Popoli e culture dell'Italia preromana. Il Lazio e i Latini

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

Popoli e culture dell'Italia preromana. Il Lazio e i Latini

Mauro Cristofani

Il lazio e i latini

Regione dell’Italia preromana tradizionalmente distinta, nell’età imperiale, in Latium vetus, compreso fra il Tevere e il Circeo (Plin., Nat. hist., III, 56), e Latium adiectum,che dal Circeo si spingeva fino a Sinuessa, sempre sulla costa (Plin., Nat. hist., III, 59; Strab., V, 3, 4).

Il nome Latium, tuttavia, appare tardi nella tradizione scritta (Enn., Ann., 466), anche se un’iscrizione etrusca dipinta nella tomba tarquiniese degli Auguri, del 530-520 a.C., designa la figura di un atleta latiqe, forse “colui che viene dal Lazio”. Del pari antico doveva essere il nome assegnato al Latiar, il santuario di Iuppiter Latiaris, situato sul Monte Cavo (Mons Albanus), nel quale si svolgevano le feste latine (feriae Latinae), di tradizione assai antica, cui partecipavano 30 populi capeggiati da Alba Longa (l’elenco è in Plin., Nat. hist., III, 5, in cui sono compresi anche i Latinienses), che si riconoscevano nella stirpe comune. Il nome personale Latino è poi noto nella tradizione scritta fin dal VII sec. a.C. (si veda Hes., Theog., 1013: Latino è figlio di Odisseo e Circe, che regna “sui Tirreni”, nonché latine, latin(e)-na* in iscrizioni etrusche da Veio e Cerveteri) ed è portato dal re eponimo della stirpe, capo degli Aborigeni, variamente collegato con i Troiani che sbarcano nel Lazio (ad es., Cato, Orig., 5; Dion. Hal., I, 72).

Dal nome deriva anche l’ager Latiniensis, che da Fidene si spingeva fino a Roma (Cic., Har. resp., XX, 62), nonché la designazione della regione in greco: compare alla metà circa del IV sec. a.C. nel Periplo di Scilace (8) e nel primo trattato romano- cartaginese, tradizionalmente attribuito al 509 a.C., si sarebbe parlato di popoli latini (in particolare di quelli di Ardea, Anzio, Laurento, Circei e Terracina) che abitavano nella Lat…nh (Pol., III, 22, 13; Strab., V, 3, 2). Il territorio definibile come Lazio nella tarda protostoria e all’inizio della storia doveva essere tuttavia compreso fra il Tevere, l’Aniene, la costa e la pianura pontina. Era il territorio dei prisci Latini, che la distribuzione di documenti scritti in latino del VII sec. a.C. estende fino a Palestrina e Gabi, che segnano il limite settentrionale del territorio: vi si parlavano varianti dialettali di una stessa lingua, che attestano quindi un antico radicamento delle genti latine in quella regione. C’è da presumere anzi, stando a una variante del latino, il falisco parlato nella zona transtiberina di fronte alla Sabina, che in età preistorica i Latini occupassero un territorio assai più ampio, poi ridotto dalla migrazione di altri gruppi etnici.

Oltre i confini di età storica abitavano i Sabini a nord dell’Aniene, sentito come confine (Plin., Nat. hist., III, 54), gli Equi nella regione appenninica sopra Tivoli, gli Ernici insediati nell’alta valle del Sacco con capitale ad Anagni e, successivamente, i Volsci, che occuparono la pianura pontina; anche i Rutuli, che abitavano Ardea, vengono considerati dalla tradizione popolo non latino (Strab., V, 3, 1 e 4). Il Lazio più antico, in età storica, era pertanto geograficamente dominato dal massiccio dei Colli Albani, ai quali sia la tradizione leggendaria relativa ad Alba Longa sia l’evidenza archeologica assegnano una sorta di priorità cronologica nello sviluppo della cosiddetta “civiltà laziale”, divisa tradizionalmente in quattro periodi. La prima fase (X - inizi IX sec. a.C.) è nota esclusivamente dalla documentazione di necropoli, a Gabi, Roma, Ficana e, sulla costa, a Pratica di Mare (Lavinium) e Anzio, ma soprattutto in vari siti dei Colli Albani: le tombe erano costituite da pozzetti con dolio all’interno del quale sono conservati il vaso cinerario e il corredo. Spesso il cinerario è un’urna d’impasto configurata a capanna a pianta ovale con porta e tetto stramineo, entro la quale può essere conservata l’immagine in miniatura del defunto in atto di offerta e il relativo corredo sempre in miniatura (lancia, rasoio). I rapporti culturali vengono riscontrati con il Protovillanoviano tardo e poi con il Villanoviano iniziale.

