PLASMA

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

PLASMA

Bruno BRUNELLI
Sergio E. SEGRE

Fisica. - Termine introdotto nel 1928 da I. Langmuir per indicare la regione della scarica ad arco in cui le densità di ioni ed elettroni sono elevate e sostanzialmente uguali. La definizione è oggi generalizzata al caso di un miscuglio di cariche di segno opposto con concentrazioni all'incirca uguali e con grande mobilità di almeno una delle due specie (generalmente degli elettroni). Esempî di p. naturali sono: un metallo (solido o liquido), in quanto gli elettroni di conduzione sono liberi di muoversi tra gli atomi; la materia stellare, la colonna di un fulmine, in quanto costituite da gas ionizzati. Esempio di p. artificiale: il gas ionizzato delle insegne luminose al neon. In laboratorio i plasmi vengono spesso prodotti con campi elettrici indotti o impressi (scariche ad arco, a radiofrequenza, scintille, ecc.).

Se con n1 indichiamo il numero di cariche negative per unità di volume e con n2 l'analogo numero per le cariche positive, per un p. vale la relazione, dovuta a I. Langmuir,

Le proprietà del p. sono molteplici e tutte sono connesse col fatto che le particelle che lo costituiscono, essendo cariche, interagiscono fortemente con il campo elettrico e magnetico. Una delle caratteristiche più vistose del p. è la sua tendenza a mantenersi elettricamente neutro. Non appena in una regione entro il p. venga a cadere la condizione [1] di neutralità, si generano intensi campi elettrici che tendono a spostare le cariche in modo da ripristinare la neutralità del p. stesso. Lo spopolamento totale di una regione S dalle cariche di un segno, presenti con densità n, non può avvenire senza che dell'energia si converta in energia elettrostatica dovuta al campo elettrico generato dall'eccesso di cariche di un segno rimaste in S. Quest'energia elettrostatica si calcola facilmente nel caso che S sia una sfera di raggio R: si trova che essa è (in unità elettrostatiche)

dove n è il valore comune di n1 e n2 ed e è il valore della carica elettrica elementare. Se si escludono sorgenti esterne di energia, l'unica forma di energia a disposizione per l'estrazione da S delle cariche di un segno è quella termica, che nel volume sferico ammonta a

dove k è la costante di Boltzmann e T la temperatura assoluta. Uguagliando We a WT si ottiene il raggio massimo, l, della sfera che può spontaneamente spopolarsi delle cariche di un segno. Si trova l = √8 λD, ove λD = [kT/(4πne2)]1/2 = 6,9(T/n)1/2 cm è una distanza caratteristica, detta distanza di Debye, perché introdotta dallo stesso autore nella sua teoria degli elettroliti.

In questa teoria, sotto certe ipotesi applicabili anche a un plasma, si dimostra che il potenziale di una carica puntiforme varia come

A una distanza r maggiore di λD il campo elettrico della carica è schermato da particelle di segno opposto; per cui la condizione [1] di neutralità è verificata soltanto su una regione di dimensioni lineari maggiori di λD. La condizione L 〉〉 λD (ove L sia dell'ordine di grandezza delle dimensioni lineari del p.) può quindi essere considerata, in alternativa alla [1], come definizione di plasma.

Come esempio consideriamo il caso del p. prodotto in laboratorio in una usuale scarica ad arco. Per kT/e = 1 volt (corrispondente a T = 11.600 °K) e n = 109 cm-3 si ha λD = 2,4 × 10-2 cm.

In un p. prodotto in laboratorio la distanza di Debye rappresenta anche l'ordine di grandezza dello spessore della guaina che separa il p. stesso da ogni parete solida (per es. quella del contenitore o quella di un elettrodo). Si tratta di una zona nella quale viene a stabilirsi una differenza di potenziale V di segno tale da riflettere gran parte degli elettroni, che altrimenti abbandonerebbero il p. con un flusso molto maggiore di quello degli ioni, più pesanti. Quindi la quantità eV deve essere dell'ordine di grandezza di kT e, conseguentemente, si dimostra che lo spessore della guaina è all'incirca λD. Una teoria esauriente della formazione della guaina è stata sviluppata nel 1929 da L. Tonffi e I. Langmuir.

