POLA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1965)

Vedi POLA dell'anno: 1965 - 1996

POLA

B. Forlati Tamaro

Città dell'Istria meridionale (Croazia sud-occidentale, Jugoslavia, oggi Pula, già Pulj) posta nel fondo del golfo omonimo. Il nome di P. ricorre per due volte nella forma Πόλαι, in Licofrone (Alexandra, v. 1021) e in Callimaco (presso Strab., i, 46, indi v, i, 9 C. 215 = R. Pfeiffer, Callimachus, i, 1949, frg. i) come fondazione dei Colchi inseguenti Giasone e Medea (cfr. anche Mela, ii, 57; Strab., v, i, 9 C. 215 e Plin., Nat. hist., iii, 129). La leggenda riflette evidentemente i rapporti marittimi dell'alto Adriatico con il Mediterraneo orientale. Comunque il nome non è di origine latina, ma illirica, onde il nome degli abitanti Polates (Inscr. Ital., x, i, 642; Steph. Byz., s. v. Πόλα, Πολάντης, Ποιλατικός, Πολεατικός; Μελα, l. c.). Infatti P., fu anzitutto nel I millennio a. C. sede di un castelliere - nel 1943 sono stati scoperti resti del suo vallo esterno orientale - ai piedi del quale, fra l'Arco dei Sergi e la piazza già di S. Giovanni si stendeva la necropoli: sono tombe di incinerati, con poche tracce di inumati, di cui rimangono i tipici ossuarî situliformi senza anse o olle, con o senza decorazioni a meandri e a spirali, ora in rilievo, ora dipinti o incisi. Numerosi gli strumenti d'osso, scarsi i vasi accessorî e i bronzi, che dimostrano il perdurare dell'abitato illirico sino al V-IV sec. a. C. Scarsissimi i fittili d'importazione atestina, greca o àpula, specie in confronto di quanto ha dato la coeva necropoli di Nesazio (v.), conferma di un maggiore isolamento di Pola. Come già a Pizzughi rispetto al municipium di Parenzo, così anche a P. si constata una frattura nell'abitato nel periodo successivo: lo Gnirs accenna solo a pochi resti del periodo La Tène. Distrutta poi la capitale degli Istri nel ‛77 a. C. anche il dominio romano si afferma per gradi: le spedizioni di C. Cassio Longino (171 a. C.) e di C. Sempronio Tuditano (129 a. C.) non penetrano nell'interno della penisola. Tuttavia Strabone (l. c.) fa cenno di naviganti che entrano nel suo sicuro porto per ripararsi dal maltempo o per attingere acqua dalla ricca sorgente sulla spiaggia; inoltre tracciati di accessi preistorici ricorrono spesso sotto le vie romane. Però resti sicuri di età romana non si trovano prima della metà del I sec. a. C.

Il nome ricordato da Plinio (Nat. hist., iii, 129) Colonia Pola quae nunc Pietas Iulia induce ad affermare, con il Degrassi, per analogia con altri nomi consimili e per il fatto che uno dei duoviri ricordati sulla Porta Ercole è il suocero di Cesare, L. Calpurnius L. f. Caesoninus (Inscr. Ital., r. x/i, 35) che essa è stata fondata subito dopo Filippi 23-X-42 a. C.), perciò ancor fuori dei confini d'Italia che erano al Risano (= Formio: Ptol., iii, i, 23-25). Il cambiamento di Pietas lulia in Iulia secondo lo Sticotti e il Polaschek, segue l'estinguersi della famiglia Giulio-Claudia. Un'iscrizione del II sec. d. C. conserva i nomi di Iulia Pola Pollentia Herculanea (Inscr. Ital., x/i, 85). A capo stavano i duoviri, quinquennales o meno. Curatores, cioè commissarî si hanno nel III sec. d. c. È iscritta come Aquileia alla tribù Velina. I liberti della città si dicono Pollentii. Numerosi i culti attestati sia da sacerdoti o di addetti ad essi (un flamen, un haruspex publicus, i numerosi Augustales e seviri Augustales), sia di are o monumenti (Esculapio, Ercole, Giove, Minerva, il Sole, la Luna, la Nemesi, la Fortuna, Mithra, Iside e così via, nè mancano divinità di origine indigena: Boria, Nebres, Terra, Histria Terra.

