Hales, The Emperor and the Pope. The Story of Napoleon and Pius VII, New York 1978².

Su P. e i Bonaparte, accolti magnanimamente a Roma dopo il 1814: D. Angeli, I Bonaparte a Roma, Milano 1938; A. Pietromarchi, Luciano Bonaparte, principe romano, Reggio Emilia 1981.

Sull'incoronazione di Napoleone e il lungo viaggio di P. in Francia:

P.S. Ballanche, Lettre d'un jeune lyonnais à un de ses amis, sur le passage de N.S.P. le pape Pie VII à Lyon, le 19 novembre 1804, et sur son séjour dans la même ville les 17, 18 et 19 avril 1805, à son retour de Paris, Lyon 1805.

E. Celani, Il viaggio di Pio VII a Parigi per la coronazione di Napoleone I, Roma 1893.

C. Silva-Tarouca, I preliminari del viaggio di Pio VII per l'incoronazione di Napoleone I secondo i documenti originali conservati nell'Archivio Vaticano e nel Codice Rossiano 1172, in Nel primo centenario della morte di Pio VII, Ravenna 1923, pp. 33-43.

F. Masson, Le sacre et le couronnement de Napoléon, Paris 1925.

S. Sacchetti, Il viaggio di Pio VII a Parigi nel diario di Scipione Sacchetti, "Studi Romani", 6, 1958, pp. 446-56.

E. Rodocanachi, Pie VII à Paris. Relation de l'abbé Cancellieri, in Études et fantaisies historiques, Paris 1912, pp. 1-49.

J. Cabanis, Le sacre de Napoléon, ivi 1970.

C. Pietrangeli, Pio VII a Firenze e a Parigi nel 1804-1805. I doni del papa, "Urbe", 45, 1982, nr. 5, pp. 169-77.

P. Elli, Visita-soggiorno di Pio VII a S. Pietro di Perugia nei giorni 10-11 maggio 1805, ritornando da Parigi a Roma dopo l'incoronazione di Napoleone, "Benedictina", 45, 1998, pp. 123-81.

Sull'imprigionamento di P., due pubblicazioni ufficiali della Santa Sede: Correspondance authentique de la Cour de Rome avec la France depuis l'invasion de l'État Romain jusqu'à l'enlèvement du Souverain Pontife, 1er août 1809 (sulla diffusione clandestina del volume v. J. Verrier, François-David Aynès. La diffusion des documents pontificaux pendant la captivité de Pie VII à Savone, "Revue d'Histoire Ecclésiastique", 55, 1960, pp. 71-121, 453-91) e Documenti autentici relativi all'arresto, deportazione e trattamento del sommo pontefice Pio VII, raccolti e pubblicati per opera di alcuni Inglesi, Perugia 1814, da integrare con il volume di A. de Beauchamp, Histoire des malheurs et de la captivité de Pie VII, Paris 1814 (trad. it.: Storia delle sciagure del S.P. Pio VII, del sig. Alfonso di Beauchamp, con li documenti giustificativi e diplomatici nei quali ritrovasi anche l'istoria del concilio di Parigi dell'anno 1811, Torino 1824).

Sugli avvenimenti successivi:

H. Chotard, Le Pape Pie VII à Savone, d'après les minutes des lettres du général Berthier au prince Borghese et d'après les mémoires inédits de M. Lebzeltern, conseiller d'ambassade autrichien, Paris 1887.

D. Martinengo-F. Martinengo, Pio VII in Savona. Memorie storiche, Torino 1888 (seconda ediz. rivista sulla base di nuovi documenti, Savona 1915).

Ch.A. Geoffroy de Grandmaison, Napoléon et les cardinaux noirs (1810-1814), Paris 1895.

A. Lumbroso, La scalinata del Quirinale (6 luglio 1809), Roma 1898.

H. Mayol de Lupé, La Captivité de Pie VII d'après des documents inédits, Paris 1912.

J. Schmidlin, Pie VII, Lyon-Paris 1938, pp. 101-61.

J. Leflon, La crise révolutionnaire, Paris 1949, pp. 235-80.

U. Beseghi, I tredici cardinali neri, Firenze 1944.

L. Pásztor, Per la storia del "concordato" di Fontainebleau, in Chiesa e Stato nell'Ottocento. Miscellanea in onore di Pietro Pirri, II, Padova 1962, pp. 597-606.

