SPINOLA, Porchetto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 93 (2018)

SPINOLA, Porchetto

Denise Bezzina

– Nacque in data imprecisata (seconda metà del secolo XIII) da Ingo, esponente di una delle famiglie aristocratiche (di orientamento ghibellino) più importanti di Genova e da madre ignota; apparteneva al ramo della famiglia che risiedeva nel quartiere di San Luca.

Indirizzato verso la carriera ecclesiastica, entrò a far parte dell’Ordine dei frati minori, dei quali faceva già parte negli anni Ottanta.

È infatti definito «frater Porchetus Spinula [...] de ordine minorum» (I libri iurium..., a cura di M. Bibolini, 2000, 1, 6, doc. 1125), nel 1289, quando fu scelto come testimone e consigliere da Guerriera, moglie di Leone, marchese di Ponzone e figlia del marchese del Bosco, nella ratifica della vendita di svariati possedimenti in val d’Orba e nella valle Stura al Comune di Genova: è la prima notizia che lo concerne. Negli stessi anni Spinola viaggiò fuori patria, e acquisì competenze politico-diplomatiche. In tale frangente riuscì a intrecciare legami con i sovrani angioini: nel 1291, infatti, fu ad Aix-en-Provence, dove in veste di consigliere gli venne rilasciato un salvacondotto (24 novembre). Spinola è detto «dilectus consiliarius noster» (G. Ruocco, Regesto angioino-francescano..., in Miscellanea francescana, 1938, p. 227), segno che aveva già acquisito prestigio e rilievo anche a livello sovralocale e che inoltre godeva della fiducia degli Angiò.

Nel 1299, dopo la morte dell’arcivescovo Iacopo da Varazze (1292-98), Spinola venne scelto come nuovo presule della città da Bonifacio VIII che – scavalcando il capitolo della cattedrale, al tempo dominato da membri della famiglia Fieschi (di orientamento guelfo e antagonisti degli Spinola) – lo pose a capo della Chiesa genovese (3 febbraio). L’elezione di Spinola (che prese subito qualche provvedimento in materia ecclesiastica, come l’imposizione della clausura ai monasteri femminili della città, non senza l’opposizione della badessa di S. Andrea della Porta) fu dunque connessa alle intricate vicende politiche cittadine.

Nella seconda metà del Duecento la scena politica genovese era stata monopolizzata dalle famiglie ghibelline degli Spinola e dei Doria che, con l’instaurazione del doppio capitanato del Popolo, si erano assicurate le magistrature di vertice. Nonostante gli sforzi per una pacificazione compiuti dal predecessore Iacopo da Varazze, le profonde spaccature interne non erano ancora state sanate. Il Comune peraltro perseguiva una politica estera in pieno contrasto con quella di Bonifacio VIII, le cui intenzioni erano di restaurare un governo angioino in Sicilia: nell’isola, i genovesi stavano aiutando Federico III d’Aragona – che aveva scelto un Doria come suo ammiraglio – a mantenere salda la sua posizione.

È stato ipotizzato che l’obiettivo di Bonifacio VIII, nella scelta di un vescovo proveniente da una famiglia ghibellina, fosse quello di alimentare ancora di più la discordia fra i due capitani del Popolo Corrado Spinola e Lamba Doria, in un momento in cui i dissensi tra loro cominciavano a farsi sentire, e di destabilizzare così il governo cittadino (Caro, 1974-1975, II, p. 253). Sicuramente il pontefice fu motivato nella scelta dalla questione siciliana e dalla sua volontà di restaurare l’isola agli Angioini: che la questione fosse diventata di centrale importanza è evidente dalla minaccia di scomunica che aleggiava sulla città genovese. È dunque lecito pensare che la scelta di un ecclesiastico fedele, diplomatico esperto – in passato legato agli Angiò – e imparentato con uno dei due capitani del Popolo, rientrasse nel quadro della politica papale.

Pochi mesi più tardi (marzo del 1300), tuttavia, Spinola rinunciò alla cattedra: di sua spontanea volontà, oppure, molto più probabilmente, su pressione dello stesso Bonifacio VIII, che forse coltivava dei sospetti sulla fedeltà del neoeletto.

Corse voce, all’epoca, che i cardinali Giacomo e Pietro Colonna, membri di una famiglia invisa al papa, avessero trovato rifugio a Genova (Cambiaso, 1939, p. 18), ma ciò contò verosimilmente poco nell’alimentare i sospetti del papa; è più probabile che sulla decisione abbia inciso la complicata situazione siciliana che non aveva ancora trovato soluzione e per cui i genovesi nel frattempo erano stati scomunicati. In ogni caso è da ritenersi leggendario, pur se assai significativo, l’episodio riportato dall’annalista Giorgio Stella (che scriveva un secolo dopo l’accaduto): il mercoledì delle ceneri del 1300, quando Spinola si inginocchiò dinanzi a Bonifacio VIII per ricevere la cenere sul capo, il papa invece gliela gettò negli occhi esclamando: «Memento quia ghibellinus es, et cum ghibellinis in pulverem reverteris» (Georgii et Iohannis Stellae Annales genuenses, a cura di G. Giletti Balbi, 1975, p. 70).

