Pitagora

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

Pitagora

Pier Daniele Napolitani

Sciamano o scienziato? Taumaturgo o filosofo?

La figura del greco Pitagora – vissuto nel 6° secolo a.C. – è avvolta dalle nebbie della leggenda. Fu uno dei primi rappresentanti della razionalità greca o l’erede della sapienza esoterica dell’Oriente? Fu il fondatore della matematica o il capo di una setta politico-religiosa? Comunque sia, il suo nome è ancor oggi legato a un importante enunciato scoperto dieci secoli prima della sua nascita e probabilmente dimostrato dopo la sua morte: il teorema di Pitagora

Fra storia e leggenda

Nel delineare la figura di Pitagora il problema principale sono i pitagorici e, soprattutto, i neopitagorici. Nel 2° e 3° secolo d.C. si sviluppò infatti una scuola filosofica che si rifaceva alle dottrine del pitagorismo antico, mescolandole con un atteggiamento mistico nei confronti del numero con la divinizzazione di maghi e taumaturghi. Pitagora divenne la figura mitica, anzi divina, del fondatore e a lui si attribuirono moltissimi poteri magici, sicuramente appartenenti alla leggenda.

Abbiamo, certo, altre fonti e testimonianze più attendibili – prima di tutte quella di Aristotele – sulla filosofia pitagorica, ma per la descrizione dei risultati matematici dipendiamo dal filosofo greco Proclo, vissuto nel 5° secolo d.C., e per la sua biografia dai filosofi Porfirio e Giamblico del 3° secolo d.C., tutti autori neoplatonici fortemente influenzati dal neopitagorismo. Così gli storici e i filologi hanno grandi difficoltà nel distinguere quanto è genuino da quanto è leggendario tra tutto ciò che viene attribuito a Pitagora.

Si racconta che Pitagora nacque a Samo verso il 572 a.C. Recatosi giovane in Egitto per apprendere la sapienza custodita dai sacerdoti, in seguito alla conquista persiana nel 525 a.C. fu deportato a Babilonia.

Disgustato dalla tirannia che trovò al suo ritorno a Samo, lasciò l’isola ed emigrò in Italia.

L’educatore politico

Giunto in Italia, Pitagora si stabilì a Crotone, all’epoca una potente città-Stato retta da un’aristocrazia latifondista, entrata in crisi dopo i conflitti con la vicina Locri. L’arrivo di Pitagora ne arrestò la decadenza: con una serie di discorsi convinse i Crotoniati a convertirsi a una vita sobria e moderata. Si racconta infatti che, dopo averlo ascoltato, oltre duemila persone invece di tornare alle proprie case fondarono una comunità. Emerge così l’immagine di un Pitagora educatore politico in grado, grazie alla sua autorevolezza morale e religiosa, di rianimare un’intera città richiamandola ai valori aristocratici tradizionali.

Crotone rifiorì sotto la guida di pitagorici entusiasti: il suo esercito sbaragliò nel 510 a.C. quello, tre volte più numeroso, della vicina Sibari.

I seguaci di Pitagora erano al culmine del successo, ma poco dopo la vittoria su Sibari la situazione cambiò: l’aristocrazia dominante cominciò a vedere di malocchio questa comunità o setta che divinizzava il proprio fondatore e seguiva rituali segreti, incomprensibili per i non iniziati.

Scoppiò una rivolta, che portò alla cacciata dei pitagorici da Crotone; Pitagora stesso fuggì e morì a Metaponto, forse nel 494 a.C. I seguaci sopravvissuti si dispersero, ma mantennero vivi i suoi insegnamenti anche nell’esilio, in particolare a Taranto, dove un secolo e mezzo più tardi il pitagorico Archita giocò un importante ruolo politico e scientifico.

Il taumaturgo

Le fonti ci presentano un’immagine di Pitagora lontanissima da quella che oggi abbiamo di uno scienziato o di un filosofo: propugnava dottrine esoteriche e la sua vita appare costellata da fatti miracolosi e misteriosi. Pitagora professava la trasmigrazione delle anime (metempsicosi) con il ciclo delle reincarnazioni; i seguaci ne riconoscevano l’autorità dogmatica; aveva il potere di predire gli eventi, poteva apparire in due luoghi contemporaneamente, placava le tempeste; come Orfeo, incantava le belve con la sola forza della sua voce. Per essere ammessi nella sua cerchia si dovevano affrontare dure prove di iniziazione. Da tutto ciò emerge l’immagine di uno sciamano: Pitagora ci appare come l’esponente di un’arcaica sapienza orientale, assai lontana dalla razionalità del pensiero scientifico e filosofico greco.

