Province e città metropolitane: la l. n. 56/2014

Libro dell'anno del Diritto 2015

Province e città metropolitane: la l. n. 56/2014

Claudio Contessa

La l. n. 56/2014 (cd. Legge Delrio) conclude l’iter parlamentare di un d.d.l. governativo presentato nel luglio del 2013 mirante a una complessiva revisione del sistema delle autonomie locali di carattere sovracomunale. Il disegno riformatore del 2013 nasceva all’indomani della “bocciatura” costituzionale di un incisivo tentativo di riforma delle province e città metropolitane varato con strumento d’urgenza dal Governo Monti e mirava a “traghettare” il sistema delle autonomie verso la soppressione delle province, prevista da un parallelo d.d.l. costituzionale. La legge dello scorso aprile reca, in effetti: a) l’istituzione delle città metropolitane; b) la ridefinizione dell’assetto e delle funzioni delle province; c) la revisione delle unioni di comuni. Medio tempore, tuttavia, il quadro sistematico di riferimento è mutato con l’approvazione in prima lettura del d.d.l. costituzionale di riforma della Parte II della Costituzione, che ha messo in dubbio la stessa coerenza organica della Legge Delrio.

La ricognizione

La l. 7.4.2014, n. 56 (recante Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni – cd. Legge Delrio) giunge all’esito di un iter parlamentare non eccessivamente lungo (poco più di otto mesi), ma indubbiamente tormentato, anche in ragione del particolare contesto storico ed istituzionale in cui si colloca il disegno riformatore del sistema di autonomie di carattere sovracomunale ad esso sotteso.

Il d.d.l. in questione era stato varato dal governo Letta nel luglio del 2013, all’indomani della sentenza della C. cost., 19.7.2013, n. 2201 (che aveva annullato un tentativo di riforma del sistema delle province e delle città metropolitane varato dal governo Monti con due decreti-legge) e contestualmente alla presentazione, da parte del governo, di un d.d.l. costituzionale (AC 1543) la cui finalità essenziale (se non l’unica) era quella di sopprimere lo stesso livello di governo provinciale dall’ordito costituzionale.

Proprio nei giorni in cui l’esame parlamentare del d.d.l. Delrio giungeva alle sue battute conclusive (marzo 2014) il nuovo governo nel frattempo insediatosi completava la stesura del complessivo disegno di riforma della Parte II della Costituzione (comprensivo, quindi, della dibattutissima “controriforma” del Titolo V, Cost., della quale la soppressione delle province costituisce una delle parti sistematicamente più rilevanti).2

Ebbene, la volontà (anche per ragioni lato sensu “mediatiche”) di approvare in tempi estremamente ristretti il disegno di legge in questione ha comportato ricadute piuttosto evidenti sulla qualità normativa del testo e sulla sua complessiva coerenza e leggibilità.

Basti pensare al fatto che il ricorso all’escamotage (invero, piuttosto frequente) di accorpare tutte le disposizioni del testo (ben 151 commi) in un unico articolo3 (l’originario disegno di legge era invece composto di 23 articoli) ha prodotto infine un testo notevolmente complesso e frammentato, che grava l’interprete di numerose difficoltà di comprensione e sistematizzazione.

Si osserva, inoltre, che la legge in esame, pur apportando rilevantissime modifiche “di sistema” all’ordinamento degli enti locali, non reca adeguate forme di coordinamento con il d.lgs. 18.8.2000, n. 267 (cd. Testo unico degli enti locali - TUEL) e si pone come un intervento del tutto autonomo e – per così dire – “fuori sistema”, imponendo anche sotto tale aspetto agli operatori del diritto un rilevante sforzo supplementare al fine di ricostruire in modo adeguato il complessivo ordito che ne scaturisce.

La focalizzazione

Qui di seguito si traccerà un inquadramento sistematico della Legge Delrio nel più generale ambito delle recenti iniziative normative (al livello costituzionale ed ordinario) finalizzate a una complessiva riforma dei livelli di governo sub-regionali.

