PORFIDO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1965)

PORFIDO

M. L. Lucci

Il p. rosso antico (v. marmo) compare nelle fonti antiche spesso col nome di porphyrites (Plin., Nat. hist., xxxvi, 7, 57), o anche leptosephos, dal greco λεπτόψηϕος; leucostictos; "pietra egiziana", λίϑος Αἰγύπτιος (Constantinus Porphyrogenitus in Basilium Macedonem, Theofanes Continuatus, v, p. 327, Bonn, Richter, n. 957), o "pietra romana" λίϑος ῾Ρωμαῖος. Quest'ultima denominazione, che compare in età bizantina (Scriptores Originum Constantinopolitarum, rec. Th. Preger, Lipsia 1901, i, 76; Constantinus Porphyrogenitus in Basilium Macedonem, Theofanes Continuatus, V, p. 327 Bonn, Richter, n. 957), oltre a una significazione locale, implicita nel termine precedente, include anche un valore sacrale, poiché Roma restò il simbolo dell'autorità imperiale anche dopo il trasferimento della corte a Costantinopoli.

Le cave di p. erano site nel deserto orientale d'Egitto, sul Monte Porfirite, oggi Gebel Duchan, in prossimità di Klysma, attuale istmo di Suez (Plin., Nat. hist., xxxvi, 7, 57, da cui Isidoro di Siviglia, Orig., 16, 50; Steph. Biz., rec. Meineke, Berlino 1849, p. 533; Aristides, ed. Keil, II, 264 ss., 285, 5; Ptol., iv, 5, 27). Le cave del Monte Porfirite erano al centro di una fitta rete di strade che congiungevano il Nilo al Mar Rosso, ma il p., a giudicare dalle tracce lasciate dai pesanti carri sui sentieri ancor oggi distinguibili, anziché essere portato fino al Mar Rosso per esservi imbarcato (Plin., Nat. hist., vi, 165; Strab., 17, i, 26), era trasportato fino a Kainepolis o a Kotros e qui caricato sui barconi che facevano servizio sul Nilo fino ad Alessandria.

È difficile stabilire dove questo durissimo materiale venisse lavorato. Opere non impegnative erano effettuate sul luogo stesso della cava (Iscr. Gr. ad res Rom. pert., 1138), ma è più ragionevole pensare che la lavorazione si svolgesse prevalentemente ad Alessandria, che in alcuni casi l'opera fosse soltanto abbozzata per essere completata sul luogo di destinazione da maestranze forse egiziane. Le fonti in questione sono poco chiare e spesso non concordi (Plin., Nat. hist., xxxvi, 7, 57, parla di statue di p. mandate a Roma da Alessandria; ma un torso con corazza del Museo Lateranense in Roma - Delbrück, Porphyrwerke, tav. 44 - è stranamente incompiuto).

L'uso del p. era limitato, in età romana, alle divinità, all'imperatore, ai suoi ritratti, alle architetture e agli ornamenti dei suoi palazzi e a celebrare con lui i membri della sua famiglia. Il carattere regale del p. è rivelato da aneddoti (Hist. Aug., Ant. Pius, c. ii, 8 ed. Hohl, i, p. 45; Malalas, Bonn, p. 265, ii), che parlano anche del suo carattere magico. Malalas riferisce anche della erezione di una gigantesca colonna di p. al centro della città di Antiochia, dopo che questa era stata devastata da un terremoto e da un incendio al tempo dell'imperatore Caligola. Inoltre è interessante osservare l'affinità con l'uso della porpora, anche esso riservato a personaggi regali o particolarmente importanti (Cod. Theod., x, 20, 18; Euseb., Constant., i, 32).

L'uso del p. non si riscontra, nell'ambito della civiltà greco-romana, prima dell'età tolemaica, sebbene le sue cave fossero note in Egitto già in precedenza (stele del ginnasiarca Baton, datata al 150 a. C., con un'iscrizione onorifica), e il p. fosse stato usato, al pari di altre pietre molto compatte, nella cività egiziana (vasi soprattutto).