Sulla seconda occupazione francese a Roma:

L. Madelin, La Rome de Napoléon. La domination française à Rome de 1809 à 1814, Paris 1906.

J. Moulard, Le comte Camille de Tournon, auditeur du Conseil d'État, intendant de Bayreuth, préfet de Rome, de Bordeaux, de Lyon, pair de France (1778-1833), II, La Préfecture de Rome, ivi 1930.

V. Bindel, Un rêve de Napoléon. Le Vatican à Paris (1809-1814), ivi 1943.

C. Nardi, Napoleone e Roma. La politica della Consulta romana, Roma 1989.

Sulla persecuzione del clero fedele al papa:

A. Mercati, Elenchi di ecclesiastici dello Stato Romano deportati per rifiuto del giuramento imposto da Napoleone, "Rivista di Storia della Chiesa in Italia", 7, 1953, pp. 51-98 e 267-68.

C.A. Naselli, La soppressione napoleonica delle corporazioni religiose. Il caso dei Passionisti in Italia (1808-1814), Roma 1970.

F. Tamburini, La Penitenzieria apostolica negli anni della occupazione napoleonica in Roma (1808-1814), "Archivio della Società Romana di Storia Patria", 96, 1973, pp. 173-225.

Diario della deportazione in Corsica del canonico di Albano G.B. Loberti (1810-1814), a cura di A. Spina, Albano Laziale 1985.

Sul complesso processo della liberazione di P.:

J. Rosselli, Il progetto italiano di Lord William Bentinck, 1811-1815, "Rivista Storica Italiana", 79, 1967, pp. 355-404.

Ph. Boutry, Traditions et trahisons. Le retour de Pie VII à Rome (19 mars-24 mai 1814), in La Fin de l'Europe napoléonienne. 1814: la vacance du pouvoir. Actes du colloque de Reims (28-29 septembre 1989), a cura di Y.M. Bercé, Paris 1990, pp. 202-18 e 370-75.

Sulla seconda restaurazione, fonti fondamentali sono la Corrispondenza inedita dei cardinali Consalvi e Pacca nel tempo del Congresso di Vienna (1814-1815), ricavata dall'Archivio Segreto Vaticano, corredata di sommari e note, preceduta da uno studio storico sugli stati d'Europa nel tempo dell'impero napoleonico e sul nuovo assestamento europeo da un diario inedito del marchese di San Marzano, a cura di I. Rinieri, Torino 1903, da mettere a confronto con la più recente edizione critica La Missione Consalvi e il Congresso di Vienna, I-III, a cura di A. Roveri, Roma 1970-73; inoltre la Correspondance du cardinal Hercule Consalvi avec le prince Clément de Metternich, 1815-1823, a cura di Ch. Van Duerm, Louvain 1899.

Sul "ministero" del cardinal Pacca a Roma (1814-1815): La ricostituzione dello Stato Pontificio (con una memoria inedita su "Il mio secondo Ministero" del Card. Pacca), a cura di A. Quacquarelli, Città di Castello-Bari 1945 (testo alle pp. 153-203); sul breve viaggio di P. a Genova: Relazione del viaggio di Pio Papa VII a Genova nella primavera dell'anno 1815 e del suo ritorno in Roma scritta dal cardinale Bartolomeo Pacca, Roma 1833.

Sugli aspetti interni della restaurazione del governo di P.: G. Cassi, Il Cardinale Consalvi ed i primi anni della Restaurazione pontificia (1815-1819), Milano 1931; M. Moscarini, La Restaurazione Pontificia nelle provincie di "prima recupera" (maggio 1814 - marzo 1815), Roma 1933.