2.1 La l. n. 56/2014 nel ridisegno delle autonomie

Come emerge dalla stessa rubrica legis (e come si avrà modo di approfondire nel prosieguo – v. infra, § 2.2), il complessivo disegno riformatore della l. n. 56/2014 si snoda su tre assi principali: a) l’istituzione di (dieci) città metropolitane, quali enti territoriali di area vasta dotati di proprie finalità istituzionali di carattere generale4; b) la revisione della collocazione istituzionale, dell’assetto e delle funzioni del livello di governo provinciale, nelle more dell’approvazione di un d.d.l. costituzionale che dovrebbe prevedere tout-court la soppressione di tale livello di governo; c) il riordino e la razionalizzazione delle unioni di comuni (attualmente disciplinate dal solo art. 32 del TUEL) e la contestuale introduzione di un complesso di disposizioni volte a favorire le fusioni di comuni.

Un rilievo sistematico del tutto centrale riveste, nell’ambito del complessivo intervento riformatore, il disegno di limitazione del livello di governo provinciale e la contestuale istituzione delle città metropolitane.

Come è noto, negli anni più recenti si è andato delineando in modo via via più netto un orientamento di marcato sfavore nei confronti dello stesso ruolo istituzionale delle province5, accusate – a seconda dei casi – : i) di costituire un livello di governo artificiosamente istituito a prescindere da effettive esigenze funzionali e di servizio e ii) di “duplicare” (ma a un livello territoriale inadeguato) funzioni amministrative più efficacemente esercitabili al livello regionale o comunale.

Né è riuscito a rivitalizzare in modo determinante il ruolo delle province l’introduzione del modello di cd. “federalismo a tre punte” che ha caratterizzato la riforma del Titolo V Cost. del 2001 (un modello che, come è noto, ha collocato il livello di governo provinciale su un grado di sostanziale equiordinazione sistematica – almeno nelle intenzioni di principio – rispetto al livello regionale e a quello comunale).

Il richiamato orientamento di sfavore si è tradotto, in tempi recenti, in iniziative normative di diversa natura e origine,ma tutte accomunate dalla volontà di limitare lo stesso ruolo istituzionale delle province (con contestuale istituzione delle città metropolitane in sostituzione delle più importanti di esse), ovvero a sopprimere tout-court il relativo livello di governo6.

Prima dell’approvazione della Legge Delrio, il più compiuto tentativo operato in tal senso in tempi recenti – e al livello primario – si era tradotto nell’adozione, da parte del governo Monti, di due disposizioni:

in primo luogo, l’art. 23, d.l. 6.12.2011, n. 201 (cd. Salva Italia) il quale, ai co. da 14 a 20, recava una sintetica (ma estremamente incisiva) riforma delle funzioni e dell’assetto istituzionale delle province. Sotto tale aspetto, il d.l. n. 201/2011 prevedeva, in particolare: i) la limitazione delle funzioni provinciali al solo ambito dell’indirizzo e del coordinamento delle attività comunali nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale (co. 14); ii) l’eliminazione della giunta dal novero degli organi della provincia; iii) la limitazione del numero dei componenti del consiglio provinciale (massimo dieci) e la previsione della loro elezione da parte degli organi elettivi dei comuni attraverso una procedura “di secondo livello”; iv) la nomina del presidente della provincia da parte del consiglio provinciale, all’interno dei suoi componenti;

in secondo luogo, l’art. 18 del d.l. 6.7.2012, n. 95 (cd. Spending review). La disposizione in questione prevedeva la soppressione – alla data del 1.1.2014 – delle dieci maggiori province e la contestuale istituzione di altrettante città metropolitane, cui sarebbero state attribuite le funzioni fondamentali già spettanti alle soppresse province e alcune ulteriori funzioni fondamentali individuate dallo stesso Legislatore statale. L’art. 18, cit., prevedeva, altresì: i) l’articolazione degli organi delle città metropolitane (secondo un assetto di cui si rinvengono evidenti echi nell’ambito della Legge Delrio); ii) l’espressa abrogazione delle disposizioni vigenti in tema di aree metropolitane e città metropolitane contenute – rispettivamente – negli artt. 22 e 23 del TUEL e negli artt. 23 e 24 della l. 5.5.2009, n. 42 (in tema di federalismo fiscale). L’intervento in tal modo operato dal governo Monti ha, tuttavia, avuto vita piuttosto breve: le disposizioni in questione sono state impugnate ai sensi dell’art. 127 Cost. da sette regioni a statuto ordinario e tre a statuto speciale e, con la richiamata sentenza n. 220/2013, la Corte costituzionale ha accolto in parte qua i ricorsi e dichiarato costituzionalmente illegittime le disposizioni impugnate.

