LITTA BIUMI, Pompeo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 65 (2005)

LITTA BIUMI, Pompeo

Andrea Moroni

Nato a Milano il 24 sett. 1781 dal conte Carlo Matteo e da Antonia di Carlo Brentano, apparteneva a uno dei molti rami nei quali la casata Litta si era suddivisa, quello separatosi verso la metà del XVI secolo e che solo nel Settecento, in seguito al matrimonio di Francesco, nonno del L., aveva aggiunto al proprio il cognome dei Biumi. Il nome del L. è indissolubilmente legato allo scopo e all'attività principale, se non esclusiva, della sua vita, ossia la compilazione delle Famiglie celebri italiane (Milano 1819-53), repertorio ancora grandemente utilizzato. Si trattò, a ben guardare, non di semplice opera storico-genealogica, ma di un contributo, per certi versi originale e controcorrente, all'affermazione della storiografia nazionale ottocentesca.

Il caso del L. è di quelli in cui biografia e opera tendono a coincidere, essendo questa illuminante delle vicende del suo autore. In gioventù il L. seguì studi irregolari, prima presso il collegio dei nobili di Milano e in seguito a Como, a Venezia e a Siena. Destinato alla carriera diplomatica, il suo primo impiego fu nel 1802, in qualità di alunno nel dipartimento del ministero dell'Interno della neocostituita Repubblica italiana, per essere promosso, l'anno successivo, segretario aggiunto presso la Consulta di Stato. Questa carriera fu interrotta nel 1804, quando, rispondendo alla coscrizione militare, fu il primo tra i nobili ad arruolarsi, rinunciando così al privilegio concesso al suo ceto di evitare il servizio militare pagando un supplemento d'imposta. Tale decisione gli valse un elogio, apparso il 26 sett. 1804 nel Giornale italiano, in cui, tra l'altro, sulla scorta dell'esempio offerto dal L., si affermava che "quelle nazioni sono veramente grandi nelle quali patrizio e militare sono sinonimi". La sua carriera militare prese avvio dai gradi più bassi: arruolatosi come cannoniere di artiglieria, seguì i corsi delle scuole militari di La Fère e di Strasburgo, da cui uscì artigliere graduato; fu poi impegnato nelle campagne militari francesi del 1805 e del 1809 contro l'Austria, meritandosi, in occasione della battaglia di Wagram del 6 luglio 1809, la Legion d'onore e una promozione sul campo, al grado di capitano in seconda. Fu quindi inviato ad Ancona, dove ebbe l'incarico di organizzare il corpo d'artiglieria destinato alla difesa delle coste contro gli Inglesi. Promosso a maggiore, si distinse nella difesa della città durante l'assedio del febbraio 1814.

Una carriera che, oltre a testimoniare il temperamento del L. - quel senso del dovere che caratterizzò anche le sue scelte successive -, fu anche l'occasione, come scrisse nel 1843 a L. Passerini, per confrontarsi con i soldati francesi e per accorgersi che costoro, pur "figli di una repubblica, non parlavano che dei loro antenati e della grandezza delle loro case; sprezzavano sempre le italiane […]. Ciò mi punse sul vivo, e mi spronò ad addentrarmi nelle cose degli avi nostri: così nacque a poco a poco la mia istoria delle illustri Famiglie" (Passerini, p. 6). Tornato a Milano nel 1814, il L. si impegnò, dunque, nell'ambizioso progetto: da allora fino alla morte la sua principale e quasi esclusiva attività fu la raccolta di informazioni, la stesura e la pubblicazioni delle Famiglie celebri italiane; e se pure non visse recluso, ma ebbe importanti contatti con il mondo culturale e anche politico milanese, la sua opera, i suoi interessi, le sue letture furono indirizzati e rivolti verso quest'unico grande obiettivo.

Il L. concepì le Famiglie celebri come un'opera a dispense, ciascuna delle quali dedicata a una famiglia, anche se non fu raro il caso di famiglie la cui storia richiese più dispense (come per gli Orsini, i Medici, i Savoia, i Gonzaga) o di casate minori accorpate in una sola dispensa.

Le vicende delle famiglie sono illustrate attraverso un diagramma ad albero discendente dove, a ogni personaggio degno di menzione sono dedicate note biografiche di estensione variabile da poche righe a più colonne. Caratteristica non secondaria dell'opera è la presenza di ricche illustrazioni, in nero o a colori, che raffigurano solitamente lo stemma della famiglia, medaglie e copie di monumenti rappresentanti personaggi della casata.

