VIRGILIO MARONE, Publio

Enciclopedia dell' Arte Medievale (2000)

VIRGILIO MARONE, Publio

C. Rabel

Poeta latino (70-19 a.C.), le cui opere principali, copiate quasi sempre insieme, sono tramandate in un grandissimo numero di manoscritti medievali.

Oltre che come poeta, V. fu visto nella cultura medievale anche come autore storico e profeta, ma anche saggio e scienziato o perfino mago e amante deriso, a testimonianza dell'ammirazione illimitata, ma complessa, che il Medioevo cristiano gli tributò. Di conseguenza, l'iconografia medievale relativa all'autore latino oltrepassa di molto la sola tradizione figurativa delle sue opere.Protetto da Augusto, V. divenne già in vita il poeta nazionale dell'Impero romano attraverso le sue tre opere principali: le Bucoliche, scritte intorno al 41-39 a.C. e composte da dieci egloghe tra pastori; le Georgiche, scritte verso il 36-30 a.C. su richiesta di Mecenate, che trattano in quattro libri dell'agricoltura, della coltivazione degli alberi e della vite, dell'allevamento e dell'apicoltura; l'Eneide (ca. 29-19 a.C.), rimasta incompiuta alla morte del poeta, che narra la storia di Enea e del suo errare, dopo la caduta di Troia, alla ricerca della nuova terra promessa fino al suo arrivo in Italia (libri I-VI), seguito dalle guerre per la conquista del Lazio (libri VII-XII). Celebrando nell'eroe troiano il fondatore del primo regno insediato sul suolo italico, prefigurazione della futura grandezza di Roma, quest'ultimo poema si presenta quale epopea nazionale romana, scritta a gloria dell'imperatore regnante.Insieme a Ovidio (v.), V. fu, nei secc. 9°-15°, il poeta più letto e imitato dell'Antichità, oggetto di ammirazione non solo letteraria. Solo nel sec. 15° comincia ad avvertirsi una reale sensibilità verso il tema virgiliano sviluppato nelle Bucoliche e nelle Georgiche: la vita dei campi in armonia con la natura, quasi un paradiso terrestre; a ciò corrisponde un maggior numero di copie riccamente illustrate dei due testi.

Ma già a partire dal sec. 4°, l'interpretazione in chiave cristologica della quarta egloga (vv. 6-8) delle Bucoliche ("Iam nova progenies caelo demittitur alto") fece di V. il profeta della nascita del Messia. Anche la concezione escatologica da lui esposta nel libro VI dell'Eneide, relativa alla discesa dell'eroe agli inferi, venne agevolmente assimilata dal mondo cristiano. Nemmeno la portata ideologica dell'opera di V. sfuggì ai suoi lettori medievali, che videro nella quarta egloga l'annuncio di un'età dell'oro. In epoca carolingia l'Eneide fu intesa come un poema politico e utilizzata dalle dinastie e dai popoli dell'Occidente medievale nella ricerca di proprie prestigiose origini, mitiche e remote. Nello scritto di Maffeo Vegio, autore nel 1428 di un completamento (libro XIII) dell'Eneide, l'eccezionale destino dell'eroe troiano si conclude con la sua apoteosi in cielo. Infine, questo poema dinastico, nazionale e religioso, soddisfaceva anche il gusto del pubblico medievale per i racconti di viaggi e di avventure, d'amore e di gloriose imprese d'armi.