In particolare la Corte (che, pure, era stata chiamata a pronunziarsi circa i plurimi, asseriti vizi in senso sostanziale delle disposizioni censurate) ha ritenuto assorbente ai fini del decidere la sola violazione – per così dire: in senso procedurale – dei presupposti e delle condizioni per fare ricorso allo strumento della decretazione d’urgenza di cui all’art. 77 Cost.

Secondo la Corte, infatti, «una riforma così ampia di una parte del sistema delle autonomie locali, destinata a ripercuotersi sull’intero assetto degli enti esponenziali delle comunità territoriali, riconosciuti e garantiti dalla Costituzione, è incompatibile, logicamente e giuridicamente, con lo strumento della decretazione d’urgenza».7

La Consulta, quindi, non ha esaminato – in quanto ormai irrilevante – la questione di merito relativa al se la radicale trasformazione (e il sostanziale “svuotamento” funzionale) di un livello di governo dotato di espressa copertura costituzionale – quale quello provinciale – debba necessariamente essere operato con legge costituzionale, ovvero se un siffatto intervento sia comunque compatibile con il ricorso allo strumento normativo primario, incontrando – nei fatti – i soli limiti posti dagli artt. 117 e 118 Cost.

Al riguardo, la Corte si è limitata ad osservare che «le considerazioni che precedono (…) non portano alla conclusione che sull’ordinamento degli enti locali si possa intervenire solo con legge costituzionale, indispensabile solo se intenda sopprimere uno degli enti previsti dall’art. 114 Cost., o comunque si voglia togliere allo stesso la garanzia costituzionale (…)».8

Il monito in tal modo espresso dal Giudice delle leggi è stato evidentemente tenuto in considerazione dal Legislatore del 2014 il quale non ha affermato in modo espresso che l’istituzione delle (dieci) città metropolitane produrrà ipso facto la soppressione delle relative province (anche se, occorre dirlo, al di là dell’imbarazzato silenzio serbato sul punto dal Legislatore, numerosi indici sistematici e testuali testimoniano comunque – e in modo univoco – un siffatto effetto soppressivo).

Venendo, invece, al merito della questione, si osserva che ad appena poche settimane di distanza dalla pronuncia della Corte, il Governo ha varato due provvedimenti finalizzati nel loro complesso a perseguire comunque le medesime finalità già tenute presenti dalla normativa d’urgenza del 2011-2012.

In particolare:

con il d.d.l. AC 1542 (icasticamente denominato nel dibattito corrente “svuota-province” e presentato alle Camere il 20.8.2013), il Governo ha affidato a un disegno di legge ordinario un ampio disegno di sistema finalizzato alla riduzione delle funzioni provinciali. Il d.d.l. in questione, all’esito di tre passaggi parlamentari, è stato infine approvato con la l. n. 56/2014, oggetto della presente analisi;

con il d.d.l. costituzionale AC 1543, anch’esso presentato alle Camere il 20.8.2013, il Governo ha previsto una parziale e chirurgica riforma del Titolo V, Cost., al fine di espungere a regime dal testo costituzionale ogni riferimento allo stesso livello di governo provinciale (nonché – è bene sottolinearlo – a quello della città metropolitana, secondo un’impostazione che appare invero parzialmente modificata con il successivo d.d.l. Cost. AS 1429 approvato in prima lettura dal Senato nell’agosto del 2014).

Nelle more dell’iter parlamentare che ha preceduto l’approvazione della l. n. 56/2014, il nuovo Governo nel frattempo insediatosi aveva, infatti, elaborato un più complessivo disegno di riforma dell’intera Parte II della Costituzione (comprensivo anche, ai fini che qui rilevano, di una “contro-riforma” del Titolo V Cost. e delle disposizioni in tema di città metropolitane e province).