Nel 1819 il L. poté pubblicare la prima dispensa, dedicata alla famiglia Attendolo Sforza, composta da sei tavole di testo e otto e mezzo di illustrazioni. Questa dispensa era preceduta da un Avviso in cui erano esposti le caratteristiche dell'opera, i principî che la ispiravano e le modalità di vendita; aspetti cui il L. si attenne negli anni seguenti con ferrea coerenza. Già il titolo scelto era significativo della volontà di distinguersi dalla tradizione araldico-genealogica: non famiglie nobili, bensì celebri, famiglie i cui esponenti avevano contribuito, nel bene o nel male, a disegnare le vicende italiane. "I miei studj - scriveva nell'Avviso - hanno particolarmente in vista d'illustrare la Storia Nazionale, e supplire ad un'opera, che mi sembra in Italia mancasse, innalzando, per così dire in una nicchia ancor vuota quella statua che nessun italiano aveva eretto". La nobiltà, la celebrità delle famiglie non derivava quindi dall'antichità del sangue, ma dalle responsabilità civili e patriottiche che su di esse ricadevano. Si spiega anche così l'ostilità del L. nei confronti della tradizione genealogica che per secoli aveva fatto della ricerca di uno stipite, il più antico possibile, il proprio fondamento, nella convinzione che storia e nobiltà si appartenessero reciprocamente. Il L. si sforzò invece di applicare alle sue ricerche i principî e il rigore dell'indagine storica; soprattutto, per lui, non l'antichità era un valore, quanto il contributo dato alla storia civile italiana: "il miglior partito è quello di fermarsi al primo individuo che ha dato cagione alla storia di registrar qualche fatto ne' suoi annali, e dire: Questo è il mio Adamo" (Famiglie celebri, Medici di Firenze, tav. 1). Al punto che, se da una parte avversava anche la tendenza a cercare lustro in un'origine oltremontana, "quanto a trovare un'origine indigena, un'origine, nel suo linguaggio, nazionale, diventava di manica pericolosamente larga" (Bizzocchi, p. 49). L'opera risente di tale impostazione e, se risulta meno attendibile per le vicende precomunali, diventa assai più precisa per i secoli che interessavano il L. (dall'epoca dei Comuni ai suoi giorni), che il L. distingueva nettamente, contrapponendo alla grandezza dell'età comunale il periodo successivo, segnato dalla perdita della libertà. Il L. accoglieva così, come è stato notato, la periodizzazione di L.S. de Sismondi e giudicava la perdita della libertà "con durezza di patriota e di militare" (ibid., p. 56).

Conseguentemente nella scelta delle famiglie da trattare si ispirò prevalentemente alla loro rilevanza storica, senza mai compiacere alla vanità di singole casate, né per mitigare giudizi severi, né per accoglierle nella sua opera. Vero è che, su quest'ultimo punto, il L. fu assai elastico, e accettò l'invito a trattare famiglie minori, perché le notizie su queste erano facilmente reperibili o in cambio del recupero del materiale documentario da parte degli esponenti delle casate. Il L. era infatti consapevole non solo della grandiosità dell'opera intrapresa ("È certo che devo morire senza aver pubblicato tutte le famiglie celebri d'Italia", scriveva al conte M. Valdrighi: Modena, Biblioteca Estense, Autografoteca Campori, Pompeo Litta, 22 sett. 1831), ma anche della necessità di ricorrere a ogni canale per reperire le notizie. La scelta delle famiglie e l'ordine di pubblicazione riflettono tali aspetti e furono il frutto sia dell'energia e delle risorse del L. sia dell'impegno collettivo di una rete sempre più fitta di collaboratori sparsi in tutta la penisola.

Dunque anche dagli esponenti delle diverse casate potevano venire trascrizioni di documenti e notizie e, a tal fine, il L. si mostrò disposto a venire a patti con le ambizioni di alcuni di vedere la propria famiglia celebrata nella sua opera. Ma non per questo accettò mai di modificare i propri giudizi storici, preferendo, semmai, compilare una trattazione anonima, come in alcuni casi rammentati nella citata lettera al conte Valdrighi: "In quanto a' Molza, è il generale conte Nugent, che discende da una Molza, e che acquista la mia opera, che bramerebbe veder pubblicata quella famiglia. Io […] non posso dire, se per i Molza vi sia qualche cosa da tacere, giacché […] non sono in questo momento informato. Potrebbero però favorirmi un albero: io farei il lavoro ma non si pubblicherà, se vi fosse discrepanza d'opinioni. Ho fatto così coi Pepoli" (ibid.).