J. Schmidlin, Pie VII, Paris-Lyon 1938, pp. 179-220.

J. Leflon, La crise révolutionnaire, Paris 1949, pp. 306-20.

A. Quacquarelli, La crisi del potere temporale del Papato nel Risorgimento (1815-1820), Bari 1940.

M. Petrocchi, La Restaurazione, il cardinale Consalvi e la riforma del 6 luglio 1816, Firenze 1941.

Id., La Restaurazione romana (1815-1823), ivi 1943; e, per finire, l'ampio volume Roma fra la Restaurazione e l'elezione di Pio IX. Amministrazione, economia, società e cultura, a cura di A.L. Bonella-A. Pompeo-M.I. Venzo, Rom-Freiburg-Wien 1997.

Sugli aspetti giuridici e amministrativi della Restaurazione:

F. Grosse-Wietfeld, Justizreform im Kirchenstaat in den ersten Jahren der Restauration (1814-16). Ein Beitrag zur Geschichte der kurialen Gerichtsbehörden und der Entwicklung des kanonischen Prozessrechts, Paderborn 1932.

A. Ventrone, L'amministrazione dello Stato Pontificio dal 1814 al 1870, Roma 1942.

A. Aquarone, La Restaurazione nello Stato Pontificio ed i suoi indirizzi legislativi, "Archivio della Società Romana di Storia Patria", 78, 1955, pp. 119-88.

G. Forchielli, Un progetto di codice civile del 1818 nello Stato Pontificio, in Scritti della Facoltà giuridica di Bologna in onore di Umberto Borsi, Padova 1955, pp. 89-164.

D. Cecchi, L'amministrazione pontificia nella Seconda Restaurazione (1814-1823), Macerata 1978.

M. Mombelli Castracane, Per una storia dei tentativi di codificazione sociale nello Stato Pontificio nel secolo XIX. La fase consalviana, "Annali della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dell'Università di Roma", 15-6, 1975-76, pp. 108-56; 19-20, 1979-80, pp. 111-240.

Sugli aspetti economici e sociali:

E. Lodolini, Il brigantaggio nel Lazio meridionale dopo la Restaurazione (1814-1825), "Archivio della Società Romana di Storia Patria", 83, 1960, pp. 189-268.

M. Tosi, La società romana dalla feudalità al patriziato (1816-1853), Roma 1968.

R. Santoro, L'amministrazione dei lavori pubblici nello Stato Pontificio dalla prima restaurazione a Pio IX, "Rassegna degli Archivi di Stato", 49, 1, 1981, pp. 45-94.

C. Schwarzenberg, Nobiltà romana e rinunzie ai diritti feudali al tempo del Cardinale Consalvi, "Strenna dei Romanisti", 1987, pp. 625-42.

Ph. Boutry, Nobiltà romana e Curia nell'età della Restaurazione. Riflessi su un processo di arretramento, in Signori, patrizi, cavalieri nell'età moderna, a cura di M.A. Visceglia, Bari-Roma 1992, pp. 390-422.

Sugli aspetti politici, D. Spadoni, La cospirazione di Macerata nel 1817, ossia Il primo tentativo patriottico italiano dopo la Restaurazione, Macerata 1895.

Id., Sette, cospirazioni e cospiratori nello Stato pontificio all'indomani della Restaurazione. L'occupazione napoletana, la restaurazione e le sette, Torino 1904.

I. Rinieri, Le sette in Italia dopo la restaurazione del 1815. La congiura di Macerata (1817), Casale 1927.

L. Pásztor, Il secondo "Piano di Riforma" di G.A. Sala e Pio VII. La Congregazione della Riforma, "Clio", 20, 1984, pp. 59-77.

M. Calzolari, Il nuovo sistema informativo di polizia per la repressione dei delitti politici (1815-1820), ibid., pp. 79-98.

Sugli aspetti ecclesiastici e religiosi:

L. Chaillot, Pie VII et les Jésuites, Roma 1879.

N. Spezzati, Gaspare Del Bufalo nella Restaurazione post-napoleonica, ivi 1974.

C. Semeraro, Restaurazione, Chiesa e società. La seconda ricupera e la rinascita degli ordini religiosi nello Stato Pontificio (Marche e Legazioni, 1815-1823), ivi 1982.