Il nuovo d.d.l. costituzionale (AS 1429), destinato ad inglobare anche il d.d.l. costituzionale di iniziativa governativa dell’agosto 2013 in tema di soppressione delle province9, è stato significativamente sottoposto all’esame del Parlamento il giorno successivo a quello di promulgazione della Legge Delrio (7-8.4.2014).

Il nuovo d.d.l. (che, al momento in cui il presente contributo viene affidato alle stampe, risulta approvato in prima lettura dal Senato e all’esame delle competenti Commissioni della Camera)10 presenta alcune rilevanti differenze rispetto al d.d.l. costituzionale dell’agosto 2013, per il cui esame si rinvia al paragrafo conclusivo.

2.2. I (tre) assi portanti della riforma

Come si è anticipato (v. supra, §. 2.1), il complessivo disegno riformatore di cui alla l. n. 56/2014 può essere ricondotto a tre assi portanti: a) l’istituzione di (dieci) città metropolitane, come enti territoriali di area vasta; b) la riforma del sistema delle province, in attesa delle future riforme costituzionali in materia (e della possibile soppressione del relativo livello di governo); c) il riordino e la razionalizzazione delle unioni di comuni e delle fusioni di comuni.

Ebbene, partendo dal terzo dei richiamati aspetti, si osserva che (pur non disconoscendo il suo notevole interesse sistematico) non si ritiene qui di approfondirne l’esame, ritenendosi piuttosto – per ragioni di omogeneità espositiva – di dover concentrare l’attenzione sui profili relativi alla disciplina delle province e delle città metropolitane.

Ora, dal punto di vista della “copertura” costituzionale del recente intervento normativo, si osserva che nell’ambito del quadro ordinamentale vigente, l’intervento di riforma in esame risulta ascrivibile all’ambito della materia di potestà legislativa esclusiva dello Stato relativa a «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane» (art. 117, co. 2, lett. p), Cost.).

Per quanto riguarda, in particolare, i criteri di allocazione delle funzioni dei livelli di governo “di area vasta”, il Legislatore del 2014 (art. 1, co. 1, l. n. 56/2014) ha altresì richiamato in modo espresso i princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’art. 118, co. 1, Cost.

Nei paragrafi che seguono, quindi, si esamineranno singolarmente i (due) principali aspetti del complessivo intervento.

2.2.1 L’istituzione delle città metropolitane

I commi da 5 a 50 dell’articolo unico della l. n. 56/2014 disciplinano gli organi di governo e le relative modalità di elezione delle Città metropolitane, nonché le relative funzioni fondamentali (art. 117, co. 1, lettera p), Cost.), attribuendo altresì a tale ente un’ampia potestà statutaria (conformemente, del resto, all’art. 114, co. 2, Cost.).

Al livello di governo in questione vengono attribuite alcune finalità istituzionali generali, fra cui: i) la cura e lo sviluppo del territorio metropolitano; ii) la promozione e gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione di interesse della città metropolitana; iii) la cura delle relazioni istituzionali afferenti il proprio livello, ivi comprese quelle con le città e le aree metropolitane europee (co. 2).

Pure in assenza di abrogazioni espresse, le disposizioni di cui alla l. n. 56/2014 sono destinate in parte qua a sostituire nella disciplina concreta le disposizioni di cui all’art. 23 (Aree metropolitane) e 24 (Città metropolitane) del TUEL (le cui previsioni appaiono ora obiettivamente incompatibili con quelle recate dalla legge di riforma del 2014).

Per quanto concerne l’individuazione del territorio delle (dieci) città metropolitane individuate dalla l. n. 56/2014, esso coincide in prima battuta con quello delle province di riferimento le quali (nonostante il silenzio serbato sul punto del Legislatore) sono destinate ad essere soppresse a far data dal 1.1.2015 (co. 16).

Si è già osservato al riguardo che la scelta del Legislatore del 2014 di non sancire in modo espresso la soppressione delle attuali (dieci) province metropolitane discende probabilmente da una cautela di ordine costituzionale. Tale cautela appare dettata dall’opinione di chi ritiene che il vigente assetto costituzionale (come da ultimo interpretato dalla sent. n. 220/2013) non consentirebbe neppure la soppressione della singola provincia (e la sua sostituzione da parte dell’omologa città metropolitana), atteso che un siffatto intervento equivarrebbe comunque a una parziale soppressione dello stesso livello di governo provinciale, in quanto tale non compatibile con l’attuale formulazione dell’art. 114 Cost.