Nonostante la rinuncia, la sede rimase vacante e Spinola si trovò a esercitare comunque il ruolo di amministratore della Chiesa genovese. Nel documento con cui Bonifacio VIII approvò la pace stipulata fra Genova e Carlo II di Angiò (Anagni, 28 giugno 1300), alla cui redazione anch’egli presenziò (dopo aver svolto sicuramente un ruolo di mediazione fra la città e il re), Spinola viene definito infatti «administrator et procurator Ecclesie Ianuensis» (I libri iurium..., a cura di E. Pallavicino, 1, 7, 2001, doc. 1237); sicuramente mantenne autorità in materia di giustizia, se in un documento del gennaio 1301 il pontefice, oltre a riconoscergli il ruolo di amministratore si riferì a lui come anche «inquisitor heretice pravitatis in provincia Ianuensi» (Les registres de Boniface VIII, a cura di G. Digard - M. Faucon - A. Thomas, 1906, III, doc. 4325). L’anno successivo, Porchetto fu nuovamente chiamato a testimoniare l’osservanza dei patti stipulati nel trattato di pace con il sovrano angioino e la cessione al Comune di Genova del castello di Monaco e della torre di Abeglio.

Archiviata la questione siciliana, proprio per i suoi meriti e per il suo impegno nella riconciliazione tra Genova e Carlo II Spinola fu riabilitato da Bonifacio VIII (che pochi mesi prima aveva sciolto i genovesi dalla scomunica) e reintegrato nel suo incarico di arcivescovo di Genova (17-18 agosto 1301); subito non mancò di intercedere presso il papa per il suo familiare Corrado Spinola (capitano del Popolo nel 1299, scomunicato per essere stato fautore di Federico III d’Aragona), ottenendo per lui l’assoluzione nel dicembre del 1301.

Nel frattempo, appena prima del suo reintegro, Spinola era stato coinvolto nel progetto di promuovere una crociata. Nel 1300 (o nel 1301) si pensò infatti – con l’appoggio tra l’altro di Benedetto Zaccaria, influente mercante con ampi interessi in Oriente – a indire una «crociata delle “dame”», finanziata da donne dei ceti genovesi più abbienti (fra cui aristocratiche delle famiglie Grimaldi, Spinola, Doria, e Cibo, alcune delle quali erano intenzionate a partecipare in prima persona, anche se non con l’intenzione di combattere). Ma il progetto venne subito abbandonato (Polonio, 1999, p. 114).

L’operato di Porchetto negli anni successivi è solo occasionalmente documentato, come conseguenza di un panorama documentario molto lacunoso. Risulta difficile anche valutare le relazioni con il soglio pontificio successivamente alla morte di Bonifacio VIII (1303) e al brevissimo pontificato di Benedetto XI (1303-04), con cui non pare abbia avuto contatti. È certo, tuttavia, che il presulato di Porchetto si svolse durante un periodo molto turbolento della storia cittadina.

Un rinnovato periodo di irrefrenabili scontri interfamiliari portò alla restaurazione della diarchia Doria-Spinola. Ma ad aumentare le tensioni concorse la spaccatura all’interno della famiglia Spinola, alimentata dalle ambizioni personali di Opizzino Spinola di Luccoli che riuscì a instaurare una specie di signoria personale in città (1308-09). All’intricato quadro politico-istituzionale genovese si aggiunsero le complesse vicende della politica generale, che ebbero ripercussioni sulla situazione interna: durante l’episcopato di Spinola per due volte la città si assoggettò mediante dedizione a signori esterni, dapprima a Enrico VII (1311-13) e successivamente a Roberto d’Angiò assieme (nominalmente) a papa Giovanni XXII (1316-34).

Nel 1306 l’arcivescovo (come anche il Comune di Genova), ricevette da Clemente V, una richiesta di aiuto per il re di Armenia e per il re di Cipro – appena deposto dal fratello –, che i genovesi negarono. Della questione concernente l’Armenia Spinola tuttavia non si disinteressò del tutto: nel 1308 fondò la chiesa di S. Bartolomeo a Murtedo nei pressi di Genova, che doveva essere affiancata da un convento destinato ad accogliere i monaci dell’Ordine dei basiliani d’Armenia, che – rifugiatisi a Genova dopo la distruzione del loro monastero da parte dei saraceni – avevano acquistato un appezzamento di terra grazie al legato di un Oberto purpurerius.