Manoscritti illustrati: quadro storico

Solo un ristretto numero di manoscritti virgiliani medievali fu arricchito da un apparato illustrativo, reinventato e adattato al gusto del momento in cui venne prodotto ogni manoscritto, partendo dal testo ma anche tenendo conto delle interpretazioni dei commentatori.Si conservano due manoscritti antichi riccamente illustrati: il Virgilio Vaticano (Roma, BAV, Vat. lat. 3225) e il Virgilio Romano (Roma, BAV, Vat. lat. 3867). Il primo, prodotto forse a Roma nel primo quarto del sec. 5°, conserva cinquanta delle originarie duecentocinquanta-trecento miniature: nove di esse illustrano il testo delle Georgiche, quarantuno quello dell'Eneide. La loro frequenza e l'inserimento nel testo ricordano ancora l'illustrazione dei rotuli e il loro stile illusionistico, nonché la pittura murale romana.Le miniature del Virgilio Romano, prodotto a Ravenna agli inizi del sec. 6°, rientrano in un'arte più lineare e ieratica: se ne conservano diciannove delle originarie quaranta (Bucoliche: sette; Georgiche: due; Eneide: dieci). L'organizzazione a dittico, in testa a ogni libro delle Georgiche e dell'Eneide, è rivelatrice di una nuova organizzazione del codex a vantaggio di una maggiore indipendenza dell'illustrazione. Questo manoscritto comprende i più antichi ritratti dell'autore.Conservati in Francia sin dall'epoca carolingia, i due manoscritti antichi esercitarono una diretta influenza sulla miniatura contemporanea; in particolare il Virgilio Vaticano, conservato a Tours, sull'illustrazione della Prima Bibbia di Carlo il Calvo (Parigi, BN, lat. 1; Wright, 1985). L'unico ciclo virgiliano che si conservi di quest'epoca è però quello costituito da sei avori con soggetti tratti dalle Bucoliche (da modelli del sec. 4°-5°) che ornano l'impugnatura del flabello di Saint-Philibert di Tournus (Firenze, Mus. Naz. del Bargello; valle della Loira, metà del sec. 9°).Dal sec. 10° al 12°, i manoscritti virgiliani vennero decorati da illustrazioni nell'Italia meridionale e poi in Germania; alla fine di questo periodo si datano alcuni esemplari francesi e inglesi. Solamente due manoscritti presentano un vero e proprio ciclo narrativo: in un manoscritto probabilmente prodotto a Napoli (Napoli, Bibl. Naz., ex-Vind. lat. 6), l'iconografia di Enea vincitore di Turno, rappresentato come un cavaliere che atterra il suo nemico (c. 168v), e soprattutto quella di V. manifestano l'influenza (forse diretta) di un perduto archetipo antico (Courcelle, 1939). Il secondo codice, una raccolta di autori antichi che comprende anche le opere di V., venne illustrato nella Francia settentrionale intorno al 1200 (Parigi, BN, lat. 7936; Bucoliche: una iniziale istoriata, Georgiche: tre, Eneide: dieci; Avril, 1975). In assenza di modelli, le sue miniature trassero ispirazione da composizioni consuete nell'iconografia delle bibbie e dei calendari.Nel corso dei due secoli successivi, l'iconografia virgiliana sembra limitarsi a pochi manoscritti italiani; tale eclissi si spiega con l'ampia produzione, durante questo periodo, di opere in volgare, spesso riccamente illustrate, che trattano di storia antica, tra cui le vicende di Enea. Le iniziali istoriate di un esemplare dell'Eneide di produzione bolognese racchiudono delle scene succinte, con uno o più personaggi rappresentati a mezza figura (Oxford, Bodl. Lib., Canon class. lat. 52; terzo quarto del sec. 14°). In un'altra copia dell'Eneide, della fine del sec. 14° e originaria del Veneto (Roma, BAV, Vat. lat. 2761), il tipo dell'illustrazione è desunto dai romanzi cavallereschi. Oltre alle iniziali istoriate in testa ai libri, un ciclo di disegni, ricco ma rimasto incompiuto, accompagna a margine i libri I-II, dove il migliore dei due artisti che vi lavorarono si dimostra sensibile alle suggestioni dell'Antico.Fu per primo Petrarca (v.) a riscoprire in V. il poeta del mondo antico. La sua visione umanistica è all'origine del celebre frontespizio allegorico da lui commissionato a Simone Martini per collocarlo in testa al suo codice personale, dell'inizio del sec. 14° (Milano, Bibl. Ambrosiana, S.P. 10.27, c. 1v; Avignone, ca. 1338; Cadei, 1987a): Servio, il commentatore, mostra al soldato, al vignaiolo e al pastore, che rappresentano le tre opere, il poeta incoronato di alloro, mentre scrive seduto presso un albero. Per la prima volta dall'Antichità, questa scena bucolica riesce a captare l'atmosfera virgiliana.

