Processione mistica

Enciclopedia Dantesca (1970)

processione mistica

Andrea Ciotti

- Al centro della foresta del Paradiso terrestre (v.) al quale D. è stato introdotto dalla persuasiva e armoniosa mediazione soccorritrice di Matelda, si svolge la p. mistica quale evento centrale che consacra l'avvento di Beatrice ovvero il recupero della presenza spirituale e reale di lei nella coscienza e nell'esperienza oltremondana del poeta.

Nella situazione esistenziale carica di una forte tensione emotiva di attesa che sembra esaudire ed esaurire la promessa del ritrovamento della donna di grazia, l'atto iniziale di presentazione della p. mistica nel fondo della foresta paradisiaca è annunciato da un fulgore improvviso, che incendia, per così dire, l'aria, e da una melodia, la quale, man mano che si avvicina, si manifesta per canto (Pg XXIX 34-36 dinanzi a noi, tal quale un foco acceso, / ci si fé l'aere sotto i verdi rami; / e 'l dolce suon per canti era già inteso).

I moduli tematici del preludio paradisiaco (la luce e la melodia del canto) sono subito introdotti nel contesto di un processo di ambientamento del protagonista D. alla novità del luogo e del clima spirituale che lo contraddistingue nel riverbero dello slancio intellettuale che di fronte all'enormità e alla grandiosità della scoperta sperimentale, mentre coglie subito con una nota spiccata di apprezzamento e di esaltazione il valore del bene perduto (appunto il Paradiso terrestre), in ordine alla connotazione etica propria del poema propone l'esigenza di deplorazione del peccato originale, della disubbidienza di Eva e della sua insofferenza con lo scotto per esse pagato dalle generazioni umane. L'ombratile connotazione paesistica, nel tenue gioco dei colori per la ricerca di una loro evidente intonazione con la motivazione e la sensibilità psicologica, predispone l'attenzione di D. a un'impegnata e attiva contemplazione, nella consapevolezza - come dice chiaramente l'invocazione di appello all'Elicona e a Urania - dell'arduo compito che l'attende di fronte alla necessità di forti cose a pensar mettere in versi (v. 42).

La scena della p. si svolge venendo da oriente e seguendo le rive del Lete: al di qua di esse si trovano D., Matelda, Virgilio (almeno fino alla comparsa di Beatrice) e Stazio, al di là appaiono agli occhi meravigliati del poeta le diverse figurazioni che scandiscono come i tempi e i momenti di una simbologia rituale e liturgica. Il primo riquadro della p. rappresenta la Chiesa ideale; sette candelabri che lasciano dietro di sé, come il settemplice colore dell'arcobaleno, sette liste di luce esprimono per figura i sette doni dello Spirito Santo (vv. 43-54).

Lo stupore di D. riflesso in quello di Virgilio, muto spettatore di un'esperienza che va di gran lunga oltre i termini e i limiti del suo magistero operativo, sollecita lo stimolante invito di Matelda a non arrestarsi al primo aspetto delle cose, ma a guardare più oltre e quindi a penetrarne con l'autentica parvenza anche la genuina sostanza concettuale.

La visione gradatamente si chiarisce all'occhio e alla conoscenza di D.; i contorni e i connotati di essa assumono evidenza e forma sensibilmente e concettualmente percepibili, in quanto si traducono in dimensioni e figure realisticamente obiettive sul fondo della scenografia paradisiaca (vv. 73-78 e vidi le fiammelle andar davante, / lasciando dietro a sé l'aere dipinto, / e di tratti pennelli avean sembiante; / sì che lì sopra rimanea distinto / di sette liste, tutte in quei colori / onde fa l'arco il Sole e Delia il cinto). Non sfugge a D. il senso della dimensione spaziale e della distanza attraverso brevi scatti d'immagine che colgono l'impressione reale e l'organizzano e interpretano intellettualmente (vv. 79-81 Questi ostendali in dietro eran maggiori / che la mia vista; e, quanto a mio avviso, / diece passi distavan quei di fori).

