Procreazione assistita eterologa

Libro dell'anno del Diritto 2015

Procreazione assistita eterologa

Emanuele Bilotti

Con l’abrogazione del divieto di fecondazione eterologa ad opera del giudice delle leggi (C. cost., 10.6.2014, n. 162) l’interesse della persona ad avere per genitori coloro che sono tali biologicamente è ormai destinato a soccombere rispetto al diritto a essere genitori dei componenti di una coppia sterile. Ciò però soltanto laddove si tratti di «coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi». Nei limiti in cui la fecondazione eterologa è ora consentita, non sembra comunque garantito in maniera adeguata né il diritto del nato a conoscere le proprie origini biologiche, né quello ad accedere ai dati non identificativi del genitore naturale per ragioni attinenti alla tutela della salute. Anche il regolamento relativo all’accertamento della filiazione eterologa appare poi incerto e lacunoso sotto diversi punti di vista.

Un intervento del legislatore in materia sembra allora quanto mai necessario e urgente se si vuole impedire che, al di là del diritto alla genitorialità naturale, la pratica dell’eterologa pregiudichi anche altri interessi della persona di rilievo costituzionale.

La ricognizione

Con sent. n. 162/20141, il giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 2, 3, 29, 31 e 32 Cost., dell’art. 4, co. 3, l. 19.2.2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui stabilisce il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili, nonché dell’art. 9, co. 1 e 3, limitatamente alle parole «in violazione del divieto di cui all’art. 4, comma 3», e dell’art. 12, co. 1, di detta legge.

A distanza di dieci anni dalla sua introduzione, l’intervento della Corte costituzionale ha dunque espunto dal sistema il divieto di fecondare artificialmente un embrione con gameti maschili e/o femminili provenienti da un donatore esterno alla coppia.

In passato un simile risultato era stato già perseguito senza successo con lo strumento referendario. Nel giugno del 2005, l’abrogazione del divieto di fecondazione eterologa aveva infatti costituito oggetto di uno dei quattro quesiti referendari ammessi con riferimento alla l. n. 40/2004. Nessuna di quelle proposte abrogative fu però approvata, dato che quasi il 75% degli aventi diritto non partecipò alla consultazione referendaria.

All’epoca, nell’ammettere il relativo quesito referendario, il giudice delle leggi aveva espresso il convincimento secondo cui il divieto di fecondazione eterologa non sarebbe espressivo di un livello minimo di tutela costituzionalmente necessario2. La Corte costituzionale rileva ora ulteriormente che quel divieto realizzerebbe un bilanciamento irragionevole dei diversi interessi in gioco e ne riconosce perciò l’illegittimità. In estrema sintesi la tesi della Corte è che l’assolutezza del divieto, in contrasto con la stessa finalità della l. n. 40/2004 «di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana» (art. 1, co. 1), discriminerebbe le coppie affette dalle patologie più gravi di sterilità e infertilità. Queste sarebbero infatti impedite nell’esercizio della propria libertà fondamentale di autodeterminarsi in ordine alle scelte procreative, libertà garantita dagli artt. 2, 29 e 31 Cost. e comprendente anche il diritto di ricorrere a metodiche di fecondazione assistita sia di tipo omologo sia di tipo eterologo. Ne conseguirebbe un pregiudizio, soprattutto di ordine psicologico, per la salute delle stesse coppie, e dunque una violazione anche dell’art. 32 Cost.3. Tutto ciò senza che un così grave sacrificio di valori costituzionali di primo livello appaia giustificato dalla tutela di interessi altrettanto rilevanti coinvolti dal ricorso alla tecnica in questione, segnatamente dalla tutela dell’interesse del nato a una condizione personale e relazionale tale da garantirgli un armonioso sviluppo della personalità.

La focalizzazione

La Corte riconosce che gli unici interessi che potrebbero confliggere con una piena esplicazione della libertà di procreare anche col ricorso alla tecnica eterologa sono quelli del nato, il quale – si dice – potrebbe trovarsi esposto al «rischio psicologico correlato ad una genitorialità non naturale» e alla «violazione del diritto a conoscere la propria identità genetica». La Corte ritiene nondimeno che, nel contesto normativo vigente, l’abrogazione del divieto di fecondazione eterologa non comporta nessuna conseguenza pregiudizievole a carico della posizione di questo soggetto per come essa risulta già tutelata nel sistema e, in particolare, dalle previsioni (non oggetto di censura) della stessa l. n. 40/2004. In altri termini, a giudizio della Corte costituzionale, l’abrogazione del divieto di fecondazione eterologa rimetterebbe in equilibrio il contemperamento non correttamente operato dal legislatore del 2004 tra diritto al figlio degli adulti e diritti del figlio nato col ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.