In età imperiale romana l'uso del p. si accompagna a tutto un apparato di glorificazione e deificazione dell'imperatore, che trae le sue origini da un costume ellenistico. Perciò la "pietra regale" fu prediletta da imperatori orientalizzanti (ad esempio Caligola, Nerone) e poi in età tetrarchica, costantiniana e bizantina, mentre il suo uso non si riscontra, o subisce una flessione, presso imperatori che si vantavano di seguire la tradizione repubblicana e senatoria dell'antica Roma (Augusto, Claudio, ecc.).

È significativo che tra le divinità rappresentate in p. predominino Apollo, Atena e Roma, cioè quelle più strettamente legate al pantheon romano. Potrebbe forse far pensare a un imperatore assimilato ad Apollo un torso di citaredo (Roma, Museo Capitolino; Delbrück, op. cit., p. 49, tav. 6), pertinente ad una statua di dimensioni colossali, alta in origine circa m 2,10.

Tra le statue e i ritratti in p. si possono ricordare la testa cosiddetta di Romano nel Palazzo Doria, a Roma (v. vol. ii, fig. 1120; Delbrück, p. 41), databile forse ad epoca tardo-repubblicana o augustea, nella quale si è proposto di riconoscere Cornelio Gallo (v.); un torso di togato nel palazzo dei Conservatori a Roma (Delbrück, op. cit., p. 49, tav. 5), il già citato torso di citaredo, nel Museo Capitolino in Roma, due colonne con busti con corazza (Nerva e Traiano), a Parigi, Louvre (Delbrück, op. cit., p. 59, tav. 9), forse del IV secolo. Tra le statue di divinità un Apollo seduto, al Museo Nazionale di Napoli (Delbrück, op. cit., p. 62, tav. 16 ss.), un'Atena seduta, sul Campidoglio in Roma (Delbrück, op. cit., p. 68, tav. 18); un frammento drappeggiato pertinente ad una statua colossale, forse di Roma, nella cella di Roma nel tempio di Venere e Roma (Delbrück, op. cit., p. 77, fig. 25 ss.) Un nuovo ambiente artistico e culturale rivelano le statue dei Tetrarchi di Venezia, S. Marco, e Roma, Vaticano (Delbrück, op. cit., p. 84 ss., tav. 31 ss.), mentre allo stile tradizionale è improntato il supposto Traiano della Curia, in Roma, il quale, probabilmente, si può invece far risalire ad età tetrarchica (vol. iv, p. 864 tav. a colori).

Soprattutto nel II sec. abbondano copie da esemplari del V, IV sec. a. C. o ellenistici: ad esempio una lupa di p., ora agli Uffizi, in Firenze (Delbrück, op. cit., p. 58, tav. 14), alcune teste di Alessandro Magno e di Atena, al Louvre (Delbrück, op. cit., p. 6o ss., tav. 15 ss.), un torso femminile arcaistico, ora all'Ermitage di Leningrado (Delbrück, op. cit., p. 8o, tav. 28), che però presenta caratteri stilistici dell'età augustea.

