PSICOFISIOLOGIA DEL SONNO E DEL SOGNO

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1994)

PSICOFISIOLOGIA DEL SONNO E DEL SOGNO

Cristiano Violani

Alternanze di periodi di maggiore e minore attività caratterizzano tutti gli esseri viventi, dagli organismi unicellulari alle singole cellule di quelli pluricellulari (v. anche sonno e veglia, App. IV, iii, p. 372). Nei vertebrati le fasi di ridotta attività sono denominate ''sonno'' quando assumono la forma di stati organismici reversibili caratterizzati dall'assunzione di particolari posture, relativa immobilità, compromissione della capacità d'interagire con l'ambiente, e da caratteristiche modificazioni delle principali funzioni fisiologiche (attività elettrica del cervello, metabolismo, ecc.) che compaiono periodicamente sotto la regolazione del sistema nervoso centrale. Con la comparsa della corteccia cerebrale (e segnatamente nei rettili), è soprattutto l'attività elettrica del cervello rilevata dall'elettroencefalogramma (EEG) che evidenzia chiare differenze tra stati di sonno e stati di veglia. In effetti le variazioni dell'EEG rappresentano l'indice di definizione e misura del sonno più diretto e attendibile.

Negli uccelli e nei mammiferi placentati il sonno è caratterizzato da un'alternanza ciclica di periodi di ''sonno quieto'' (con EEG a onde sincronizzate, lente e di grande ampiezza) e di ''sonno attivo'' (con EEG a onde desincronizzate, rapide e di bassa ampiezza simili a quelle della veglia). L'esistenza del sonno attivo è stata riconosciuta a metà degli anni Cinquanta e questo tipo di sonno è stato variamente denominato ''paradosso'' (per la non ovvia copresenza di un'elevata attività corticale e d'inibizione degli output motori e degli input uditivi e visivi), o REM (perché caratterizzato da frequenti Rapid Eye Movements, cioè movimenti oculari rapidi).

La scoperta del sonno REM nell'uomo (Aserinsky e Kleitman 1953), così diverso sia dalla veglia che dal sonno ''ortodosso'' da configurare un terzo stato organismico, ha dato grande impulso alla ricerca sul sonno che presto si è rivelato essere un fenomeno non omogeneo e ben più complesso di quanto non avessero immaginato nella prima metà del Novecento illustri psicofisiologi come Pavlov, Pieron e Bremer. Allo sviluppo della ricerca sul sonno ha contribuito molto anche l'idea che il sonno REM fosse l'equivalente fisiologico del sogno e pertanto base per una psicofisiologia del sogno di comune interesse per la neurofisiologia, la psicologia, la psicoanalisi.

Al sonno, condizione in cui gli uomini trascorrono da 1/3 a 1/4 dell'esistenza, le neuroscienze dedicano considerevole attenzione. Nella letteratura internazionale passata in rassegna dall'annuario Sleep Research del Brain Research Institute di Los Angeles si accumulano ogni anno centinaia di resoconti di ricerche: si è passati da una media di circa 600 pubblicazioni per anno nel triennio 1968-70 a oltre 1700 nel triennio 1991-93. La p. del s. studia come viene regolato e a cosa serve il sonno rispetto alle funzioni comportamentali, cognitive e oggettive.

Fenomenologia di una notte di sonno nell'uomo. - L'andamento del sonno umano viene definito rispetto a un metodo convenzionale (Rechtshaffen e Kales 1968) basato sull'ispezione visiva degli andamenti dell'EEG, del tono dei muscoli sottomentonieri (EMG) e dei movimenti oculari (EOG).

Normalmente il sonno è preceduto da un periodo di veglia rilassata in cui l'attività EEG di bassa ampiezza, rapida (14÷30 Hz) e desincronizzata è assai limitata, predominano le onde alfa (8÷12 Hz), l'EMG è ridotto, vi sono ammiccamenti e movimenti saccadici rapidi degli occhi. L'inizio del sonno avviene con lo stadio 1, in cui l'incidenza delle onde alfa diminuisce a vantaggio di un tracciato misto e desincronizzato con predominanza di onde theta (4÷7 Hz), gli occhi presentano movimenti lenti rotatori e il tono dei muscoli antigravitazionali si riduce ulteriormente. Dopo pochi minuti, a meno che non intervengano risvegli talvolta connessi a involontari miocloni degli arti inferiori, nel tracciato compaiono due onde, dette rispettivamente fusi del sonno (spindles) e complessi K, che sono il correlato di attivi processi di sincronizzazione dell'EEG controllati dal talamo che contraddistinguono lo stadio 2. Dopo alcuni minuti aumenta l'incidenza di onde lente (0,5-4 Hz) e di grande ampiezza denominate onde delta; quando queste raggiungono il 20% del tracciato si considera iniziato lo stadio 3, quando superano il 50% si ha lo stadio 4; congiuntamente gli stadi 3 e 4 sono definiti Slow Wave Sleep (SWS), cioè sonno a onde lente. Il risveglio dallo SWS richiede stimoli intensi ed è comunque difficoltoso; spesso non si ricordano né il risveglio né i comportamenti agiti dopo di esso. Dopo un certo lasso di tempo, in genere dopo un movimento, le onde delta si riducono e ricompare lo stadio 2 con i suoi caratteristici fusi e complessi K. Quindi, dopo circa 90 minuti dall'inizio del sonno, preceduto da piccole contrazioni della muscolatura del volto e delle porzioni distali degli arti, il tono muscolare si riduce al minimo, l'EEG mostra un tracciato assai simile a quello dello stadio 1 e compaiono movimenti saccadici rapidi degli occhi, singoli o organizzati in salve della durata di più secondi; questi sono i fenomeni contraddistintivi del sonno REM o desincronizzato. Il primo periodo REM è caratteristicamente breve (circa 10′) ed è seguito dalla ricomparsa dello stadio 2, del sonno lento, di nuovo dello stadio 2 e poi di un secondo periodo REM e così via per un totale di 4-5 cicli.