La Corte rileva in particolare come il proprio intervento non riguardi né la norma che stabilisce che il ricorso alle tecniche di procreazione assistita è consentito solo quale extrema ratio nei casi in cui sia stata accertata una condizione irreversibile di sterilità o infertilità assolute della coppia (art. 4), né quella che ne limita l’accesso alle sole «coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi» (art. 5). L’intervento del giudice delle leggi non fa venir meno neppure le regole relative al consenso informato (art. 6) e alla necessità che gli interventi di procreazione assistita siano praticati presso strutture autorizzate e registrate (art. 10) e nel rispetto di specifiche direttive emanate dal Ministero della salute (art. 7) e di precisi obblighi di documentazione e di comunicazione (art. 11). Certe norme devono ora ritenersi applicabili anche in caso di ricorso alla tecnica eterologa, giacché questa non è altro che un’ipotesi speciale di procreazione medicalmente assistita4. Conservano inoltre validità anche le sanzioni non oggetto di censura poste a presidio del rispetto dei requisiti soggettivi di accesso alle tecniche, delle prescritte modalità di espressione e raccolta del consenso e di svolgimento degli interventi, nonché dei divieti di commercializzazione di gameti e di embrioni e di maternità surrogata (art. 12).

Ma la Corte evidenzia soprattutto che anche ai nati da fecondazione eterologa trova applicazione la previsione secondo cui essi assumono lo stato di figli della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (art. 8). Inoltre, una volta caduto il riferimento alle sole ipotesi di illecito ricorso alle tecniche eterologhe, le regole di cui all’art. 9, co. 1 e 3, conservando comunque validità ed efficacia, vedono estendersi il proprio ambito di applicazione ad ogni caso lecito di fecondazione eterologa.

Dovrebbe perciò escludersi che, nei casi di impiego dei gameti di un cd. donatore, il coniuge del genitore naturale o il suo convivente, che abbiano consentito al ricorso alla tecnica eterologa, possano poi agire in giudizio adducendo l’inesistenza di un vincolo di sangue col nato e domandando perciò l’accertamento negativo della genitorialità ai sensi dell’art. 243 bis – che con l’entrata in vigore del d.lgs. 28.12.2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’art. 2 della l. 10.12.2012, n. 219), ha ora sostituito l’art. 235 – o, rispettivamente, dell’art. 263 c.c. (art. 9, co. 1). E dovrebbe pure escludersi che, nonostante l’esistenza di un vincolo di sangue col nato, il cd. donatore possa instaurare con questo una relazione giuridica parentale e assumere nei suoi confronti diritti e obblighi (art. 9, co. 3).

È principalmente in considerazione di questi ultimi dati che il giudice delle leggi ritiene di poter affermare che l’abrogazione del divieto della tecnica eterologa non determinerebbe alcun pregiudizio per il nato. Certe norme gli assicurerebbero infatti un accertamento dello status filiationis sufficientemente stabile. E ciò nonostante che, almeno rispetto a uno dei due genitori, si tratti di uno status non naturale, fondato sulla volontà di assumere la responsabilità genitoriale e non sulla generazione, e anzi sull’esclusione ex lege della rilevanza del dato biologico in ordine al rapporto di filiazione. L’idea di fondo sottesa alla decisione della Corte è dunque quella secondo cui la responsabilità genitoriale, prima ancora – e più ancora – che dal fatto biologico, discenderebbe dalla decisione dell’adulto di farsi carico della cura del nato, sicché può ritenersi conforme ai principi di fondo del sistema anche quell’artificiale dissociazione tra genitorialità biologica e genitorialità sociale, che, col necessario concorso della legge, si produce in capo ad almeno uno dei componenti della coppia genitoriale in ogni caso di fecondazione eterologa5.

Ciò posto, si deve però rilevare che, almeno secondo una parte degli interpreti, una simile concezione “volontaristica” o “legalistica” della filiazione non sarebbe compatibile con i principi costituzionali, e segnatamente col disposto dell’art. 30 Cost.6, del quale, non a caso, nella motivazione della sent. n. 162/2014, non vi è traccia7. In effetti, l’art. 30 Cost. afferma anzitutto l’irrilevanza in linea di principio delle particolari circostanze in cui è avvenuto il concepimento rispetto alla costituzione e al contenuto del rapporto di filiazione. La responsabilità genitoriale discende comunque dal semplice fatto generativo. Gli stessi contenuti del rapporto non possono essere diversi a seconda che il concepimento sia avvenuto dentro il matrimonio o fuori di esso.

Quest’ultima circostanza rileva piuttosto solo ai fini dell’accertamento dello status8. Unicità dello status di figlio significa allora, anzitutto, che è il semplice fatto generativo a fondare la filiazione, e dunque che la responsabilità genitoriale non discende dalla volontà dell’adulto di assumere il ruolo di genitore, ma dal mero fatto naturalistico della generazione.