Equazioni fondamentali. - Il p. si può descrivere teoricamente con gli stessi metodi della meccanica statistica usati nella teoria cinetica dei gas fornita da particelle neutre. Si deve però tener conto che il p. è composto di particelle di tipo diverso, ossia elettroni e ioni (ed eventualmente anche atomi) le quali sono cariche e quindi soggette, ognuna, alla forza F = eE + (e/c) u ⋀H dove il campo elettrico, E, e quello magnetico, H, sono i campi prodotti dai circuiti esterni al p. e dalle cariche elettriche in moto all'interno del p. stesso e u è la velocità della particella.

Per un p. composto di elettroni e di ioni di un solo tipo, di numero atomico Z, in cui quindi n2 Z = n1 valgono, sotto condizioni assai poco restrittive le seguenti equazioni:

dove v è la velocità media del p.; J la densità di corrente: ρ la densità materiale del p.; p la pressione totale; p1 e m1 la pressione parziale e la massa degli elettroni; σ la conducibilità elettrica, e si sono usate unità del sistema CGS simmetrico (o sistema di Gauss).

La prima equazione è l'equazione del moto e al secondo membro figura la densità di forza totale. La seconda equazione, quando ∂J/∂t, grad p siano nulli, si riduce alla legge di Ohm; per questa ragione viene detta legge di Ohm generalizzata.

A queste equazioni va aggiunta un'equazione di stato. Per variazioni rapide di densità si usa l'adiabatica p ρ = costante.

I legami tra i campi E, H e la densità di corrente, J sono espressi dalle quattro equazioni di Maxwell dell'elettromagnetismo (v. elettricità; xiii, p. 701).

La conducibilità elettrica σ e le altre grandezze caratteristiche del p. che dipendono dalle collisioni tra particelle, come la conducibilità termica e la viscosità, si possono determinare con uno studio teorico dettagliato dell'urto tra due particelle cariche e con un'analisi degli effetti macroscopici degli urti. Si trova così che per campi elettrici non troppo intensi la conducibilità elettrica è data da σ-1 = (3,80 • 103 Z T-3/2/α) ln Λ ohm • cm, dove ln Λ è un fattore numerico dell'ordine di 10, che dipende. ma non fortemente, da n e T; α dipende da Z e varia da o,582 a 1. Per l'idrogeno

Nei singoli problemi di dinamica del p. si deve risolvere il sistema di equazioni formato dalle equazioni del moto, di Ohm, di stato e dalle equazioni di Maxwell. L'approssimazione in cui, nella [3], siano trascurabili i termini con ∂J/t, grad p1, J⋀H, è detta approssimazione idromagnetica.

Onde nel plasma. - Il p. può essere sede di diversi tipi di onde, che, in generale, sono combinazioni, più o meno complicate, di tre tipi fondamentali: onde elettrostatiche, onde elettromagnetiche, onde idromagnetiche.

Le onde elettrostatiche sono onde longitudinali in cui E, J hanno la direzione della propagazione e le forze di richiamo hanno carattere elettrostatico. Se la frequenza delle oscillazioni elettrostatiche è elevata la maggiore inerzia degli ioni impedisce a questi di partecipare all'oscillazione. La velocità di fase V è data da V2 = νp2 λ2 + 3kT/m, dove λ è la lunghezza d'onda e νp = [ne2/(m1π)]1/2 è la frequenza caratteristica, detta frequenza di plasma. Per temperature basse queste oscillazioni hanno solo la frequenza νp. Se la frequenza delle oscillazioni elettrostatiche è bassa, gli ioni partecipano al moto, e si ha

Spesso T2 〈〈 T1, e allora, per λ 〉〉 λD, V ≃ (γ1kT1/m2)1/2 e si hanno onde acustiche di p. analoghe alle onde acustiche nei gas; per ıλ 〈〈 λD,

e si hanno oscillazioni elettrostatiche ioniche con frequenza approssimativamente costante,

analoghe a quelle elettroniche già considerate.