Non è dato conoscere nel dettaglio, almeno per questo periodo, come influirono sul suo operato le vicende cittadine e i dissidi all’interno della sua famiglia. In ogni caso Spinola continuò a occuparsi degli interessi dei suoi parenti. Nel 1310 con altri familiari prese parte all’accordo per la cessione al Comune di Genova da parte di Odoardo Spinola di Luccoli di tutti i diritti che gli spettavano sui castelli di Quiliano e Albisola. Sicuramente continuò anche a gestire i suoi affari e ad avere contatti con l’ambiente mercantile: nel settembre del 1312 stipulò un mutuo per 200 fiorini con dei mercanti toscani (Petti Balbi, 2004, p. 23) e in quegli anni investì in numerose operazioni finanziare (Polonio, 2002, p. 475).

Il suo impegno nell’amministrazione diocesana è ben documentato a partire dagli anni 1310-11. La documentazione evidenzia in modo particolare il suo ruolo nel dirimere questioni matrimoniali, oltre che le attività di gestione dei beni ecclesiastici e del buon funzionamento degli enti diocesani, anche appianando conflitti per i diritti spettanti alle chiese cittadine. In quel biennio convocò due sinodi provinciali; il secondo, celebrato nel giugno del 1311, fu convocato in preparazione dell’imminente concilio indetto da Clemente V e nel quale si dovevano affrontare la questione dei templari, gli aiuti per la Terra Santa, la riforma dei costumi del clero e la difesa della libertà della Chiesa.

Una procura rilasciatagli dall’abate del monastero di S. Stefano indica che Spinola si recò personalmente a Vienne e presenziò al concilio (ottobre 1311-maggio 1312), delegando frate Benvenuto, vescovo di Accia (in Corsica), a svolgere le sue funzioni pastorali nella diocesi di Genova (4 settembre 1311).

Nel 1314 l’arcivescovo prese un’iniziativa disciplinare nei confronti di Giovanni da Carignano, rettore della chiesa di S. Marco al Molo e noto cartografo, perché permetteva ai mercanti di usare – contro la corresponsione di un affitto – i locali della chiesa, depositandovi materiale per la navigazione. Per risolvere la questione fu interpellata la Curia pontificia, che si espresse a favore di Giovanni. Porchetto Spinola è ricordato anche negli statuti cittadini di tardo Duecento ed inizio Trecento (Statuti della colonia genovese di Pera, a cura di V. Promis, 1870, p. 213), poiché in data imprecisata ratificò una costituzione sinodale circa l’abito clericale emanata dal suo predecessore nel 1289.

Negli ultimi anni del suo episcopato, si accentuarono ancora i conflitti che avevano dominato la storia cittadina degli ultimi decenni. Un breve ritorno alla diarchia, questa volta affidata ai guelfi Fieschi e Grimaldi (dicembre 1317-luglio 1318), fu il preludio di un tentativo (fallito) di ribellione da parte delle forze ghibelline di cui faceva parte la famiglia dell’arcivescovo, e poco dopo, della dedizione della città a Roberto d’Angiò, leader del guelfismo. I ghibellini furono costretti a fuggire dalla città, ma riuscirono a costruire capisaldi nel Ponente ligure, e specialmente a Savona, da sempre ostile a Genova. A Savona trovò rifugio anche Spinola, che nella primavera del 1319 ricevette una lettera da Ludovico il Bavaro (sin dal 1314 proclamato imperatore, ma ancora in attesa di riconoscimento ufficiale), che chiedeva informazioni sulla situazione nell’Italia nord-occidentale. Spinola rispose rassicurandolo sulla debolezza del partito guelfo, la cui posizione dipendeva esclusivamente dalla presenza di Roberto d’Angiò (Polonio, 2002, p. 13).

Nonostante l’assenza dalla sede, Spinola non mancò di vigilare sulla buona gestione degli enti ecclesiastici cittadini: ancora nel gennaio del 1320, il suo vicario presenziò a un atto dell’abate di S. Stefano, che chiedeva ai monaci l’elenco nominativo dei cattivi amministratori del patrimonio monastico.

Morì il 30 maggio 1321, a Sestri Ponente, e fu sepolto nella chiesa dei frati minori a Genova. Gli successe Bartolomeo de Maroni da Reggio (1321-35), canonico di S. Lorenzo, gradito sia a papa Giovanni XXII sia alla parte guelfa.

Descritto dall’annalista Giustiniani come «uomo di sufficiente litteratura ed acutissimo di natural ingegno e di gran consiglio» (A. Giustiniani, Annali..., a cura di G.B. Spotorno, 1854, p. 502), Spinola è stato considerato marginalmente dalla storiografia, che si è generalmente focalizzata sulla sua esplicita adesione alla parte ghibellina. Una visione più nitida del suo episcopato a partire dal 1310-11 potrà forse essere restituita dall’analisi dei registri del notaio (in servizio presso la curia arcivescovile) Leonardo di Garibaldo, recentemente editi (Leonardo di Garibaldo..., a cura di M. Calleri - A. Rebosio - A. Rovere, 2017); del notaio si conserva altra documentazione in registro, che copre in modo variabile gli anni dal 1313 fino al 1338, abbracciando così tre episcopati.