Spesso costruita intorno a cicli narrativi molto sviluppati, l'illustrazione dei manoscritti virgiliani assunse un reale slancio nel sec. 15° e agli inizi del successivo, quando fu incrementata e diffusa dalle incisioni su legno delle edizioni a stampa. In quest'epoca più che mai, l'Eneide offriva ai principi il suo prestigioso modello, parimenti apprezzato dagli uomini di Chiesa e dalla nobiltà di toga. Tale fenomeno è soprattutto evidente in Italia, dove partecipa pienamente al fiorire del Rinascimento.In Francia, nei primissimi anni del sec. 15°, tre manoscritti virgiliani vennero miniati a Parigi, insieme con altre copie di autori latini (Meiss, 1974). Nel manoscritto di Lione (Bibl. Mun., P.A. 27), solamente le miniature per le Bucoliche e le Georgiche (una in testa a ogni libro) furono eseguite a questa data (quelle dell'Eneide risalgono alla metà e agli ultimi anni del sec. 15°); questo ciclo è copiato nel manoscritto di Holkham Hall (Lib. of the Earl of Leicester, 307). La decorazione miniata eseguita nel 1403 sull'esemplare di Jacques Courau, tesoriere di Jean de Valois, duca di Berry, si limita a un dipinto in apertura di ogni opera (Firenze, Laur., Med. Pal. 69). Tale sistema di frontespizi sintetici venne adottato anche in un manoscritto lionese del 1460 ca., dove il testo sembra collocato a trompe-l'oeil al disopra dell'illustrazione paesaggistica delle Georgiche e dell'Eneide che si sviluppa nei margini (Parigi, BN, lat. 8200). Un grande dipinto introduttivo, che sembra riassumere le tre opere di V., precede una copia del 1469, miniata soltanto alla fine del sec. 15° a Parigi, con un'immagine per libro (Digione, Bibl. Mun., 493). Seguendo quest'ultimo schema, altri manoscritti presentano composizioni scandite in scene diverse, come quello di Parigi (BN, lat. 7946, ca. 1480) e quello di Cambridge (MA, Harvard Univ. Lib., Richardson 38), originario della valle della Loira, ca. 1465-1470, terminato alla fine del sec. 15° (Wlosok, 1992a; 1992b).In Fiandra, venne scelto lo stesso criterio delle miniature incasellate o suddivise in registri in un manoscritto miniato a Bruges intorno al 1460-1470 (Aia, Koninklijke Bibl., 76.E.21; 129.C.5). Il ciclo venne copiato nel 1494 per l'esemplare di Raffaello Mercatelli, abate di S. Bavone di Gand (Gand, Bibl. della cattedrale, 9). La decorazione di un altro manoscritto prodotto nell'area tra Gand e Bruges, copiato nel 1473 per Jean Crabbe, abate di Dunes (Holkham Hall, Lib. of the Earl of Leicester, 311), venne portata a termine solo verso il 1500: due veri e propri quadri riassumono qui i soggetti ricordati nelle Georgiche e nei primi episodi dell'Eneide sino all'incontro tra Enea e Didone.Nel 1474, un manoscritto virgiliano fu miniato per il conte del Palatinato Filippo l'Ingenuo (Roma, BAV, Pal. lat. 1632, con diciassette iniziali istoriate). Nel 1502, quando Johann Gruninger stampò a Strasburgo l'opera del poeta latino edita da Sebastian Brant, venne realizzato nella regione germanica il più ambizioso progetto di illustrazione virgiliana. In particolare l'Eneide accoglie grandi composizioni che spesso accostano un numero rilevante di episodi, con grande realismo nei dettagli. Le iscrizioni recanti i nomi dei personaggi e dei luoghi stanno a indicare che le immagini erano concepite per facilitare la comprensione del testo, o anche come sostitutive della lettura. Un manoscritto copiato intorno al 1450-1460, ma rimasto incompiuto, venne completato da miniature in apertura dei singoli libri, che riprendono, semplificandole e rovesciandole, le immagini delle incisioni su legno dell'edizione del 1502 (Parigi, BN, lat. 7940; prodotto a Parigi o Lione, ca. 1510-1520).Manoscritti illustrati: caratteristiche iconografiche. Nelle Bucoliche e nelle Georgiche, gli artisti adottarono un'iconografia preesistente, desunta nell'Antichità da un più generale repertorio pastorale e nel Medioevo da scene riprese da libri liturgici (Annuncio ai pastori, lavori dei Mesi) come pure da raccolte scientifiche e tecniche (erbari, esemplari del Tacuinum sanitatis). Quando alla fine del Medioevo si diffuse maggiormente l'illustrazione dell'Eneide, questa si basò su una tradizione consolidata a partire dalla seconda metà del sec. 13°: quella della letteratura in volgare dei romanzi antichi, dei romanzi cavallereschi e delle cronache.