È vero che anche l’adozione del minore abbandonato determina la costituzione di uno status di figlio che non consegue al dato biologico (art. 27, l. 4.5.1983, n. 184, Diritto del minore a una famiglia). Anzi, nel caso dell’adozione, la legge rimuove il valore costitutivo dello status proprio del fatto generativo e separa, per così dire, l’uno dall’altro, di modo che lo status è determinato, sempre ad opera della legge, a prescindere dalla generazione. Il ricorso alla genitorialità legale nel caso del minore abbandonato è però espressamente consentito dall’art. 30 Cost., laddove dispone che «nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti».Tale previsione costituzionale esclude perciò, al contempo, la legittimità di ogni ricorso alla genitorialità legale al di fuori del caso del minore abbandonato. Insomma, a quanto pare, il dato costituzionale autorizza l’interprete a ritenere che, accanto a un principio di responsabilità genitoriale fondata sul semplice fatto della generazione, il sistema conosca anche un rigoroso principio di sussidiarietà della genitorialità legale rispetto a quella naturale, e cioè un principio per cui la prima può sostituirsi alla seconda solo quale extrema ratio di tutela dei minori in caso di incapacità dei genitori (naturali) a far fronte ai propri doveri verso i figli9. Al di là di quest’ipotesi eccezionale «il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia» (art. 1, co. 1, l. n. 184/1983), e cioè dai suoi genitori naturali10. Il che equivale a dire che, nel sistema costituzionale, il diritto fondamentale della persona allo status filiationis deve intendersi correttamente come diritto alla genitorialità naturale.

Seguendo questa linea di pensiero, contro l’opinione del giudice delle leggi, si sarebbe allora dovuto riconoscere che un divieto assoluto di fecondazione eterologa non è affatto costituzionalmente illegittimo ed è anzi costituzionalmente fondato. Non sembra infatti che sussista una concreta possibilità di contemperamento tra l’accesso alla tecnica eterologa e la garanzia dell’indicato diritto alla genitorialità naturale di cui all’art. 30 Cost. E ciò perché, in genere, di un simile diritto i nati da fecondazione eterologa sono privati ad opera dello stesso legislatore con evidente discriminazione a loro carico11.

Contro un simile modo di argomentare si obietta che l’idea secondo cui il diritto fondamentale allo status dovrebbe correttamente intendersi come diritto alla genitorialità naturale è puramente ideologica12.

Quell’idea servirebbe solo a impedire l’instaurarsi di relazioni giuridiche familiari ritenute non corrispondenti a un determinato paradigma etico aprioristicamente assunto come normativo. Con estrema chiarezza, da ultimo, si è detto in particolare che «nell’attuale congiuntura storica, sociale e culturale, caratterizzata nei fatti da una pluralità di opzioni riproduttive, anche in considerazione delle possibilità offerte dalla tecnica», «l’imposizione a tutti i costi di un paradigma esclusivo di genitorialità biologicamente “naturale”» appare un dato “artificiale”, privo di riscontro nella realtà13. Il divieto di fecondazione eterologa è considerato perciò come «una difesa di retroguardia, velleitaria e irragionevole, di un presunto primato della genitorialità “mediante copula”, contro gli “assalti” della genitorialità soltanto sociale e affettiva, intesa come sciagura in sé e rispetto al benessere della coppia e del figlio»14.

Certe affermazioni lasciano però anzitutto intravedere una concezione del diritto puramente accessoria e sovrastrutturale. Da esse emerge cioè l’idea che la norma giuridica sia un semplice involucro formale in balìa della forza dei fatti o, come pure è stato detto efficacemente, un mero «ricettacolo legittimante ogni scelta tecnicamente possibile»15. Non sembra però che una simile concezione del fenomeno giuridico sia coerente col nuovo ordine inaugurato dalla Costituzione. Secondo un autorevole insegnamento, infatti, il diritto costituzionalizzato «converte il problema della fondazione etica della legittimità in un problema giuridico… mediante l’istituzionalizzazione dei valori morali… in opzioni interne al diritto positivo espresse nella forma di enunciati normativi di principio…»16. Di conseguenza anche le possibilità offerte dalla tecnica, e dunque la stessa pluralità delle opzioni riproduttive non possono senz’altro imporsi al legislatore come un dato,ma devono pur sempre essere assunte come ipotesi delle quali valutare attentamente la conformità rispetto ai valori fondanti dell’ordinamento17.

Nel merito, poi, non convince l’assunto secondo cui il riconoscimento di un diritto alla genitorialità naturale sarebbe frutto di una lettura ideologica del dato costituzionale18, e segnatamente dell’art. 30 Cost. I principi di responsabilità genitoriale fondata sul semplice fatto della generazione e di rigorosa sussidiarietà della genitorialità legale rispetto alla genitorialità naturale non trovano infatti la propria giustificazione nei precetti di un’etica astratta o in qualche insegnamento religioso19, ma nella preferenza che il legislatore costituzionale ha inteso accordare a una visione centrata sulla migliore tutela degli interessi del nato rispetto a una visione in cui ci si preoccupa anzitutto di garantire la libertà degli adulti di autodeterminarsi in ordine alla procreazione e alla genitorialità. In effetti, se ci si pone nell’ottica della miglior tutela degli interessi del minore, risulta evidente che «dalla fattispecie originaria dello status l’elemento biologico non può essere eliminato» e che, dunque, «alla genitorialità occorre…l’oggettività di un fatto, non già la soggettività di un atto unilaterale»20. E ciò perché «un criterio che… facesse leva sull’astratta volontà di assumere il ruolo di genitore, ossia sulla libertà individuale, non sarebbe in grado di fondare una responsabilità certa e determinata (o determinabile), come lo è invece il fatto naturalistico – irreversibile e quindi irrevocabile – di avere generato»21. È quindi la miglior tutela del nato a fondare l’opzione costituzionale per il paradigma della genitorialità naturale e, di contro, il rifiuto di una concezione meramente “volontaristica” o “legalistica” della filiazione. Ma allora la sostituzione del paradigma di riferimento non può che tradursi in una situazione di minor tutela di quanti, senza che ricorra una situazione di abbandono, si vedono imposta ab origine una genitorialità puramente legale nell’interesse esclusivo degli adulti.