Nell'adulto il periodo dell'oscillazione fra sonno NonREM e REM è mediamente di 80-110 minuti. In un giovane adulto, in una normale notte di sonno di 7-8 ore, complessivamente il 20-25% viene trascorso in REM, il 45-50% in stadio 2, il 20-25% in sonno lento e il 3-5 in stadio 1 e in brevi periodi di veglia frequentemente associati agli oltre 40 movimenti degli arti; in circa un quarto dei casi questi movimenti sono associati a un cambiamento di posizione del corpo. Nei grafici detti ''ipnogrammi'', che riportano in ordinata le diverse fasi del sonno e in ascissa il tempo, si evidenzia che lo SWS predomina nella prima parte della notte; viceversa nelle ultime ore del sonno predominano i periodi di sonno REM e lo stadio 2.

La struttura del sonno viene attualmente definita anche mediante tecniche computerizzate. Per es., nelle analisi spettrali l'EEG, registrato in un dato intervallo di tempo, è rappresentato riportando in ascissa le frequenze e in ordinata la potenza corrispondente a ciascuna banda di frequenza. Al momento nessuna analisi automatica ha però soppiantato il sistema convenzionale di Rechtshaffen e Kales.

La registrazione poligrafica del sonno (polisonnografia) viene utilizzata per valutare l'andamento del sonno e, se integrata da appropriate rilevazioni, rivela anche l'eventuale presenza durante il sonno di anomalie respiratorie, cardiovascolari, motorie. Negli anni Ottanta è stata definita una procedura standard per la valutazione della sonnolenza (propensione al sonno): il test delle latenze multiple del sonno (MSLT, Multiple Sleep Latency Test). Il MSLT si basa sulla registrazione del tempo impiegato per l'eventuale comparsa dello stadio 1 in 4÷5 tentativi diurni di addormentamento di 20 minuti ripetuti a intervalli di 2 ore e interrotti dopo un minuto in caso di addormentamento (Carskadon e altri 1986).

Sonno NonREM e sonno REM. - Il sonno NonREM è caratterizzato da rallentamento e sincronizzazione dell'EEG, da rallentamento del polso e del respiro e da un abbassamento di circa mezzo grado della temperatura corporea. Il sonno REM è caratterizzato da un'intensa attività della corteccia cerebrale evidenziata non solo dall'EEG ma anche da misure del metabolismo e del flusso ematico cerebrale. Per quanto periodi di quiescenza oculare siano presenti nel sonno REM, sua caratteristica distintiva sono i movimenti saccadici degli occhi simili a quelli prodotti in veglia. Pure caratterizzante il sonno REM è l'atonia della muscolatura striata causata da un'inibizione tonica dei motoneuroni spinali che impedisce che i comandi motori prodotti dall'attivazione del cervello siano tradotti in effettivi movimenti; a tale paralisi sfuggono fasicamente solo alcuni miocloni della muscolatura del capo e delle estremità degli arti. Infine durante il sonno REM tutte le funzioni vegetative (pressione, polso, respiro) hanno un andamento caratteristicamente irregolare per la presenza di fasi di attivazione simpatica. La distribuzione dei periodi di sonno lento e di sonno REM nell'arco delle 24 ore non è uniforme: il sonno REM tende a preponderare nella seconda parte della notte e negli eventuali sonnellini antimeridiani; invece il sonno lento predomina nelle prime ore del sonno notturno e nei sonnellini pomeridiani. Negli ultimi anni, anche in conseguenza dell'importanza attribuita alle onde delta dai modelli di regolazione dell'alternanza di sonno e veglia, è stata rivolta maggiore attenzione al sonno NonREM e al sonno lento in particolare; in passato al sonno lento veniva attribuito un ruolo rilevante in alcuni processi di recupero somatico ma maggiore importanza veniva attribuita al sonno REM, ritenuto associato a importanti processi biologici e cognitivi e al sognare.

Regolazione del ciclo sonno-veglia. - Tra le teorie che hanno tentato di mettere ordine nella gran quantità di dati accumulati relativamente alle funzioni del sonno, alcune enfatizzavano l'idea che il sonno avesse una funzione restaurativa omeostatica, necessaria al recupero di qualcosa che nel corso della veglia era stato consumato e/o alla metabolizzazione di qualcosa che si era accumulato in veglia; altre invece sostenevano l'idea che il sonno fosse finalizzato a massimizzare l'adattamento di una specie alla sua nicchia ecologica, confinando i periodi di ridotta attività e quindi il risparmio di energie nelle ore meno consone alle caratteristiche della specie.

