PLASTICITÀ NERVOSA

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

PLASTICITA NERVOSA

Tommaso Pizzorusso

PLASTICITÀ NERVOSA. – Caratteristiche dei periodi critici. Plasticità intermodale da deprivazione sensoriale precoce. Arricchimento ambientale. Plasticità corticale dell’adulto. Riorganizzazione delle mappe corticali dopo lesione e terapia riabilitativa. Aumentare la plasticità corticale nell’adulto per favorire la riparazione cerebrale. Bibliografia

La corteccia cerebrale è costituita da moduli formati da colonne di neuroni che si ripetono per tutta la superficie corticale. Ciascuna area corticale comprende molti di questi moduli, ognuno di essi responsabile dell’analisi di un aspetto particolare della funzione di questa area corticale. Sia nelle aree corticali dedicate all’analisi degli stimoli sensoriali sia nelle aree motorie o dedicate ad aspetti cognitivi, come la memoria a breve termine (memoria di lavoro), si nota che la rappresentazione corticale forma una mappa ordinata. Per es., nella corteccia visiva le colonne corticali vicine tra loro analizzano l’informazione visiva relativa a punti del campo visivo vicini tra loro, formando quindi una vera e propria mappa. Le mappe corticali sono create durante lo sviluppo, grazie a meccanismi mediati da fattori molecolari codificati da specifici programmi di espressione genica. Tuttavia, è stato osservato che modifiche dell’esperienza possono indurre profonde alterazioni nell’organizzazione delle mappe corticali durante lo sviluppo postnatale. Le mappe corticali non sono, quindi, rigide e immutabili, bensì strutture malleabili e modificabili dall’esperienza. Il meccanismo alla base dell’azione dell’esperienza sembra essere la plasticità sinaptica, ovvero la proprietà che hanno le connessioni tra neuroni di modificare la propria forza in funzione della loro precedente attivazione (Levelt, Hübener 2012). L’azione dell’esperienza sulla formazione dei circuiti corticali è massima durante finestre temporali dello sviluppo denominate periodi critici (Berardi, Pizzorusso, Maffei 2000). L’esistenza di periodi critici per la plasticità esperienza-dipendente è stata chiaramente dimostrata per la corteccia uditiva, per quella somatosensoriale e in particolare per la corteccia visiva, che costituisce la struttura su cui si focalizza la maggior parte degli studi sui periodi critici della plasticità corticale. A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, gli studi di David H. Hubel e Torsten N. Wiesel, che utilizzavano come modello sperimentale appunto la corteccia visiva in sviluppo, introdussero il concetto di periodo critico. Questo concetto deriva dagli studi etologici di Konrad Lorenz sui comportamenti innati e appresi. Esistono periodi critici per molte funzioni, per es., il canto negli uccelli e il linguaggio nell’uomo. In quest’ultimo caso, la plasticità presente nello sviluppo può essere così pronunciata da consentire il trasferimento interemisferico delle aree linguistiche, come si è visto nel caso di lesioni dell’emisfero sinistro durante la prima infanzia.

Caratteristiche dei periodi critici. – Gli studi classici hanno mostrato che le deprivazioni sensoriali (come la deprivazione monoculare o l’occlusione di un orecchio) o le alterazioni sensoriali (per es., causate da strabismo o allevamento in ambiente uditivo impoverito) causano deficit funzionali a carico del sistema sensoriale interessato solo quando la manipolazione dell’input sensoriale è effettuata nel periodo critico. Deprivazioni e alterazioni simili negli animali maturi sono molto meno o niente affatto efficaci. La durata dei periodi critici dipende dalla funzione che si analizza e dal tipo di manipolazione dell’esperienza che si effettua. Per es., i periodi critici misurati in termini di recupero dagli effetti di una deprivazione sensoriale sono più lunghi dei periodi critici misurati in termini di induzione di effetti di deprivazione sensoriale. È da notare che sono stati osservati anche periodi critici per forme di plasticità sensoriale indotte da una maggiore esperienza sensoriale: negli esseri umani, una formazione musicale iniziata nell’infanzia porta a una rappresentazione corticale uditiva maggiore degli stimoli musicali solo se la pratica inizia prima dell’età di nove anni.