Tuttavia, al di là delle cautele approntate in sede di stesura delle disposizioni in esame, la questione appare essenzialmente nominalistica, in quanto le disposizioni della l. n. 56/2014 non sembrano ammettere altra interpretazione, se non quella secondo cui il subentro delle città metropolitane alle province alla data del 1.1.2015 (co. 16) comporterà ipso facto la soppressione delle seconde.

Tornando alla questione dell’ambito territoriale delle città metropolitane, si osserva che, con previsione indubbiamente peculiare (ma comunque comprensibile nelle sue ragioni ispiratrici), il co. 6 contempla la possibilità di modificare (vi è da ritenere: in senso solo ampliativo) la precedente circoscrizione provinciale, facendo ricorso all’iter delineato dal primo comma dell’art. 133 Cost. in tema di modifica delle circoscrizioni provinciali.

Per quanto riguarda l’assetto istituzionale, il co. 7 individua quali organi della Città metropolitana:

a) il sindaco metropolitano;

b) il consiglio metropolitano;

c) la conferenza metropolitana. In particolare, la l. n. 56 stabilisce che il sindaco metropolitano, organo di vertice del nuovo ente, «rappresenta l’ente, convoca e presiede il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana, sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti; esercita le altre funzioni attribuite dallo statuto» (co. 8).

Nelle ipotesi – per così dire – “fisiologiche”, il sindaco metropolitano coincide di diritto con il sindaco del comune capoluogo (co. 19), salvo che lo statuto dell’ente non preveda la sua elezione diretta (nonché quella del consiglio metropolitano) con il sistema elettorale che sarà determinato con legge dello Stato (co. 22).

Tuttavia, la l. n. 56/2014 assoggetta la possibilità di procedere all’elezione diretta del sindaco e del consiglio metropolitano a una serie di stringenti condizioni che, presumibilmente, renderanno piuttosto difficile il verificarsi di tale ipotesi. In particolare, sarà a tal fine necessario: i) che entro la data di indizione delle elezioni si sia proceduto ad articolare il territorio del comune capoluogo in più comuni (con proposta che richiederà altresì l’approvazione con referendum popolare fra tutti i cittadini della città metropolitana); ii) che, entro lamedesima data, la regione abbia provveduto con propria legge ad istituire i nuovi comuni ai sensi dell’art. 133, Cost.11

Il sindaco metropolitano può nominare un vicesindaco, scelto fra i consiglieri metropolitani, stabilendo le eventuali funzioni a lui delegate e dandone immediata comunicazione al consiglio. Il vicesindaco esercita le funzioni del sindaco in caso di impedimento di quest’ultimo (co. 40).

Il consiglio metropolitano viene individuato dalla legge di riforma quale organo di indirizzo e controllo a competenza tendenzialmente generale. Esso, in particolare: i) propone alla conferenza lo statuto e le relative modifiche; ii) approva i regolamenti, piani e programmi; iii) approva i bilanci dell’ente; iv) approva o adotta, altresì, «ogni altro atto ad esso sottoposto dal sindaco metropolitano» (competenza residuale generale); v) esercita le altre funzioni attribuite dallo statuto, con particolare riguardo ai particolari poteri propositivi e consultivi di cui al co. 8 (competenza residuale statutaria).

Il consiglio metropolitano è costituito dal sindaco metropolitano e da un numero di consiglieri compreso fra 14 e 24 in relazione alla popolazione della città metropolitana (co. 20). La sua durata in carica è fissata in cinque anni e sono previste nuove elezioni nel caso di rinnovo del consiglio del comune capoluogo (co. 21).

La legge di riforma, attraverso modifiche puntuali agli artt. 60 e 63 del TUEL estende ai consiglierimetropolitani le previsioni (rispettivamente) in tema di ineleggibilità e di incompatibilità già previste a legislazione vigente per i consiglieri comunali e provinciali.