Nella maggior parte dei casi, le Bucoliche vengono illustrate da una sola immagine, il cui soggetto, quasi immutabile, è tratto dall'inizio della prima egloga: il capraio Melibeo parla, stando in piedi, a Titiro, il bovaro che seduto all'ombra di un albero suona il flauto. L'illustrazione medievale delle Georgiche non sempre rispetta V., in particolare laddove il testo antico non era più compreso, ma, traducendo in immagini l'aspetto documentario dell'opera del poeta latino, costituisce un ricchissimo corpus iconografico per lo studio degli attrezzi e delle tecniche agricole dell'Europa medievale (Mane, 1995). Gli excursus mitologici delle Georgiche hanno talvolta dato luogo a rappresentazioni di divinità (Bacco, Apollo, Cerere) e di eroi (Orfeo) greco-romani, tanto nell'Antichità (Virgilio Vaticano) quanto nel sec. 15° in Francia (Lione, Bibl. Mun., P.A. 27; Holkham Hall, Lib. of the Earl of Leicester, 307; Cambridge, MA, Harvard Univ. Lib., Richardson 38), oppure in Italia durante il Rinascimento (Parigi, BN, lat. 11309; Venezia, ca. 1460-1470) e persino nell'edizione del 1502.L'eroe dell'Eneide è solitamente rappresentato giovane, come un guerriero, in piedi (commentario di V. di Saint-Benoît-sur-Loire, sec. 11°; Orléans, Bibl. Mun., 305, p. 56) oppure a cavallo (Klosterneuburg, Stiftsbibl., 742, c. 40; Austria, seconda metà del sec. 12°), o anche, alla fine del Medioevo, come un nobile signore, e talvolta come un re (Lione, Bibl. Mun., P.A. 27). Nei manoscritti italiani del sec. 15° e nell'edizione del 1502, Enea diviene un uomo di età matura, figura più consona a esprimere l'autorità morale e politica da lui rappresentata.Le scene prescelte dell'Eneide variano grandemente, al pari della loro ripartizione in apertura dei libri. Optando per una narrazione lineare che non tiene conto dell'andamento a ritroso cui è improntato il racconto che Enea fa a Didone, i cicli pongono talvolta all'inizio dell'opera l'immagine emblematica della caduta di Troia, in alcuni casi con il cavallo di legno e la fuga di Enea dalla città in fiamme, anche a costo di replicarla in testa al libro II (antica coll. Wellington, Milano, 1417; Cambridge, MA, Harvard Univ. Lib., Richardson 38). Della storia di Didone, i miniatori scelgono quasi sempre la scena del suicidio della regina di Cartagine dopo la partenza di Enea. L'illustrazione dei libri VII-XII è dominata dalle scene di battaglia nel Lazio, che si concludono con il duello tra Enea e Turno.