Per un quadro generale delle attività diplomatiche durante il pontificato di P., oltre alle opere già citate di J. Schmidlin e J. Leflon, v. G. De Marchi, Le Nunziature apostoliche dal 1800 al 1956, ivi 1957.

La situazione internazionale del papato durante la seconda parte del pontificato di P. è strettamente legata al nuovo equilibrio europeo creato dal congresso di Vienna:

I. Rinieri, La diplomazia pontificia nel secolo XIX. Il Congresso di Vienna e la Santa Sede, 1813-1815, Torino 1904.

A. Omodeo, Cattolicesimo e civiltà moderna nel sec. XIX. Il cardinale Consalvi al Congresso di Vienna, "La Critica", 36, 1938, pp. 426-40; 37, 1939, pp. 24-36, 201-11, 279-97, 355-70 (ripubblicato in Id., Studi sull'età della Restaurazione, Torino 1974, pp. 365-455).

S. Furlani, La Santa Sede e il congresso di Verona, "Nuova Rivista Storica", 44, 1955, pp. 465-91.

A. Tamborra, I congressi della Santa Alleanza di Lubiana e di Verona e la politica della Santa Sede (1821-1822), "Archivio Storico Italiano", 118, 1960, pp. 190-211.

Sulle relazioni della Santa Sede con l'Austria e il mondo germanico:

E. Ruck, Die römische Kurie und die deutsche Kirchenfrage auf dem Wiener Kongress, Basel 1917.

A. Hudal, Die österreichische Vatikanbotschaft, 1806-1918, München 1952.

B. Bastgen, Bayern und der Heilige Stuhl in der ersten Hälfte des 19. Jahrhunderts, ivi 1940.

F. Engel-Janosi, Die politische Korrespondenz der Päpste mit den oesterreichischen Kaisern, 1814-1914, Wien-München 1964.

G. Franz-Willing, Die bayerische Vatikangesandtschaft, 1803-1934, München 1965.

A. Reinerman, Metternich and the Papal Condemnation of the Carbonari, "The Catholic Historical Review", 54, 1968, pp. 55-69.

R. Fendler, Johann Kasimir von Häffelin, 1737-1827. Historiker, Kirchenpolitiker, Diplomat und Kardinal, Mainz-Trier 1980.

Sulle relazioni con gli altri Stati italiani:

W. Maturi, Il concordato tra la Santa Sede e le Due Sicilie, Firenze 1929.

J.H. Brady, Rome and the Neapolitan Revolution of 1820-1821. A Study in Papal Neutrality, New York-London 1937.

A. Costa, Giuseppe Barbaroux ambasciatore presso la Santa Sede (1816-1824), "Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino", 66, 1968, pp. 465-521.

A. Van De Sande, La Curie romaine au début de la Restauration. Le problème de la continuité dans la politique de restauration du Saint Siège en Italie, 1814-1817, 's-Gravenhage 1979.

Sulle relazioni con la Francia di Luigi XVIII:

P. Féret, Le Concordat de 1816. Ambassade à Rome de Cortois de Pressigny et du comte de Blacas, "Revue des Questions Historiques", 1901, pp. 187-240.

Id., Le Concordat de 1817. Suite de l'ambassade du comte de Blacas. Ambassade du comte Portalis, ibid., 1902, pp. 144-202.

Ph. Sagnac, Le Concordat de 1817. Étude des rapports de l'Église et de l'État sous la Restauration (1814-1821), "Revue d'Histoire Moderne et Contemporaine", 7, 1905-06, pp. 189-210, 269-88, 433-53.

Ph. Boutry, "Le Roi martyr". La cause de Louis XVI devant la Cour de Rome (1820), "Revue d'Histoire de l'Église de France", 74, 1990-91, pp. 57-71.

Sulle relazioni con i Paesi Bassi di re Guglielmo I:

J. Kleijntjens, Brieven van Mgr L. Ciamberlani, vice-superior der Hollandsche Missie, 1795-1828, I-II, Harlem-Heiloo 1946.

