Poesia latina e poesia goliardica

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Francesco Stella

Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

Nel Medioevo centrale la poesia latina attraversa un’evoluzione tumultuosa, spesso in dialogo con le letterature in volgare. Il distico elegiaco è la forma adottata dalle “commedie elegiache”, novelle comiche a carattere recitativo, mentre la poesia lirica recupera pienamente il tema amoroso, frequentato dai poeti “goliardi” che praticano anche il genere satirico, alimentandolo di temi morali e politici.

La commedia elegiaca e la tendenza dialogica

Anonimo Veronese

O admirabile Veneris idolum

Carmina Cantabrigiensia

O di Venere mirabile immagine,

la cui sostanza nulla ha di imperfetto,

ti protegga il Signore che ha fatto le stelle

e i cieli ed ha creato i mari e la terra.

Ti sia remota l’astuzia del ladro,

ti ami Cloto, che regge la conocchia.

“Salva il fanciullo” lo dico non per gioco,

ma con fermezza scongiuro Lachesi,

sorella di Atropo, che non lo ghermisca.

Quando navigherai il fiume Adige,

Nettuno e Teti ti siano compagni.

Dove fuggi, di grazia, se io ti ho tanto amato?

Misero che farò, senza vederti?

La dura sostanza delle ossa materne

ha creato gli uomini lanciando sassi:

uno di questi è il mio ragazzo,

che non ha cuore per lacrime e lamenti.

Quando io sarò triste ne godrà il rivale,

bramisco come cerva quando fugge il cerbiatto.

in Poesia latina medievale, a cura di G. Gardenal, Milano, Mondadori, 1993

In taberna quando sumus

Carmina burana

Testo orginale

In taberna quando sumus,

non curamus quid sit humus,

sed ad ludum properamus,

cui semper insudamus.

Quid agatur in taberna,

ubi nummos est pincerna,

hoc est opus ut queratur:

sed quid loquar audiatur.

Quidam ludunt, quidam bibunt,

quidam indiscrete vivunt.

Sed in ludo qui morantur,

ex his quidam denudantur,

quidam ibi vestiuntur,

quidam saccis induuntur.

Ibi nullus timet mortem,

sed pro Baccho mittunt sortem.

Primum pro nummata vini:

ex hac bibunt libertini.

semel bibunt pro captivis,

post hec bibunt ter pro vivis,

quater pro Christianis cunctis,

quinquies pro fidelibus defunctis,

sexies pro sororibus vanis,

septies pro militibus silvanis,

octies pro fratribus perversis,

novies pro monachis dispersis,

decies pro navigantibus,

undecies pro discordantibus,

duodecies pro penitentibus,

tredecies pro iter agentibus.

Tam pro Papa quam pro Rege

bibunt omnes sine lege.

Bibit hera, bibit herus,

bibit miles, bibit clerus,

bibit ille, bibit illa,

bibit servus cum ancilla,

bibit velox, bibit piger,

bibit albus, bibit niger,

bibit constans, bibit vagus,

bibit rudis, bibit magus,

bibit pauper et egrotus,

bibit exul et ignotus,

bibit puer, bibit canus,

bibit presul et decanus,

bibit soror, bibit frater,

bibit anus, bibit mater,

bibit ista, bibit ille,

bibunt centum, bibunt mille.

Parum durant sex nummate,

ubi ipsi immoderate

bibunt omnes sine meta,

quamvis bibant mente leta,

sic nos rodunt omnes gentes,

et sic erimus egentes.

Qui nos rodunt confundantur

et cum iustis non scribantur.

Traduzione

Quando siamo in osteria

La realtà se ne va via

Ma al gioco ci affrettiamo

Per il quale noi impazziamo.

Ciò che accade all’osteria

Dove il soldo fa allegria

Questa è cosa interessante

Ascoltate a orecchie attente:

C’è chi gioca e c’è chi beve

chi indecentemente vive

C’è chi è vittima del gioco

E a chi resta niente o poco

C’è chi n’esce riverito

Chi di sacco è rivestito.

Lì nessun teme la morte

Ma per Bacco sfida sorte.

Brindiam a chi paga i vini

Poi beviam coi libertini

Un bicchier al carcerato

E poi tre per il creato

Quattro per tutti i cristiani

Cinque per i morti anziani

Sei per l’uom con l’armatura

Sette per la donna impura.

Otto ai figliuol perversi

Nove ai monaci dispersi

Dieci per i naviganti

Undici per i litiganti

Dodici per i penitenti

Tredici per i partenti

Per il papa o per il rege

Bevon tutti, senza legge.