In questa prospettiva si stagliano i ventiquattro seniori coronati che rappresentano i libri della Sacra Scrittura. Procedono a due a due e levano un canto sublime di esaltazione gloriosa secondo il modulo della liturgia mariana (vv. 84-87 Tutti cantavan: " Benedicta tue / ne le figlie d'Adamo, e benedette / sieno in etterno le bellezze tue! "). La visione si arricchisce quindi di altre immagini nella figura di quattro animali, ciascuno con sei ali e circondato di verdi fronde, nei quali sono rappresentati i quattro evangelisti (Marco, Luca, Matteo e Giovanni). La rapidità ben regolata e registrata della successione scenografica dà rilievo al ritmo delle sequenze e ne indica anche con evidente stupore i connotati (vv. 91-96). Il fervore di animazione che impegna il poeta nella descrizione e quindi nella rappresentazione lo porta all'appello al lettore e alla dichiarazione testuale della citazione specifica del testo scritturale, cui evidentemente si richiama nella significazione figurale e poetica la p. mistica. L'apparente formula di passaggio in realtà offre più di un richiamo di riflessione e di considerazione (vv. 97-105 A descriver lor forme più non spargo / rime, lettor; ch'altra spesa mi strigne, / tanto ch'a questa non posso esser largo; / ma leggi Ezechïel, che li dipigne / come li vide da la fredda parte / venir con vento e con nube e con igne; / e quali i troverai ne le sue carte, / tali eran quivi, salvo ch'a le penne / Giovanni è meco e da lui si diparte).

In mezzo alla p. avanza un carro trionfale, cioè il carro della Chiesa, a due ruote (rispettivamente raffiguranti la vita attiva e quella contemplativa), tirato da un grifone, che è figura, nella sua doppia natura, dell'uomo-Dio, cioè di Cristo (XXXII 47 l'animal binato, e 96 la biforme fiera). Lo stupore e l'ammirazione offrono a D. l'appiglio di richiamo alla mitologia che costituisce il patrimonio di tanta parte della sua cultura medievale e gli consente di sottolineare indirettamente ma anche con persuasiva efficacia il valore etico e significante della figurazione medesima. Nessun carro trionfale o glorioso è comparabile a questo; a esso cedono anche gli esempi più illustri della tradizione letteraria (XXIX 115-117 Non che Roma di carro così bello / rallegrasse Affricano, o vero Augusto, / ma quel del Sol saria pover con ello).

Seguono, danzanti intorno al carro, le tre virtù teologali a destra, e le quattro virtù cardinali a sinistra. Sono in figura di donna e appaiono in un fulgore di luce che, nel gioco dei contrasti, ne mette in rilievo la spiccata caratteristica ma anche la mutua e reciproca interazione. Tra le virtù teologali eccelle la carità che ne tempera l'armonioso moto (vv. 121-129); parimenti la danza delle virtù cardinali è retta dalla prudenza (vv. 130-132).

Nella p. si presentano quindi sette personaggi che, individuati con varia gradazione di rilievo, annunziano gli ultimi libri della rivelazione cristiana, e precisamente gli Atti degli Apostoli, le epistole di s. Paolo e le epistole canoniche dei santi Giacomo, Pietro, Giovanni e Giuda. Da ultimo, viene un vecchio che rappresenta l'Apocalisse. Gli elementi di connotazione sono, ancora una volta, semplici ed essenziali e colgono sempre un tratto caratterizzante e significativo nell'analogia del, simbolo che si conviene specificamente al personaggio medesimo. Così è per Luca, ritratto in apparenza di medico, e per Paolo, colto nel vigore della sua energia morale (vv. 139-141) e soprattutto per l'ultimo libro della rivelazione cristiana, staccato, anche nella cornice spaziale, dagli altri che lo precedono (vv. 143-144). Intorno al capo questi personaggi non recano corone di gigli, ma di rose e di altri fiori vermigli, tal che, all'apparenza, sembrano tutti ardenti. Un colpo di tuono segna l'improvviso arresto della p., non appena il carro viene a trovarsi di fronte a D. (vv. 151-154).