P.J. Van Kessel, La corrispondenza di Luigi Ciamberlani, vice-superiore delle missioni olandesi, con la Curia Romana (1795-1814), "Mededelingen het Nederlands Historish Instituut te Rome", 40, 1978, pp. 151-67.

M. Chappin, Pie VII et les Pays-Bas. Tensions religieuses et tolérance civile, 1814-1817, Roma 1984.

Sulle relazioni con la Spagna di re Ferdinando VII, il Portogallo e le loro ex colonie dell'America Latina v.:

P. de Leturia, La acción diplomática de Bolívar ante Pio VII, a la luz de l'Archivo vaticano, Madrid 1925.

Id., La emancipación hispanoamericana en los enformes episcopales a Pio VII, copias y extractos del Archivo Vaticano, Buenos Aires 1935.

I. de Villapadierna, Conflicto entre el cardinal primado y el nuncio, Mons. Gravina en 1809-14, "Anthologica Annua", 5, 1957, pp. 261-311.

V. Cárcel Ortí, El archivo del nuncio en España, Giacomo Giustiniani (1817-1827), "Escritos del Vedat" (Torrente-Valencia), 6, 1976, pp. 265-300.

Id., El archivo de Pietro Gravina, nuncio en España (1803-1817), ibid., 9, 1979, pp. 303-20.

M. Cesar de Lima, Lourenço Caleppi, primeiro núncio no Brasil (1808-1816), segundo documentos do Arquivo Secreto Apostólico do Vaticano, Rio de Janeiro 1977.

E. Brazão, Relações diplomaticas de Portugal com a Santa Sé da Revolução Francesa a Bonaparte (1790-1803), I-III, Lisboa 1973.

Id., Relações diplomaticas de Portugal com a Santa Sé de Bonaparte a Napoleão I (1803-1805), ivi 1974.

J. Miller, Portugal and the Holy See c. 1748-1830. An Aspect of the Catholic Enlightment, Roma 1978.

Sulle relazioni con il mondo anglosassone: J.T. Ellis, Cardinal Consalvi and Anglo-Papal Relations, 1814-1823, Washington 1942.

Sulle relazioni con l'Impero russo dello zar Alessandro I: S. Olszamowska-Skowro´nska, La correspondance des papes et des empereurs de Russie (1814-1878), Roma 1970.

Sul movimento religioso e teologico durante il pontificato di P.:

C. Latreille, Joseph de Maistre et la Papauté, Paris 1906.

A. Aubert, La géographie ecclésiologique du XIXe siècle, in L'ecclésiologie au XIXe siècle (Strasbourg, 26-28 novembre 1959), "Revue des Sciences Religieuses", 34, 1960-64, pp. 11-55.

Y.M. Congar, L'ecclésiologie, de la Révolution française au Concile du Vatican, sous le signe de l'affirmation de l'autorité, ibid., pp. 77-114.

D. Bertetto, Pio VII e la festa liturgica "Auxilium Christianorum" (1815-15 settembre 1965), "Salesianum", 38, 1966, pp. 130-49.

G. Pignatelli, Aspetti della propaganda cattolica a Roma da Pio VI a Leone XII, Roma 1974.

F.X. Bantle, Unfehlbarkeit der Kirche in Aufklärung und Romantik. Eine dogmengeschichtliche Untersuchung für die Zeit der Wende von 18. zum 19. Jahrhundert, Freiburg 1976.

A. Piolanti, L'Accademia di Religione Cattolica. Profilo della sua storia e del suo tomismo, Città del Vaticano 1977.

B. Jacqueline, Le Saint Siège et la publication de "Du Pape" d'après les archives du Vatican, 1818-1820, "Revue des Études Maistriennes", 8, 1983, pp. 59-82.

Sugli aspetti culturali, intellettuali e artistici sotto il pontificato di P. e il movimento neoclassico:

G. Brigante Colonna, Roma neoclassica. Interpretazioni, Firenze 1927.

A. Muñoz, Roma nel primo Ottocento, Roma 1961.

Arte a Roma dal neoclassico al romanticismo, a cura di F. Borsi, ivi 1979.