Assai presenti nel Virgilio Vaticano, gli episodi che mettono in scena l'antica religione e l'intervento degli dei sul destino degli uomini vennero in seguito invece ampiamente esclusi (eccezioni: Roma, BAV, Vat. lat. 2761; Firenze, Bibl. Riccardiana, 492; Cambridge, MA, Harvard Univ. Lib., Richardson 38), prima di essere narrati in modo particolareggiato nell'edizione del 1502. A eccezione tuttavia della discesa di Enea agli inferi, guidato dalla Sibilla Cumana (libro VI), visibilmente influenzata dalla Divina Commedia di Dante, per la quale un'illustrazione particolareggiata, che in parte accoglie un'interpretazione cristologica, si afferma nel sec. 15°, soprattutto nei manoscritti italiani (Valencia, Bibl. Univ., 837; Escorial, Bibl., S.II.19). Nel citato codice di Bruges (Aia, Koninklijke Bibl., 76.E.21, I, c. 23) la quarta egloga delle Bucoliche è introdotta da una miniatura assimilata a una Adorazione dei Magi: la presentazione del Bambino nato da una Vergine con il globo tra le mani.

Traduzioni e adattamenti in volgare

Nell'adattamento dell'Eneide elaborato intorno al 1160 da un anonimo chierico normanno e di certo composto per la corte dei Plantageneti, il ruolo della mitologia e delle divinità viene sminuito a vantaggio delle storie d'amore e delle descrizioni di meraviglie naturali e tecniche. Partendo da questo Roman d'Enéas, Heinrich van Veldeke compose una versione tedesca, portata a termine tra il 1184 e il 1190 alla corte di Turingia. Il suo Eneit diede luogo alla più antica trasposizione in immagini dell'epopea virgiliana in lingua volgare, in un manoscritto bavarese degli anni 1210-1220, dove centotrentasei disegni acquarellati - nella maggior parte dei casi su due registri - appaiono intercalati nel testo (Berlino, Staatsbibl., Germ. 282). Decisamente profano, fedele all'atmosfera cavalleresca e cortese dell'Eneit, questo apparato illustrativo è tuttavia riuscito a rendere in misura maggiore di qualsiasi altra opera medievale il pathos del poema antico, in scene di grande espressività drammatica. L'Eneit venne successivamente miniato con numerosi disegni nel sec. 15°, in Alsazia, dalla c.d. bottega del 1418 (Heidelberg, Universitätsbibl., Pal. germ. 403), e in Baviera nel 1474 (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 2861).In Francia, il Roman d'Enéas venne illustrato solo in alcuni manoscritti, dall'ultimo quarto del sec. 13° al secondo quarto del successivo. Gli episodi prescelti sono essenzialmente la partenza di Enea da Troia incendiata, Didone e la guerra nel Lazio. Il Roman d'Enéas non circolò singolarmente ma formò, unito al Roman de Thèbes e/o al Roman de Troie, se non al Roman de Brut, un corpus letterario improntato alla rivendicazione dinastica (per es. Parigi, BN, fr. 784; fr. 1416; fr. 60).Gli stessi episodi puramente storici furono privilegiati nella Histoire ancienne jusqu'à César, cronaca universale composta all'inizio del 13° secolo. Dal terzo quarto del sec. 13° a tutto il 16°, quest'opera fu illustrata in numerosi manoscritti in Francia, in Italia e in Terra Santa: in tale produzione seriale si instaura una vera e propria tradizione dell'iconografia virgiliana (Oltrogge, 1989).Alcuni episodi virgiliani sono stati rappresentati anche in altri testi. L'Ovide moralisé - compilato tra il 1316 e il 1328 - include una vera Eneide, ampiamente illustrata con le sue moralizzazioni nei due manoscritti più antichi (Rouen, Bibl. Mun., 1044 [O.4]; Parigi, Ars., 5069, entrambi prodotti a Parigi nella prima metà del 14° secolo). Prima che nello stesso testo virgiliano, vi si trovano varie scene dedicate alla discesa agli inferi dell'eroe, che ribadiscono l'interpretazione cristiana proposta dall'autore (Wlosok, 1993).