Negli anni Ottanta è stato sviluppato e si è progressivamente imposto un modello (per es. Borbely e altri 1989) formalizzato matematicamente, che sostiene che il sonno è regolato in larga misura da due processi endogeni semi-indipendenti. Il primo, detto processo S, riflette l'azione di fattori omeostatici ancora indefiniti che fanno sì che un bisogno di sonno ''lento'' (rappresentato dalle onde EEG delta caratteristiche degli stadi 3 e 4) si accumuli con una funzione esponenziale costante con il trascorrere della veglia per poi esaurirsi secondo una funzione esponenziale inversa durante il sonno. L'andamento del processo S è stimato sulla base della quantità e dell'ampiezza delle onde lente dell'EEG (potenza spettrale del delta). Il secondo processo, detto processo C, consiste nella regolazione circadiana delle oscillazioni grosso modo sinusoidali di una propensione alla veglia (L) e di una propensione al sonno (H), controllate da oscillatori neurali siti nel diencefalo. Il processo C è responsabile della tendenza del sonno e della veglia a verificarsi in particolari momenti della giornata (rispettivamente la veglia nella tarda mattina e nel tardo pomeriggio e il sonno attorno alla metà della notte e nel primo pomeriggio) indipendentemente dalla durata della veglia precedente. Secondo il modello, quando la funzione S, decrescendo nel corso del sonno, incontra la funzione L si ha l'inizio della veglia; invece quando S, crescendo col trascorrere della veglia, incontra la soglia H, si ha l'inizio del sonno.

Molti studi hanno impiegato le equazioni del modello per simulare l'andamento del ciclo sonno-veglia e della sonnolenza in situazioni in cui si modificano durata e fasi orarie di veglia e sonno. Sono stati simulati, con predizioni soddisfacenti rispetto ai dati empirici, gli andamenti del sonno in condizioni d'isolamento dagli indicatori temporali (cioè ritmi free running), di permanenza continua a letto, di deprivazione di sonno, di sfasamento degli orari di sonno. Per spiegare la difficoltà a iniziare e a mantenere il sonno in condizioni di stress e, viceversa, la sua facilitazione in condizioni di ridotta stimolazione, possono essere specificati nel modello ulteriori fattori di correzione connessi al rilassamento, ovvero alla capacità di regolare l'attivazione durante la veglia. Questi fattori potrebbero agire modificando i parametri di H o di L o gli esponenti di S e garantirebbero la plasticità della regolazione del ciclo sonno-veglia facendo sì che il sonno sia abbreviato in condizioni che richiedono un impegno attivo e sia prolungato in condizioni in cui non è vantaggiosa un'attiva interazione con l'ambiente. Per quanto il modello dei due processi sia accettato da un gran numero di studiosi vi sono ancora numerosi problemi aperti, riassumibili come segue.

Non sono stati individuati i fattori biologici che mediano l'accumulo e l'esaurimento del processo S. Allo stato attuale la ricerca sui fattori umorali endogeni indica che diversi peptidi − oppiacei, prostaglandine cerebrali, somatostatine, peptide inducente il sonno delta (DISP, Delta Sleep Inducing Peptide), fattore S, peptidi muramilici, interleuchina 1 − se iniettati nei ventricoli cerebrali sono in grado di facilitare l'inizio del sonno o d'intensificare il sonno Delta (SWS). Tuttavia nessuno di essi sembra variare in funzione della durata della veglia (per es., Inoué e Schneider-Helmert 1988).

L'andamento del sonno delta nel corso della notte non corrisponde sempre alle predizioni del modello ma varia a seconda delle sue misure; non è ancora chiaro perché e in che misura solo le potenze spettrali del delta, e non altre sue misure come il rapporto ampiezza/periodo, evidenzino l'andamento della componente omeostatica di regolazione del sonno previsto dal modello. Per quanto allo stato attuale il modello della regolazione del processo S sia semplice ed economico − infatti consente previsioni sulla sola base della durata di veglia e sonno senza richiedere registrazioni EEG − non è ancora chiaro se, considerando anche aspetti qualitativi (per es. quantità e caratteristiche delle attività espletate in veglia e/o il tipo di attività EEG presente nel sonno), non si possa migliorarne la capacità predittiva.

Infine esistono fenomeni che non sono spiegati dal modello. Per es., nel riaddormentarsi immediatamente dopo un periodo di sonno di durata normale o prolungata s'impiega meno tempo che non dopo 2 ore dal risveglio (Akerstaedt e Folkard 1990); per questo è stato proposto che per predire l'intensità della sonnolenza sia necessario considerare anche un fattore d'inerzia del sonno (W) con cui correggere la stima di sonno.

Neurofisiologia del sonno e della veglia. - In neurofisiologia il vecchio dilemma sulla natura passiva o attiva del sonno e la successiva idea che fosse possibile individuare specifici centri anatomici esecutivi e singoli neurotrasmettitori responsabili del controllo dei tre stati (e dei loro stadi) hanno lasciato il posto a una visione che riconosce a molti gruppi di neuroni dell'asse troncoencefalo-diencefalo-proencefalo basale (brain stem) la capacità di oscillare, durante la veglia e durante il sonno, tra un massimo e un minimo di attività per meccanismi fisiologici intrinseci e/o determinati dalle loro interazioni. I neuroni attivi durante la veglia e quelli attivi durante il sonno sono presenti in proporzione diversa in differenti strutture del brain stem e in questo senso si può definirne il ruolo nella regolazione degli stati dell'organismo e nel controllo delle diverse funzioni fisiologiche e comportamentali durante i differenti stati (McGinty e altri 1985; Steriade e altri 1990).