Le onde elettromagnetiche sono caratterizzate da un campo elettrico E ortogonale alla direzione di propagazione e, in assenza di campi magnetici costanti, la velocità di fase per queste onde è V = c (i − νp22)-1/2. Si vede che non è possibile la propagazione di onde elettromagnetiche di frequenza ν, inferiore a νp.

Se nella direzione di propagazione vi è un campo magnetico uni10rme e costante H0, le onde elettromagnetiche sono polarizzate circolarmente (effetto Faraday). Si distingue quindi tra onda straordinaria, in cui E ruota nello stesso senso in cui ruotano gli elettroni nel campo H0, e onda ordinaria in cui i sensi di rotazione sono opposti. La velocità di fase è data da

dove ν1 = eH0/(2π m1c) e si intende di assumere il segno + per l'onda ordinaria e il segno − per quella straordinaria. Si vede che in presenza di campo magnetico è possibile la propagazione di onde con frequenza anche inferiore a νp. Se il campo H0 ha la direzione di E, le correnti non sono influenzate dal campo magnetico e tutto è come in assenza di un campo magnetico. Le oscillazioni elettromagnetiche esaminate fin qui sono completamente trasversali. Invece le onde elettromagnetiche che si propagano in un plasma in cui H0 è ortogonale sia a E sia alla direzione di propagazione, sono in parte anche longitudinali e danno luogo ad un campo elettrostatico nella direzione di propagazione.

Le onde idromagnetiche sono possibili solo in presenza di un campo magnetico e per frequenze piccole rispetto alla girofrequenza degli ioni, eH0/(2π m2c), dove si indica con m2 la massa degli ioni.

Tenendo conto della resistività finita del p. si trova che le onde sono smorzate, poiché l'energia viene dissipata in perdite ohmiche. Per le onde elettromagnetiche nel p. la distanza di smorzamento, d, è la stessa distanza che caratterizza l'effetto pellicolare: d = (4π2νσ)-1/2.

Recentemente ha suscitato molto interesse lo studio di onde d'urto nel p., analoghe alle onde d'urto nei gas, per la possibilità di utilizzare questo tipo di perturbazione al fine di riscaldare il p. stesso.

Diagnostica. - Lo studio sperimentale del p. ia uso di diverse tecniche, delle quali ognuna può permettere di misurare alcune delle grandezze caratteristiche di esso.

Misure dell'emissione, trasmissione e riflessione di radiazioni elettromagnetiche da parte del p. sono eseguite su un campo molto esteso di frequenze: dalle microonde fino ai raggi X. Queste misure permettono di determinare la temperatura e la densità del p.; se le scariche non sono stazionarie, tali grandezze vengono determinate in funzione del tempo.

In scariche non stazionarie la misura della tensione indotta in opportuni circuiti elettrici permette di misurare la corrente totale che circola nel p. e la distribuzione del campo magnetico in funzione del tempo. Conoscendo quest'ultima è possibile, usando le equazioni di Maxwell, calcolare la distribuzione del campo elettrico e della densità di corrente. Il rapporto fra l'intensità di corrente e il campo elettrico permette poi di ottenere la conducibilità elettrica in ogni punto; confrontando il valore sperimentale con quello teorico [4] si può determinare la temperatura del plasma.

Nelle scariche stazionarie si possono usare le sonde di Langmuir, che sono essenzialmente degli elettrodi inseriti nel p. Misurando la corrente raccolta da questi elettrodi in funzione della tensione a cui sono mantenuti, è possibile, in base ad una teoria dovuta a Langmuir, determinare la temperatura degli elettroni e la densità.

Utili informazioni si possono ottenere con la fotografia diretta che, nel caso di scariche non stazionarie, deve essere con risoluzione temporale.

Nel p. ad alta temperatura sono di grande importanza i rivelatori di particelle e in particolar modo di neutroni.