I profili problematici

Anche al di là della questione della sua fondatezza, la decisione della Corte costituzionale che ha abrogato il divieto di fecondazione eterologa pone comunque all’interprete non pochi problemi, che evidenziano l’urgenza di un nuovo intervento del legislatore, che risolva quanto prima ambiguità e incertezze e colmi quelle lacune di disciplina, che una pronuncia seccamente demolitrice ha inevitabilmente determinato22.

C’è anzitutto la questione del “diritto all’identità genetica” del nato, che pure la Corte costituzionale sembra riconoscere come un aspetto non irrilevante ai fini di una corretta definizione del giudizio sulla legittimità del divieto di fecondazione eterologa.

Non sembra infatti dubitabile che riconoscere al nato da fecondazione eterologa il diritto a conoscere le proprie origini biologiche significa garantirgli almeno un minimo di tutela – comunque insufficiente – dei profili identitari e temperare così un regolamento altrimenti totalmente sbilanciato a vantaggio degli interessi degli adulti23. Eppure, a tale riguardo, dalla lettura della sent. n. 162/2014 si ricavano indicazioni tutt’altro che univoche24 e, a ben vedere, sostanzialmente elusive del problema. Infatti, se, da un lato, nel ricostruire la regolamentazione della fecondazione eterologa desumibile dalle norme vigenti, il giudice delle leggi fa riferimento alle norme in tema di donazione di tessuti e cellule umani, e segnatamente anche all’art. 14 del d.lgs. 6.11.2007, n. 191, secondo cui «tutti i dati, comprese le informazioni genetiche… sono resi anonimi in modo tale che né il donatore né il ricevente siano identificabili», dall’altro lato, richiama pure l’art. 28, l. n. 184/1983, che disciplina invece in maniera accurata il diritto dei genitori adottivi e dello stesso adottato ultraventicinquenne ad accedere alle informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici.

La Corte non manca neppure di ricordare che, solo qualche mese prima di pronunciarsi in tema di fecondazione eterologa, aveva ritenuto che proprio l’art. 28 cit. arrecasse un insanabile vulnus agli artt. 2 e 3 Cost., laddove, a fronte di una richiesta di accesso dell’adottato, non sia prevista una modalità di verifica della perdurante attualità della scelta della donna di partorire nell’anonimato25. A certe conclusioni il giudice delle leggi era però pervenuto, anche col conforto di una giurisprudenza ormai consolidata della Corte di Strasburgo26, in base al convincimento, chiaramente espresso, che «il diritto del figlio a conoscere le proprie origini – e ad accedere alla propria storia parentale – costituisce un elemento significativo nel sistema costituzionale di tutela della persona» e che «il relativo bisogno di conoscenza rappresenta uno di quegli aspetti della personalità che possono condizionare l’intimo atteggiamento e la stessa vita di relazione di una persona in quanto tale»27. Si tratta di affermazioni di principio che non avrebbero dovuto lasciare dubbi neppure in ordine alla sicura prevalenza dell’interesse del nato da fecondazione eterologa a conoscere le proprie origini biologiche rispetto all’interesse all’anonimato dei cd. donatori. Un esito di questo tipo sembra però essere stato disatteso dalle vaghe e ambigue statuizioni che la Corte costituzionale ha riservato alla questione nella sent. n. 162/2014. Di fatto, il giudice delle leggi ha abrogato il divieto di fecondazione eterologa, ma non ha ritenuto di dire con chiarezza non solo quale disciplina debba ora garantire al nato il diritto a conoscere le proprie origini,ma neppure se quel diritto debba o meno essergli riconosciuto.

Né sembra possibile che le regole relative al diritto del nato da fecondazione eterologa a conoscere le proprie origini biologiche possano desumersi sic et simpliciter da quelle relative al diritto dell’adottato a conoscere i propri genitori naturali, neppure nella nuova formulazione che quelle regole sono destinate a ricevere a seguito del recente intervento del giudice delle leggi. Invero, secondo una parte degli interpreti, «fatte le debite proporzioni tra adozione e fecondazione eterologa, il problema del bilanciamento degli interessi in gioco si pone in maniera non molto dissimile, dovendosi anche qui bilanciare il diritto del figlio di sapere e quello del genitore di restare in un cono d’ombra, secondo criteri di razionalità che il legislatore è già stato invitato ad individuare»28. Altri interpreti hanno tuttavia rilevato che la disciplina dell’adozione «può offrire qualche spunto»,ma «non un modello da copiare integralmente»29. E ciò perché quelle ragioni che possono eventualmente giustificare delle limitazioni al diritto di conoscere le origini dell’adottato non sono estensibili al caso della fecondazione eterologa. Qui, infatti, non essendoci una condizione di abbandono del minore, non ricorrono neppure quelle circostanze che, per tutelare lo stesso figlio adottivo, possono suggerire di mantenere una distanza dei genitori biologici.

