Ovìdio Nasóne, Publio

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Poeta latino (Sulmona 43 a. C. - Tomi, sul Mar Nero, 17 d. C.). Venuto giovanissimo a Roma, vi studiò retorica, ma passò presto alla poesia. Fu a contatto con i maggiori letterati e poeti del suo tempo, come Messalla, Cornelio Gallo, Properzio, Orazio, e frequentò la corte di Augusto, conducendo vita brillante. Esercitò magistrature minori, dopo un viaggio d'istruzione in Grecia, Egitto e Asia, e una permanenza in Sicilia; a Roma, in pochi anni, contrasse tre matrimonî, dei quali solo il terzo fu lungo e felice. Nel frattempo, già dai primi anni, nel circolo di Messalla, aveva composto una tragedia, Medea, assai lodata nell'antichità, e aveva cominciato a comporre un canzoniere amoroso in distici elegiaci, che pubblicò nel 14 a. C. in cinque libri e poi, rimaneggiato in tre libri, pochi anni dopo: gli Amores. A questa raccolta di poesie leggere e galanti seguirono le Heroides (titolo originale, forse, Epistulae), fittizie lettere scritte da eroine celebri della mitologia ai loro amanti, probabilmente rimaneggiate ed edite più volte, e l'Ars amatoria (v.), pubblicata in due riprese nei primi anni dell'era volgare. Con quest'ultima O. diventò il beniamino di tutta la società raffinata di Roma. Come completamento dell'Ars, seguirono poi i Remedia amoris (poemetto in 40 distici) e il De medicamine faciei (carme in distici sui cosmetici, di cui ci resta un centinaio di versi). Intorno al 3 d. C. O. si dedicò alla composizione di opere di più vasto respiro: le Metamorfosi e i Fasti. La prima, composta in esametri, è un vasto poema in quindici libri, nel quale si narrano favole eziologiche e miti (che hanno come conclusione la metamorfosi dei protagonisti). Nei Fasti, che si ispirano agli Aitia di Callimaco, il poeta voleva illustrare in distici elegiaci, in dodici libri, uno per ogni mese dell'anno, e cantare in ordine l'origine e i miti legati alle feste del calendario romano, ma il poema fu interrotto al libro 6° perché O., nell'8 d. C. fu colpito da un durissimo decreto di Augusto, che gli imponeva di lasciare Roma e lo relegava a Tomi (che si è identificata con l'odierna Costanza), nella Scizia. Le cause dell'esilio di O. non sono chiare; carmen et error, secondo le parole di O. stesso nel 2° libro dei Tristia, cioè l'Ars amatoria da un lato, e, probabilmente, l'essersi trovato implicato (involontariamente, secondo varie affermazioni del poeta) in qualche scandalo di corte, dai moderni per lo più identificato con l'adulterio di Giulia, nipote di Augusto, esiliata nello stesso anno, e D. Giunio Silano. A Tomi O. rimase fino alla morte, non avendo ottenuto neppure da Tiberio la revoca del decreto. In viaggio verso l'esilio compose il poemetto Ibis (in 322 distici), contro un detrattore, e i due primi libri dei Tristia (elegie), seguiti nel 12 d. C. da altri tre; in esilio scrisse le Epistulae ex Ponto di cui pubblicò tre libri insieme ai Tristia, elegie in forma epistolare, dedicate ognuna a un amico a Roma (il 4° libro delle Epistulae ex Ponto fu pubblicato postumo), un poemetto sulla pesca, Halieutica (di cui abbiamo 134 versi), e un carme celebrante Augusto, Livia e Tiberio in lingua getica. Di O. sono andati perduti solo carmi minori e la tragedia Medea. ▭ Poeta non profondo, verseggiatore abile di straordinaria facilità espressiva e fluidità, immaginazione fervida e intelligente temperamento di narratore, di colorista e di psicologo, O. è una personalità dominante nella cultura latina, e il suo influsso si perpetua potente nel Medioevo, nell'Umanesimo, nel Rinascimento; solo in età moderna la sua fama è stata alquanto ridimensionata. Nelle elegie amorose del primo periodo vive tutta una società romana ormai profondamente diversa da quella tardo-repubblicana, spesso angosciata da quei problemi rivissuti nella poesia da Virgilio o da Orazio; è un mondo brillante, disposto ad accettare una poesia di immediata comprensione e di piacevole evasione. Nelle Metamorfosi e in qualche brano delle Heroides, il suo talento di narratore, di pittore del meraviglioso e di psicologo attento a cogliere oscuri aspetti dell'anima femminile, si rivela più incisivo che altrove; e infatti queste due opere, e tra esse soprattutto il maggiore poema, ricco di immagini plastiche e di seducenti fantasie, hanno offerto materia infinita di imitazione e variazione alla successiva letteratura, come alle arti figurative. L'elegia triste del periodo dell'esilio, nella quale pur si coglie una vena a volte notevole di poesia dolente, di rievocazione viva e drammatica della patria lontana, è viziata dal desiderio di compiacere all'imperatore, di muoverlo a pietà e ottenere la revoca del bando. Da O., erede della tradizione ellenistica ma non come i neoteroi accurato cesellatore del verso, dipende, in misura più evidente ancora che da Virgilio, la forma poetica latina dei secoli successivi.

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