Nella Formazione Reticolare Mesencefalica (FRM) vi è una prevalenza di neuroni attivi durante la veglia ed essa è ritenuta la principale responsabile della desincronizzazione EEG caratteristica sia del sonno REM che della veglia, ma è riconosciuta l'esistenza di altri sistemi supplementari. Sia la FRM che strutture reticolari della parte superiore del ponte, anch'esse implicate nella desincronizzazione EEG, sono soggette a influenze inibitorie toniche da parte di strutture reticolari della porzione inferiore del ponte; queste ultime sembrano in grado da sole di causare sincronizzazione dell'EEG e influenzano anche i nuclei sincronizzanti intralaminari e mediali del talamo. A livello del diencefalo, alle aree ipotalamiche posteriori è riconosciuto un ruolo prevalentemente attivante (veglia comportamentale). Invece alle aree preottiche dell'ipotalamo è attribuito un importante ruolo nell'instaurare la sincronizzazione EEG con cui inizia il sonno, ma vi sono localizzati anche neuroni attivi nella veglia; è da notare che le aree preottiche sono deputate anche alla rilevazione della temperatura corporea che presenta nell'arco delle 24 ore variazioni normalmente in fase col ciclo sonno-veglia controllate dai nuclei sovrachiasmatici dell'ipotalamo. Nel talamo i nuclei intralaminari e mediali modellano la sincronizzazione dell'attività elettrica corticale nel sonno NonREM.

È superata anche l'idea che singoli sistemi di neurotrasmettitori regolino i diversi stati organismici. Per es., alla fine degli anni Sessanta, M. Jouvet aveva proposto che il solo sistema noradrenergico fosse responsabile del sonno REM e quello serotoninergico dei nuclei reticolari del rafe fosse responsabile del sonno NonREM. Attualmente si ritiene che il sonno è facilitato, regolato e organizzato da diversi neurotrasmettitori e neuropeptidi. Ai peptidi ipnogeni si è già accennato precedentemente. Per quanto riguarda i neurotrasmettitori, alla serotonina viene attribuito un ruolo di facilitazione dell'inizio del sonno; mentre a sinapsi GABAergiche corticali sono attribuiti il modellaggio delle onde delta e, a livello diencefalico, un contributo nel modellare sia il delta che le sequenze di potenziali postsinaptici che producono fusi e complessi K.

Per quanto riguarda la regolazione del sonno REM, è attualmente riconosciuto che a diversi livelli del tronco dell'encefalo, differenti popolazioni di neuroni noradrenergici e serotoninergici (REM inibitori) e colinergici (REM eccitatori) interagiscono con relazioni d'inibizione reciproca regolando la comparsa ciclica delle differenti manifestazioni toniche (desincronizzazione EEG, atonia muscolare) e fasiche (movimenti oculari) del sonno REM (Hobson e altri 1986; Jones 1991). Differenti popolazioni di neuroni colinergici pontini sono responsabili dei diversi fenomeni tonici e fasici del sonno REM.

La regolazione mediante interazione reciproca è così riassumibile. Popolazioni di neuroni REM-off serotoninergici (nuclei del rafe) e noradrenergici (locus coeruleus, area peribrachiale) riducono la propria attività di scarica con il trascorrere del sonno NonREM, permettendo la disinibizione e quindi l'aumento dell'attività dei neuroni colinergici REM-on; questi riducono poi la loro attività col riaumentare dell'attività dei neuroni REM-off facendo iniziare un nuovo periodo di sonno NonREM e avviando un nuovo ciclo. L'interazione reciproca fra neuroni REM inibitori e REM eccitatori determina la comparsa ciclica del sonno REM con una periodicità ultradiana di circa 90 minuti il cui andamento è modulato da oscillatori circadiani ed è predetto dal modello matematico del ciclo limite di R.W. MacCarley e S.G. Massaquoi (1986).

Sonno e ritmi biologici. - L'inizio dei periodi di sonno e di veglia ha un'evidente periodicità di circa 24 ore. È noto che molteplici funzioni fisiologiche presentano, nell'arco delle 24 ore, regolari oscillazioni che sono regolate da oscillatori endogeni (orologi biologici); tali oscillazioni (dette ritmi circadiani: v. ritmi biologici, in questa Appendice) riguardano il metabolismo, la temperatura corporea e diverse funzioni endocrine e vegetative; esse sono studiate dalla cronobiologia. In questo campo le ricerche, basate principalmente sull'osservazione di roditori e umani in condizioni di isolamento temporale, hanno rivelato che esistono differenti orologi biologici, che il periodo endogeno degli orologi circadiani non è di 24 ore esatte, ma in media di circa 25 ore, che vi sono processi di sincronizzazione degli oscillatori con la periodicità delle giornate terrestri. È risultata erronea la nozione secondo cui nell'uomo, a differenza degli altri mammiferi, la luce non contribuirebbe a regolare gli orologi circadiani; in effetti anche nell'uomo la luce, purché d'intensità superiore a 2500 lux, è il principale regolatore della fase dei ritmi; per es., l'esposizione a luce nella prima parte della notte sposta in avanti gli oscillatori e ritarda l'inizio del sonno. Gli effetti sincronizzanti della luce sono mediati dai nuclei sovrachiasmatici dell'ipotalamo (NSC) che ricevono proiezioni da fibre retiniche dalle quali sono informati sulla luminosità ambientale; durante i periodi di luce i NSC hanno un'elevata attività metabolica e sopprimono il rilascio dell'ormone epifisario melatonina (Brainard e altri 1988). In molti mammiferi la melatonina è implicata nella regolazione stagionale dei periodi d'estro; nell'uomo sembra essere in grado da sola di modificare la fase degli orologi sovrachiasmatici ritardandola se somministrata al mattino e anticipandola se somministrata nel tardo pomeriggio-sera.