Nel corso della seconda fase (inizi IX - inizi VIII sec. a.C.), percorsa da fenomeni di novità, si assiste alla graduale sostituzione dell’inumazione all’incinerazione (fenomeno diffuso anche in Etruria e in Campania) e a una moltiplicazione dei centri abitati in pianura, a scapito di quelli situati sui Colli Albani: le attività sedentarie e agricole prendono il sopravvento su quelle eminentemente pastorali della prima fase. Intorno a Roma sorgono centri a La Rustica sulla via per Gabi, ad Acqua Acetosa sulla via Laurentina, a Castel di Decima sulla via Pontina e, lungo l’asse tiberino, ad Antemnae, Fidene e Crustumerium, che dovevano controllare una possibile espansione degli Etruschi di Veio. La formazione di queste sedi storiche, nate, nei casi più famosi (come quello di Roma, ma è possibile arguire un fenomeno analogo anche a Gabi), per un’aggregazione sinecistica di villaggi contermini, si consolida soprattutto nel III periodo (inizi dell’VIII secolo - 730 a.C. ca.): gli abitati sono costituiti da capanne ovali o circolari, spesso incassate nel suolo, con pareti a graticcio rivestito di argilla e tetti ricoperti di frasche (esempi a Roma - Palatino, Ficana, Lavinium e Satricum), che si sviluppano entro aree difese con fossati o argini di terra, nelle quali viene riconosciuto lo spazio cittadino, esteso in media per 30-40 ha circa (Roma costituisce un’eccezione), con un territorio dipendente di circa 5 km di raggio.

Nelle necropoli comincia a evidenziarsi una prima articolazione delle società in classi, con forme di accumulo della ricchezza ed esaltazione del ruolo del guerriero tramite l’esibizione di armi di bronzo, affini per tradizione a quelle tardovillanoviane dell’Etruria meridionale; il fenomeno si contestualizza con l’età della prima colonizzazione greca in Campania, di cui si percepiscono gli effetti, oltre che in importazioni, anche nella produzione di modeste imitazioni di ceramica depurata di tipo geometrico. Il vero salto qualitativo si registra nel IV periodo (diviso in due fasi: A dal 730 al 640 a.C., B dal 640 al 580 a.C. ca.), corrispondente all’Orientalizzante tirrenico. L’enfatizzazione del ruolo socioeconomico del defunto diviene ancor più evidente, in particolare nelle tombe “principesche” di Palestrina, Satricum, Rocca di Papa, situate alla periferia della regione, lungo strade dove forme di predoneria o di pedaggio potevano essere strutturali e, in misura minore, a Castel di Decima e Acqua Acetosa Laurentina: i corredi sono ricchi di vasellame prezioso di importazione orientale o di imitazione, di ornamenti personali d’oro, di oggetti d’avorio e d’ambra, ma anche di ceramica greca, in particolare corinzia.

Le tombe, tutte individuali, del tipo a fossa o a cassone, mostrano una cultura cerimoniale particolarmente sviluppata basata sul banchetto e il consumo del vino, di cui si ha qualche esempio anche nelle case dell’epoca (come a Ficana). Notevole è lo sviluppo dell’artigianato locale, in gran parte di ceramiche d’impasto con ingubbiatura rossa, la cui morfologia imita a volte prototipi metallici di prestigio, o di più modeste imitazioni di vasi con decorazione geometrica e quindi di buccheri derivati da quelli etruschi. Dopo la metà del VII sec. a.C. si assiste a un vero consolidamento delle strutture urbane, anche in senso fisico, con la costruzione di fortificazioni (Satricum, Lavinium, Ardea), che utilizzano anche muraglie di pietra (Monte Carbolino, sopra l’abbazia di Valvisciolo), e con l’esecuzione di pavimentazioni riservate a luoghi pubblici (come il comizio a Roma). L’architettura riceve nuovo impulso da tecniche edilizie più sviluppate grazie all’introduzione di fondazioni di pietra e di tetti con tegole fittili (Ficana, Satricum, Roma), che vengono adottati non solo per l’edilizia domestica, ma anche per la prima edilizia sacra (Satricum, Gabi).

