Potenza

Enciclopedia Dantesca (1970)

potenza (potenzia)

Alfonso Maierù

Il termine in D. ha tre valori fondamentali: designa la " possibilità " di una realtà, suscettibile di realizzarsi nell'atto, oppure le " facoltà " dell'anima o, infine, il " potere ", la " forza " di un essere, di un istituto, di un sentimento.

Già il termine greco δύναμις, di cui è traduzione il latino potentia, abbraccia tutti e tre questi significati. Di essi, i primi due hanno trovato definizione e precisazione nella filosofia aristotelica. Secondo Aristotele, ogni atto è compimento di una p.; solo il Motore immobile, atto puro, non è misto a p., mentre tutta la realtà attratta da lui è, nel suo divenire costante, interpretabile in termini di p. e atto. La nozione di p. di volta in volta si specifica in rapporto ai vari particolari atti, forme, operazioni o perfezioni, assume connotazioni diverse e può essere diversamente definita, come mostra Aristotele in Metaph. V 12 e VIII 1-9. Fondamentalmente è " principium transmutationis in alio, in quantum aliud est " (V 12, 1019a 15-16, e VIII 1, 1046a 11), cioè è il principio generale del moto e dell'alterazione. Di conseguenza, essa è duplice: p. di agire, o principio attivo, e p. di patire, o principio della passività. P. attiva è la capacità che ha l'agente di causare qualcosa in un paziente, cioè di determinare in esso un passaggio all'atto; p. passiva è la capacità che ha il paziente di ricevere l'azione dell'agente. Perché ci sia attuazione, è necessario che l'agente sia in atto, e altro rispetto al paziente: può essere un altro essere, oppure lo stesso paziente considerato come e altro ', non cioè in quanto paziente. Per tutto ciò, la p. presuppone l'atto, che è logicamente anteriore e migliore di essa, e ciò grazie a cui essa è conosciuta (per questi e altri clementi della dottrina aristotelica, v. ATTO).

La materia, o sostrato primo, è assolutamente indeterminata, e perciò capace di assumere tutte le forme (Metaph. VII 3, 1029a 1 ss.); essa è la p., mentre la forma è atto (Arist. Anima II 2, 414a 16-17). Nel vivente, l'anima (v.) è forma del corpo. In particolare nell'uomo, tre sono le ‛ facoltà ', o ‛ parti ', o p. dell'anima: la vegetativa, che determina la crescita e lo sviluppo (θρεπτικὴ δύναμις, o τὸ θρεπτικόν) e con essa l'appetitiva (τὸ ὀρεκτικόν); la sensitiva (τὸ αἰσθητικόν) e insieme la capacità di muoversi (τὸ κινητικόν); l'intellettiva (τὸ διανοητικόν: Anima 3, 414a 31-32; l'ultima è detta anche θεωρητικὴ δύναμις: 2, 413b 25, e τὸ λογιστικόν: III 9, 432b 26). La vegetativa è propria dei vegetali, la sensitiva degli animali, la razionale dell'uomo: la facoltà superiore presuppone sempre quella inferiore, come, nella geometria, la figura più complessa contiene quella più semplice (II 3, 414b 28-31).

Le facoltà, secondo Aristotele, sono specificate dagli atti, e gli atti dagli oggetti; oggetti diversi richiedono atti diversi, e quindi facoltà diverse (Anima 4, 415a 14-22). Ma tra di esse c'è una differenza: la vegetativa è p. attiva, la sensitiva è passiva (II 5, 417a 12-20, b 3-7, 18 ss.; 6, 418a 3-5); nella facoltà intellettiva, l'intelletto possibile è analogo alla sensibilità, ed è quindi p. passiva (III 4, 429a 13 ss.), l'intelletto agente è invece p. attiva (III 5, 430a 15). Questa diversità delle facoltà è sottolineata dagl'interpreti medievali di Aristotele; cfr. Tomm. De Verit. 16, 1, ad 13 " Non enim distinguitur potentia activa a passiva ex hoc quod habet operationem, quia cum cuiuslibet potentiae animae tam activae quam passivae sit operatio aliqua, quaelibet potentia animae esset activa. Cognoscitur autem earum distinctio per comparationem potentiae ad obiectum: si enim obiectum se habeat ad potentiam ut patiens et transmutatum, sic erit potentia activa; si autem e converso se habeat ut agens et movens, sic est potentia passiva. Et inde est quod omnes potentiae vegetabilis animae sunt activae, quia alimentum transmutatur per animae potentiam tam in nutriendo quam in augendo et etiam quam in generando. Sed potentiae sensitivae omnes sunt passivae, quia per sensibilia obiecta moventur et fiunt in actu. Circa intellectum vero aliqua potentia est activa et aliqua passiva, eo quod per intellectum fit intelligibile potentia intelligibile actu, quod est intellectus agentis, et sic intellectus agens est potentia activa; ipsum etiam intelligibile in actu facit intellectum in potentia esse intellectum actu, et sic intellectus possibilis est potentia passiva ". In altre parole, la vegetativa è p. attiva perché assimila l'oggetto; la sensibilità e l'intelletto possibile sono p. passive perché nell'atto di conoscere diventano in certo senso simili all'oggetto (Arist. Anima II 5, 418a 3-5; III 7, 431a 1; 8, 431b 20 ss.).