Il problema della fusione controllata. - L'interesse per la fisica del p. è aumentato nell'ultimo decennio in considerazione della possibilità di utilizzare un p. contenente deuterio per produrre energia di fusione, ossia energia dalle seguenti reazioni:

Particolarmente le reazioni [5] (egualmente probabili) sono interessanti, perché il deuterio reagente si trova negli oceani in quantità inesauribile e perché i prodotti di queste reazioni sono radioattivi a vita media breve e comunque sono reagenti nelle [6] e [7]. Le reazioni [5] furono studiate, prima dell'ultima guerra, a Roma da E. Fermi e collaboratori, mediante bombardameno di deuterio con deutoni di energia di qualche centinaio di keV. I proiettili devono avere un'energia cinetica di quest'ordine per poter superare la barriera di potenziale esistente tra i due deutoni carichi dello stesso segno. Però, nella stragrande maggioranza dei casi questa energia non è spesa nell'urto nucleare ma in urti coulombiani contro gli elettroni e i nuclei atomici del bersaglio: per es., nel deuterio liquido, un deutone di 100 keV ha un cammino libero medio per perdita di energia in urti non nucleari λc =10-5 cm, mentre il suo cammino libero medio per reazione di fusione è circa 107 volte maggiore. Quindi soltanto un deutone su 107 subirà la fusione, sprigionando un'energia che è circa 40 volte quella necessaria ad innescare la reazione; gli altri deutoni proiettili si mettono in equilibrio termico con il bersaglio. Soltanto se questo si trova a una temperatura equivalente all'energia cinetica che deve avere il proiettile per reagire, si può sperare di ricavare energia dalle reazioni suddette. In queste condizioni di temperatura il bersaglio è un p. e le reazioni che vi si producono sono dette termonucleari. Esse, per es., avvengono nel Sole e nella esplosione della bomba all'idrogeno.

Se si vuole utilizzare l'energia di fusione in un p. di laboratorio in modo graduale, ossia se si vuole realizzare un "reattore a fusione", bisogna rispettare certe condizioni relative alla temperatura e alla densità del p., nonché alla durata di funzionamento del reattore.

Si dimostra che si può cominciare a guadagnare energia dal reattore solo se la temperatura del p. di deuterio è di almeno 200 milioni di gradi (per la miscela deuterio-tritio: 30 milioni di gradi). Le ipotesi che si fanno nella dimostrazione sono le seguenti: a) i prodotti carichi e neutri delle reazioni e la radiazione emessa dal p. caldo lasciano il reattore e la loro energia viene trasformata in energia elettrica con un rendimento del 30%; b) sono trascurabili l'energia di ionizzazione, la ricombinazione delle cariche di segno opposto e la diffusione del p. alle pareti.

Se poi si richiede che la fiamma termonucleare si automantenga, è necessario che il reattore all'accensione sia mantenuto in funzione per almeno il tempo medio di reazione τ, nel quale avvengono il 60% delle reazioni. Alla temperatura di 2 × 108 °K a cui il reattore è in grado di fornire più energia di quella che assorbe, si trova la condizione di Lawson:

Per raggiungere le condizioni suddette, si devono affrontare i seguenti problemi:

1) confinare il p. lontano dalle pareti del recipiente che lo contiene;

2) riscaldare il p. alle temperature sopra indicate;

3) garantire la stabilità del p. alla densità n almeno per il tempo τ (che nel caso del deuterio vale 1016/n).

La possibilità, almeno teorica, di affrontare questi problemi è offerta dal fatto che il p. interagisce fortemente, come si è visto, con i campi elettrici e magnetici.

Le macchine finora realizzate hanno tutte in comune l'uso di campi magnetici per contenere il plasma. Una configurazione del campo magnetico che assolva a questo compito è chiamata bottiglia magnetica. In essa le traiettorie delle particelle in moto sono curvate verso l'interno per effetto della forza di Lorentz (e/c) u⋀H.

Le principali macchine possono rientrare in uno dei due tipi seguenti caratterizzati dall'andamento temporale del campo magnetico della bottiglia:

1) con campo magnetico pulsato;

2) con campo magnetico costante.