La l. n. 56/2014, inoltre, disciplina nel dettaglio le modalità di elezione dei membri del consiglio metropolitano da parte dei sindaci e dei consiglieri comunali dei comuni della Città metropolitana (co. 25 ss.). Per quanto riguarda l’elettorato passivo, è previsto che l’eleggibilità a consigliere metropolitano sia limitata ai sindaci e ai consiglieri comunali in carica, mentre la cessazione dalla carica comunale comporta la decadenza da consigliere metropolitano (co. 25).

Le elezioni del consiglio metropolitano avvengono sulla base di liste concorrenti, predisposte in modo tale da assicurare l’equilibrio di genere ai sensi della l. 23.11.2012, n. 215 e con voto diretto, libero e segreto, attribuito a liste di candidati concorrenti in un unico collegio elettorale corrispondente al territorio della città metropolitana (co. 26 e 30).

Ai fini delle elezioni i comuni della Cittàmetropolitana sono ripartiti in (nove) fasce, in relazione al numero di abitanti, con l’applicazione di un indice di ponderazione fissato da un apposito allegato alla legge di riforma. L’assegnazione del numero dei seggi a ciascuna lista avviene facendo applicazione di una particolare modulazione del cd. metodo d’Hondt (o: dei quozienti interi e dei più alti resti), secondo quanto previsto dal co. 36. Solo poche battute basteranno a descrivere la Conferenza metropolitana (co. 42), la quale sarà composta dal sindaco metropolitano (deputato a convocarla e a presiederla) e dai sindaci dei comuni appartenenti alla città metropolitana. Il suo principale compito consisterà nell’approvazione dello statuto, il quale potrà altresì attribuirle ulteriori compiti propositivi e consultivi (co. 8). Per quanto riguarda il periodo transitorio, è previsto che, a far data dal 1.1.2015, la città metropolitana subentri in tutti i rapporti attivi e passivi già facenti capo alla provincia, esercitandone le funzioni (co. 16) e che il sindaco del comune capoluogo assuma le funzioni di sindaco metropolitano. Particolari disposizioni sono, inoltre, previste per la costituzione della Città metropolitana di Reggio Calabria (co. 18).

2.2.2 La riforma delle province

Qui di seguito si esaminerà brevemente il contenuto dei co. da 51 a 100 dell’articolo unico della legge in rassegna, che disciplinano la struttura e le funzioni delle “nuove province” (in attesa della prevista soppressione dello stesso livello di governo ad opera del d.d.l. costituzionale Boschi).

Per quanto concerne l’assetto istituzionale, la l. n. 56 prevede quali organi della provincia:

a) il presidente (al quale spettano funzioni di rappresentanza istituzionale e di sovrintendenza sulle relative funzioni). Il presidente, eletto dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della provincia (co. 58) fra i sindaci della medesima provincia (co. 60), è eletto con voto diretto, libero e segreto (co. 62) e decade dalla carica in caso di cessazione dalla carica di sindaco (co. 65). Egli svolge il proprio incarico a titolo gratuito, al pari dei consiglieri provinciali e dei componenti dell’assemblea dei sindaci (co. 84);

b) il consiglio provinciale è composto dal presidente e da un numero di consiglieri variabili in relazione al numero di abitanti (co. 67). I suoi membri sono eletti, con voto diretto, dai sindaci e dai consiglieri comunali della provincia e l’elettorato passivo è limitato ai consiglieri comunali in carica (co. 69). Il consiglio è organo di indirizzo e controllo, propone all’assemblea lo statuto, approva i regolamenti, i piani e i programmi ed esamina ogni altro atto sottoposto dal presidente;

c) l’assemblea dei sindaci è composta dai sindaci dei comuni appartenenti alla provincia e ha poteri di proposta, consultivi e di controllo, secondo le previsioni dello statuto. Ha, altresì, il compito di adottare o respingere lo statuto proposto dal consiglio. Non è più prevista, invece, la figura della giunta provinciale.

La legge di riforma prevede che, in sede di prima applicazione, l’elezione del presidente e del consiglio provinciale avvenga entro il 12.10.2014 (almeno, per le province i cui organi scadono per fine del mandato entro il 2014).