La pausa che scandisce il passaggio dal canto XXIX al XXX propizia anche la preparazione di quello che si può considerare il momento centrale e culminante della p. mistica, cioè l'apparizione di Beatrice dinanzi a Dante. L'attacco di canto, lento e solenne, regola il modulo della celebrazione liturgica per il quale, al solito, il poeta prende in prestito forme e figure della tradizione classica e cristiana per l'intonazione di un trionfo di gloria che non è soltanto o affatto umano, ma del tutto significante in senso figurale e spirituale, cioè nella carica di simbologia poetica che il personaggio di Beatrice viene ad assumere nell'economia di azione e di sostanza d'ispirazione della Commedia. Invocata dal canto dei seniori (XXX 7-12), la concentrazione di tensione psicologica, emotiva e concettuale, sembra giunta al diapason; basti sottolineare l'istintiva adesione corale che accompagna la modulazione iniziale del canto, quel suo naturale e immediato convergere verso una centrale fonte di luce che s'irradia da una prospettiva di grazia che promette l'eterna felicità (vv. 12-18). L'intreccio della liturgia cristiana (Benedictus qui venis) con quella virgiliana (Manibus, oh, date lilïa plenis!) scandisce e sottolinea l'imminenza dell'epifania di Beatrice, che trae persuasiva forza di evocazione e di suggestione - se non proprio di sollecitazione - dall'ampio giro di volute che nella sequenza agile e impegnata delle terzine si sforza di esprimere con la realtà delle situazioni naturali la concretezza solenne e grandiosa dell'evento lungamente atteso, misticamente collocato nello sfondo di un cielo soffuso a oriente di un'alba di luce, in un tripudio osannante di colori e di fiori (vv. 21-33).

Allo stato emozionale si accompagna in D., colpito dal fulgore della sua donna, la presa di coscienza della solitudine prodotta dalla scomparsa di Virgilio. Il richiamo morale, contenuto nelle austere parole di Beatrice, giunge calzante a mettere in evidenza come la donna sia, in effetti, la ragione d'essere della p. mistica (vv. 58-66). Si apre a questo punto un'ampia pausa, dedicata al riconoscimento di Beatrice da parte di D., al forte rimprovero della donna e al conturbato dolore e pentimento di lui. Anche questo rito, con un'analisi puntuale e sempre significante di particolari, si svolge, per così dire, all'interno dello spazio fisico-ambientale - e per ciò anche liturgico - della p. mistica, ma ne sospende momentaneamente svolgimento, 'tempi e modi, quasi a lasciare un respiro di tensione e al tempo stesso di distensione umana e psicologica utile al recupero della memoria e per essa della giustificazione del passato e del presente di D. uomo, giunto e collocato al punto di una rinnovata consacrazione di sé stesso e del suo esistenziale itinerario oltremondano. Perché egli possa vedere oltre, e quindi oltre procedere verso l'ultima ascesa, è necessario che abbia prima luogo l'azione descritta nei canti XXX e XXXI del Purgatorio, durante la quale la p. è rimasta ferma. Quando essa si rimette in movimento, si delinea subito il secondo atto della scenografia simbolica che rappresenta la costituzione della Chiesa e la sua relazione con l'Impero. La p., accompagnata e quasi commentata da una melodia angelica, si volge ritornando verso oriente tra voli di saette, e il grifone trascina il carro senza lasciarne cadere alcuna penna. Quando Beatrice scende dal carro, non soltanto è il segno del compimento della rivelazione, ma anche dell'inizio di una liturgia carica di profonde e ammonitrici significazioni.

Nella rievocazione del peccato originale la pianta viene dispogliata, mentre intorno a lei si raccolgono i seniori (XXXII 37-39). Si tratta dell'albero del bene e del male, che è simbolo del diritto umano realizzato con la Monarchia universale (e nell'interdetto all'albero è da riconoscere moralmente la giustizia di Dio, XXXIII 71-72). Subito dopo i seniori esaltano il grifone che lascia intatto l'albero senza staccarne alcuna fronda (XXXII 43-45), in quanto Cristo ha insegnato l'obbedienza all'autorità dell'Impero e l'ha praticata egli stesso. La consacrazione che ne esce ribadita è di alta e somma giustizia (v. 48 Sì si conserva il seme d'ogne giusto). Il grifone, quindi, si scioglie dal carro e ne lega il timone all'albero con una fronda del medesimo (vv. 49-51). Il mistico prodigio che immediatamente si compie va riportato di necessità all'intensità concettuale ed emotiva al tempo stesso della scena. L'accentuazione rivolta immediatamente alla variazione cromatica sottolinea l'atto repentino e mirabile del rifiorire con vaghezza di toni e sensibilità di modulazioni e di sfumature.