Fonti e Bibl.: Synodi dioecesanae et provinciales editae atque ineditae S. Genuensis ecclesiae, a cura di P. Sbertoli - G. Spotorno, Genova 1833 (per i testi dei sinodi, ma senza indicazione del luogo di conservazione); A. Giustiniani, Annali della repubblica di Genova, a cura di G.B. Spotorno, Genova 1854, pp. 31, 502; Statuti della colonia genovese di Pera, a cura di V. Promis, in Miscellanea di storia italiana, XI (1870), p. 213; Il secondo registro della curia arcivescovile di Genova, a cura di L.T. Belgrano, in Atti della Società ligure di storia patria, XVIII (1887), p. 458; Regestum Clementis Papae V..., Roma 1889, docc. 751, 752, 753; Les registres de Boniface VIII..., a cura di G. Digard - M. Faucon - A. Thomas, Parigi 1890, II, docc. 2891, 3579, 3883; 1906, III, docc. 4119, 4120, 4444, 4324, 4325, 4380, 4381, 4386; G. Ruocco, Regesto angioino-francescano del Regno di Napoli, in Miscellanea francescana, XXXVIII (1938), 1, p. 227; Georgii et Iohannis Stellae Annales genuenses, a cura di G. Petti Balbi, Bologna 1975, pp. 70 s., 100, 102, 104 s.; I libri iurium della Repubblica di Genova, I, 6, a cura di M. Bibolini, Genova 2000, docc. 1124, 1125, I, 7, a cura di E. Pallavicino, 2001, docc. 1237, 1239, I, 8, a cura di Ead., 2002, doc. 1254; Le carte del monastero di Sant’Andrea della Porta di Genova (1109-1370), a cura di C. Soave, Genova 2002, docc. 55, 56, 57; Il codice diplomatico del monastero di Santo Stefano di Genova, IV, (1294-1327), a cura di D. Ciarlo, Genova 2008, docc. 1129, 1198; Leonardo di Garibaldo (Genova, 1310-1311), a cura di M. Calleri - A. Rebosio - A. Rovere, I-II, Genova 2017, http://notariorumitinera.eu/CollanaItinera.aspx, (14 ottobre 2018).

M. Deza, Istoria della famiglia S. descritta dalla sua origine fino al XVI secolo, Piacenza 1694, pp. 137, 160; Annali storici di Sestri Ponente e delle sue famiglie (dal secolo VII al secolo XV), a cura di A. Ferretto, in Atti della Società ligure di storia patria, XXIV (1904), pp. 217 s.; A. Ferretto, I primordi e lo sviluppo del Cristianesimo in Liguria ed in particolare a Genova, ibid., XXIX (1907), pp. 472, 540, 547 s., 590-592, 595, 647, 687, 736 s., 739, 747, 772, 779, 783, 785, 799, 818, 843; D. Cambiaso, Sinodi genovesi antichi, in Atti della Regia Deputazione di storia patria per la Liguria, IV (1939), 1, pp. 18-24; G. Caro, Genova e la supremazia sul Mediterraneo (1257-1311), in Atti della Società ligure di storia patria, n.s., XIV-XV (1974-1975), II, pp. 253-256, 261-268, 273, 283, 301; G. Ferro, La tradizione cartografica genovese e Cristoforo Colombo, in Nuova raccolta Colombiana, a cura di P.E. Taviani, XIII, Roma 1992, p. 31; S. Macchiavello, Sintomi di crisi e annunci di riforma (1321-1520), in Il cammino della Chiesa genovese dalle origini ai nostri giorni, a cura di D. Puncuh, in Atti della Società ligure di storia patria, n.s., XXXIX (1999), 2, pp. 211 s., 217, 224; V. Polonio, Tra universalismo e localismo: costruzione di un sistema (569-1321), ibid., pp. 113-116; Id., Istituzioni ecclesiastiche della Liguria medievale, Roma 2002, pp. 13, 93 s., 97, 100, 104, 111 s., 158-160, 162, 475; G. Petti Balbi, Tra dogato e principato: il Tre e il Quattrocento, in Storia di Genova. Mediterraneo, Europa, Atlantico, a cura di D. Puncuh, Genova 2003, pp. 236 s.; Ead., Uno dei fallimenti di Enrico VII: la signoria di Genova (1311-1313), in Atti della Società ligure di storia patria, n.s., LIV (2004), 2, pp. 5-36 (in partic. pp. 23, 26).

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