Processo amministrativo

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Processo che si svolge innanzi agli organi di giurisdizione amministrativa «per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi» (art. 103 Cost.).

Tradizionalmente, è stato configurato come un processo di tipo impugnatorio che ha per oggetto un provvedimento amministrativo.

Attualmente, la dottrina e la giurisprudenza sono inclini a ritenere che l’oggetto precipuo del processo sia divenuto il rapporto giuridico controverso. In altri termini, il processo amministrativo si sarebbe trasformato da un “giudizio sull’atto”, teso a verificarne la legittimità alla stregua dei vizi denunciati, a un “giudizio sul rapporto”, volto a valutare la fondatezza della pretesa sostanziale dedotta in giudizio.

Il processo amministrativo si svolge dinanzi ai Tribunali amministrativi regionali (TAR), in primo grado, e dinanzi alle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, in grado di appello (per il TAR della Sicilia, il secondo grado di giudizio si svolge davanti al Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana). La magistratura amministrativa ha un autonomo organismo di autogoverno, il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa.

Il processo amministrativo è un processo di parti, nel senso che sono queste, e non il giudice, ad avere il potere di darvi l’impulso iniziale, di farlo proseguire, di allegare le prove e di farlo terminare, anche, eventualmente, senza che la controversia sia decisa. Infatti, ove non siano coinvolti interessi generali e, come tali, indisponibili, le parti hanno la piena disponibilità del processo.

Le parti necessarie del processo amministrativo sono: il ricorrente (il soggetto che si ritiene leso da un atto amministrativo illegittimo), la parte resistente (normalmente, l’amministrazione che ha emanato l’atto o posto in essere il comportamento lesivo) e i controinteressati (soggetti che hanno un interesse, contrapposto a quello del ricorrente, alla sopravvivenza del provvedimento impugnato).

Quanto alle azioni proponibili nel processo amministrativo, il codice del processo (d.lgs. 104/2010) prevede: a) l’azione di annullamento (art. 29); b) l’azione di condanna (art. 30); c) quella avverso il silenzio (art. 31); d) quella diretta all’accertamento delle nullità (art. 31).

Il processo è a istanza di parte e viene quindi introdotto con un ricorso che deve indicare, a pena di inammissibilità, i motivi su cui si fonda richiamando espressamente i vizi dell’atto impugnato. Il ricorso è notificato al resistente e ai controinteressati entro 60 giorni dalla comunicazione, pubblicazione o piena conoscenza dell’atto impugnato. Il ricorrente si costituisce in giudizio con il deposito del ricorso presso la segreteria del TAR. Le parti intimate possono costituirsi in giudizio nel termine di sessanta giorni dal perfezionamento nei propri confronti della notificazione del ricorso, eventualmente presentando memorie, istanze, documenti e indicando i mezzi di prova di cui intendono valersi. È possibile sia l’intervento in giudizio che il ricorso incidentale. Presentato il ricorso, sulla base di apposita istanza, viene fissata l’udienza.

Il processo amministrativo prevede anche una fase cautelare diretta ad evitare che i tempi necessari ad ottenere una decisione del giudice comportino un ulteriore pregiudizio per il cittadino leso da un atto amministrativo illegittimo. Potrebbe, infatti, accadere che, nelle more del procedimento giurisdizionale, il provvedimento illegittimo sia portato comunque ad esecuzione, arrecando un grave pregiudizio al ricorrente. È stato così previsto che, in presenza dei requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, si possa chiedere al giudice una pronuncia c.d. sospensiva dell’efficacia dell’atto. Inizialmente era prevista una sola misura cautelare e tipica, vale a dire la sospensione del provvedimento impugnato. L’evoluzione della giurisprudenza amministrativa, seguita dagli interventi codificatori del legislatore (si vedano la l. n. 205/2000 e il d.lgs. n. 104/2010, c.d. codice del processo amministrativo), si è mossa nella direzione di ampliare la possibilità di tutela cautelare, per renderla effettiva. Il codice, conservando l’impostazione sul contenuto atipico delle misure cautelari introdotta dalla l. n. 205/2000, dedica alle misure cautelari diverse disposizioni sia nel Titolo II del Libro II, artt. 55-62 (ad esse espressamente dedicato), sia in ulteriori disposizioni sparse in tutto il disegno codicistico. L’art. 55, comma 1, stabilisce che il ricorrente, il quale alleghi un pregiudizio grave e irreparabile durante il tempo necessario a giungere alla decisione sul ricorso, può chiedere l’emanazione di misure cautelari, compresa l’ingiunzione a pagare una somma in via provvisoria, che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso.

Per quanto concerne la fase istruttoria, in cui si accerta la situazione oggetto della controversia, il codice del processo riconosce al giudice un’ampia possibilità di disporre dei mezzi di prova, quasi parificando la situazione con il processo civile.

Il processo amministrativo è ispirato al principio del contraddittorio: al riguardo, l’art. 27 c.p.a. prevede che il contraddittorio è integralmente costituito quando l’atto introduttivo è notificato all’amministrazione resistente e,ove presenti, ai controinteressati.

Una volta conclusa l’istruttoria e svolta l’udienza pubblica di discussione, la causa è assegnata in decisione. Il collegio si riunisce e decide in camera di consiglio. La decisione può essere di rito o interlocutoria, nel qual caso viene assunta con ordinanza; oppure può concludere il processo definendo il merito, e viene assunta con sentenza. L’eventuale annullamento dell’atto amministrativo opera con effetto ex tunc.

Accanto al rito ordinario, sono previste forme accelerate di risoluzione delle controversie, tra cui un rito cosiddetto abbreviato per le controversie aventi a oggetto provvedimenti di particolare rilievo. Tale rito è ora disciplinato dall’art. 119 c.p.a. e prevede, salvo che per la proposizione del ricorso, la dimidiazione dei termini processuali. È inoltre, prevista una decisione in forma semplificata, in cui la semplificazione attiene a un elemento formale della decisione, ossia la motivazione.

Tra i riti speciali si segnala quello in materia di accesso ai documenti amministrativi (art. 116 c.p.a.) e quello in materia di silenzio-rifiuto (art. 117 c.p.a.).

Tra i rimedi giurisdizionali ordinari contro la sentenza di primo grado vi è l’appello che può essere proposto – entro 60 giorni dalla notifica della sentenza – solo nei riguardi delle sentenze di primo grado non passate in giudicato. Nel giudizio di appello il giudice si pronuncia sulla medesima controversia decisa dal giudice di primo grado (cd. effetto devolutivo dell’appello: anche sul punto si rinvia alla voce Appello. Diritto amministrativo).

Tra i rimedi straordinari vi sono la revocazione (art. 106 c.p.a.) e l’opposizione di terzo (art. 108 c.p.a.).

È ammesso, inoltre, il ricorso in Corte di cassazione soltanto per motivi di giurisdizione (art. 108 c.p.a.).

Il giudicato amministrativo si forma quando non è più esperibile alcun rimedio ordinario. Le amministrazioni soccombenti hanno l’obbligo di adeguarvisi ma non è infrequente che tardino nell’adottare gli atti di propria competenza e non diano seguito alla sentenza. È stato, così, previsto il rimedio del giudizio di ottemperanza a conclusione del quale viene disposto uno specifico obbligo di dare esecuzione al giudicato, anche con la fissazione di un termine e l’eventuale nomina di un commissario ad acta. Questo, in caso di ulteriore inerzia dell’amministrazione, operando quale organo ausiliare del giudice, adotta quindi gli atti amministrativi necessari a eseguire il giudicato.

Voci correlate

Appello. Diritto amministrativo

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