L'ampio respiro della figurazione simbolica mette in evidenza l'incisività ricca e pregnante dell'immagine (vv. 52-60), cui si accompagna, subito dopo, l'intonazione di un canto indicibile, perché al di sopra delle capacità mortali. Così l'albero rifiorisce nei colori dell'ametista, commisti di rose e di viole, e nell'accezione simbolica ciò sta a significare che, dopo la reintegrazione del diritto umano mediante il riscatto di Cristo, la Chiesa, in quanto organizzazione umana, rimase sotto la giurisdizione dell'Impero, a sua volta infondendo in esso le próprie virtù soprannaturali nella sua qualità di depositaria della nuova legge rivelata (Mn III IV 20, XVI ss.). Particolare interesse raccoglie la descrizione del sonno, dal quale, a questo punto, quasi cullato dalla sublime armonia dell'incomprensibile canto, D. pellegrino è sorpreso. La tensione dell'immagine ancora una volta si concentra nella figurazione dello slancio creativo frustrato dalla consapevolezza di trovarsi alle soglie dell'ineffabile (Pg XXXII 64-69). Così è fatta intensa di richiami mistico-simbolici la notazione relativa al risveglio illuminato da uno straordinario splendore di luce (vv. 70-72), nella prospettiva del quale la presenza ancora una volta stimolante di Matelda emerge nella fortissima immagine di richiamo dell'esemplificazione evangelica che comincia a sottolineare l'estasiato contemplare di D. pellegrino di fronte al prodigio di trasfigurazione di cui è chiamato a essere testimone e al tempo stesso interprete (vv. 73-84). D. si accorge così che Beatrice ha preso posto sotto le fronde dell'albero, circondata dalle sette virtù, mentre tutto il seguito della p. se ne è salito al cielo dietro il grifone con un canto più dolce e profondo di concetto di quanto intelletto umano possa comprendere. Solo Beatrice se ne sta sulla nuda terra, quasi che fosse stata lasciata a custodia del carro della Chiesa (vv. 94-96) e le sette virtù la illuminano dei loro candelabri che nessun vento può spegnere. Nel contesto di questa cornice nobilitante di alta nobiltà morale e spirituale trova opportuna collocazione e giustificazione nelle austere, semplici e promettenti parole di Beatrice il richiamo alla missione affidata al poeta pellegrino, e cioè l'invito a fare tesoro della sua visione per il bene dell'umana società, attualmente sviata nel male (vv. 100-105).

Ha inizio così il terzo tempo della p. mistica che ha come soggetto la Chiesa nella sua storia e nella sua degenerazione. Un'aquila cala rapidamente sul carro e ne rompe la scorza, strappandone foglie e fiori e facendolo vacillare sotto la potenza dell'urto (vv. 109-115). Sotto questa parvenza si suole scorgere il riferimento alle persecuzioni della Chiesa da parte degl'imperatori romani fino a Costantino. Succede, quindi, nella linea di svolgimento dei quadri simbolici, la figurazione di una volpe che si avventa contro la cuna del carro, ma viene messa in fuga da Beatrice, così come l'eresia ariana è stata combattuta e vinta dalla scienza rivelata (vv. 118-123). Subito dopo l'aquila scende di nuovo sul carro e vi lascia le sue penne, mentre una voce proveniente dal cielo accompagna l'atto con un chiaro lamento nel quale è implicito il richiamo agli effetti nefasti, nel concetto di D., della cosiddetta donazione di Costantino (vv. 124-129). Un drago sbuca, quindi, dalla terra che sembra aprirsi tra le ruote del carro, ne configge con la coda il fondo, ne trae a sé una parte e con essa si allontana serpeggiando (vv. 130-133). La restante parte del carro si ricopre delle piume lasciatevi dall'aquila e si trasforma in un drago dalle sette teste.

In questa metamorfosi, che rappresenta il tralignare, al di là dell'intenzione, nel male, facilmente si vede la corruzione e la degenerazione della Chiesa per effetto della cupidigia dei beni terreni. L'ampliamento del potere temporale e il dominio dei sette vizi capitali accentuano questo quadro-rappresentazione o figura di quella che è per il poeta una dolorosa realtà storica.