Né ha ragion d’essere la tradizionale tutela del diritto della donna di partorire nell’anonimato. L’art. 9, co. 2, l. n. 40/2004, del resto, vieta espressamente il parto anonimo della donna che abbia generato un figlio col ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita. E non vi è dubbio che questa norma debba ora applicarsi anche in caso di fecondazione eterologa. È evidente allora che, nel sistema normativo vigente, non esistono regole adeguate a garantire il diritto del nato a conoscere le proprie origini biologiche.

Dalla lettura della sent. n. 162/2014 non risulta poi neppure quale disciplina possa ora garantire ai nati da fecondazione eterologa il diritto – distinto da quello a conoscere le origini biologiche – a conoscere i dati non identificativi relativi ai genitori biologici per gravi e comprovati motivi attinenti alla salute psico-fisica o per evitare l’unione con persone legate da vincoli di parentela. Anche da questo punto di vista appare dunque evidente quanto sia problematica la tesi del giudice delle leggi secondo cui, nel contesto normativo vigente, un intervento puramente demolitorio del divieto di fecondazione eterologa non comporti conseguenze pregiudizievoli di alcun tipo a carico del nato. In realtà, si deve riconoscere che, anche a voler ritenere la compatibilità col sistema costituzionale di un’idea di completa fungibilità tra genitorialità legale e naturale, un intervento del legislatore s’impone comunque – e con urgenza – quanto meno per garantire il diritto del nato a conoscere le proprie origini biologiche e ad accedere alle informazioni non identificative per ragioni connesse alla tutela della salute.

A ben vedere, poi, la stessa disciplina relativa all’accertamento dello status del nato da fecondazione eterologa non è priva di incertezze e di lacune. Si consideri anzitutto che, stando almeno all’opinione di una parte degli interpreti, la previsione di cui all’art. 8 l. n. 40/2004 non è affatto idonea a determinare in capo al nato un accertamento automatico dello status filiationis.

Quella previsione non dispone infatti alcunché di innovativo in ordine all’accertamento dello stato30, sicché, in caso di accesso alla tecnica da parte di una coppia non coniugata, è pur sempre necessario il riconoscimento di entrambi i genitori e, in mancanza, l’accertamento giudiziale della paternità e/o della maternità.

Ora, è evidente che, in caso di procreazione medicalmente assistita con impiego del seme di un terzo, laddove il convivente della madre non intenda riconoscere il nato, quest’ultimo può provare al più che quegli ha consentito alla tecnica secondo quanto previsto dalla legge. Da nessuna parte risulta però con chiarezza che, in caso di fecondazione eterologa, una prova siffatta sia sufficiente a fondare un accertamento giudiziale della paternità31. A un simile risultato si potrebbe invero pervenire in via interpretativa32.

È bene tuttavia che su certe questioni non vi sia spazio per incertezze di sorta.

In caso di procreazione medicalmente assistita con ovodonazione un problema analogo potrebbe sembrare improponibile. E ciò sia sotto un profilo fattuale, perché certe gravidanze sono in genere fortemente volute, sia sotto un profilo propriamente giuridico, perché il legislatore del 2004 si è preoccupato di disporre che, in ogni caso di ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita, la donna non può partorire nell’anonimato (art. 9, co. 2, l. n. 40/2004). Nondimeno, com’è stato già rilevato da più parti, una regola siffatta, allo stato, è destinata a rimanere priva di qualsiasi effettività, giacché l’ufficiale di stato civile non ha alcun modo di sapere con certezza se la nascita che gli viene denunciata come avvenuta da donna che non consente di essere nominata è la conseguenza di un concepimento naturale o di una procreazione medicalmente assistita33. Di fatto, dunque, anche in caso di ricorso alle tecniche, permane la possibilità di partorire nell’anonimato34 e con ciò, una volta ammessa la fecondazione con ovodonazione, di aggirare il divieto di surrogazione di maternità, tuttora previsto dall’art. 12, co. 6, l. n. 40/2004, mediante riconoscimento del nato da parte del solo padre biologico ed eventuale successiva adozione speciale da parte della moglie35. La possibilità di far ricorso alla tecnica eterologa non dovrebbe allora prescindere dalla previsione di procedure che permettano ai sanitari di sapere con certezza se la nascita consegue o meno a un concepimento naturale.

Ulteriori incertezze sono connesse poi alla possibilità di un accertamento negativo dello status filiationis nei confronti del coniuge o del convivente del genitore naturale. Vero è che l’art. 9, co. 1, l. n. 40/2004 esclude che il coniuge o il convivente del genitore naturale possano disconoscere la paternità del nato o, rispettivamente, impugnare il riconoscimento per difetto di veridicità. Nessuna norma chiarisce però se la legittimazione alle azioni indicate sia sottratta anche al genitore naturale e al nato. In verità, quanto alla madre, una risposta negativa potrebbe forse dedursi dal divieto di partorire nell’anonimato di cui all’art. 9, co. 236. Non manca tuttavia anche chi ritiene che la madre possa agire per l’accertamento negativo della paternità37.