Così, se le prime compilazioni pubblicate tra il 1819 e il 1821 riguardano spesso famiglie minori, lo scopo del L. era quello di preparare il terreno per affrontare i nomi più impegnativi, vista anche la necessità di "raccogliere i mezzi necessarj per pubblicare le altre grandi famiglie, come i Malaspina, Visconti, Pallavicini, Pignatelli ecc., ove la spesa è esorbitante per le grandi diramazioni" (Arch. di Stato di Milano, Galletti, 24, lettera del 7 genn. 1821). Nella scelta delle famiglie concorsero quindi, almeno inizialmente, motivi economici (la possibilità di ricavare dallo smercio delle prime dispense le risorse per affrontare le grandi spese per i fascicoli più impegnativi) e ragioni pratiche (l'agevole reperibilità di alcune fonti, come nel caso dei Gallio, piccola famiglia di Como, dove il L. era di casa, essendo nel Comasco la sua residenza estiva). Il successo, se non economico almeno scientifico dell'opera, rese possibile allargare la cerchia dei collaboratori: bibliotecari, cultori di storia locale, eruditi furono coinvolti dal L. nell'impresa. I suoi carteggi sono pieni di richieste di libri, informazioni, notizie e anche di pareri su quanto scriveva. Il materiale accumulato divenne così sempre più poderoso, consentendo al L. di affrontare le famiglie maggiori prima di quanto avesse previsto.

Accanto alla ricerca di notizie per la compilazione delle tavole di testo, procedeva l'individuazione dei monumenti e delle raccolte di medaglie da pubblicare nelle Famiglie celebri, riproduzioni eseguite da disegnatori appositamente assoldati dal L., che volle così mantenere fede alla promessa fatta nell'Avviso del 1819, laddove aveva assicurato che i disegni sarebbero stati sempre riproduzioni dal vero (valga quanto scriveva il 4 luglio 1831 a proposito delle difficoltà incontrate nella riproduzione di una statua a Ercole III d'Este: "A me non converrebbe di adoperare il disegno che ho poiché ho promesso di copiare i monumenti dall'originale […]. Altre volte mi sono capitate occasioni di copiare monumenti da incisioni anche buone, ma non l'ho mai voluto fare", lettera a M. Valdrighi, Modena, Biblioteca Estense, Autografoteca Campori, Pompeo Litta).

L'impresa comportò dunque per il L. un grande sforzo non solo intellettuale, ma anche economico, perché impegnò nell'opera una fortuna senza peraltro ottenerne un adeguato compenso. D'altra parte fin dal 1819 aveva avvisato che non si sarebbe formata alcuna associazione, poiché "un autore non dev'essere mai da alcuna legge circoscritto" (in Avviso, cit.). Il rifiuto di sottoscrivere abbonamenti rispecchiava la mentalità che ispirava il L., la cui opera non era un affare, ma un dovere, che egli, come gentiluomo e soldato, si sobbarcava a maggior gloria della nazione. Le dispense erano così vendute singolarmente alle famiglie interessate, a chi ne faceva richiesta, a biblioteche, ma è difficile stabilire l'effettiva diffusione dell'opera, che comunque fu inferiore a quanto sperato ("ella mi creda, che io navigo in cattivo mare, perché i viaggi de' disegnatori, le copie negli archivi pubblici e privati, e le coloriture assorbiscono tesori, ed io non vendo, che 274 copie in giornata, comprese circa 130, che escono dall'Italia, cosicché stento a star in piedi", Arch. di Stato di Milano, Galletti, 24, lettera del 28 luglio 1841).

Gli apprezzamenti alla sua opera non mancarono fin dall'uscita del primo fascicolo: non solo l'ambiente liberale milanese elogiò il suo lavoro dalle colonne del Conciliatore, ma anche il sensibile circolo fiorentino radunatosi intorno a G.P. Vieusseux mostrò di apprezzare lo sforzo del L., che fu accolto tra i collaboratori dell'Archivio storico italiano. Né mancarono le critiche, non solo e non tanto di genealogisti, quanto di chi individuò i suoi limiti storiografici. Tra questi il più acuto fu senza dubbio G. Ferrari, che recensendo l'opera per la Revue des deux mondes (16 ag. 1846), osservò come il L. finisse, con le sue ricostruzioni, con il denunciare la storica inadeguatezza della nobiltà: "il signor Litta, senza volerlo, distrugge la nobiltà per mezzo dei nobili" (Ferrari, p. 144: traduzione italiana); ma forse il L. non era poi nemmeno tanto inconsapevole degli effetti prodotti dalla sua opera sull'immagine della nobiltà se, già nel 1821, affermava che comunque la sua opera poteva considerarsi "per l'orazione funebre della nobiltà d'Italia" (in Arch. di Stato di Milano, Galletti, 24, lettera del 7 genn. 1821).