L'intelletto possibile non è da confondere con l'intelletto " passibilis " o passivo (ὁ παθητικὸς νοῦς: III 5, 430a 24), che designa piuttosto la fantasia o cogitativa, che è un senso interno e quindi è funzione della sensibilità. Il carattere di p. passiva proprio della sensibilità e dell'intelletto possibile nulla toglie però all'impassibilità dell'anima, giacché l'unione con l'oggetto in cui consiste l'atto di quelle facoltà si risolve in un incremento di perfezione (anima II 5, 417b 3-5). Ma sensibilità e intelletto sono impassibili in modo differente: il senso non tollera il suo oggetto quando questo superi la soglia della capacità percettiva, e ciò perché è legato al corpo in quanto si serve di organi, mentre l'intelletto non soffre di queste limitazioni, essendo immune da materia (III 4, 429a 29-b 5). Infine, la distinzione delle facoltà non compromette l'unità dell'anima (I 5, in partic. 411b 14 ss.; II 2, 413b 13-24, per le prime due facoltà; per il rapporto tra intelletto e anima individuale, v. INTELLETTO; Intelletto Possibile).

In breve, le facoltà non sono altro che le capacità attraverso le quali e grazie alle quali l'anima, atto del corpo, può compiere determinate operazioni. Ma non sempre l'anima è in atto in ordine a tutte le sue possibili operazioni (‛ atto secondo '); la facoltà si può perciò definire come la p. prossima propria di un ente per altro verso già in atto (cfr. Anima 11 5, 417a 26-29 e b 30-32).

Infine, Dio, che è atto e perfezione pura, è attività e principio di attività per eccellenza, e quindi è p. attiva: cfr. Tomm. Sum. theol. I 25 1c " Duplex est potentia, passiva, quae nullo modo est in Deo, et activa, quam oportet in Deo summe ponere... Deus est purus actus, et simpliciter et universaliter perfectus; neque in eo aliqua imperfectio locum habet. Unde sibi competit esse principium activum, et nullo modo pati. Ratio autem activi principii convenit potentiae activae. Nam potentia activa est principium agendi in aliud; potentia vero passiva est principium patiendi ab alio... Relinquitur ergo quod in Deo maxime sit potentia activa ", e ancora (ad 1): " potentia activa non dividitur contra actum, sed fundatur in eo: nam unumquodque agit secundum quod est actu. Potentia vero passiva dividitur contra actum: nam unumquodque patitur secundum quod est in potentia. Unde haec potentia excluditur a Deo, non autem activa ". Nella tradizione teologica cristiana, la p. è attributo che compete a Dio considerato nelle sue operazioni " ad extra " ma si predica più propriamente del Padre: cfr. Gilberto de la Porrée In Boecii de Trinitate (ediz. Häring, Toronto 1966, 169): " Et ipsum unum eundemque Deum secundum potentiam esse Patrem... "; Bonaventura Breviloquium I VI 1 " Tertio vero de pluralitate appropriatorum hoc docet sacra Scriptura esse tenendum, quod, licet omnia essentialia omnibus personis aequaliter et indifferenter conveniant, tamen Patri dicitur appropriari unitas, Filio veritas, Spiritui sancto bonitas "; § 5 " Rursus, quia a primo et summo principio fluit orme posse, a primo et summo exemplari omne score, ad summum finem tendit omne velle, ideo necesse est primum esse omnipotentissimum, omnisapientissimum et benevolentissimum... Haec autem ultima, scilicet potentia, sapientia et voluntas, sunt potissime illa, ex quibus in Scripturis laudatur Trinitas summa ".

Potenza e Atto. - In D., oltre alla locuzione ‛ in p. ', o ‛ essere in p. ' (Vn XX 6 [prima occorrenza], XXI 1 e 6, Rime XC 12, Cv I IX 6), occorre la correlazione ‛ p.-atto ' (Vn XX 6 e 8, XXI 5, Pd XXIX 35, Quaestio 44), e il principio Omne... quod reducitur de potentia in actum, reducitur per tale existens actu (Mn I XIII 3, da Arist. Metaph. IX 8, 1049b 24); alla correlazione ‛ p.-atto ' corrisponde l'altra ‛ materia-forma ' (Vn XX 7 La prima [parte del sonetto] si divide in due: ne la prima dico in che suggetto sia questa potenzia; ne la seconda dico sì come questo suggetto e questa potenzia siano produtti in essere, e come l'uno guarda l'altro come forma a materia).