Al culmine di questo ritratto di corruzione si colloca una meretrice discinta che appare seduta sul mostro in atteggiamento sfrontato e protervo. Accanto a lei è un gigante che rappresenta Filippo il Bello (v.) di Francia in indecorosa tresca con la curia romana, come indicano gli atti lascivi cui i due personaggi si abbandonano (vv. 148-153). Poiché la meretrice rivolge verso D. lo sguardo desideroso e irrequieto, il gigante la flagella, scioglie il mostro e lo trascina per la selva tanto da sottrarlo alla vista del poeta (vv. 154-160). In tale atto si suole vedere adombrato il trasferimento della sede papale da Roma ad Avignone.

L'ultimo quadro della p. mistica, all'inizio del canto XXXIII del Purgatorio, rappresenta e descrive la profezia di un prossimo rinnovamento politico-morale che comporti la ricostituzione e la reintegrazione delle due guide universali, e cioè della Chiesa e dell'Impero, proposte dalla Provvidenza divina all'umanità per il raggiungimento dei fini di felicità cui essa aspira. Le sette ninfe intonano il salmo della disperazione (Deus, venerunt gentes) e Beatrice, dopo averlo ascoltato sospirando e in atteggiamento di profondo dolore e costernazione, sdegnata si leva in piedi e infiammata di sacro zelo annuncia il suo temporaneo allontanamento (XXXIII 10-12 Modicum, et non videbitis me; / et iterum, sorelle mie dilette, / modicum, et vos videbitis me), facendo ricorso per la formula della rivelazione-resurrezione alle parole del Vangelo giovanneo. Allontanatasi alquanto, ella invita il poeta pellegrino a seguirla e al tempo stesso ad ascoltare quelli che si annunciano quali i termini concettuali, religiosi, morali e spirituali della sua imminente rivelazione (vv. 19-21). Il carro della Chiesa, che era intatto prima che il drago lo rompesse nel fondo, fu e non è più ora, ma colui che di tale stato di corruzione della Chiesa è colpevole sappia che la giustizia riparatrice di Dio, anche se tarda, immancabilmente verrà. Così l'aquila, cioè l'Impero, non resterà a lungo senza erede: la vacanza della sede imperiale non sarà di lunga durata. Beatrice vaticina, pertanto, imminente l'avvento di un messo divino che ucciderà la meretrice e il gigante (vv. 37-45).

L'altezza e severità del parlare profetico di Beatrice si concreta in un chiaro invito a D., affinché fermi nella sua memoria e ridica in terra agli uomini ciò che egli ha veduto (vv. 52-54 Tu nota; e sì come da me son porte, / così queste parole segna a' vivi / del viver ch'è un correre a la morte).

La spiegazione, asseverativa e didascalica al tempo stesso, nell'atto che successivamente chiarisce e snoda, per così dire, i motivi etici del concetto dottrinale e teologico, ribadisce anche il significato dell'albero della scienza del bene e del male, riportato nell'ordine degli altissimi e imperscrutabili piani della giustizia divina. L'episodio conclusivo della p. mistica, caratterizzata dall'andante dialogico tra D. e Beatrice, riporta il discorso sperimentale alla situazione drammatica del poeta pellegrino, cui viene ulteriormente a chiarire il viatico dell'esperienza rivelatrice e santificante, cioè il processo di conoscenza e di redenzione che porta dal male al bene.

Il concetto dantesco della p. mistica naturalmente trova ispirazione e motivazione dai testi biblici, nei quali è la tradizione conveniente a raccogliere e a esprimere l'affiato profetico della simbologie, del riscatto e della rinascita cristiana, auspicata nella Commedia. In particolare, il riferimento viene diretto e specifico dall'Apocalisse di s. Giovanni, 1, 12-13 (" Et conversus sum, ut viderem vocem quae loquebatur mecum; et conversus vidi septem candelabra aurea et in medio septem candelabrorum aureorum similem Filio hominis, vestitum podere et praecinctum ad mamillas zona aurea "), e 4, 4 ss. (" Et in circuitu sedis sedilia vigintiquattuor, et super thronos vigintiquattuor seniores sedentes, circumamicti vestimentis albis, et in capitibus eorum coronati aureae; et de throno procedebant, fulgura et voces et tonitrua; et septem lampades ardentes ante thronum, qui sunt septem spiritus Dei... et in circuitu sedis quattuor animalia plena oculis ante et retro... Et quattuor animalia singula eorum habebant alas senas et in circuitu et intus plena sunt oculis ") con il richiamo del testo del profeta Ezechiele (1, 4 ss.). Secondo il Rocca, D. trovò nell'Epistula ad Paulinum di s. Girolamo già delineata nella sua significazione simbolica la p. mistica secondo un'ordinata esemplificazione essenziale che, per altro, rinvia pur sempre all'Apocalisse giovannea. Tale raffigurazione è stata da altri ricondotta ai modelli tipici delle figurazioni apocalittiche dei secoli XIII e XIV, mentre non sono mancati coloro che hanno proposto l'ipotesi che all'invenzione dantesca abbia offerto occasione o sollecitazione visiva la contemplazione dei mosaici ravennati o dei dipinti della cripta del duomo di Anagni. Per l'invenzione figurativa del carro, del resto, è facile rinviare all'Anticlaudianus di Alano di Lilla nel contesto della letteratura mediolatina cristiana.