La soluzione appare ancora più incerta quanto alla legittimazione del figlio38. In senso negativo si è fatto notare che, stante la regola di cui all’art. 9, co. 3, un eventuale accertamento negativo della paternità legale non potrebbe comunque preludere a un successivo accertamento positivo della paternità biologica39.

L’accertamento negativo potrebbe però essere utilizzato dal figlio solo al fine di sottrarsi ai propri doveri nei confronti del genitore legale. Tanto più che, dopo la recente riforma della filiazione, tutte le azioni di accertamento negativo della genitorialità sono imprescrittibili quanto al figlio. Una parte degli interpreti, poi, ipotizza addirittura che l’esonero del cd. donatore da qualsiasi responsabilità (art. 9, co. 3), giustificandosi unicamente al fine di consentire la formazione di uno status filiationis nei confronti del genitore legale, e dunque a tutela del nato e non anche del cd. donatore, sarebbe destinato a venir meno ogni qual volta la formazione di quello status siamancata40 o perché la partoriente coniugata ha riconosciuto il nato o perché il convivente della partoriente non coniugata non l’ha riconosciuto. Ma allora, secondo la stessa logica, si potrebbe anche ipotizzare che quella regola non debba valere neppure in caso di abbandono del minore né in caso di accertamento negativo dello status nei confronti del genitore legale, sicché anche in questi casi il nato potrebbe far valere la responsabilità genitoriale del cd. donatore.

Il riconoscimento della legittimazione del figlio al disconoscimento della paternità legale porrebbe poi l’ulteriore problema dell’accertamento negativo della maternità della donna coniugata nei casi di procreazione assistita con ovodonazione. Infatti, mentre l’azione ex art. 263 c.c. riguarda qualsiasi riconoscimento non corrispondente alla verità biologica della generazione, e dunque sia il riconoscimento paterno sia quello materno, la contestazione della maternità della donna coniugata è invece consentita solo nelle ipotesi tassative di cui all’art. 240 c.c., con conseguente disparità di trattamento rispetto al caso del ricorso al seme di un terzo41. Ora, è evidente che anche tutte queste questioni non possono essere lasciate ai variabili convincimenti degli interpreti. Anche da questo ulteriore punto di vista, dunque, un intervento del legislatore in materia di fecondazione eterologa appare quantomai necessario e urgente per impedire che, al di là del diritto alla genitorialità naturale, il ricorso a quella tecnica non pregiudichi anche altri interessi della persona di sicuro rilievo costituzionale.

1 La decisione è pubblicata in Corr. giur., 2014, 1062 ss., con nota diG. Ferrando, La riproduzione assistita nuovamente al vaglio della Corte costituzionale. L’illegittimità del divieto di fecondazione eterologa; Dir. pen. e processo, 2014, 8255, con nota di A. Vallini, Sistema e metodo di un biodiritto costituzionale: l’illegittimità del divieto di fecondazione “eterologa”; v. anche Girelli, F., Bastano le garanzie interne per dichiarare l’incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa, in Ord. internaz. e dir. umani, 2014, 599 ss.

2 Cfr. C. cost., 28.1.2005, n. 49, in Corr. giur., 2005, 420 ss. In argomento v. Sesta,M., Procreazione medicalmente assistita, in Enc. giur. Treccani, Roma, 2004, 11 s.

3 L’idea che il divieto di fecondazione eterologa contrasti anche con l’art. 32 Cost. è stata messa in discussione da più parti, anche tra quanti ritengono che la questione di legittimità sia invece fondata in relazione agli altri parametri indicati. Non sembra infatti che le “tecniche” di procreazione medicalmente assistita possano essere considerate vere e proprie “terapie”, dato che il ricorso ad esse non rimuove certo la sterilità o l’infertilità della coppia. Si tratta piuttosto di forme di assistenza medica finalizzate alla procreazione. In questo senso cfr. Sesta, M., Procreazione, cit., 5;Osti,A., La procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo di fronte alla Corte costituzionale. Spunti di riflessione sull’uso delle sentenze della Corte di Strasburgo e sul diritto alla salute, in La fecondazione eterologa tra Costituzione italiana e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a cura di F. Vari, Torino, 2012, 105 ss.; Vari, F., A proposito delle questioni di legittimità costituzionale del divieto di procreazione eterologa, ivi, 183 ss.; Vallini, A., Sistema e metodo, cit., 835 s.Nel senso che anche le tecniche di procreazione medicalmente assistita sarebbero vere e proprie terapie v. invece Ferrando,G., La riproduzione assistita, cit., 1071 s., che argomenta dalla necessità di abbandonare un’idea di salute intesa in terminimeramente organicistici. Per una valutazione critica di un simile processo di “soggettivizzazione” del concetto di salute v. però i rilievi di Nicolussi, A., Lo sviluppo della persona umana come valore costituzionale e il cosiddetto biodiritto, in Europa e diritto privato, 2009, 25 ss. e 47 ss.

4 È evidente peraltro che l’intero apparato normativo regolamentare dovrà essere opportunamente adeguato alle specificità della tecnica eterologa e che senza questo adeguamento l’accesso a quella tecnica non dovrebbe essere consentito.