La modifica dei circuiti determinata dalla plasticità dei periodi critici sembra lasciare una traccia che rimarrebbe anche dopo che gli effetti funzionali dell’alterazione dell’esperienza sono regrediti con il ripristino di una normale esperienza. Studi negli animali hanno mostrato che un breve periodo di deprivazione monoculare causa una diminuzione delle risposte corticali all’occhio deprivato, che può però tornare alla normalità se la deprivazione viene velocemente rimossa. Tuttavia questi animali, nonostante il ritorno alla normalità dal punto di vista funzionale, rimangono più sensibili agli effetti della deprivazione monoculare. Infatti, un secondo periodo di deprivazione monoculare, che negli animali di controllo non darebbe alcun effetto perché troppo breve, diventa efficace (Hofer, Mrsic-Flogel, Bonhoeffer et al. 2009).

Plasticità intermodale da deprivazione sensoriale precoce. – Gli alti livelli di plasticità osservabili durante lo sviluppo possono far sì che la deprivazione di una specifica modalità sensoriale determini cambiamenti anche nella altre modalità sensoriali (plasticità intermodale). Per es., soggetti diventati precocemente ciechi mostrano una capacità di localizzare le sorgenti sonore migliore dei soggetti vedenti, in particolare per le sorgenti periferiche. Questa migliore capacità potrebbe derivare dall’espansione di ingressi neurali che portano l’informazione uditiva alle aree visive prive di stimolazione. Fenomeni simili sono stati osservati anche per quanto riguarda gli ingressi tattili nei soggetti precocemente ciechi e in sordi congeniti, indicando che si tratta di un fenomeno generale e non legato a specificità di un’area o di una modalità sensoriale.

Arricchimento ambientale. – Una qualità dello stile di vita contraddistinta da attività fisica, attività cognitiva e interazioni sociali è di beneficio non soltanto per i muscoli e per la vita di relazione, ma anche per la funzionalità del cervello. Negli animali, l’esposizione a un ambiente caratterizzato da esercizio fisico volontario e attività esplorativa con oggetti nuovi (ambiente arricchito, AA) ha effetti sia strutturali, con aumento dello spessore corticale e della densità delle sinapsi, sia funzionali, in quanto migliora le capacità di apprendimento (Sale, Berardi, Maffei 2014). L’esposizione ad AA dalla nascita produce accelerazione dello sviluppo visivo e prevenzione dagli effetti negativi dovuti alla mancanza di esperienza visiva. L’AA agisce influenzando l’espressione dei fattori cruciali per la plasticità corticale visiva, come i fattori neurotrofici e la circuiteria inibitoria. Anche nell’adulto l’AA produce effetti sulla plasticità corticale visiva, aumentandola al punto da favorire il recupero dagli effetti di una pregressa deprivazione monoculare. Inoltre, in un modello murino di Alzheimer, è stato dimostrato che un’esposizione precoce ad AA previene l’insorgenza dei deficit cognitivi e anatomici, mentre l’esposizione tardiva ne rallenta la progressione.