Non v'è dubbio, comunque, che la presentazione della p. mistica come la successione delle visioni simboliche che in essa e per essa si compiono - fatte tutte oggetto, naturalmente, anche delle più diverse ipotesi interpretative - assolvono al compito di presentare il concetto politico e religioso del poeta, la sua interpretazione della realtà dei rapporti istituzionali tra la Chiesa e l'Impero per la riconsiderazione del viatico di redenzione e di salvezza che egli vuole proporre alla società e alla coscienza di ogni uomo. Così l'apocalisse di D. nel canto XXXII del Purgatorio non soltanto mette in movimento un processo di rievocazione e d'interpretazione storico-politico-religiosa che s'impernia sui due valori centrali e fondamentali interpretati dall'aquila, cioè dall'Impero, e dal carro, cioè dalla Chiesa, e sulla figurazione sacrale del grifone, cioè di Cristo che l'uno e l'altro istituto ordina ai fini propri dell'umana società, ma ripercorre attraverso i singoli episodi o momenti parziali della visione il calvario di un itinerario sperimentale, rievocato con stimolante forza di edificazione etica. I tempi della trasformazione mostruosa che rappresenta la storia secolare e si proietta, come tutto il messaggio poetico di D., verso il futuro si valgono di figurazioni visive e fantastiche anche drammaticamente rilevanti e nell'espressione icastica essenzialmente colgono gli aspetti di fondo di un grave, desolante, ma non disperato stato di crisi.

Che poi la visione diventi profezia nell'annuncio di un cinquecento diece e cinque (Pg XXXIII 43: v.), sul quale tanto si è scritto, e non sempre a proposito, e che questo enigma si debba raccostare all'altro, non meno allusivo e significante, del veltro, è pienamente nell'ordine e nel concetto del pensiero dantesco, nella coscienza di fede che giustifica il poema e ne riporta la matrice a una vocazione di riscatto verso la ricostruzione dell'uomo nuovo e in una società nuova. È comunque, questo, il segno, dichiarato come atto di certezza perché affidato alle parole esplicative di Beatrice che esprime e interpreta la rivelazione divina della grazia, di un alto disegno morale e sociale che coglie, come ha visto giustamente il Nardi, i termini essenziali di un processo storico fondamentale (" Il rinnovamento annunziato da Dante ha per punto di partenza l'annullamento della donazione di Costantino. Restaurata nella sua integrità la maestà dell'Impero, la chiesa di Cristo attenderà senza intoppi alla sua missione, che è quella d'indirizzare gli uomini alla vita eterna "). Nel Paradiso terrestre, con il ritrovamento di Beatrice che assume direttamente il ruolo di guida per l'ultima ascesa, prima che essa abbia inizio, nella scenografia liturgica e sacrale che consacra, anche attraverso il duplice lavacro nelle acque di Lete e di Eunoè, il compimento della personale redenzione di D. pellegrino, la p. mistica giustamente si colloca quale severo e austero riesame del passato, deplorata considerazione delle conseguenze cui ha portato l'errore deviante e deformante rispetto agl'istituti originali posto in atto per la cupidigia insensata e folle degli uomini, ma anche al tempo stesso quale sicura promessa di una rigenerazione universale, per cui sarà già viatico edificante ed esemplare l'alto volo che porterà D. alla visione di Dio, nella gloria della salvezza che è grazia e giustizia insieme.

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