Il signor con le signore

Beve il clero e il cavaliere

Beve questo, beve quella

Beve il servo con l’ancella

Beve il vivo, beve il pigro

Beve il bianco, beve il negro

Beve il certo, beve il vago

Beve il tonto e beve il mago.

Beve il povero e il malato

Beve il triste e l’esiliato

Beve il bimbo con l’anziano

Beve il prete col decano

Il fratello e la sorella

L’ammogliata e la zitella

Beve questo, bevon quelle

Bevon cento, bevon mille.

Poco duran sei denari,

se bevon tutti senza pari.

Se anche bevon a mente lieta,

ci fan proprio tutti torto,

e così siam poveracci!

Chi ci sprezza sia confuso,

e fra i giusti non sia incluso.

Commedia elegiaca è il termine con cui si indicano circa venti opere in distici elegiaci che nel passato sono state definite “novelle in versi” e che presentano trame in qualche caso assimilabili a quelle delle commedia romana. Il più antico esempio del genere, datato al 1080, è l’Ovidius puellarum (o De nuntio sagaci) in 297 versi, mentre il “modello” più seguito è il Pamphilus, scritto forse in Inghilterra intorno al 1100 e poi imitato e trascritto fino al XVI secolo. Entrambi raccontano le storie di amori contrastati e poi risolti. I testi in cui con maggiore evidenza si riscontra la natura di commedia in senso medievale (cioè di storia a lieto fine con personaggi di modesta levatura sociale) ma con qualche margine di recitabilità (sia pure non teatrale) sono il Geta e l’Aulularia, composte fra 1125 e 1130 da Vitale di Blois: vi emergono caratteristiche tipiche come la tematica erotica, la misoginia, i personaggi di condizione servile. La produzione sembra più attiva nelle scuole letterarie della regione della Loira fra Blois, Vendôme, Orléans e Tours, particolarmente sensibili al modello ovidiano (da cui l’uso del distico). A questo, nel caso di Vitale, si aggiunge la fonte plautina, a cui il poeta si ispira per la figura di Geta, modellata sul Sosia dell’Anfitrione, mentre si distacca dall’impianto plautino quando trasforma ironicamente il protagonista Anfitrione in un intellettuale che studia filosofia ad Atene. La parodia delle scuole filosofiche francesi spicca anche nell’Aulularia, che nonostante il titolo plautino segue il modello del Querolus tardoantico, pur nella convinzione di superare Plauto.

Questi esperimenti incontrano il favore del pubblico ed entrano nei programmi scolastici suscitando immediata emulazione: sempre a Blois Guglielmo scrive l’Alda, dichiarando di ispirarsi a Menandro, mentre a Orléans il maestro Arnolfo compone il Miles gloriosus in evidente riferimento a Plauto, ma anche la Lidia, la cui trama verrà ripresa dal Boccaccio nella novella del pero incantato. Matteo di Vendôme scrive il Milo, mentre altre commedie sono invece anonime, e altre ancora attestano il successo del genere in zone diverse dalla regione francese: in Italia meridionale il De uxore cerdonis (“La moglie del calzolaio”) di Iacopo da Benevento e il De Paulino et Polla (1229) di Riccardo da Venosa, mentre in Inghilterra o comunque durante il regno di Enrico II, dal 1154 al 1189, dopo il Pamphilus vengono composti il Gliscerium et Birria, il Baucis et Traso e il Babio (“Il babbeo”), tutte dominate, come il Geta, da una figura di servo astuto e spiritoso. Peter Dronke ha visto in questo filone un’applicazione del principio di discussione dell’autorità (la “fantasia dialogica” di Bachtin) che si manifesta anche nei dialoghi interconfessionali di Abelardo, in Everardo di Ypres, o nei dialoghi filosofici di Adelardo di Bath e Guglielmo di Conches e ancora nei conflictus in versi che proliferano in quest’epoca, e che nelle letterature in volgare producono le tenzoni, i Wechsel, i jeux-partis.

Il circolo della Loira

Nella regione della Loira fioriscono i maggiori poeti dell’epoca, che sulla riconquista del modello ovidiano impiantano una rivisitazione del patrimonio della poesia cristiana alimentato dal vivace interesse che le scuole di retorica cominciavano a riservare alla poesia, e contribuiscono a creare il clima comune nel quale fioriscono i canzonieri trobadorici. Trovano alimento nella tradizione poetico-musicale latina già attestata nel Sud della Francia dalla scuola di Saint-Martial di Limoges, nel Centro dal circolo poetico-filosofico di Chartres e nel Nord dalla poesia di Fulcoio di Beauvais, capace di comporre epistole disinvolte sulle perversioni sessuali dei chierici come poemi biblici di complesso contenuto spirituale.

