PROVOCAZIONE

Enciclopedia Italiana (1935)

PROVOCAZIONE

Giovanni Novelli

. Diritto penale moderno. - Il beneficio della provocazione, come causa di diminuzione di pena, era concesso dall'art. 51 del codice penale italiano del 1889 a colui che aveva commesso il fatto nell'impeto d'ira o d'intenso dolore determinato da ingiusta provocazione. La diminuzione di pena era notevolmente maggiore, quando la provocazione era grave. Il beneficio fu in ogni tempo giustificato dalla considerazione che la persona ingiustamente provocata appariva scusata, perché agiva in condizioni di spirito anormali, e inoltre non poteva essere assoggettata a grave pena, poiché nel fatto della reazione non si riscontravano elementi di notevole pericolosità sociale. Le condizioni del beneficio sono sostanzialmente riprodotte nel nuovo codice penale del 1930, il quale prevede, tra le circostanze attenuanti comuni nell'art. 62, n. 2, l'aver reagito in stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui.

Le modificazioni apportate costituiscono miglioramenti d'indole tecnico-giuridica. Si è anzitutto abbandonata la distinzione fra provocazione lieve e provocazione grave in vista degli ampî poteri discrezionali che sono concessi al giudice nell'applicazione della pena. Si è poi parlato di stato d'ira anziché d'impeto d'ira, perché fosse ben chiaro che lo stato d'ira è preso in considerazione anche quando non si agisce nel momento dell'impeto, e si è infine omesso di parlare d'intenso dolore, perché il dolore non è che una manifestazione particolare dell'ira, che sta a base della provocazione. Le condizioni essenziali dell'istituto, perciò, permangono immutate e si realizzano nella necessità che vi sia un fatto ingiusto altrui e che il fatto del colpevole costituisca una reazione commessa nello stato d'ira. Sulla prima condizione è da osservare che deve trattarsi di un fatto commesso da un uomo in offesa di un altro uomo (fatto ingiusto altrui), ma non è necessario che la reazione avvenga precisamente contro l'autore del fatto ingiusto. Compete al giudice di stabilire se tra il fatto ingiusto e la reazione verso il terzo vi sia il rapporto di determinazione di cui parla la legge. Il fatto ingiusto deve realmente esistere, perché il codice non ammette la provocazione putativa. Sulla seconda condizione è da rilevare che nel concetto di reazione non è implicito il concetto d'immediatezza, come volgarmente si ritiene: nel campo fisico e nel campo morale la reazione può avvenire anche a distanza di tempo dall'atto generatore; è necessario solamente accertare che effettivamente esista il rapporto di dipendenza del fatto reattivo dalla causa originaria. Questo ha inteso bene il legislatore italiano parlando di stato d'ira, il quale può permanere per lungo tempo e può anche prorompere impetuosamente quando, a distanza di tempo, una occasione qualsiasi fa sorgere o risorgere nell'animo gli effetti perturbatori del fatto ingiusto. Non è escluso che l'individuo provocatore possa a sua volta meritare il beneficio della provocazione, se egli reagisca contro l'eccesso nella reazione da parte del primo provocato, e l'eccesso realizzi un fatto ingiusto.

Bibl.: Lavori preparatori del codice penale, V, i, p. 115; C. Saltelli e R. Di Falco, Commento teorico pratico del nuovo codice penale, I, i Roma 1930, p. 393; V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Torino 1933, II, p. 185; A. Santoro, Teoria delle circostanze del reato, Roma 1933; F. Carnelutti, Teoria generale del reato, Padova 1933, p. 182.

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