La pura potenza di Pd XXIX 34 non è altro che la materia pura, che occupa, secondo la concezione dantesca del cosmo, il mondo sublunare; essa è creata direttamente da Dio, insieme con gli angeli (atti puri, o forme pure) e con i cieli (risultanti di materia e forma: p. e atto); cfr. Mn I III 8 (terza e quarta occorrenza) e Quaestio 45-46, e B. Nardi, La prima materia de li elementi, in D. e la cultura medievale, Bari 1949², 258; D. e Pietro d'Abano, in Saggi di filosofia dantesca, Firenze 1967², 42-45, e Il concetto dell'Impero, ibid., pp. 229-244; v. ANCHE FORMA; MATERIA; PRIVAZIONE. L'ultime potenze di XIII 61 sono le varie ‛ possibilità ' (" rationes seminales "), insite nella materia del mondo sublunare (cfr. Pd X 18), che è ultimo nella scala degli esseri; unendosi ad esse, la viva luce del Verbo (v. 55) mediata dai cieli, non fa che brevi contingenze (v. 63), cioè esseri corruttibili (il Buti glossa: " a le cose di sotto il cielo della Luna... cioè a gli elementi che sono le ultime potenzie "; ma Benvenuto ha: " idest, stellas et planetas "; ma cfr. Mn II II 3). L'ultima potenza de la materia di Cv III VIII 7, invece, designa la p. ‛ prossima ' all'attuazione piena; essa è dissimile da un ente all'altro perché la materia, secondo la dottrina aristotelica, è il principio che individua la forma, introducendo la molteplicità nell'unità della specie. La potenza del seme di Cv IV XXI 4 può designare sia la ‛ virtù formativa ' del seme paterno che, grazie anche all'azione della ‛ virtù del cielo ', diventa anima sensitiva, sia la " ratio seminalis " insita nella materia; sembra comunque che designi una p. attiva (v. FORMATIVO). Il termine sta per il complesso delle possibilità o disposizioni al bene proprie della ‛ buona natura ' (v. NATURA) di ciascun essere, considerata come attuante il piano divina relativo all'ordine del creato in Cv III VII 13 (gli atti della Donna gentile fanno amore disvegliare e risentire là dovunque è de la sua potenza seminata per buona natura, realizzano amore nelle anime nobili, dove già è in p.) e IV II 11 (qui si prende ‛ valore ' quasi potenza di natura, o vero bontade da quella data); designa le possibilità comprese nella nobiltà in XIX 6 (tante sono le nature e le potenze di quella [nobiltà], in una sotto una semplice sustanza comprese e adunate, ne le quali sì come in diversi rami fruttifica diversamente). Secondo III XIII 6, si può dire che l'anima umana è in filosofia quando non hae atto di speculazione, perché ha l'abito di quella e la potenza di poter lei svegliare.

Le ‛ potenze ' dell'anima. - Nella partizione delle facoltà dell'anima, D. in genere segue la dottrina aristotelica ricordata: Cv III II 11 lo Filosofo nel secondo de l'Anima, partendo le potenze di quella, dice che l'anima principalmente ha tre potenze, cioè vivere, sentire e ragionare: e dice anche muovere; ma questa si può col sentire fare una... sì che muovere è una potenza congiunta col sentire (per l'ultimo passo, cfr. Arist. Anima II 5, 416b 33). E secondo la dottrina aristotelica è spiegato il rapporto tra le diverse facoltà: quelle superiori non sono separabili dalle inferiori, ma le presuppongono (§§ 12-13), allo stesso modo che le figure geometriche complesse comprendono quelle semplici (IV VII 14).

A dimostrare l'unità dell'anima, D. si serve di un argomento che ricava da Arist. Eth. Nic. X 5, 1075b 2 ss. - dove sta a illustrare la connessione tra piacere e attività - secondo il quale il piacere (o il dolore, aggiunge il poeta) che consegue all'operazione propria di una facoltà impedisce le operazioni delle altre (Pg IV 4 e 10).