Questa duplicità è caratteristica del periodo, fra la rinascita del classicismo in un ceto ecclesiastico abituato al salottiero lassismo ottoniano e la reazione rigorista della riforma gregoriana, e resta percepibile nella produzione dei poeti principali. Marbodo vescovo di Rennes, nato ad Angers, insegna a lungo nelle scuole dell’Anjou, lasciando il De ornamentis verborum (“L’abbellimento delle parole”), primo manuale di stilistica e poetica, e il Liber lapidum, sulle virtù delle pietre preziose, oltre a una serie di versi d’amore alle amiche e allieve dell’abbazia di Ronceray; dopo la nomina a vescovo di Rennes, in Bretagna (dove muore nel 1123), si dedica invece a temi biblico-teologici e morali, come nel Liber decem capitulorum.

Analogo è il percorso di Baldrico di Bourgueil, nato a Meung-sur-Loire: ad Angers studia insieme a Marbodo, poi è abate a San Pietro di Bourgueil e quindi vescovo di Dol, da dove viene rimosso e successivamente reinsediato. Racconta i suoi viaggi a Roma e in Inghilterra nell’Itinerarium, così come redige una celebre storia delle crociate (Historia Hierosolymitana), ma è soprattutto poeta raffinatissimo, che nel codice autografo ha lasciato 256 testi fra planctus, inni, epitaffi – anche per Guglielmo il Conquistatore –, epistole fittizie sul modello delle Heroides e lettere reali ad amici, amiche e amanti fra cui la monaca Muriel, l’amata Costanza, la malvagia Beatrice, la maestra Emma e la contessa Adele di Blois.

La terza “corona” della Loira è Ildeberto, nato a Lavardin (presso Vendôme) e istruito a Le Mans, di cui diviene vescovo nel 1096 fino al 1125, morendo nel 1133 come arcivescovo di Tours. Autore anche di agiografie come la fortunata Vita di Maria Egiziaca, o di trattati morali come il dialogico Lamento e conflitto fra spirito e carne, è celebre soprattutto come poeta, anch’egli oscillante fra una prima produzione più erotica e cortese e una seconda più interessata a temi biblici e morali, come il significato storico delle rovine di Roma pagana in una bellissima elegia “a specchio” (pagano-cristiano) o la parafrasi di episodi delle Sacre Scritture. Rimane a lungo un modello di epistolografia (oltre 100 lettere a destinatari illustri o a monaci in crisi) e di poesia, tanto da essere considerato un “classico” da Giovanni di Salisbury e dai molti autori che lo imitano nel secolo successivo, creando un corpus di pseudoepigrafi (cioè opere attribuite a Ildeberto ma probabilmente scritte da altri) che ancora oggi impediscono di ricostruire con sicurezza la sua opera autentica.

Le raccolte di poesia lirica e goliardica

Nel XII secolo gli studiosi hanno registrato un’osmosi continua fra le forme della poesia latina (sia profana sia sacra – come a Saint-Martial, a Saint-Victor, a Notre-Dame) e quelle della nascente poesia francese e tedesca. Un esempio classico è la similarità fra sequenza e planctus da una parte e lay liriques e descorts dall’altra, così come fra lirica religiosa e lirica personale la stretta contiguità è testimoniata da figure come Gualtiero di Châtillon e Pietro di Blois, entrambi autori di poesie sacre e profane presenti nei canzonieri liturgici di Notre-Dame.

Un caso di rilievo è il canzoniere originato probabilmente nella zona del Reno ma titolato Carmina Cantabrigiensia perché attestato solo nel codice Cambridge, University Library Gg.5.35, “l’unica antologia importante di lirica latina che sia sopravvissuta nel periodo dai carolingi alla fine dell’XI secolo” (Ziolkowski), e la prima che contenga anche poesia profana: vi troviamo infatti storielle comiche, componimenti erotici (fra i quali il celebre O admirabile Veneris idolum), inviti alla poesia (Cordas tange), o poesie scolastiche, messe insieme da libri diversi usati per l’intrattenimento musicale.