Plasticità corticale dell’adulto. – Fino alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, la possibilità che anche le strutture corticali dell’individuo adulto fossero capaci di plasticità veniva limitata a quelle aree chiaramente coinvolte nei fenomeni dell’apprendimento e della memoria come l’ippocampo. Oggi invece è ben documentato il fatto che le cortecce sensoriali e motorie dell’adulto possono andare incontro a riorganizzazioni funzionali, anche se di entità assai minore rispetto a quanto accade nello sviluppo. L’esperienza induce un rimodellamento delle connessioni corticali adulte che porta a un’alterazione delle mappe corticali o rimappatura, ovvero lo spostamento del campo recettivo indotto dagli stimoli provenienti dall’esterno. Per es., nelle scimmie che hanno acquisito con l’allenamento una capacità discriminativa più fine agli stimoli sonori, l’estensione della rappresentazione corticale delle frequenze utilizzate per l’apprendimento aumenta rispetto a quella trovata, per le stesse frequenze, in scimmie di controllo non addestrate. Questa variazione della mappa, corrispondente a un’espansione dei campi recettivi, avviene se l’animale è coinvolto attivamente nell’apprendimento e non in risposta all’esposizione passiva agli stimoli sonori. Infatti, in scimmie che hanno ascoltato gli stessi stimoli di quelle sottoposte all’apprendimento acustico (e per lo stesso numero di volte), ma che nel frattempo erano impegnate in un compito di discriminazione tattile, la capacità discriminativa tonale non migliora e non si osserva alcuna estensione dell’area di rappresentazione corticale per le frequenze udite. Ciò suggerisce che in questo processo siano implicati i sistemi reticolari ascendenti, che modulano l’attività delle cellule corticali in funzione dello stato comportamentale. In effetti, l’associazione della presentazione di una frequenza acustica con la stimolazione dell’ingresso colinergico che innerva la corteccia determina una massiccia rimappatura nella corteccia acustica primaria, paragonabile a quella provocata dall’apprendimento.

Quali meccanismi possono spiegare queste modificazioni in un cervello adulto? Lo sviluppo della microscopia a fotoni ha permesso di visualizzare ripetutamente lo stesso dendrite di neuroni corticali in vivo. In questo modo si è potuto valutare quanto dinamici siano l’albero dendritico e le spine dendritiche, un sito di formazione preferenziale delle sinapsi. Il sorprendente risultato è che mentre l’albero dendritico è pressoché stabile, le spine dendritiche dei neuroni adulti sono continuamente sostituite, con tassi di turnover variabili in funzione dell’esperienza. È evidente che questa dinamicità rappresenta un substrato anatomico ideale per i fenomeni di plasticità.

Dal punto di vista funzionale l’attivazione contemporanea ripetuta di cellule diverse sembra essere il fenomeno cruciale per l’espansione della mappa. Occorre sottolineare la presenza di una certa ridondanza nelle afferenze e nelle efferenze delle cellule corticali: l’area corticale su cui può essere potenzialmente rappresentato un punto della periferia recettoriale può essere molto grande. Il campo recettivo misurato in maniera convenzionale, analizzando i potenziali di azione evocati dalla stimolazione sensoriale, è quindi un sottoinsieme di questa vasta zona periferica. Il ruolo della sincronia di attivazione delle afferenze nel modificare i campi recettivi e la topografia potrebbe, dunque, essere quello di selezionare un sottoinsieme di tali afferenze aumentandone l’efficacia sinaptica, ed eventualmente riducendo quella delle altre. Il campo recettivo è quindi una struttura dinamica, che può cambiare senza che si formino connessioni anatomiche nuove che inviano segnali alla cellula corticale. I meccanismi alla base sarebbero quelli studiati nella plasticità sinaptica in modelli come il potenziamento a lungo termine (LTP, Long Term Potentiation) o la depressione a lungo termine della trasmissione sinaptica (LTD, Long Term Depression). Infatti, è stato dimostrato che l’apprendimento di abilità manuali determina il potenziamento della trasmissione sinaptica nelle connessioni intracorticali della corteccia motoria nella zona di rappresentazione della mano, inducendo meccanismi di LTP.

Riorganizzazione delle mappe corticali dopo lesione e terapia riabilitativa. – La rimappatura corticale che fa seguito a una lesione periferica, per es. un’amputazione, non ha conseguenze positive per i soggetti, anzi spesso si accompagna alla presenza di dolore riferito all’arto amputato. La rimappatura sarebbe invece di grande utilità nel caso di una lesione corticale, in quanto consentirebbe, per es., di spostare la guida del movimento della mano da un gruppo di cellule della corteccia motoria lesionate a un gruppo di cellule adiacenti sane. Conoscere le regole della plasticità ha aiutato a progettare una strategia riabilitativa basata sull’allenamento incrementale (la difficoltà dell’esercizio viene progressivamente aumentata) e sull’utilizzo forzato dell’arto controlesionale (CIT, Constraint-Induced Therapy). I risultati ottenuti in modelli animali mostrano che avviene una rimappatura corticale motoria: cellule che prima guidavano il movimento del polso ora guidano il movimento delle dita e questo è correlato con un buon recupero comportamentale. Risultati analoghi sono stati ottenuti nell’uomo: la CIT determina una rimappatura nella corteccia motoria lesionata che si mantiene per mesi e che è in ottima correlazione con il recupero delle abilità motorie (Taub, Uswatte, Elbert 2002).