Questo ritratto sembra davvero incompatibile con quello più conosciuto che lo vuole scopritore del famoso teorema della geometria che prende il suo nome, dei cinque poliedri regolari, delle grandezze irrazionali, dei rapporti numerici che regolano le armonie musicali; più che mai incompatibile con l’immagine che lo vuole iniziatore e fondatore di uno studio teorico della geometria che si basa su principi e definizioni.

La setta degli iniziati

Allo stesso modo la sua cerchia appare talvolta come un gruppo dedito alla ricerca scientifica e filosofica, talaltra come una specie di loggia massonica che manipolava le leve del potere politico, o ancora come una comunità monastica. I pitagorici usavano passeggiare al mattino presto in boschi solitari; pranzavano solamente con pane e miele e durante il giorno non bevevano mai vino. Dedicavano il pomeriggio agli affari di pubblico interesse, mentre la sera offrivano sacrifici agli dei, bevevano e leggevano insieme.

Si dice che fossero divisi in acusmatici e matematici a seconda del grado della loro iniziazione. Gli acusmatici dovevano seguire una serie di prescrizioni orali (in greco akoùsmata), alcune delle quali ci appaiono oggi bizzarre: non frequentare le vie più affollate, non parlare senza luce, non sacrificare mai un gallo bianco, non raccogliere oggetti da terra. Era vietato mangiare il cuore degli animali, e la carne in generale; assolutamente vietate erano inoltre le fave, simbolo di un legame col mondo dei morti.

Secondo questa suddivisone i matematici avevano invece accesso alle dottrine religiose, filosofiche e scientifiche più importanti e segrete.

La critica moderna tende a respingere questa distinzione, almeno per quanto riguarda il pitagorismo ai tempi del suo fondatore: le prescrizioni orali di Pitagora si rifacevano ad antiche pratiche e concezioni religiose col tempo divenute incomprensibili e scarsamente praticabili. Sembra dunque che quella di Pitagora sia stata essenzialmente una straordinaria comunità religiosa, orientata verso le dimensioni ultraterrene, ma al tempo stesso partecipe e protagonista della vita politica.

Proprio il suo carattere straordinario le permise di sopravvivere dopo la rivolta di Crotone; fu nei secoli successivi che il pitagorismo si trasformò in una scuola di pensiero scientifico e filosofico in cui la matematica aveva un ruolo centrale.

Il teorema di Pitagora

figura

«Il quadrato costruito sull’ipotenusa di un triangolo rettangolo è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti». Questo teorema (geometria) era già noto ai Babilonesi almeno dal 1800 a.C., anche se è ricordato come teorema di Pitagora. Molte sono le dimostrazioni. Una molto semplice è illustrata nella figura: il triangolo rettangolo in questione è uno di quelli colorati in celeste. Il quadrato grande, che ha come lato la somma dei cateti, nella prima figura è composto di quattro triangoli e dai due quadrati costruiti sui cateti, mentre nella seconda è formato dagli stessi quattro triangoli disposti diversamente, e dal quadrato dell’ipotenusa. Siccome l’area del quadrato grande e quella dei quattro triangoli è la stessa nei due casi, anche le aree delle parti restanti del quadrato con il fondo bianco, cioè quella costituita dai quadrati costruiti sui cateti, e quella dal quadrato costruito sull’ipotenusa, sono uguali.

Le terne pitagoriche

Quali terne (a, b, c) dinumeri naturali soddisfano l’equazione a2+b2=c2, la stessa che è alla base del teorema di Pitagora? Oltre a (3, 4, 5), abbiamo, per esempio (8, 6, 10). Infatti 82+62=102. Si può dimostrare che le terne pitagoriche sono tutte e sole quelle che si ottengono da: a=m2-n2; b=2mn; c=m2+n2. E se cercassimo le terne che risolvono a3+b3=c3? O, più in generale, quelle che risolvono l’equazione an+bn=cn, dove n è un qualunque intero maggiore o uguale di 3? Pierre de Fermat si pose questo problema leggendo l’opera del matematico greco Diofanto. Fermat asserì, senza riportarne la dimostrazione, che l’equazione non ammetteva mai soluzione per n>2. La ricerca della dimostrazione mancante ha dato origine a ricerche e scoperte matematiche per oltre trecento anni fino a quando, nel 1994, Andrew Wiles l’ha finalmente trovata.

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