All'età costantiniana apparteneva un complesso di sculture di p. del quale ci è pervenuta notizia attraverso fonti dell'VIII-IX sec. (le Παραστάσεις e i Πάτρια, questi ultimi attribuiti a Codino). Esso si trovava nel Philadelphion, a Costantinopoli, che con Teodosio diventerà il Mesomphalos della città e in cui facevano una tappa speciale le processioni imperiali che venivano dalla Porta Aurea a S. Sofia e al Palazzo Imperiale o da questo ai SS. Apostoli, secondo la testimonianza del Liber de ceremoniis. Frequente nella produzione in p. è anche il motivo della colonna; una gigantesca ne eresse Costantino al centro del Foro circolare che da lui prese nome, in Costantinopoli, forse ispirandosi a quella eretta al centro di Antiochia dal mago Debborios; il comes Marcellino (IV sec.) ricorda la colonna di p. di Eudossia, recante sulla sommità una statua argentea dell'imperatrice. Il p. fu usato anche nei sarcofagi e nelle vasche sepolcrali. Secondo Svetonio (Nero, c. 5o) Nerone fu sepolto in un solium porphyretici marmoris; Dione Cassio dice che l'urna cineraria di Settimio Severo era di porfido. Nel IV sec. s'intensifica la produzione di sarcofagi adibiti a tombe imperiali. La fonte più importante su questo argomento è il Liber de ceremoniis aulae byzantinae (ii, c. 41, Bonn ed., pp. 642-649), in cui sono nominati nove sarcofagi, compreso quello di Costantino. Il più recente di essi avrebbe racchiuso la spoglie di Marciano, morto nel 457. Tra quelli conservati vanno menzionati i due sarcofagi romani di Elena e di Costanza, ora al Museo Vaticano, che sono fra i più belli e meglio conservati, provenienti dal Mausoleo costantiniano sulla via Nomentana.

L'uso del p. nell'architettura sepolcrale deve ricollegarsi direttamente alle cerimonie di consacrazione dell'imperatore morto, quali ce le descrivono soprattutto Dione Cassio ed Erodiano, nelle quali era usata la porpora per rivestire l'immagine di cera del defunto, per ricoprire il letto su cui il corpo era adagiato (e che, già prima di Settimio Severo, era esposto nel vestibolo del palazzo). Infine, nella decursio, i conduttori dei carri che portavano l'immagine dell'imperatore erano vestiti di porpora.

Questo elemento dell'apoteosi dell'imperatore trovò un riflesso sino in India: le fonti (Passio S. Thomae Apostoli, ed. Bonnet, p. 141; Delbrück, op. cit., p. xiv) riferiscono che il re indiano Gundaforo, quando morì il fratello Gad, seguì il cerimoniale "latino", cioè avvolse il suo corpo con bisso e porpora, lo adagiò su una lastra di p. e ordinò per lui un sarcofago di porfido.

Il p. compare anche nell'architettura di palazzo nel palazzo dei Flavi sul Palatino è significativo il fatto che esso fosse posto soltanto nell'area dove sostava l'imperatore. Lo si riscontra anche nel Mausoleo del Palazzo di Diocleziano a Spalato e nelle Terme di Costantino, sotto forma di quattro gigantesche colonne sulla via Sacra.

Il p. abbondò soprattutto a Costantinopoli in tutta l'attività edilizia della tarda antichità. Anzitutto compare neI Palazzo Imperiale, per il quale le fonti ne attestano l'uso in diversi ambienti. Uno di essi, la Πορϕύρα, prende proprio il suo nome da questa pietra: era un edificio quadrato con vista sul mare e sul porto, con copertura a piramide, che comprendeva la stanza del parto delle imperatrici e da essa prendevano il nome i porphyrogeniti.

Molto interessanti le rotae, soprattutto per le loro relazioni col cerimoniale di corte e con la proskönesis, l'omaggio in ginocchio reso all'imperatore.

Il p. lo troviamo usato anche nelle tarsie di alcuni importanti edifici, quali la basilica di Giunio Basso, la tarsia marmorea da Bovillae, la tarsia di una sala ostiense del IV sec., la basilica di Parenzo, e, prima ancora, nell'opus sectile del pavimento della Curia di Diocleziano.

Tuttavia il valore sacrale del p. non si limita alla casa imperiale e non si estingue con essa. La glorificazione dell'imperatore, tra i cui elementi rientra anche l'uso del p., non solo riesce, sotto Costantino e i suoi successori, a conciliarsi con le due opposte tendenze religiose, la pagana e la cristiana, ma, mentre da una parte il p. rimarrà appannaggio degli imperatori bizantini e di quanti vorranno ispirarsi ad essi, dall'altra entrerà a far parte dell'architettura e delle decorazioni collegate con la liturgia ecclesiastica.

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