La fortuna di P. è dovuta essenzialmente al suo porto, profondo, difeso all'imboccatura dalle isole Brioni (Pullariae) e alla già menzionata sorgente d'acqua dolce sulla spiaggia. La città romana si stendeva a forma di tela di ragno intorno alla collina già sede del Castelliere, poi, secondo il Kandler, del tempio capitolino (il Mirabella vi vede piuttosto la sede di un santuario di Ercole) e cinta da un primo muro. Un secondo, più ampio, con torri quadrangolari o semicircolari la racchiudeva tutta dalla sua fondazione. Sul lato orientale, il solo oggi ben conosciuto, si aprivano quattro porte: la Porta detta Aurea secondo una tradizione risalente al XV sec.; a ridosso dell'Arco dei Sergi e demolita nel secolo scorso, la Porta Ercole che trae il nome dall'immagine del Dio con la clava che sta nella chiave, la Porta Gemina a due fornici del tipo delle porte gallo-germaniche, infine una ultima nella piazza già di S. Giovanni a un fornice da cui entrava la via Flavia proveniente da Trieste e di cui rimangono solo dei ruderi.

Anche delle mura è stato scoperto un primo tratto tra Porta Ercole e Porta Gemina e un secondo anche più imponente, di 76 m di lunghezza e in certi punti: dell'altezza di 6, merlato, a poco più di 20 m dall'Arco dei Sergi. A questa prima cortina ne fu addossata una seconda formata in gran parte da materiali di risulta, evidente rafforzamento eseguito sotto la minaccia delle invasioni barbariche.

Molto curato in ogni tempo fu l'approvvigionamento idrico iniziato da Augusto e ampliato dal cittadino L. Menacio Prisco (II sec. d. C.) con lo sfruttamento della sorgente naturale e con la costruzione nella parte alta di imponenti conserve d'acqua.

Di particolare importanza è nell'angolo SO della città il Foro congiunto all'Arco dei Sergi da una via e alla parte alta della città da divi, oggi in gran parte scomparsi. In uno dei lati corti si è rinvenuto un alto podio (m 18,50 × 33,50), quanto rimane cioè di un primo santuario, cui il Polaschek sarebbe tentato di collegare la concessione del ius italicum alla colonia ancor fuori dei confini d'Italia, mentre il Mirabella pensa alla sede o della Curia o piuttosto del tempio Capitolino. Comunque esso fu affiancato in un secondo momento, fra il 2 e il 14 d. C., da due templi gemini uno a cella e pronao tetrastilo corinzio dedicato ad Augusto ed alla Dea Roma (I. G., x, i, 2) e accuratamente restaurato nel 1923, indi nel 1946-1947 dopo i danni provocati dal bombardamento del 1945, l'altro a un dio sconosciuto e superstite solo nella parete postica inserita nel Palazzo del Comune. Sul lato settentrionale furono trovate tracce di un'area forse dedicata al culto imperiale; certo il Foro doveva essere circondato da portici e ricco di statue onorarie.

Altro importante monumento è l'arco funerario della famiglia Sergia costruito, come s'è detto, a ridosso di una delle porte della città e che viene datato al 29-28 a. C. È a un fornice rinserrato fra coppie di colonne sulle quali s'innalza la trabeazione e l'attico su cui sono incise le dediche. Esso è già meglio articolato architettonicamente che non il coevo Arco di Augusto a Rimini, più legato al tipo della porta urbica da cui deriva. Molto fine la parte decorativa (capitelli, fregio, sott'arco, pilastri). Di un altro arco si sono trovate tracce sull'arce.

Un primo teatro addossato al Monte Zaro era ben noto nel Medioevo e agli umanisti con il nome di Palazzo Rolando.

Ancora nelle riproduzioni dal '400 al '600 appare come una possente rovina finchè servì da cava di pietre per la costruzione del castello secentesco di P. e secondo una tradizione, per la chiesa della Salute a Venezia. I disegni del Serlio (1566) e pochi resti della pàrodos orientale sono quanto oggi rimane di una costruzione con ogni probabilità di età augustea. Un secondo teatro più piccolo fu scoperto (1913) dallo Gnirs e successivamente esplorato dalla Forlati Tamaro e dal Mirabella, sulle pendici settentrionali del Campidoglio, di cui rimangono parte del muro della scena e di un ingresso alla summa cavea.