5 In tal senso v., ad es., Ferrando, G., La riproduzione assistita, cit., 1074.

6 Si allude in particolare alle argomentazioni svolte da Nicolussi in diverse occasioni: Lo sviluppo della persona umana, cit., 7 ss.; La famiglia: una concezione neo-istituzionale?, in Europa e diritto privato, 2012, 170 ss., spec. 186 ss.; Fecondazione eterologa e diritto di conoscere le proprie origini. Per un’analisi giuridica di una possibilità tecnica, in La fecondazione eterologa tra Costituzione italiana, cit., 65 ss. (anche in AIC-Rivista telematica giuridica dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 2012).Nello stesso senso v. pure Renda, A., L’accertamento della maternità. Profili sistematici e prospettive evolutive, Torino, 2008, 256; Vari, F., Concepito e procreazione assistita. Profili costituzionali, I, Bari, 2008, 66 s. e 137 s.; Id., A proposito delle questioni di legittimità, cit., 173 ss.; Giacobbe, G., La famiglia nell’ordinamento giuridico italiano. Materiali per una ricerca, Torino, 2006, 82.

7 Così Nicolussi su Avvenire del 12.6.2014.

8 Sul punto, già prima della recente riforma della filiazione del 2012/2013, v. Renda, A., Equiparazione o unificazione degli status filiationis? Proposte per una riforma del sistema di accertamento della filiazione, in Riv. dir. civ., 2008, II, spec. 109 ss., per il quale il principio dell’unicità dello status di figlio non sarebbe affatto estraneo alla previsione dell’art. 30 Cost. Nel senso che il dettato costituzionale non consentirebbe l’unificazione degli status v. invece Bonilini, G., Lo status o gli status di filiazione?, in Fam. pers. e succ., 2006, 681 ss., il quale, anche dopo la riforma, ha ribadito il proprio convincimento in L’abrogazione della norma concernente il diritto di commutazione, in Fam. dir., 2014, 517 ss.

9 Il parallelo tra fecondazione eterologa e adozione è stato spesso riproposto da una parte degli interpreti per dimostrare che il sistema conoscerebbe rapporti di filiazione che prescindono da legami di sangue. Anche la Corte costituzionale fa riferimento all’adozione per avvalorare l’idea secondo cui il sistema guarderebbe con favore al «progetto di formazione di una famiglia caratterizzato dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal dato genetico».La problematicità di una simile argomentazione è stata tuttavia evidenziata da più parti: da ultimo v. Vallini, A., op. cit., 840; nello stesso senso v. anche Sesta,M., op. cit., 5;Nicolussi, A., Fecondazione eterologa, cit., 70 s. In senso contrario v. invece Ferrando, G., La riproduzione assistita, cit., 1074.

10 Come rilevato da Nicolussi, A., La famiglia, cit., 190, nota 55, l’incoerenza dell’eterologa rispetto al principio di cui all’art. 1, l. n. 184/1983 era stata segnalata anche da Mengoni, L., La famiglia in una società complessa, in Iustitia, 1990, 2.

11 Nel senso che la scissione tra identità sociale e identità biologica del nato conseguente al ricorso della tecnica eterologa comporta il misconoscimento in radice del diritto del nato alla propria identità biologica, e cioè del suo diritto «di avere per genitori coloro che tali sono biologicamente», sicché il divieto di fecondazione eterologa «troverebbe un fondamento nell’art. 2 Cost., qualificando la corrispondenza tra identità genetica e identità sociale della persona quale originario diritto della personalità», v. Sesta,M., op. cit., 5. Secondo quest’A., un giudizio critico nei confronti della scelta del legislatore del 2004, tale da giustificare dubbi di legittimità costituzionale, avrebbe potuto peraltro essere formulato «per la sua incoerenza ed irrazionalità », in quanto, nonostante il divieto di fecondazione eterologa, in caso di violazione, al nato era attribuito lo status di figlio del marito o del convivente della partoriente ed era inoltre impedita la costituzione di una relazione parentale col donatore. In tal modo, secondo Sesta, si finiva per frustrare «l’unico possibile fondamento razionale del divieto». Asuo dire (op. cit., 8), i principi informatori della l. n. 40/2004 «avrebbero richiesto l’assolvimento dei doveri genitoriali in capo al donatore proprio al fine di scoraggiare la procreazione eterologa». Anche Busnelli, F.D.,Cosa resta della legge 40? Il paradosso della soggettività del concepito, in Riv. dir. civ., 2011, I, 469, relativamente alle previsioni di cui all’art. 9, co. 1 e 3, l. n. 40/2004, aveva parlato di «una situazione di criptico compromesso mascherato da intransigente divieto»,mentre Nicolussi, A., Fecondazione eterologa, cit., 66 s., aveva rimproverato al legislatore di essersi spinto ben «oltre la semplice presa d’atto della finitezza spazio-temporale del divieto di fecondazione eterologa».

12 In tal senso v., ad es., Rodotà, S., Il diritto ad avere diritti, Roma-Bari, 2012, 284 s.; Ferrando,G., La riscrittura costituzionale e giurisprudenziale della legge sulla procreazione assistita, in Fam. e dir., 2011, 523; Id., La riproduzione assistita, cit., 1074; Vallini, A., op. cit., 839.

