Public company

Dizionario di Economia e Finanza (2012)

public company


Società di capitali quotata in borsa, il cui capitale è frazionato tra molteplici investitori, nessuno dei quali esercita un potere di indirizzo e di governo (➔ anche società, tipologie di). Il potere decisionale è detenuto saldamente dai manager guidati dall’amministratore delegato (chief executive officer), che lo gestisce mediante il meccanismo delle deleghe di voto; esso è limitato da meccanismi interni di controllo, basati su una maggioranza di amministratori indipendenti e da meccanismi esterni fondati sulla contendibilità del potere, cioè sulla trasferibilità dello stesso anche senza il consenso dei manager e dell’amministratore delegato. La p. c. è diffusa quasi esclusivamente negli Stati Uniti e in Gran Bretagna (➔ anche PLC), con rarissimi casi in altri Paesi. In sintesi, le caratteristiche rilevanti sono: diffusione dell’azionariato; potere detenuto dai manager e non dalla proprietà; contendibilità del potere decisionale.

Evoluzioni del modello

Dagli anni 1990 il modello della p. c. ha subito due importanti evoluzioni. La prima riguarda il rafforzamento del potere di monitoraggio del consiglio di amministrazione. In seguito agli scandali finanziari, avvenuti a inizio degli anni 2000 negli Stati Uniti, è stata emanata una serie di regolamentazioni (per es., il SOX, Sarbanes Oxley Act), che impongono alle società quotate al NYSE (➔) di avere un consiglio di amministrazione con una maggioranza costituita da amministratori indipendenti e un comitato audit interno allo stesso consiglio, anch’esso composto da amministratori indipendenti. Il secondo cambiamento concerne la concentrazione della proprietà detenuta non più da investitori privati (singoli), ma da grandi investitori istituzionali, tipicamente fondi pensione (➔ fondo pensione).