I santuari divengono gradualmente il luogo in cui si dirigono le ricchezze e, in concomitanza con lo sviluppo di costruzioni pubbliche, diminuisce lo sfoggio di beni nelle tombe, che sfocerà intorno agli inizi del VI sec. a.C. in un abbandono quasi generale del lusso funerario, il quale, tranne alcune eccezioni, rimarrà vigente fino al IV sec. a.C., verosimilmente a seguito di una precisa normativa antisuntuaria. Le eccezioni, tuttavia, non mancano e vanno ricordati almeno alcuni sepolcri attribuibili a personaggi di particolare rango o ruolo sociale: la tomba a camera, di tipo familiare, recentemente scoperta a Lavinium, forse inclusa in una necropoli più vasta, presenta deposizioni a inumazione e incinerazione che si susseguono dal secondo quarto del VI alla metà circa del V sec. a.C. In questa tomba figura anche un’anfora di tipo nicostenico con iscrizione di dono etrusca; la tomba a incinerazione di Fidene con gioielli femminili, della fine del VI sec. a.C., e quella del “guerriero” di Lanuvio, del secondo quarto del V sec. a.C.

Il fenomeno di diminuzione generalizzato coincide tuttavia con l’inizio del funzionamento della città nei suoi organismi e nelle sue opere pubbliche: mura urbane a blocchi di cappellaccio o tufo, opere di drenaggio e cisterne si rinvengono un po’ ovunque, mentre emerge in misura sempre maggiore un’edilizia con funzioni pubbliche e sacre (Roma, Regia e Curia; Gabi, tempietto suburbano; Satricum, primo sacello, sovrapposto alla precedente capanna adibita a luogo di culto di Mater Matuta), che prevede anche un apparato decorativo fittile eseguito con matrici, analogamente a quanto accade in Etruria. A partire dalla metà del VI sec. a.C. la visibilità archeologica dei luoghi di culto diviene sempre più evidente. Luoghi all’aperto con altari per sacrifici sono noti a Lavinium (santuario delle XIII are), mentre è possibile distinguere un’architettura sacra che, allo scorcio fra VI e V sec. a.C., sviluppa, da semplici celle di dimensioni modeste, due tipi di edifici: l’uno, detto “tuscanico”, presenta una o tre celle (le due laterali possono essere sostituite da alae aperte) e un colonnato anteriore su una o più file (Roma, S. Omobono e Tempio dei Castori; Ardea; Segni); l’altro, meno frequente, di influenza magno-greca, risulta a cella unica con peristasi di colonne (Minturno; Satricum, secondo e terzo tempio).

I frammenti di decorazione architettonica attribuibili a molti edifici, di cui sono in parte ignote le relative strutture, permettono di individuare diverse officine di coroplasti, con proprie tradizioni, itineranti nelle diverse città del Lazio, dedite sia alla scultura a tutto tondo (Roma, S. Omobono; Velletri), sia a lastre di copertura dei tetti, inizialmente con scene figurate secondo la tradizione “etrusco-ionica” (Roma, S. Omobono e Palatino; Ficana; Ardea; Velletri; Cisterna; Lavinium; Satricum, primo tempio; Palestrina; Norba), centrate sui simboli della vita aristocratica proiettati in ambiente oltremondano, incluso forse il trionfo, e in seguito con decorazione vegetale, secondo la tradizione cosiddetta “etrusco-campana” (in effetti magno-greca, probabilmente cumana). Agli inizi del V sec. a.C. non mancano, poi, esempi di altorilievi dipinti (Roma, Esquilino; Lucus Ferentinae presso Ariccia; Segni; Satricum, terzo tempio) posti a decorare le testate delle travi frontonali e di cicli acroteriali (Satricum, terzo tempio) celebranti episodi del mito greco.