Da segnalare che sono state particolarmente studiate le relazioni fra ritmo della temperatura corporea (TC) e ritmo sonno-veglia. L'inizio del periodo di sonno più prolungato appare strettamente accoppiato al ritmo circadiano della TC, che nell'arco delle 24 ore ha una variazione di circa 1,5°C con valori massimi (acrofase) nel pomeriggio e valori minimi (bradifase) a notte fonda.

Normalmente il sonno notturno inizia durante la fase discendente della TC; il primo periodo di sonno NonREM è associato a un ulteriore abbassamento della TC e a una ridotta funzionalità dei meccanismi neurali di regolazione omeostatica della TC; questi meccanismi cessano del tutto di funzionare durante il sonno REM in cui restano in funzione i meccanismi di controllo comportamentale, e in particolare il risveglio che interviene quando la temperatura eccede valori di soglia (Parmeggiani 1988). Si può notare che la propensione al sonno è accentuata nei momenti che precedono e seguono il massimo pomeridiano della temperatura corporea, o che il centro del periodo del sonno notturno coincide con la fase del minimo della TC, mentre la massima sonnolenza diurna coincide con l'acrofase della temperatura corporea e che entrambe coincidono con le corrispondenti fasi della temperatura ambientale.

Anche se per simulare le variazioni circadiane del sonno e della temperatura è sufficiente modellare un solo oscillatore, i cronobiologi riconoscono l'esistenza di almeno due gruppi di oscillatori. Per alcuni (Wever 1979, Kronauer 1984) il primo regola temperatura, propensione al risveglio, propensione al sonno REM, secrezione del cortisolo, volume urinario e secrezione urinaria del potassio; invece il secondo regola sonnolenza, propensione allo SWS, secrezione di ormone della crescita, escrezione urinaria del calcio. A riprova dell'esistenza di molteplici oscillatori e della dissociabilità dei ritmi può essere menzionato che la distruzione dei NSC ipotalamici nella scimmia compromette solo i cicli sonno-veglia e oro-alimentari ma non il ciclo della TC (Moore-Ede, Lydic e Tepper 1980). L'associazione tra ciclo sonno-veglia e ritmo della TC è comunque molto forte; in soggetti isolati per molti giorni da ogni riferimento temporale brevi sonnellini possono iniziare in qualsiasi momento della giornata, ma i più prolungati periodi di sonno si verificano in prossimità dei minimi della TC (Weitzman e altri 1981; Zulley e Campbell 1985).

In passato si riteneva che durante la veglia le oscillazioni della TC fossero strettamente associate, o coincidenti, con un ciclo di attivazione (arousal), evidenziabile o sulla base di autovalutazioni soggettive della vigilanza o dall'efficienza delle prestazioni in differenti compiti. Attualmente si ritiene che la propensione ad addormentarsi (rilevata dal MSLT), la sonnolenza e/o la vigilanza soggettiva, e l'efficienza in prove motorie e cognitive (tempi di reazione, detezioni di segnali, ecc.) non siano riconducibili a un'unica dimensione sottostante; in effetti le loro rispettive curve non sono sovrapponibili, la curva della temperatura ha un solo picco nel pomeriggio mentre quella della vigilanza soggettiva tipicamente ne ha due, uno nella tarda mattinata e uno nel tardo pomeriggio.

Dati filogenetici e ontogenetici. - Il sonno, definito elettro-encefalograficamente, è presente nei rettili, negli uccelli e in tutti i mammiferi; mentre la sua presenza nei pesci e negli anfibi è controversa e comunque evidente solo in alcune specie.

Il sonno REM non compare nei vertebrati eterotermi, in cui i neuroni continuano a riprodursi anche dopo il termine della neurogenesi, ma è presente in tutti i 17 ordini dei mammiferi omeotermi. Comparando la struttura del sonno tra le diverse specie di vertebrati omeotermi si evidenziano alcune significative regolarità: gli ungulati (e gli erbivori in genere) tendono a dormire meno degli altri animali; la durata del ciclo REM-NonREM è inversamente proporzionale alla taglia e alla velocità del metabolismo. Il sonno è più prolungato e il sonno REM è maggiormente presente negli animali ''inetti'', in cui il sistema nervoso ha tempi di maturazione postnatale più prolungati. A tali ''leggi'' esistono comunque numerose eccezioni, anche perché in alcune specie la struttura del sonno sembrerebbe essersi modificata per risolvere problemi specifici; per es. nei babbuini che dormono sugli alberi il sonno REM è assai ridotto rispetto agli scimpanzè che pure dormono sugli alberi ma entro ''nidi'' di rami; rondoni e rondini marine, che trascorrono la maggior parte della propria vita volando, riescono a dormire durante i periodi di volo planato; nei delfini, che non hanno un controllo automatico della respirazione, sonno e veglia si alternano ciclicamente nei due emisferi cerebrali.

Anche nell'arco della vita umana si evidenziano rilevanti regolarità nelle modificazioni dell'alternarsi degli stati di sonno e veglia in parallelo allo sviluppo del sistema nervoso. Il ''sonno attivo'' e il ''sonno quieto'' si differenziano da uno stato precursore, detto ''sonno sismico'', in prossimità della fine della neurogenesi. In tutti i mammiferi, i neonati e gli individui il cui sistema nervoso è ancora in sviluppo hanno maggiori quantità di sonno attivo rispetto agli adulti.