13 Così Vallini, A., op. cit., 839. L’idea di un’impossibile resistenza della regola giuridica ai progressi della tecnica è anche in Rodotà, S., Il diritto, cit., 285.

14 Ancora Vallini, A., op. cit., 839.

15 Così Nicolussi, A., Fecondazione eterologa, cit., 95.

16 Così Mengoni, L., Ermeneutica e dogmatica giuridica. Saggi, Milano, 1996, 117.

17 Cfr. Nicolussi, A., Fecondazione eterologa, cit., 94 s.

18 Anche Sesta,M., op. cit., 5, si era preoccupato dimettere in chiaro che la garanzia del diritto del nato «di avere per genitori coloro che tali sono biologicamente» costituisce un fondamento “razionale” e non “meramente ideologico” del divieto di fecondazione eterologa.

19 In tal senso v. invece Ferrando, G., La riproduzione assistita, cit., 1074.

20 Così Nicolussi, A., La famiglia, cit., 189.

21 Ancora Nicolussi, A., La famiglia, cit., 188; Id., Fecondazione eterologa, cit., 69.

22 La problematicità di un intervento seccamente demolitorio era stata opportunamente segnalata da Busnelli, F.D., Cosa resta della legge 40?, cit., 464 ss.

23 Cfr. Nicolussi, A., Fecondazione eterologa, cit., 85 ss.

24 Anche l’ambiguità della motivazione della sent. C. cost. n. 162/2014 a proposito del diritto del nato alla conoscenza delle origini biologiche è stata prontamente evidenziata da Nicolussi su Avvenire del 12.6.2014.

25 Cfr. C. cost., 22.11.2013, n. 278, in Corr. giur., 2014, 471 ss., con nota di T. Auletta.

26 Sempre con riferimento alla disciplina dell’anonimato della partoriente e al diritto dell’adottato a conoscere le origini biologiche nell’ordinamento italiano, v. C. eur. dir. uomo, 25.9.2012, Godelli c. Italia, in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, 103 ss., con nota di J. Long. In precedenza, ma con riferimento alla disciplina francese, v. anche C. eur. dir. uomo, 13.2.2003, Odievre c. Francia, in Familia, 2004, II, 1109 ss., con nota di A. Renda.

27 Così C. cost. n. 278/2013. Il giudice delle leggi ha dunque riconosciuto che l’identità personale si costruisce anche – certo non solo! – a partire dal dato biologico, e cioè che il diritto di sapere chi si è non è altra cosa rispetto al diritto ad essere se stessi, ma è una componente essenziale di quest’ultimo diritto. Nel senso che la biologia non sarebbe costitutiva della biografia della persona v. invece Rodotà, S., Il diritto di avere diritti, cit., 298 ss., sulla scorta di Remotti, F., Contro l’identità, Roma-Bari, 1996, 5; nello stesso senso v. anche Pino, G., L’identità personale, in Trattato di biodiritto a cura di S. Rodotà e P. Zatti, I, Milano, 2010, 297 ss.

28 Così Ferrando, G., La riproduzione assistita, cit., 1074.

29 Così Nicolussi, A., Fecondazione eterologa, cit., 90.

30 In questo senso v. Sesta,M., op. cit., 7 s. Nel senso che, in forza della previsione dell’art. 8 cit., l’attribuzione dello stato di figlio avverrebbe invece inmaniera automatica anche in caso di accesso alle tecniche di procreazione assistita da parte di una coppia non coniugata v. Quadri, E., La nuova disciplina della procreazione assistita, in La fecondazione assistita. Riflessioni di otto grandi giuristi,Milano, 2005, 49; Villani, R., La procreazione assistita, Torino, 2004, 104.

31 Il problema è sollevato da Stefanelli, S., Procreazione eterologa e azioni di stato, n. 4, contributo in corso di pubblicazione che si è potuto consultare per la cortesia dell’A.

32 Cfr. Stefanelli, S., Procreazione eterologa, cit., n. 4.

33 Cfr. Sesta,M., op. cit., 8; Stefanelli, S., Procreazione eterologa, cit., n. 4.

34 Sesta, op. cit., 8, rileva pure che la donna che, nonostante la disposizione di legge, non consenta di essere nominata, non è comunque esposta all’incriminazione per il reato di alterazione di stato previsto dall’art. 567, co.2, c.p., trattandosi di reato commissivo.

35 Cfr. Stefanelli, S., Procreazione eterologa, cit., n. 4.

36 Così Sesta, M., op. cit., 7, che esclude la legittimazione della madre e ritiene pacifica questa soluzione.

37 Cfr. Nicolussi, A., Fecondazione eterologa, cit., 80 e 91.

38 In senso affermativo v. Quadri, E., La nuova disciplina, cit., 154; Nicolussi, A., Fecondazione eterologa, cit., 80 e 91; Stefanelli, S., Procreazione eterologa, cit., n. 2. In senso negativo v. invece Sesta, M., op. cit., 7.

39 Così Sesta, M., op. cit., 7.

40 Cfr. Nicolussi, A., Fecondazione eterologa, cit., 82.

41 Cfr. Stefanelli, S., Procreazione eterologa, n. 2.

CATEGORIE