Con disposizione transitoria viene inoltre previsto che, laddove non si renda possibile procedere da subito alla nomina dei nuovi organi, il presidente della provincia pro tempore resti in carica ancora per il tempo necessario a provvedervi (ma a titolo del tutto gratuito), assumendo altresì le funzioni dei consigli e delle giunte provinciali, nel frattempo decadute ex lege.

Poche battute finali per ciò che riguarda le funzioni demandate al nuovo modello di provincia. La legge di riforma opera un’ulteriore, notevole riduzione delle funzioni fondamentali delle province, limitandole – come nel passato – alla pianificazione territoriale provinciale di coordinamento e al cd. «governo di area vasta» (co. 85).

Con previsione piuttosto innovativa viene, poi, prevista la possibilità di attribuire alla provincia lo status di ente aggregatore in materia di pubblici appalti (co. 88). Ulteriori funzioni possono, infine, essere attribuite dallo Stato e dalle regioni in base al principio di sussidiarietà in senso verticale (art. 118 Cost.), secondo finalità generali indicate dal co. 89.

I profili problematici. Una riforma “a metà del guado”

Si è già accennato in precedenza agli aspetti problematici connessi a una riforma approvata in tempi più rapidi di quelli che sarebbero stati probabilmente necessari per pervenire a un testo adeguatamente ponderato in tutte le parti che lo compongono e alle negative ricadute che ciò ha sortito (anche) sulla chiarezza ed intellegibilità del testo (v. supra,§ 1.).

Sul punto, quindi, non si tornerà oltre.

Si è anche accennato al fatto che la l. n. 56/2014 nasce all’interno del sistema costituzionale delineato dalla riforma del 2001 (e, anzi,mira ad affrontare alcuni dei nodi problematici che proprio la riforma del 2001 ha contribuito ad acuire, fra cui – in primis – il fenomeno che in dottrina è stato efficacemente definito come di «frammentazione multilivello delle funzioni amministrative»)12.

Il punto è che la riforma del 2014 è stata concepita per “traghettare” il sistema verso un modello che prevedeva, al principio, l’integrale soppressione dei livelli di governo “di area vasta” (città metropolitane e province), mentre – con ogni probabilità – esso dovrà confrontarsi a regìme con una riforma costituzionale che solo in parte risulterà coerente con il complessivo disegno nel cui ambito essa era stata originariamente concepita. Basti pensare che il disegno delineato nel 2013 prevedeva a regime anche la soppressione delle città metropolitane, mentre il d.d.l. costituzionale AS 1429 recentemente approvato in prima lettura al Senato prevede, al contrario, il mantenimento di tale livello di governo.

A ciò si aggiunga che, probabilmente, la Corte costituzionale sarà chiamata a pronunciarsi sui ricorsi proposti in via principale (art. 127 Cost.) da quattro regioni a statuto ordinario13 avverso le previsioni della Legge Delrio prima che sia giunto a conclusione l’iter di riforma della Parte II della Costituzione il quale – per così dire – dovrebbe suggellare sul piano fondativo il disegno di soppressione dello stesso livello provinciale.

Ma se i parametri di costituzionalità in base ai quali saranno valutate le disposizioni della riforma del 2014 saranno quelli che avevano ispirato la riforma costituzionale del 2001 (i quali prevedono invero un rafforzamento in senso paritario del ruolo dei diversi livelli di governo – ivi compreso quello provinciale –), allora vi è il rischio che la riforma in questione sconti le difficoltà proprie di un tentativo giunto – per così dire – “a metà del guado” e ancora privo dell’adeguata copertura costituzionale, che solo la definitiva approvazione del più volte richiamato d.d.l. AS 1429 potrebbe offrire.

