pop Abbreviazione del termine inglese popular («popolare»), con cui sono state qualificate produzioni e manifestazioni artistiche di vario tipo che hanno avuto diffusione di massa nella seconda metà del Novecento.
Pop art Corrente artistica sviluppatasi in
Pur non mancando esperienze condotte da artisti isolati o da gruppi in ambito internazionale, la pop art va tuttavia considerata un fenomeno tipicamente anglosassone.
Originariamente in uso solo nei paesi anglofoni, la locuzione pop music è stata usata per designare la musica concepita e prodotta per il consumo popolare, urbano e di massa, nell’era della civiltà industriale. In quanto tale prende il posto, per funzione d’uso, del folclore musicale, retaggio della civiltà agricola e pastorale, di cui eredita certi modi di fruizione, ma non quelli della produzione, non più autogena ma delegata a una creatività fortemente influenzata dalle nuove forme di comunicazione.
1. Dalle origini al secondo dopoguerra
La locuzione ‘popular music’ comparve già all’inizio del 19° sec. per distinguere il repertorio delle canzoni popolari dalla produzione di musica colta. Veniva genericamente usata per indicare forme musicali dalla struttura semplice, per lo più strofica, e dalla melodia accattivante, prive di cambi di tempo (genericamente in 4/4), di variazioni dinamiche e fondate su scale pentatoniche. La musica popolare, basata su una certa ripetitività melodica e capace al tempo stesso di un notevole potere aggregativo, ha subito profonde evoluzioni, sfuggendo talvolta a rigide classificazioni: lo dimostra anche il fatto che compositori classici come Mozart o J. Strauss figlio nel 18° e nel 19° sec. hanno goduto di enorme diffusione popolare.
Alla fine del 19° sec. e agli inizi del successivo, negli Stati Uniti la musica leggera (ribattezzata folk music) iniziò a divenire un fenomeno commerciale, con il mercato delle partiture di canzoni popolari, per lo più musica da vaudeville e ragtime i cui ritmi sincopati conquistarono l’America attraverso le composizioni di
Il trombettista
La metà degli anni 1930 vide spopolare il genere swing delle grandi orchestre di D. Ellington, C. Basie, J. e T. Dorsey, G. Miller e B. Goodman. È stato ancora una volta l’incontro tra due culture, quella del ritmo prepotente del jazz e quella della musica orchestrale bianca di discendenza europea, a creare un fenomeno pop che l’America – impegnata in una faticosa via d’uscita dalla Grande depressione del 1929 – accolse come un’occasione di intrattenimento per dimenticare i problemi quotidiani.
Aspetto primario del pop è il divismo connesso ai suoi protagonisti. Se fino agli anni 1930 era la composizione, la canzone, il tema, l’opera il centro dell’attenzione degli ascoltatori, a partire dagli anni 1940 nacque la figura della pop staridolatrata da schiere di fan (abbreviazione di fanatics). Due i fattori che portarono al successo crooners («sussurratori») dalle voci ben spiegate e impostate, come
2. Dal secondo dopoguerra a oggi
Quando E. Presley, all’inizio degli anni 1950, rivoluzionò la musica d’intrattenimento inventando la formula del rock’n’roll – incrocio tra country e blues dotato di una percussività energica e originale –, il mondo giovanile era pronto per un nuovo pop che assumeva per la prima volta le dimensioni di un fenomeno di massa: il rock diventava svago e divertimento, ma anche un segno generazionale distintivo. L’industria discografica intercettò questo bisogno di identificazione e vi costruì attorno una cultura in qualche modo già multimediale che utilizzava il cinema, i fumetti, la televisione, la radio, i dischi, l’abbigliamento, i giornali.
All’inizio degli anni 1960, quando il rock’n’roll era ormai codificato, un nuovo tipo di canzone pop si affermò: era l’ora di una generazione di autori cresciuti con il rock’n’roll (quali N. Sedaka, C. King e G. Goffin, D. Pomus e M. Shuman), ma attenti alla qualità degli arrangiamenti orchestrali di Porter o Gershwin. Per la musica pop la prima metà degli anni 1960 segnò un momento di grande tensione creativa. Negli Stati Uniti la black music, che rinnovava il pop in chiave rhythm’n’ blues, ottenne un grande successo di pubblico; in Gran Bretagna i Beatles, con la loro fusione di beat e rock’n’roll si affermarono come il più grande gruppo pop, nonché oggetto di idolatria da parte dei teenager.
La creazione pop, imboccando una tendenza tuttora viva, diventava transnazionale fino a obbedire a regole per confezionare un prodotto privato ormai di ogni connotazione regionale. Pop diventò un prefisso o un suffisso come nel caso di pop-rock, bubblegum pop, soul pop, synth pop, che di volta in volta restituiva una pallida coloritura a un genere di per sé difficilmente catalogabile. Gli anni del disimpegno, alla fine degli anni 1970, hanno prodotto l’ultimo fenomeno commerciale autenticamente pop, la disco-music, sintesi di soul, funk e arrangiamenti elettronici, nata nel circuito delle nascenti discoteche.
Negli anni 1980 solo il movimento hip hop e il rap sono riusciti a guadagnare lo status di cultura popolare autentica. Madonna e M. Jackson, modelli di un’epoca di riflusso, tra gli anni 1980 e 1990, e del predominio dell’emittente musicale Mtv, non hanno fatto che perpetuare con il loro pop artificiale ed edulcorato il culto del divismo. Tale culto è stato poi raccolto da artisti catalogabili come teen pop (B. Spears, C. Aguilera, Take that, Backstreet boys, Spice girls) per la loro capacità di rivolgersi a un pubblico adolescente e preadolescente.