Quest’attività particolarmente intensa coincide non solo con la fondazione di colonie nel Lazio volute da Roma (Segni e Circei, già fondate sotto Tarquinio il Superbo: Liv., I, 56, 3; Dion. Hal., IV, 63), ma anche con un’autonomia rinnovata delle città che si riconoscono pure in un organismo federale quale la Lega latina. I santuari collegati alla lega, a parte quello di Iuppiter Latiaris, di carattere strettamente etnico-religioso, sembrano ora quelli di carattere più eminentemente politico quali quello di Diana Nemorense, rivitalizzato durante lo scontro con l’esercito etrusco di Porsenna, forse per impulso dell’alleata Cuma, attribuito dalla tradizione a un gruppo di populi riuniti sotto un dittatore di Tuscolo (Cato, Orig., 58: Tuscolo, Ariccia, Lanuvio, Laurento, Cori, Tivoli, Pomezia, Ardea; confronta anche Fest., p. 128 Lindsay), o quello del Lucus Ferentinae, sotto il Mons Albanus, sempre nel territorio di Ariccia, dove si svolgevano le assemblee dei populi e dove si sarebbero radunate le truppe (Liv., I, 50-53; II, 38, 1; VII, 25, 5), dalla caduta di Alba Longa fino allo scioglimento della lega (Fest., p. 276 Lindsay).

Quest’autonomia della lega viene riconosciuta da Roma anche dopo la vittoria del Lago Regillo (497 o 496 a.C.), nella quale Latini e Volsci alleati furono sconfitti e che portò alla stipula di un trattato di alleanza che doveva durare 100 anni (il cd. foedus Cassianum, il cui testo è conservato in Dion. Hal., V, 61, 3 e in Fest., p. 276 Lindsay). Il consumo del sacro emerge tanto attraverso donari di bronzo (di cui vera reliquia è la testa forse di Diana da Ariccia alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen), quanto dagli ex voto fittili noti a partire dalla metà del V sec. a.C., che sostituiscono con la loro monumentalità offerte più minute di età precedente (bronzetti, ceramica e focacce in miniatura ed eccezionalmente ceramica d’importazione greca ed etrusca). La documentazione più cospicua proviene dal santuario suburbano di Minerva a Lavinium, dove alle statue rappresentanti lo stesso simulacro ligneo della divinità, derivato da un tronco d’olivo, o la dea nelle vesti di Atena Iliàs si aggiungono le statue di devoti femminili e maschili, appartenenti al ceto alto, che celebrano il rito di passaggio alla maggiore età.

L’assetto aristocratico della società si manifesta anche nell’edilizia domestica, di tipo residenziale, che elabora tipi provvisti di ambienti articolati attorno a un cortile, di grandezza diversa, come nelle domus alle pendici del Palatino di tardo VI sec. a.C. o nelle più tarde case di Satricum e Lavinium situate presso i relativi santuari di Mater Matuta e della Madonnella. Case più modeste, fornite anche di ambienti di lavoro posti sull’affaccio di strade, sono state scoperte ad Acqua Acetosa Laurentina. Nel corso del V sec. a.C. il Lazio appare sostanzialmente legato a Roma, di cui segue le sorti. La fondazione di colonie nella regione avviene con l’accordo della Lega latina poiché molte hanno lo scopo di difendere i confini meridionali del territorio da bellicose genti erniche e volsche: si tratta di Segni, rifondata nel 495 a.C., Velletri (494), Norba (492), Anzio (442), Ardea (442), Circei, rifondata nel 393, Satricum (385) e Sezze (382).

Le colonie – di cui alcune con vicende storiche oscillanti, poiché sottoposte in qualche caso all’occupazione volsca (come Satricum e Velletri), la quale archeologicamente si configura come fenomeno di destrutturazione (come appare nella necropoli volsca di Satricum, che occupa l’acropoli della precedente città latina) – divengono il naturale rifugio delle popolazioni sparse nelle campagne, comportando una progressiva diminuzione delle evidenze archeologiche. L’oscillazione delle città latine sul piano politico nei confronti di Roma, soprattutto durante le guerre sannitiche, determina l’ultimo scontro con le città della lega (338 a.C.): il nomen Latinum rimane un legame solo sacrale, rinnovato nelle feriae che continuavano a svolgersi sul Mons Albanus.

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