Ma l'edificio più importante rimane sempre il grandioso Anfiteatro o Arena costruito in due tempi, uno augusteo più piccolo, poi ampliato in età claudia e finito da Tito. Sta a ridosso della collina con quattro torri scalari e si calcola potesse contenere 23.000 spettatori; ne rimane pressoché intatto per un vero miracolo statico, solo l'anello esterno a due file di 72 arcate sovrapposte poggianti su pilastri (verso il monte ridotte a una), sormontate da una specie di attico a finestre rettangolari, tutto in grossi blocchi bugnati, con semplici cornici e capitelli di pietra d'Istria, forse nello stato attuale uno dei più suggestivi monumenti del genere che ci sia rimasto.

Vanno infine menzionati i resti di un interessante Mausoleo ottagono davanti a Porta Gemina pure di età augustea.

Ricco e interessante è il Museo dell'Istria istituito (al tempo della amministrazione italiana) come museo centrale della regione, ove si trovano il materiale e le sculture di Nesazio, quello della necropoli preistorica di P. e i resti di età romana, are, cippi, frammenti architettonici, sculture, fra cui una statua imperiale con uno schiavo vinto ai suoi piedi e una testa di Giove di tarda età, bronzi, vetri, monete.

Fra gli edifici paleocristiani il primo e più importante è senza dubbio l'aula sorta su un precedente edificio di pianta quadrangolare, dell'inizio del IV sec. e di cui rimarrebbe secondo il Mirabella il muro di fondo dell'attuale Duomo. Da essa si passò a un'aula rettangolare con abside semicircolare interna, parallela al Duomo e databile alla metà del IV sec., contemporanea cioè alla più antica basilica di Parenzo. Essa fu ai primi del V sec. ampliata verso oriente (rimangono ancora tratti del suo pavimento musivo e parte delle transenne). Alla seconda metà del sec. V a questo edificio se ne sostituisce un quarto sul posto della prima aula cristiana in parte rifatta nel XV sec., l'attuale Duomo. E una grande basilica di m 25 × 50, divisa in tre navate da colonne, che continuano anche dietro l'altare con tre arcate rette da pilastri, con presbiterio sopraelevato davanti al quale si alza una altissima arcata centrale. In questa parte absidale, tornata in luce dopo l'incendio che colpì il Duomo nel 1934, si conservano pure non pochi resti di bei mosaici come di transenne. Davanti alla basilica si apriva il battistero a pianta cruciforme, unico di tal forma nelle Venezie, forse collegato alla basilica da un atrio.

Altri edifici sacri paleocristiani, oggi ridotti a poveri resti, sono la Basilica di S. Giovanni in Felicità e una in Val Madonna (Brioni) accanto alle rovine di una villa romana.

Bibl.: A. Gnirs, Führer durch Pola, Vienna 1915; G. Calza, Pola, Roma-Milano 1920; A. Gniy, Istria praeromana, Karlsbad 1925; B. Forlati Tamaro, Il Museo dell'Istria, Parenzo 1930; id., Inscr. Ital., X, i, I, Pola et Nesactium, Roma 1947; E. Polaschek, in Pauly-Wissowa, XXI, 1951, c. 1217-1251, s. v. con la esauriente bibliografia citata; F. Forlati, Il Duomo di Pola, in Atti e Mem. Soc. Istr., XLVIII, 1936, p. 235; M. Mirabella Roberti, L'Arena di Pola, Pola 1939; id., Il Duomo di Pola, Pola 1943; Atti e Mem. della Soc. Istriana di Arch. e St. Patria, passim, in part. 1945-49; F. Forlati, La Basilica nell'alto Adriatico prima del Mille, in Atti del II Convegno di Studi per l'Alto M. E., 1952; A. Degrassi, Il confine Nordorientale dell'Italia romana, Berna 1954, p. 60 ss.; St. Mlakar, Ancient Pula, in Cultural and Historical Monuments of Istria (pubbl. dall'arch. Mus. dell'Istria), Pola 1958; B. Forlati Tamaro, in Arch. Class., XI, 1959, p. 92 ss.