Le tre facoltà vengono così designate: potenza vegetativa... questa vegetativa potenza (Cv III II 12; allo stesso paragrafo un'altra occorrenza al plurale); sensitiva potenza (§ 13, e cfr. Ep III 5, due volte); ragionativa potenza, o p. intellettiva, o ragione (Cv III II 13; cfr. Mn I III 7 potentia sive virtus intellettiva, 8, prima e seconda occorrenza, e 9), indicata anche come potenza ultima, cioè ragione (Cv III II 14), eccellentissima potenza... ultima e nobilissima parte dell'anima (§ 16); per la potentia intellectus possibilis di Mn I IV 1, cfr. Nardi, Il concetto dell'Impero, cit., pp. 240-242. La ragione è propria dell'uomo, giacché, levando l'ultima potenza de l'anima, cioè la ragione, non rimane più uomo, ma cosa con anima sensitiva solamente, cioè animale bruto (IV VII 15; cfr. III II 14 l'anima che tutte queste potenze comprende, [e] è perfettissima di tutte l'altre, è l'anima umana). Le p. dell'anima, pur essendo tutte compresenti grazie all'unità della forma, operano nelle diverse parti del corpo là dove sono disposti gli organi adatti: Pd II 135 l'alma dentro a vostra polve / per differenti membra e conformate / a diverse potenze si risolve; il discorso riguarda ovviamente solo le prime due facoltà, che per operare hanno bisogno di organi, non la facoltà razionale, separata dalla materia: Cv III II 14 l'anima è tanto in quella sovrana potenza [la ragione] nobilitata e dinudata da materia, che la divina luce, come in angelo, raggia in quella. Ma la bontà divina, seminata nell'anima pienamente attuata fin dal momento della generazione, ne la nostra anima incontanente germoglia, mettendo e diversificando per ciascuna potenza de l'anima, secondo la essigenza di quella (IV XXIII 3), porta a perfezione tutte le facoltà dell'uomo. Alla ragione, o mente (Cv III II 16; v. MENTE) corrisponde, nella partizione agostiniana adottata in Pg XXV 82, la triade memoria (v.), intelligenza e volontà; esse, dopo la morte, sono in atto, mentre l'altre potenze, legate al corpo, sono tutte mute. Ancora, la nostra potenza conoscitiva è a certo fine, secondo D., cioè è capace di attuarsi nella misura che ad essa è consentita, e di attingere lo scibile desiderato (Cv IV XIII 8). In Mn I XV 7 virtus volitiva potentia quaedam est, il termine ha il valore di " facoltà " e di p.-materia, la cui forma è la specie o concetto del bene conosciuto (la volontà è appetito razionale per Arist. Anima III 9, 432b 5 e 10, 433a 28); la potentia concupiscibilis di Ep III 5 è appetito sensibile (Arist. Anima III 3, 414b 1-2). La potenza giudicativa di Cv I IV 6 è una funzione della facoltà intellettiva; in Pd XXIII 118 (non ebber gli occhi miei potenza / di seguitar la coronata fiamma), il termine designa la ‛ capacità ' della vista di D., ma in un contesto dal quale si ricava che il senso ha un suo limite nell'eccessiva distanza dell'oggetto, che, di conseguenza, non può cogliere; vale genericamente ‛ facoltà ' in Ep III 5, prima occorrenza (ma cfr. Mn I III 4, 5 e 7, prima occorrenza).

Altre occorrenze. - Con il valore di " capacità di operare ", in cui è presupposto il significato di ‛ p. attiva ', il termine occorre in Cv II V 8 (la potenza somma del Padre, dove designa un attributo divino nel senso precisato; cfr. anche If XXIV 119 Oh potenza di Dio, e Mn III I 3), e in Pd XXX 108 (il Primo Mobile [v.] prende dall'Empireo [v.] vivere e potenza, cioè la virtù ch'ei piove di XXVII 111, cui fa riscontro Cv III III 3: Le corpora composte, come la calamita, acquistano vigore e potenza nel luogo dove la loro generazione è ordinata). Si veda ancora If II 89 Temer si dee di sole quelle cose / c'hanno potenza di fare altrui male. Per estensione, p. acquista i valori di " potestà " (v.), " potere " o " dominio " (cfr. la romana potenzia di Cv IV IV 8; v. IMPERO; v. anche Mn I XI 7 potentia tribuendi cuique quod suum est, per cui v. GIUSTIZIA), forza " (d'Amore: Rime XC 69, e cfr. Pg XXX 39; del ‛ pensiero nuovo ' in Cv II VII 11; di Fialte, in If XXXI 92; v. anche possa al v. 56); o semplicemente ‛ mezzi ' (di Serse: Mn II VIII 7); cfr. ancora Cv I IV 7, X 8, II IV 6 (Giuno... dea di potenza), V 14 (Venere disse ad Amore: " Figlio mio, armi mie, potenzia mia ", da Ovidio Met. V 362).