Nel periodo perinatale nell'uomo si distinguono, anche all'osservazione diretta, stati di veglia attiva, di veglia quieta, di sonno attivo e di sonno quieto. Il neonato trascorre circa il 50% della giornata in sonno attivo, ma già nei primi 3÷4 mesi, parallelamente al maturare del sistema nervoso, il sonno attivo diminuisce al 30% e invece aumentano la veglia e il sonno quieto. Si evidenzia anche una progressiva differenziazione all'interno degli stati: i fusi e i complessi K caratteristici dello stadio 2 non compaiono prima del terzo o quarto mese di vita; è solo attorno al quarto mese che l'infante si addormenta più frequentemente in sonno quieto e la differenziazione tra stadi 3 e 4 non è operabile che attorno a un anno di età. Da questa età e fino all'inizio della pubertà le onde delta sono particolarmente accentuate. Anche la distribuzione circadiana degli stati mostra un'evidente evoluzione: attorno al terzo mese la quasi totalità degli infanti trascorre il periodo di sonno più lungo nelle ore notturne, ed è attorno al quarto anno di vita che i bambini tendono a dormire nelle sole ore notturne.

Nell'adolescenza è massima la capacità di estendere e restringere i tempi di sonno e la tendenza a ritardare la fase del sonno. Dopo i 30 anni di solito vi è un accorciamento della durata del sonno, minore tolleranza della deprivazione di sonno, riduzione del sonno lento e aumento dello stadio 1 e della veglia infrasonno. Nella terza età si evidenzia un'ulteriore riduzione delle fasi 3 e 4 a cui contribuiscono sia la riduzione dell'ampiezza del delta che una maggiore frammentazione del sonno; nelle età più avanzate tali fenomeni possono essere accentuati da una tendenza a fare sonnellini durante il giorno.

La deprivazione di sonno. - È esperienza comune che anche piccole deprivazioni di sonno sono seguite da affaticamento, sonnolenza, compromissione dell'attenzione e della memoria, modificazione dell'umore (in genere disforia). Tuttavia gli studi sperimentali che si sono basati su sistematiche deprivazioni totali e selettive o su riduzioni della durata del sonno hanno avuto difficoltà a evidenziare conseguenze coerenti che chiarissero quali siano le funzioni del sonno e che fossero inequivocabilmente ascrivibili alla deprivazione e non alle procedure impiegate per ottenerla. Gli studi basati su deprivazioni totali del sonno mostrano che la loro più rilevante conseguenza è la riduzione della vigilanza e l'aumento della tendenza ad addormentarsi. Nell'uomo diverse misure di attenzione, concentrazione e umore mostrano progressivi deterioramenti col prolungarsi di deprivazione di sonno e tali effetti sono più accentuati nelle fasi circadiane destinate al sonno (3÷7 antimeridiane) e meno evidenti in quelle di maggiore prontezza (16÷20; Mikulincer e altri 1989). Dopo deprivazione totale o forte riduzione della durata del sonno, nelle notti in cui venga consentito di dormire ad libitum, il recupero del tempo totale di sonno è limitato al 15÷20%, mentre il recupero del sonno lento è quasi totale (Akerstaedt e Gillberg 1986). Sia la deprivazione selettiva del sonno REM che quella del sonno lento (SWS) sono seguite da un aumento della loro quantità nei periodi di sonno indisturbato successivi alla deprivazione; ma il bisogno di recupero compensativo del sonno lento appare maggiore di quello del sonno REM (Tilley e Wilkinson 1984), invece gli stadi 2 e 1 non solo non presentano rebounds compensativi ma nelle notti di recupero diminuiscono.

In giovani adulti si è dimostrato che la durata del sonno può essere gradualmente ridotta fino a 5÷6 ore senza che si evidenzino effetti negativi. Sono stati descritti casi di insonni sani, individui in genere nella seconda e terza età, che dormono abitualmente meno di 4 ore per notte senza conseguenze negative. Anche la deprivazione selettiva di sonno REM non causa rilevanti effetti negativi. In animali da laboratorio causa incrementi dell'attività diurna che riguardano principalmente comportamenti come l'alimentazione, l'esploratività e il sesso. In soggetti affetti da depressione endogena sia la deprivazione totale e parziale di sonno, che la deprivazione selettiva di REM hanno notevoli effetti antidepressivi (Kush e Tolle 1991).

Recentemente una serie di studi ben controllati nel ratto (per es., Bergmann e altri 1989a, 1989b) ha evidenziato che una deprivazione totale del sonno prolungata per oltre quattro settimane compromette la termoregolazione, il controllo del metabolismo e, dopo circa quattro settimane, causa la morte dell'animale. Il decesso pare associato a una grave compromissione dei processi immunitari. Sia l'immunostimolante interleuchina 1 che il muramildipeptide, che fa parte delle membrane di molte cellule batteriche, intensificano il sonno e segnatamente quello lento (Krueger e altri 1985). Questi risultati hanno stimolato ricerche sui rapporti fra sonno e funzioni immunitarie che vanno considerate ancora non conclusive.

Teorie sulla funzione del sonno. - La teoria del doppio processo di regolazione del sonno è compatibile con l'idea che esso abbia una funzione sia restaurativa che conservativa. In effetti durante la veglia il metabolismo generale e cerebrale implicano elevati consumi di glicogeno e di adenosintrifosfato (ATP) associati a elevate temperature; durante il sonno NonREM vi sono riduzione dei consumi e reimmagazzinamento di ATP e glicogeno con abbassamento della temperatura; più complesso appare il sonno REM in cui gli innalzati consumi metabolici non sono accompagnati da incrementi della temperatura.