Per s. Agostino, invece, Enea, cui in sogno vengono affidati i vinti penati di Troia che porta con sé nella fuga, è un esempio dell'inefficienza degli dei pagani; tale episodio compare in alcuni manoscritti del De civitate Dei nella versione francese di Raoul de Presles, come quelli miniati a Parigi negli anni 1470-1480 da Maestro François e dai suoi collaboratori (per es. Parigi, BN, fr. 18, c. 180v; Laborde, 1909, III, tav. L).A partire dal sec. 14°, Enea fa parte degli Uomini illustri, i cui monumentali cicli pittorici, per la maggior parte perduti (come quello eseguito da Giotto per Roberto d'Angiò nella sala Regia di castel Nuovo a Napoli; 1332-1333), sono conosciuti attraverso alcune cronache universali miniate (Romanini, 1987, p. 431). Ma fu la storia di Didone ed Enea a incontrare il maggior favore presso gli artisti del Medioevo: la si ritrova nei Carmina burana (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4660-4660a, c. 77v; ca. 1230); nell'Ovide moralisé (per es. Lione, Bibl. Mun., 742, c. 243v; Parigi, fine del sec. 14°) e nel Roman de la Rose (per es. Vienna, Öst. Nat. Bibl., 2592, c. 91v; Parigi, ca. 1370); nelle traduzioni francesi di Boccaccio miniate a Parigi agli inizi del sec. 15°, nel Champion des dames di Martin Le Franc (Parigi, BN, fr. 12476, c. 63v; Francia settentrionale, 1451) e persino nelle traduzioni francesi del De civitate Dei (Aia, Rijksmus. Meermanno-Westreenianum, 11, cc. 385v e 402v; Parigi, ca. 1478; Laborde, 1909, II, p. 436). Questi episodi dell'Eneide compaiono anche tra quelli rappresentati su altri supporti, come per es. sul soffitto dipinto della sala Magna del palazzo dello Steri a Palermo (1377-1380) e sui cassoni fiorentini del 15° secolo.

Immagini del poeta

Le più antiche rappresentazioni di V. nei codices sembrano serbare il ricordo di un'antica consuetudine nel collocare il ritratto dell'autore in apertura di ognuna delle suddivisioni di un'opera che circolava in volumina di papiro indipendenti (Courcelle, 1939, p. 259). Nel Virgilio Romano, tre miniature uguali, poste in testa alla seconda, quarta e sesta egloga, mostrano un giovane uomo imberbe, rivestito della toga, seduto frontalmente con un rotulo tra le mani, simile al V. raffigurato in un mosaico pavimentale di Hadrumetum (od. Susa, in Tunisia; Tunisi, Mus. Nat. du Bardo; sec. 3°).