I Carmina Burana

Impatto ancora maggiore anche sulla cultura europea moderna ha avuto la raccolta denominata Carmina Burana perché proveniente dall’abbazia benedettina di Benediktbeuren, in Baviera, e oggi conservata alla Staatsbibliothek di Monaco (lat. 4660): redatta probabilmente in Tirolo all’inizio del Duecento, contiene 315 testi in latino e in tedesco, alcuni dei quali musicati, composti fra XII secolo e inizio del XIII secolo e abitualmente suddivisi fra carmi satirici e morali (di solito contro i vizi come avidità e invidia, e contro la corruzione del clero e della curia), canti d’amore e carmina potatoria (o canti di bevuta), più due drammi religiosi dedicati al Natale e altri testi additizi. La realtà dei temi interessati è ancora più variegata, e comprende lamenti sulla condizione degli studenti e parodie come il Vangelo del Marco d’argento e il planctus del cigno arrostito, o la celebre tenzone fra il chierico e il cavaliere sul primato nell’arte d’amare.

La sezione finale rappresenta ed esalta in particolare la condizione dei clerici vagantes, gli studenti in perenne movimento fra le diverse città universitarie, e gli elementi del loro ambiente sociale: vino, giochi, donne, l’atteggiamento spensierato e gaudente di una giovinezza consapevole della sua precarietà. Ne fa parte, ad esempio, la canzone In taberna quando sumus, diventato l’inno dei goliardi, una categoria sociale e culturale che si definisce proprio in questo periodo, quando una parte della Chiesa vede nelle frange più irrequiete degli studenti, che per frequentare le università devono assumere gli ordini minori e diventare chierici, una setta di ribelli blasfemi e irriverenti, riuniti sotto il nome del nemico di Israele, il demoniaco Golia – epiteto che san Bernardo affibbiò anche a Pietro Abelardo. I goliardi sono diventati il prototipo dell’intellettuale “maledetto”, cui la propria superiorità culturale conferisce una sorta di immunità morale e il proprio genio una sorta di diritto alla trasgressione. E fra 1935 e 1936 il musicista Carl Orff compone i suoi imponenti e brillanti Carmina Burana sulle tracce di questa ispirazione anziché sulle melodie medievali che corredano il codice, e che sono state riscoperte soprattutto negli ultimi decenni. Fra gli autori dei testi si trovano alcuni dei maggiori poeti dell’epoca: Pietro di Blois, retore di corte in Sicilia e in Inghilterra e raffinato lirico d’amore; Ugo di Orléans, detto “Primate” (il Primasso di Decamerone I 7) per l’eccellenza magistrale del personaggio di bohémien contestatore che disegna nei suoi versi; l’Archipoeta, un chierico attivo alla corte dell’arcivescovo di Colonia Rinaldo di Dassel e dell’imperatore Federico Barbarossa, che era stato studente di medicina a Salerno e aveva scritto la Confessio Goliae, manifesto dell’etica goliardica in forma di confessione dei propri difetti; Filippo, cancelliere di Notre-Dame, autore di alcuni dei primi mottetti per maestro Perotino; Gualtiero di Châtillon, nato vicino a Lille e istruito a Parigi, Reims e Bologna, attivo alla corte di Enrico II d’Inghilterra e ostile al papato per averne osservato di persona la corruzione: autore del poema epico Alexandreis, nei Carmina Burana ha lasciato celebri inni di rivolta morale come Utar contra vitia carmine rebelli (“userò contro i vizi una poesia ribelle”). Muore forse di lebbra dopo il 1179. Si ritiene che i Carmina Burana contengano anche alcuni testi di Pietro Abelardo, ma non si è giunti per ora ad attribuzioni sicure.

Poesia satirica

All’ambiente goliardico si fa risalire un filone di poesia satirica che si ispira alla letteratura monastica fondata sulla critica spiritualista dell’esistenza terrena e alla cosiddetta satira communis o satira degli status, che coglie i difetti più visibili dei diversi ruoli sociali (monaco, chierico, prete, vescovo, giudice, nobile, mercante, contadino, re ecc.) e si alimenta ai modelli stilistici della satira romana (Giovenale, Persio, Marziale, ma anche i loro continuatori medievali).

A questa tradizione appartengono opere come l’Apocalisse di Golia, la Metamorfosi di Golia e le poesie dei canzonieri, ma anche le parti satiriche del De nugis curialium di Walter Map e i poemi a personaggi animali che rappresentano precisi ordini sociali, come nell’Ysengrimus di Nivardo di Gand – dove il protagonista eponimo è il lupo, simbolo del monaco-vescovo, ripetutamente umiliato e scorticato dal nemico Reinardo, la volpe – o nello Speculum stultorum di Nigello di Canterbury (o di Longchamps), dove l’ambizione intellettuale è incarnata dall’asino Brunello che invano cerca un ordine monastico immune dalla cupidigia o una sede universitaria dove si impari qualcosa, finché la vacca Brunetta gli rivela cosa servirà nel terribile giorno in cui arriverà l’estate: una coda lunga per fare ombra e pulirsi e scacciare le mosche.

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