Ad avviso di chi scrive (ma la questione è naturalmente rimessa al saggio e prudente apprezzamento dei Giudici della Consulta) emergono allo stato almeno due profili di potenziale criticità per ciò che riguarda la complessiva “tenuta” della l. n. 56/2014 in relazione all’assetto costituzionale ancora oggi vigente:

il primo riguarda l’effettiva compatibilità del disegno riformatore del 2014 (il quale giunge sino a sopprimere le dieci più importanti province italiane a e sostituirle con una diversa figura istituzionale) con i limiti imposti dall’art. 117, co. 2, lett. p), Cost., il quale riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato soltanto la disciplina della legislazione elettorale, degli organi di governo e delle funzioni fondamentali degli Enti locali;

il secondo riguarda l’effettiva compatibilità fra il riconosciuto ruolo fondativo del livello di governo provinciale (il quale, ai sensi del vigente art. 114 Cost., contribuisce a costituire la Repubblica quale sistema genuinamente democratico e rappresentativo) con un sistema elettivo di secondo livello – quale quello delineato dalla l. n. 56/2014 – il quale potrebbe risultare in contrasto con i principi di piena rappresentanza politica democratica e di sovranità popolare che, invero, appaiono maggiormente confacenti al richiamato (e ancora vigente) status di livello di governo fondativo della Repubblica intesa quale ordinamento genuinamente democratico.

1 In:Foro it., 2013, 10, I, 2706 (con nota di R. Romboli); Giur. cost., 2013, 4, 3157 (con note di N. Maccabini e G. Saputelli).

2 Si tratta del d.d.l. costituzionale AS 1429 presentato in Senato l’8.4.2014 e approvato da quel ramo del Parlamento il successivo 8.8.2014.

3 Tale scelta risulta evidentemente volta a superare, attraverso il voto unico con questione di fiducia, le difficoltà procedurali poste dal primo comma dell’art. 72 Cost.

4 L’individuazione delle città metropolitane trasfuso nel testo della Legge Delrio segue pressoché per intero l’elencazione di nove città capoluogo già contenuta all’art. 22 del TUEL del 2000 (in tema di aree metropolitane). All’elenco in questione (già comprendente le città di Roma, Torino,Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari,Napoli) è stata da ultimo aggiunta la città di Reggio Calabria (seguendo, peraltro, un’indicazione già contenuta nell’art. 18 del d.l. 6.7.2012, n. 95 – cd. Spending review). Sul punto, cfr. infra.

5 Sul punto, cfr. (ex multis) Bin, G., Il nodo delle Province, in Le Regioni, 2012, 5-6, 899 ss.; Boccalatte, S., La proposta di superare le Province con gli Enti locali flessibili, in Boccalatte, S., a cura di, Abolire le Province, Catanzaro, 2008; Tubertini, C., La razionalizzazione del sistema locale in Italia: verso quale modello?, in Istituzioni del federalismo, 2012, 3, 695 ss.

6 Limitandosi qui ai soli disegni di legge costituzionali presentati nel corso della XVII Legislatura ed espressamente finalizzati all’abolizione del livello di governo provinciale (ed escludendo i d.d.l. costituzionali d’iniziativa governativa presentati dai Governi Letta e Renzi), si richiameranno i d.d.l. AC 1373, AC 2227, AC 8 (d’iniziativa popolare), AS 1390 e AS 1448.

7 Secondo la Corte, in particolare, «le norme dell’ordinamento degli enti locali, intrinsecamente destinate a durare nel tempo e rispondenti ad esigenze sociali ed istituzionali di lungo periodo, non possono essere interamente condizionate dalla contingenza, sino al punto da costringere il dibattito parlamentare sulle stesse nei ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma dell’art. 77 Cost, concepiti dal costituente per interventi specifici e puntuali, resi necessari e improcrastinabili dall’insorgere di ‘casi straordinari di necessità e d’urgenza’» (punto 12.1 della motivazione in diritto e relativa massima).

8 Punto 12.1 della motivazione in diritto.

9 Ed infatti, nei lavori della Camera deiDeputati, il d.d.l. costituzionale AC 1543 risulta abbinato al d.d.l. AC 2613 (cd.Disegno di legge Boschi), già approvato in prima lettura dal Senato.

10 Il Senato ha approvato in prima lettura il d.d.l. in questione in data 8.8.2014.

11 La legge prevede inoltre una terza possibilità per ammettere l’elezione del sindaco (e del consiglio) metropolitano a suffragio universale, limitata peraltro alle sole città con popolazione superiore a tre milioni di abitanti (co. 22).

12 Sul punto, Tubertini, F., La razionalizzazione, cit., 697.

13 Si tratta delle Regioni Campania, Lombardia, Puglia e Veneto.

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