I dati filogenetici e gli esperimenti di prolungata deprivazione totale del sonno indicano che tra le funzioni del sonno vi è quella di garantire omeostaticamente il risparmio di energie e la modulazione dell'attività metabolica. Il fatto che nel ratto solo dopo deprivazioni di sonno molto prolungate vi sia disregolazione metabolica (perdita di peso nonostante l'aumento dell'assunzione del cibo), i limitati effetti di deprivazioni non prolungate e l'esistenza di individui con necessità di sonno assai ridotte, suggeriscono che la funzione omeostatica energetica sia garantita da molteplici altri processi. Secondo un punto di vista recente (Horne, 1988) nel sonno andrebbero distinte una parte nucleare e una opzionale. La prima corrisponde alle prime ore di sonno in cui predomina il sonno a onde lente ed è regolata omeostaticamente per consentire la restaurazione della funzionalità cerebrale. La parte opzionale corrisponde alle ultime ore di sonno in cui predominano il sonno REM e lo stadio 2 e avrebbe la funzione di ridurre la durata della veglia conservando energie e limitando l'esposizione a pericoli. Quest'ottica è compatibile con teorie che considerano il sonno come un istinto non dissimile da quello che regola l'alimentazione in cui l'assunzione di cibo è in parte regolata da fattori recuperativi e in parte da fattori di conservazione ed edonici.

I dati ontogenetici, il fatto che la principale conseguenza di deprivazioni del sonno siano sensazioni (sonnolenza e fatica) per le quali non sono noti univoci corrispettivi biologici e neurofisiologici, e infine le covariazioni fra sonno e processi cognitivi e affettivi indicano che il sonno ha importanti funzioni di organizzazione e riorganizzazione di processi psicofisiologici. Tale funzione strutturante, in particolare negli animali in cui una quota rilevante della maturazione del sistema nervoso avviene nel periodo postnatale, implicherebbe soprattutto il sonno REM, il quale avrebbe la funzione di garantire periodiche stimolazioni endogene del proencefalo che integrano, e in alcuni casi surrogano, quelle che l'organismo riceve in veglia. In che misura, nelle diverse specie, le informazioni trasmesse nel sonno REM al proencefalo (corteccia) da generatori troncoencefalici riguardino comportamenti specie specifici e in che misura siano influenzate dalle esperienze di veglia è ancora indefinito.

Molti psicofisiologi hanno proposto che tra le principali funzioni della periodica attivazione della corteccia nel sonno REM vi sarebbe quella di contribuire alla selezione delle connessioni sinaptiche implicate nell'apprendimento e nella memoria rafforzandone alcune e indebolendone altre. Crick e Mitchison (1983) hanno ipotizzato che il sonno REM e i sogni abbiano la funzione di consentire l'oblio di informazioni irrilevanti acquisite durante la veglia. Il fatto che l'attività dei neuroni noradrenergici sia massima durante la veglia vigile, si riduca durante il sonno NonREM e cessi nel sonno REM, ha fatto ipotizzare che il sonno consenta di evitare la deplezione di neurotrasmettitori aminergici e/o la desensibilizzazione dei recettori aminergici cerebrali (Siegel e Rogawski, 1988). Tuttavia gli studi di deprivazione del sonno REM non hanno evidenziato i cospicui effetti negativi sull'attenzione e sulla memoria predicibili sulla base di dette ipotesi funzionali.

Il fatto che l'attività EEG delta vari in funzione della durata della veglia e le sue relazioni con la vigilanza giustifica una riconsiderazione del significato funzionale cognitivo del sonno a onde lente, in passato limitato riduttivamente a un ipotetico ruolo di ristorazione fisica per la sua associazione con la massima escrezione dell'ormone della crescita.

Psicofisiologia del sogno. - L'idea che il sonno REM rappresenti un univoco correlato o il substrato fisiologico dell'attività onirica (Dement e Kleitman 1957) è da ritenere superata, per quanto sopravviva ancora in alcuni manuali e testi divulgativi. Anche altre ipotesi psicofisiologiche, come quella che i movimenti oculari nel sonno REM corrispondano allo scanning delle immagini oniriche, si sono rivelate poco fondate. In effetti contenuti mentali onirico-simili sono dimostratamente presenti in veglia e in tutti gli stadi del sonno, compreso il sonno a onde lente (Antrobus 1991; Foulkes e Fleisher 1975; Cavallero e altri 1992). Per quanto le differenze fra contenuti mentali nei diversi stadi appaiano più di natura quantitativa che qualitativa, una maggiore associazione fra sonno REM e sognare è suffragata dal fatto che i sogni lucidi − casi in cui il dormitore è consapevole di stare sognando ed è in grado di segnalarlo motoriamente senza risvegliarsi − avvengono in sonno REM (La Berge 1985); inoltre solo in questo stato gatti con disinibizione della paralisi motoria del sonno REM conseguente a particolari lesioni del ponte encefalico hanno allucinatoriamente comportamenti specie-specifici senza risvegliarsi (Hendricks e altri 1982). Il superamento dell'equazione ''sogno=sonno REM'' non comporta la fine della psicofisiologia del sogno; al contrario definendo il sogno come attività mentale presente durante il sonno e in particolari condizioni di veglia si estende il campo di ricerca. Infatti le macroscopiche differenze esistenti da un lato fra ed entro gli stati organismici del sonno lento, del sonno REM e della veglia attiva e rilassata e, dall'altro, fra le caratteristiche della mentazione spontanea e dei processi cognitivi riconducibili a tali stati rappresentano un terreno prezioso per valutare le loro covariazioni. Il progresso della ricerca psicofisiologica in questo campo richiede da un lato definizioni e misure più puntuali delle caratteristiche del contenuto e dei processi cognitivi che distinguono le attività mentali nei differenti stati (processi di memorizzazione e recupero, profondità delle codifiche, attivazione di particolari moduli cognitivi, ecc.) e dall'altro definizioni più accurate dei processi e degli eventi fisiologici che caratterizzano gli stati organismici oggi possibili grazie allo sviluppo di sistemi computerizzati. Vanno segnalati anche tentativi di sviluppare reti neurali artificiali che producano rappresentazioni con le caratteristiche dei processi onirici (Sutton, Mamelak e Hobson 1992).