Se l'impegno e le energie del L. furono in gran parte assorbiti dalla compilazione delle Famiglie celebri, nondimeno egli fu presente in molte delle iniziative promosse dall'ambiente liberale milanese: imprese educative, sociali, culturali che vedevano tra i promotori personaggi come F. Confalonieri e C. Cattaneo. Il primo fu capace di coinvolgere il ritroso L. in progetti spesso invisi al governo austriaco (per esempio la Società per l'introduzione di scuole di mutuo insegnamento); il secondo, già suo collega nell'attività dell'Istituto lombardo, fu suo compagno nelle giornate del '48. Fu questa l'unica occasione in cui il L. abbandonò i suoi studi per gettarsi nelle vicende politiche. Coerente con lo spirito con cui aveva risposto alla coscrizione del 1804, quando fu chiamato a dirigere il ministero della Guerra nel governo provvisorio di Milano, aderì deciso a parteciparvi fino alla fine, nella convinzione che "morir un giorno prima di capestro, o un giorno dopo di nostalgia, è sempre morire" (Milano, Biblioteca del Museo del Risorgimento, Carte Cattaneo, cart. 5, plico 16, lettera del 25 apr. 1850).

Fu in effetti l'ultimo a capitolare all'arrivo degli Austriaci: "Ho letto tre edizioni della di lei Rivoluzione di Milano. Trovo nella terza, come Ella siasi meravigliato che il Governo Provvisorio non abbia fatto una protesta contro la capitolazione. Questo non è esatto. Il Governo era Consulta, e la Consulta era composta di Anelli, e Litta perché tutti compresi i portieri erano fuggiti, né vi fu alcuno di que' Signori, che almeno all'orecchio ci dicesse che se ne andavano. Ora posso dirle, che Anelli e Litta fecero solenne protesta contro la capitolazione. La protesta fu pubblicata, ed è stampata […]. Mi basta di avvertirla. Io non sono partito all'arrivo degli Austriaci, perché antepongo la forza all'esilio […]. Vivo nella mia solitudine, e progredisco nelle mie Famiglie celebri allegramente, nulla avendo a fare, che pagare" (ibid.).

Il L. morì a Milano il 17 ag. 1852.

Aveva pubblicato 135 fascicoli, per 113 famiglie: l'opera fu proseguita dai suoi più stretti collaboratori (in particolare F. Oderici, L. Passerini, F. Stefani) che portarono a 150 le famiglie trattate in 184 fascicoli, l'ultimo dei quali fu pubblicato nel 1883.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Biumi, b. 9, ins. 7; Araldica, parte moderna, b. 125; Ministero della Guerra, Matricole ufficiali, reg. 84; Processi politici, 31, 33, 46, 52; Galletti, 24 (carteggio di Giovanni Rosini, lettere del 7 genn. 1821 e del 28 luglio 1841); Milano, Biblioteca Ambrosiana, Carteggio Felice Bellotti, L.123 sup.; Carteggio Giulio Porro Lambertenghi, G.136 sussidio; Carteggio Pietro Mazzucchelli, S.203 sup.; Ibid., Biblioteca del Museo del Risorgimento, Carte Cattaneo, cartt. 4, 5; G. Ferrari, De l'aristocratie italienne. "Famiglie celebri italiane" di Pompeo Litta. Milano, 1819-1846, in Revue des deux mondes, III (1846), pp. 282-311 (trad. it. Id., Opuscoli politici e letterari, Capolago 1852, pp. 141-202); L. Passerini, P. L. (necrologia), in Arch. stor. italiano, Appendice, 1853, t. 9, pp. 287-301; A. Ferrante Boschetti, I cataloghi dell'opera di P. L. "Famiglie celebri italiane". Note, appunti, notizie, Modena 1930; R. Bizzocchi, L'immagine della nazione nelle Famiglie celebridi P. L., in A.M. Banti - R. Bizzocchi, Immagini della nazione nell'Italia del Risorgimento, Roma 2002, pp. 45-68.

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