Prione

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In biologia, agente patogeno di natura proteica e con elevata capacità moltiplicativa, responsabile delle encefalopatie spongiformi trasmissibili (EST), malattie neurodegenerative che hanno esito fatale nell’uomo (malattia di Creutzfeldt-Jakob, sindrome di Gerstmann-Sträuss;ler-Scheinker e insonnia fatale sporadica o familiare) e negli animali (scrapie della pecora e capra, encefalopatia spongiforme bovina o BSE; ➔ encefalopatia). Il termine – che deriva dall’inglese prion, acronimo di proteinaceus infectious only particle – è stato coniato per sottolineare l’ipotesi che l’agente infettivo sia composto soltanto da proteine, senza la presenza di acidi nucleici.

Il p. è un agente infettivo con caratteristiche non convenzionali: ha dimensioni più piccole dei virus ed è incredibilmente resistente alle procedure impiegate per rimuovere o inattivare virus, batteri, funghi o altri microrganismi noti. Metodi fisici, come il calore, e metodi chimici, come il trattamento con fenolo, cloroformio, formaldeide e alcoli sono inefficaci; una consistente riduzione della carica infettiva si ottiene solo con un prolungato trattamento in autoclave (calore umido a elevata pressione) a 132 °C per almeno un’ora o con procedure chimiche capaci di idrolizzare le proteine (idrossido o ipoclorito di sodio ad alte concentrazioni). Non è possibile identificare alcun acido nucleico associato con il p. e questo rende completamente inutilizzabili le tecniche di biologia molecolare usate per identificare singole particelle virali nei tessuti o fluidi biologici.

Nei tessuti infetti da encefalopatie spongiformi trasmissibili è presente una proteina anomala, la proteina prionica patologica (PrPEST), che deriva da un’alterata struttura tridimensionale della proteina prionica cellulare (PrPC). Studi sulla struttura tridimensionale della PrPC hanno dimostrato che questa è altamente conservata tra le diverse specie di Mammiferi e che proteine simili sono presenti anche in Rettili, Uccelli, Anfibi e Pesci. Nei Mammiferi la PrPC è legata alle membrane cellulari mediante un’ancora di glicosil-fosfatidil-inositolo (GPI), suggerendo un suo possibile coinvolgimento nella trasduzione del segnale o nell’adesione cellulare. La sua porzione amminoterminale lega il rame e potrebbe quindi far parte dei sistemi di resistenza cellulare allo stress ossidativo. Altri dati sperimentali mostrano che la PrPC può legarsi ad altre proteine della membrana partecipando così a una serie di attività funzionali e di regolazione quali l’adesione cellulare, il differenziamento e la protezione della cellula dai meccanismi di stress. Nonostante i progressi compiuti da questi studi, non è stato però possibile giungere a evidenze conclusive in merito a quale sia l’esatto ruolo fisiologico della PrPC. Topi knock out per la PrPC (topi nei quali il gene della PrP è stato rimosso e che quindi non producono la proteina), per es., hanno uno sviluppo normale e non presentano segni clinici o lesioni patologiche particolari. Questi topi, tuttavia, sono resistenti all’infezione con EST sperimentale e ciò dimostra che la PrPC svolge un ruolo fondamentale nella patogenesi della malattia.

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