I sei ritratti d'autore del citato manoscritto italiano del sec. 10° (Napoli, Bibl. Naz., ex-Vind. lat. 6), nella loro varietà, dimostrano sia la presenza di modelli antichi sia la loro trasformazione medievale (Courcelle, 1939). V. è rappresentato in piedi in apertura di un manoscritto bavarese della fine del sec. 12° (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 21562, c. 1), ma partendo dal lontano modello antico del literatus, calmo e solenne, l'artista medievale ha creato un personaggio con un berretto frigio in testa e uno scettro in mano, animato dal drappeggio delle vesti e dai tre filatteri che gli sfuggono dalle mani e che recano le citazioni delle sue opere.Il tipo iconografico dell'autore in atto di scrivere, disegnato a margine dell'Eneide in un manoscritto francese della seconda metà del sec. 12° (Parigi, BN, lat. 7933, c. 40) è direttamente ripreso dai ritratti altomedievali degli evangelisti. Nel sec. 14° Simone Martini, nel citato manoscritto appartenuto a Petrarca, dipinse il poeta ispirato dalla natura circostante, mentre l'artista di un manoscritto conservato a Roma (BAV, Vat. lat. 2761) ne offre una versione cristianizzata: V., seduto al tavolo da lavoro con le mani giunte in preghiera, leva lo sguardo verso una musa, alata come un angelo. Nelle raffigurazioni di epoca gotica, V. indossa la veste lunga e il cappello di dottore dell'università.Gli elementi autobiografici presenti nelle Bucoliche e nelle Georgiche ispirarono delle immagini nelle quali V. entra a far parte del racconto accanto ai suoi protagonisti, se non sostituendosi a essi. Il poeta dedica le Georgiche a Mecenate (Digione, Bibl. Mun., 493, c. 19) e passeggia con lui in una natura modificata dall'opera dell'uomo (edizione del 1502). V. invoca Augusto in testa alle Georgiche nei due manoscritti parigini dell'inizio del sec. 15°, dove reca in capo l'alto cappello a punta che fa riferimento al sacerdote ebreo e insieme al sapiente e al mago (Lione, Bibl. Mun., P.A. 27, c. 20v) oppure una tiara (Holkham Hall, Lib. of the Earl of Leicester, 307, c. 43); negli stessi manoscritti il poeta compare anche nelle miniature che illustrano la quarta e la decima egloga. Sotto le sembianze di Titiro, è forse rappresentato in un frammento del sec. 9° (Parigi, BN, lat. 8093, c. 68), in una scena camuffata da dedica ad Augusto. L'associazione tra il pastore e V. è visualizzata dall'alto cappello indossato da Titiro nel manoscritto di Lione (Bibl. Mun., P.A. 27, c. 1v). In mancanza di Melibeo, quest'ultimo ne assume ancor più nettamente l'aspetto nell'iniziale istoriata del manoscritto di Parigi (BN, lat. 7946, c. 2), dove è rappresentato mentre legge invece di suonare il flauto.Tanto Mantova quanto Napoli, città nelle quali rispettivamente il poeta era nato e morto, rivendicavano il diretto legame con Virgilio. La sua tomba, che si presumeva situata a Piedigrotta, viene rappresentata per la prima volta nell'edizione del 1502, ornata dalla statua giacente del poeta, pianto da Augusto (Trapp, 1984, pp. 14-15).Sin dalla prima metà del sec. 13°, Mantova eresse monumenti al proprio 'santo patrono' secolare, giudice supremo e protettore della libertà del Comune, tanto che alcune decisioni importanti venivano prese ad sculpturam Vergilii (Liebenwein, 1983). Un primo altorilievo (Mantova, Gall. e Mus. di Palazzo Ducale) si trovava, forse sin dall'origine, all'interno del palazzo della Ragione: V., quale erudito e uomo di legge, vi compare seduto frontalmente alla sua cattedra in atto di scrivere. Una seconda effigie, copia più debole della prima, fu collocata sulla facciata del palazzo del Podestà (Broletto). La città rivendicava inoltre l'illustre cittadino attraverso le monete, spesso ornate da una testa di V.; quando, nel 1257, imitò il grosso veneziano, il Cristo in maestà fu sostituito sul rovescio dall'immagine del poeta copiata dalle sculture sopra citate.Nel De civitate Dei V. è palesemente inserito nel novero dei filosofi pagani di cui s. Agostino refuta gli insegnamenti. Come tale è rappresentato in un manoscritto eseguito intorno al 1180 nella zona inferiore della Città terreste, circondato dall'olimpo delle divinità romane (Schulpforta, Bibl. der Königl. Landesschule, A 10, c. 3; Laborde, 1909, III, tav. III) e in un esemplare della traduzione di Raoul de Presles (Bruxelles, Bibl. Royale, 9005-9006, c. 7v; Parigi, inizio del sec. 15°; Laborde, 1909, II, p. 321). Ma nell'iconografia come nei testi, V. è principalmente l'autore modello per eccellenza: Pietro da Eboli colloca il suo ritratto, insieme a quelli di Lucano e di Ovidio, in apertura della sua cronaca illustrata, Liber ad honorem Augusti (Berna, Burgerbibl., 120 II, c. 95r; Italia meridionale, fine del sec. 12°); V. compare inoltre nei manoscritti miniati della Divina Commedia, visto che il poeta della discesa agli inferi è eletto da Dante a sua guida nel viaggio nell'oltretomba.Il Sermo contra Iudeos, Paganos et Arrianos, attribuito un tempo a s. Agostino, ma opera di Quodvultdeus, la cui messa in scena tra i drammi liturgici del ciclo di Natale è attestata a partire dal sec. 11°, ha largamente contribuito alla rappresentazione di V. unito al corteo dei profeti nelle opere d'arte. In tal modo è rappresentato nelle facciate delle cattedrali: a Laon (ca. 1200), a Orvieto (inizio del sec. 14°) e a Strasburgo, nel portale centrale (ca. 1280-1290), dove, giovane dottore dal portamento tranquillo, si distingue dalle concitate figure dei profeti (Gramaccini, 1994). Con Albumasar, profeta arabo di Cristo, è accanto al trono di Salomone, sul quale siede la Vergine con il Bambino, in un dipinto d'altare dell'abbazia di Wormeln, nei pressi di Paderborn (Berlino, Staatl. Mus.; sec. 14°).