Sul mondo degli eruditi, degli "antiquari" e dei "romanisti":

M. Tullii Ciceronis de re publica quae supersunt, a cura di A. Mai, ivi 1822.

P.E. Visconti, Biografia dell'abate Carlo Fea, ivi 1836.

G. Gervasoni, Angelo Mai, Bergamo 1954.

A. Campana, Borghesi, Bartolomeo, in D.B.I., XII, pp. 624-43.

A. Petrucci, Cancellieri, Francesco, ibid., XVII, pp. 736-42.

O. Rossi Pinelli, Carlo Fea e il chirografo del 1802. Cronaca, giudiziaria e non, delle prime battaglie per la tutela delle "belle arti", "Ricerche di Storia dell'Arte", 8, 1978-79, pp. 27-42.

La Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Note storiche, a cura di C. Pietrangeli, Roma 1983.

Sull'Università e la stampa:

F.M. Renazzi, Storia dell'Università degli studi di Roma detta comunemente la Sapienza, I-IV, ivi 1803-06.

O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dell'Ottocento, I-II, ivi 1963.

J. Vernacchia Galli, L'Arciginnasio romano secondo il diario del Prof. Giuseppe Settele (1810-1836), ivi 1984.

F. Gasnault, La réglementation des universités pontificales au XIXe siècle. I-Réformes et restaurations: les avatars du grand projet "zelante" (1815-1834), "Mélanges de l'École Française de Rome. Moyen Âge-Temps Modernes", 96, 1984, nr. 1, pp. 177-237.

Sul movimento artistico e architettonico:

M. Missirini, Memorie per servire alla storia della Romana Accademia di S. Luca fino alla morte di Antonio Canova, Roma 1823.

Id., Della vita di Antonio Canova, Prato 1824.

R. Schulze-Battmann, Giuseppe Valadier, ein klassizistischer Architekt. Rom, 1762-1839, München-Dresden 1939.

G. Matthiae, Piazza del Popolo attraverso i documenti del primo Ottocento, Roma 1946.

P. Marconi, Giuseppe Valadier, ivi 1964.

R. Lefevre, Il Monte Pincio e la Casina Valadier, ivi 1967.

G. Spagnesi, San Pantaleo, ivi 1967.

A.M. Corbo, L'esportazione delle opere d'arte dallo Stato Pontificio tra il 1814 e il 1823, "L'Arte", 3, 1970, pp. 88-113; 4, 1971, pp. 82-103.

M. Pavan, Canova, Antonio, in D.B.I., XVIII, pp. 197-219.

E. Debenedetti, Valadier. Diario architettonico, Roma 1979.

Valadier. Segno e architettura, Roma, Calcografia nazionale, novembre 1985-gennaio 1986, catalogo a cura di E. Debenedetti, ivi 1985.

M. Natoli-M.A. Scarpati, Il palazzo del Quirinale. Il mondo artistico a Roma nel periodo napoleonico, I-II, ivi 1989.

M.S. Lilli, Aspetti dell'arte neoclassica. Sculture nelle chiese romane, 1780-1845, ivi 1991.

Sulla musica: L.M. Kantner, "Aurora luce". Musik an St. Peter in Rom, 1790-1850, Wien 1979.

Sulla tomba di P. in S. Pietro: G. De Ferrara, Il sepolcro di Pio VII, Roma 1866.

Sulle sue medaglie: A. Patrignani, Le medaglie di Pio VII, Bologna 1967.

I principali ritratti di P. sono opera di A. Canova (Musei Vaticani), Th. Lawrence, J.-B. Wicar, J.-L. David (Musée du Louvre) e A.-D. Ingres (Washington, National Gallery of Art, Musée du Louvre): J.B. Hartmann, Appunti su ritratti canoviani di Pio VII, "L'Urbe", 31, 1968, pp. 11-9; G. Vigne, La solitude de l'homme en blanc, Musée Ingres, Montauban 1999.

P. appare tra i protagonisti del dramma di P. Claudel L'otage (1911).

(traduzione di Maria Paola Arena)

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