CLODIO Pulcro, Publio

Enciclopedia Italiana (1931)

CLODIO Pulcro, Publio (P. Clodius Pulcher)

Mario Attilio Levi

Figlio di Appio Claudio Pulcro, console nel 79 a. C., e di Metella, fratello di Appio C. Pulcro console nel 54, fratello della celebre Clodia (v.). Nella prima settimana di dicembre del 63, per partecipare alla festa della Bona Dea, riservata alle sole donne, entrò travestito da donna nella casa di Cesare, pretore urbano, dove si celebrava; era infatti innamorato di Pompea, moglie di lui. La cosa venne scoperta e fece grande scandalo. Fatto il processo, forse per l'intervento di Crasso che corruppe i giurati, Clodio fu assolto con debole maggioranza, e Cicerone proclamò la corruzione palese dei giurati. Nel 59 passò alla plebe per divenire, con l'aiuto di Cesare, tribuno, e durante il consolato di questo gli prestò man forte combattendo e minacciando Cicerone. Come tribuno (58 a. C.) fece approvare importanti leggi: una sulle frumentazioni, un'altra per disporre delle provincie consolari diversamente dall'ordine tradizionale, una terza per modificare le disposizioni circa le votazioni delle leggi, sconvolgendo le leggi Aelia e Fufia, una quarta per limitare il potere dei censori; ma il maggiore atto del suo tribunato fu certamente la legge de capite civis romani che sanciva l'esilio per i magistrati che avessero fatto uccidere senza processo un cittadino romano, fatta allo scopo di colpire Cicerone per l'uccisione da lui ordinata dei catilinarî. Ancora come tribuno, per allontanare Catone da Roma, lo inviò a Cipro per ridurre a provincia l'isola e per confiscarvi i beni del re Tolomeo: per vendicarsi più ampiamente di Cicerone ne fece distruggere le ville di Tuscolo e di Formia e ne fece saccheggiare e demolire la casa di Roma, che era situata sul Palatino; dell'area di essa fece luogo sacro su cui si sarebbe dovuto innalzare un tempio. Mirando a farsi una posizione personale, approfittò dell'assenza di Cesare, andato in Gallia, per attaccare a fondo Pompeo, l'unico avversario temibile che gli fosse rimasto a Roma: e come aveva avuto rapporti e mercimonî con il re Deiotaro e con Brogitaro, rapporti dai quali egli traeva sempre notevoli guadagni, così, corrotto dal re d'Armenia, si fece consegnare da Pompeo il figlio di quel re, che teneva in ostaggio e lo lasciò fuggire. Pompeo cercò di far richiamare Cicerone a Roma, ma C. lo ostacolò in tutti i modi, deciso a dargli battaglia e, se necessario, anche a farlo uccidere da uno schiavo. C. usò ogni mezzo (57 a. C.) per cercar d'impedire, anche dopo il suo tribunato, il richiamo di Cicerone e per mantenere in Roma l'anarchia provocata dal predominio della sua fazione armata; qualche amico di Cicerone fu assalito persino nel tempio di Castore, atto che il tribuno Milone cercò d'incriminare. Per le vie legali Milone non riuscì e si decise ad arruolare una banda di gladiatori per raggiungere con la violenza il suo scopo: e riuscì a far approvare la legge per il richiamo di Cicerone. Per qualche tempo C. restò sotto la minaccia dei processi che Milone gli voleva intentare, e la lotta fra i capi delle due fazioni raggiunse momenti di grave violenza: ma C. riuscì a farsi eleggere edile curule e quindi sfuggì al processo. Forse per un intervento di Cesare, o per la rinnovata autorità di Cicerone, fu obbligato a lasciar Roma tranquilla per qualche tempo; ma nel 53, quando Milone era candidato al consolato e C. alla pretura, avvennero nuovi gravi scontri che fecero rimandare la convocazione dei comizî. In questo periodo, al 18 gennaio del 53, in uno scontro avvenuto sulla via Appia fra le bande dei due avversarî, C. fu ucciso.

Bibl.: Drumann-Groebe, Geschichte Roms, II, Lipsia 1902, p. 172 segg.; T. Rice Holmes, The Roman Republic, Oxford 1923, I, p. 66 segg.; II, p. 53 segg.; E. Meyer, Caesars Monarchie und das Principat des Pompeius, 2ª ed., Stoccarda-Berlino 1923, p. 16 segg.

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