Aumentare la plasticità corticale nell’adulto per favorire la riparazione cerebrale. – Vari fattori molecolari attualmente in studio sono stati candidati a svolgere il ruolo di blocco della plasticità alla fine dei periodi critici: la maturazione della circuiteria corticale inibitoria, la comparsa nella matrice extracellulare di fattori che diminuiscono la modificabilità delle sinapsi e la ridotta capacità dell’esperienza di influenzare l’attivazione genica dei neuroni per mezzo di meccanismi detti epigenetici (fosfoacetilazione e metilazione degli istoni, metilazione del DNA, DeoxiriboNucleic Acid). Un interessante prodotto di questi studi potrebbe essere la conoscenza di meccanismi su cui intervenire per aumentare la plasticità corticale portandola verso i livelli tipici dei periodi critici. Per es., è stato osservato che se si rimuovono dalla matrice extracellulare della corteccia visiva adulta del ratto i condroitinsolfato proteoglicani (CSPG) è possibile ottenere dalla corteccia adulta fenomeni di plasticità corticale analoghi a quelli presenti durante il periodo critico (Pizzorusso, Medini, Berardi et al. 2002). Questo studio ha ispirato altri successivi esperimenti che hanno mostrato come la rimozione dei CSPG possa avere effetti favorevoli sul recupero funzionale anche in modelli di Alzheimer o di ictus focale della corteccia motoria (Yang, Cacquevel, Saksida et al. 2014; Gherardini, Gennaro, Pizzorusso 2015). La comprensione dei meccanismi alla base della plasticità nello sviluppo e nell’adulto potrebbe permettere di progettare interventi per correggere deficit dovuti a difetti nella formazione delle connessioni durante lo sviluppo o alla loro modificabilità, dipendente dall’esperienza, nell’adulto e di sfruttare al meglio o potenziare i tentativi spontanei di recupero che il sistema nervoso mette in atto dopo una lesione.

Bibliografia: N. Berardi, T. Pizzorusso, L. Maffei, Critical periods during sensory development, «Current opinion in neuro biology», 2000, 10, 1, pp. 138-45; T. Pizzorusso, P. Medini, N. Berardi et al., Reactivation of ocular dominance plasticity in the adult visual cortex, «Science», 2002, 298, 5596, pp. 1248-51; E. Taub, G. Uswatte, T. Elbert, New treatments in neurorehabilitation founded on basic research, «Nature reviews. Neuroscience», 2002, 3, 3, pp. 228-36; S.B. Hofer, T.D. Mrsic-Flogel, T.Bonhoeffer et al., Experience leaves a lasting structural trace incortical circuits, «Nature», 2009, 457, 7227, pp. 313-17; C.N. Levelt, M. Hübener, Critical-period plasticity in the visual cortex, «Annual review of neuroscience», 2012, 35, pp. 309-30; A. Sale, N. Berardi, L. Maffei, Environment and brain plasticity: towards an endogenous pharmacotherapy, «Physiological reviews», 2014, 94,1, pp. 189-234; S. Yang, M. Cacquevel, L.M. Saksida et al., Perineuronal net digestion with chondroitinase restores memory in mice with tau pathology, «Experimental neurology», 2014, 265, pp.48-58; L. Gherardini, M. Gennaro, T. Pizzorusso, Perilesional treatment with chondroitinase ABC and motor training promote functional recovery after stroke in rats, «Cerebral cortex», 2015, 25, 1, pp. 202-12.

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