Apprendimento durante il sonno. - Il fatto che durante il sonno l'elaborazione di informazioni non cessi − resoconti di attività mentali si ottengono in tutti gli stati del sonno e risposte a stimoli vengono date in tutti gli stadi a volte in assenza di concomitanti modificazioni dell'EEG e senza che se ne abbia memoria nella veglia successiva − pone la questione se sia possibile apprendere durante il sonno (Dinges e altri 1990). Autori dei paesi dell'Est europeo hanno pubblicato resoconti sulla possibilità della ''ipnopedia'' (cioè di tecniche per impartire nozioni al dormiente mediante apparecchi fonografici) ma per limiti metodologici non sembrano autorizzare conclusioni certe. Le ricerche ben controllate indicano che quando l'apprendimento riguarda informazioni fattuali (nomi, numeri, eventi) presentate durante il sonno, esse non sono recuperabili dalla memoria a lungo termine nella veglia successiva se non quando la loro presentazione è seguita da risvegli; è controverso invece se il loro recupero sia possibile dopo risvegli a breve termine nella stessa notte. Forme più semplici di apprendimento (abituazione e condizionamento classico di risposte fisiologiche) sono state invece ripetutamente instaurate in tutti gli stadi del sonno e trasferite in veglia. È dimostrato che nel ratto diversi tipi di apprendimento associativo sono facilitati dal successivo verificarsi di sonno REM e ostacolati dalla sua deprivazione (per es. Smith e Lapp 1986). Il meccanismo responsabile del contributo facilitativo del sonno REM sull'apprendimento potrebbe essere dovuto sia a una rielaborazione delle informazioni garantita dall'attivazione dei neuroni corticali in assenza di input sensoriali e di output motori, sia all'aumentata sintesi proteica che sembra caratterizzare il sonno REM e che consentirebbe le modificazioni sinaptiche che si ritiene siano responsabili dell'apprendimento.

Disturbi del sonno. - A partire dagli anni Settanta si è largamente sviluppata negli USA e nei paesi occidentali la medicina del sonno. Neurologi, psichiatri, psicologi clinici, medici internisti e un numero crescente di cardiologi, pneumologi ed endocrinologi, collaborano in centri specialistici per la diagnosi e il trattamento dei disturbi del sonno. Tali disturbi affliggono oltre il 20% della popolazione generale e spesso sottendono delle patologie esacerbate dal sonno, per es. ipoventilazione alveolare e apnee di vario tipo, che oltre a determinare le alterazioni del sonno, causano gravi disturbi cardiovascolari e possono aggravare casi di deterioramento mentale (Coccagna e Smirne 1993). Difficoltà a iniziare e a mantenere il sonno (DIMS) ed eccessiva sonnolenza diurna sottendono patologie diverse, per le cui diagnosi sono state sviluppate classificazioni consensuali. Il più recente manuale di classificazione è stato pubblicato nel 1990 dall'American Sleep Disorders Association e divide i disturbi primari del sonno in due gruppi principali. Le dissonnie comprendono i casi in cui i pazienti lamentano disturbi d'inizio e di mantenimento del sonno (insonnie) o disturbi da eccessiva sonnolenza (ipersonnie) causati da fattori ''intrinseci'', ''estrinseci'' o da alterazioni dei ritmi circadiani. Le parasonnie includono disturbi che si verificano durante il sonno senza causare insonnia o ipersonnolenza. A parte vengono invece classificati i disturbi del sonno secondari a patologie mediche o psichiatriche. Nel trattamento farmacologico dei DIMS transitori i barbiturici, che alteravano la struttura del sonno e causavano dipendenza, sono stati sostituiti da benzodiazepine ad azione rapida; da alcuni anni sono disponibili anche nuove molecole con attività ipnoinducente selettiva, emivita breve e ridotti effetti sedativi (ciclopirroloni e imidazopiridine). Nel caso di DIMS prolungati, il trattamento si focalizza sulle condizioni patologiche (spesso depressione) che sottendono il disturbo.

Grazie al progresso delle conoscenze sul funzionamento degli orologi biologici e sui processi di regolazione del sonno sono stati sviluppati diversi interventi non farmacologici (cronoterapia e fototerapia) per soggetti in cui i disturbi del sonno sono connessi a sfasamento dei ritmi circadiani causati da lavoro a turni, voli transmeridiani o da cattiva igiene del sonno.

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