Tra le macchine del primo tipo vanno classificate le seguenti: Columbus e Perhapsatron (Los Alamos, S.U.A.), Zeta (Harwell, G. B.), Sceptre III (Aldermaston, G. B.), Alpha (URSS), Scylla (Los Alamos, S.U.A.), TA-2000 (Fontenay, Fr.), Cariddi (Roma), Homopolar (Berkeley, S.U.A.); tra le macchine del secondo tipo vanno classificate le seguenti: DCX (Oak Ridge, S.U.A.), OGRA (URSS), Stellarator (Princeton, S.U.A.), Pyrotron (Livermore, S.U.A.).

In relazione ai tre problemi fondamentali sopra elencati, si può dire:

1) Confinamento: nel primo tipo di macchina le correnti, che interagendo col campo magnetico generano la forza di Lorentz confinante, sono generate da campi elettrici impressi od indotti durante la scarica impulsiva, mentre nel secondo tipo di macchina le correnti sono dovute a moti di insieme originati da diffusione oppure preesistenti all'ingresso della bottiglia.

2) Riscaldamento: le correnti suddette possono contribuire al riscaldamento del p. per effetto Joule fino a temperature dell'ordine del milione di gradi. Oltre tali temperature questo meccanismo di riscaldamento è poco efficiente e in molte macchine è utilizzato soltanto nella fase iniziale. Per riscaldare ulteriormente il p. nel primo tipo di macchina si utilizza lo stesso campo magnetico confinante che, essendo impulsivo, nella fase crescente comprime il p. e lo riscalda generando talvolta delle onde d'urto che aumentano l'efficienza del riscaldamento. Nel secondo tipo di macchina il riscaldamento è affidato a un organo distinto dal campo magnetico confinante. Per esempio nel DCX e nell'OGRA una macchina acceleratrice esterna alla bottiglia magnetica vi inietta particelle cariche destinate a dar luogo nella bottiglia a un p. tanto più caldo quanto maggiore è l'energia di iniezione; nello Stellarator una porzione della macchina è occupata da un campo magnetico variabile a radiofrequenza che fa vibrare le linee di forza della bottiglia magnetica: le conseguenti compressioni e rarefazioni del p. lo riscaldano, verificandosi così, pressapoco, ciò che avviene per l'aria in una pompa da bicicletta.

3) Condizione di Lawson: con le macchine attuali a deuterio si sono ottenuti valori molto piccoli per τn; essi variano da 199 a 1013 sec. cm-3. Circa il comportamento dei due tipi di macchina in relazione alla condizione di Lawson, sembra che in generale si possa dire che nel primo tipo, nonostante i progressi recenti, l'insorgere di instabilità nel p. rende difficile il funzionamento della macchina per tempi sufficientemente lunghi; nel secondo tipo, nel quale il criterio di Lawson sembrerebbe senz'altro soddisfatto (essendo infinito il tempo di funzionamento) è difficile ottenere un p. ragionevolmente denso senza alterare la configurazione del campo magnetico con conseguente perdita delle sue proprietà confinanti.

La realizzazione di un reattore a fusione è quindi ancora lontana, anche se reazioni termonucleari sono state osservate durante gli esperimenti in corso.

Bibl.: L. Spitzer, Physics of fully ionized gases, New York 1956; J. D. Cobine, Gaseous conductors, New York 1958; Proceedings of the second international conference on the peaceful uses of atomic energy, vol. 31 e 32, Ginevra 1958; A. Simon, An introduction to thermonuclear research, Londra 1959; J. L. Delcroix, Introduction à la théorie des gas ionisés, Parigi 1959; A. S. Bishop, Verso la produzione di energia da fusione, Roma 1959; Proceedings of the IVth international conference on ionization phenomena in gases, vol. I e II, Uppsala 1959, Amsterdam 1960; W. P. Allis, Nuclear fusion, New York 1960; J. G. Linhart, Plasma physics, Amsterdam 1960; G. E. Ch. Francis, Ionization phenomena in gases, Londra 1960; S. Glasstone e R. H. Loveberg, Controlled thermonuclear reactors: an introd. to theory and experiment, Princeton 1960.

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