Protezionismo

Dizionario di Economia e Finanza (2012)

protezionismo

Tito Menzani

Politica economica che prevede aiuti pubblici ad alcuni segmenti produttivi, attraverso dazi che ostacolino o impediscano la concorrenza di prodotti stranieri sul mercato nazionale. Tali aiuti vengono attivati anche attraverso altri strumenti similari, come divieti, contingentamenti, incentivi al consumo, premi all’esportazione di prodotti nazionali, ostacoli all’esportazione di materie prime che possano essere utilizzate da industrie nazionali, o, al contrario, facilitazioni all’importazione di materie prime e semilavorati esteri. In senso più ampio, il p. è contrapposto al liberismo (➔), in quanto prevede un tangibile intervento dello Stato nell’economia nazionale. In sintesi, la politica commerciale protezionistica ha come obiettivo l’aumento dell’export e la contrazione della dipendenza dalla produzione estera, o anche la protezione dei settori industriali nascenti, al fine di impedirne il soffocamento da parte di economie estere più progredite.

Il protezionismo tra il 17° e il 19° secolo

L’origine del p. è fatta risalire al mercantilismo (➔) dei secc. 17° e 18°, una dottrina economica che si preoccupava di ridurre le importazioni e stimolare le esportazioni. Nel corso del 1800, l’affermazione del liberismo a partire dall’Inghilterra aprì le porte a un maggiore flusso di scambi internazionali. Il p. sopravvisse per lo più in forme di resistenza a questo pensiero,  pur non ponendosi mai in opposizione radicale alla teoria ricardiana dei vantaggi comparati. È il caso della Germania, che nel 1834 realizzò una Unione doganale (Zollverein) a tutela delle proprie industrie nascenti. Nella seconda metà del 19° sec. e nel primo decennio del 20° sec., il p. ebbe un  successo alterno, ma di graduale rafforzamento, anche sul piano teorico, dove era inteso come una motivata e legittima eccezione al libero scambio. Da una parte, il suo ambito non rimase più confinato al settore industriale, come era avvenuto in origine, ma tese ad allargarsi alla produzione agricola e al mercato del lavoro. Inoltre, i crescenti contrasti fra le potenze europee sullo scacchiere internazionale indussero talvolta i governi ad adottare dazi doganali per semplici ragioni di ritorsione.

Il protezionismo nel 20° secolo

La Prima guerra mondiale e la successiva crisi del 1929 diedero un ulteriore grande impulso al p., spesso declinato in senso nazionalista, con crescenti interventi dello Stato nell’economia fino all’adozione di vere e proprie politiche autarchiche, come per es. in Italia durante il fascismo. La Seconda guerra mondiale rappresentò probabilmente l’acme di questo processo, dato che, con la distensione a essa seguita, seppure in un contesto internazionale diviso in due blocchi, il p. venne gradualmente abbandonato a favore di una crescente ripresa dei commerci su scala internazionale. È sufficiente considerare il General Agreement on Tariffs and Trade (➔ GATT), firmato nel 1947 da 23 Paesi, per stabilire le basi di un sistema multilaterale di relazioni commerciali, che favorisse la liberalizzazione (➔) del commercio mondiale. Dagli anni 1970, tuttavia, e soprattutto dopo la crisi petrolifera del 1973-74, la difficile congiuntura economica ha spinto i Paesi, nonostante il carattere di globalizzazione e di internazionalizzazione assunto dagli scambi mondiali, a chiudersi in un atteggiamento più protezionista, definito talvolta neoprotezionismo (➔). Queste nuove spinte protezionistiche, però, si sono gradualmente indebolite per la rapida integrazione dei mercati sia economici sia finanziari che ha caratterizzato la fine del 20° sec. e l’inizio del successivo.