V. è anche rappresentato come unico poeta tra i filosofi pagani associati alle sibille, su alcuni stalli, come in quelli della cattedrale di Ulma, realizzati tra il 1469 e il 1474 da Jörg Syrlin il Vecchio (Vöge, 1950). Nel poema tedesco Die Erlösung (inizio del sec. 14°), V. è presentato in una prospettiva escatologica. All'interno di questa storia di salvazione, V. è chiamato insieme ai profeti ad annunciare la fine dei tempi, cui segue, secondo la quarta egloga, l'età dell'oro dei tempora novissima (Norimberga, Stadtbibl., Solg.15; Svevia, 1465).In una Bibbia tedesca dell'inizio del sec. 13° (Merseburg, Domstiftsbibl., 1, c. 9v), nella parte bassa della miniatura della Genesi, le coppie formate dai filosofi Platone e Aristotele e dai poeti V. e Ovidio assistono Dio creatore. V. compare talvolta anche in cicli medievali di filosofi, poeti, medici e altri sapienti, modelli di vita honesta (Vöge, 1950): in una raccolta da Alpirsbach (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 2599, c. 107; ca. 1230); su un piatto per le elemosine (Halberstadt, cattedrale; inizio del sec. 14°); su affreschi perduti dell'inizio del sec. 15° nell'atrio di St. Godehard a Hildesheim; in un libro divinatorio (Vienna, Öst. Nat. Bibl., Ser. nov. 2652; prodotto forse in Boemia, ca. 1360) e in un lapidario (Angers, Bibl. Mun., 478, p. 30; prodotto forse in Inghilterra nella prima metà del sec. 15°).Tanta ammirazione sembra richiedere una contropartita sarcastica. Dopo essere stati portati alle stelle, tanto V. che Aristotele vengono umiliati e messi alla berlina in episodi popolareschi che li mostrano come amanti scherniti dalle donne: Aristotele sopporta che l'amante di Alessandro gli monti in groppa; V. è gabbato da Febilla, che, dopo avergli promesso un incontro notturno, lo lascia sospeso a mezz'aria, in una cesta, sotto le sue finestre, dove l'indomani mattina è oggetto di scherno da parte dei Romani. Sole o associate, le due scene, frequentemente rappresentate, servivano da ammonimento contro una saggezza puramente profana, facilmente vinta dall'astuzia femminile. V. appeso in una cesta compare, a partire dal sec. 14°, sui supporti più diversi (Koch, 1959), spesso all'interno di un insieme di scene che denunciano la furbizia femminile (coppie bibliche, antiche e letterarie) e di cui l'immagine finale della vergine che cattura il liocorno propone il rimedio. Tra i molti esempi si possono citare: un ricamo di Malterer (Friburgo in Brisgovia, Augustinermus.; ca. 1330; Smith, 1990); un perduto dipinto murale a Costanza (Haus zur Kunkel, 1306-1316); un capitello del chiostro dell'abbazia cistercense di Cadouin (Périgord, seconda metà del sec. 15°). La scena è rappresentata insieme a quella della vendetta di V. - il poeta fa spegnere tutti i fuochi a Roma e gli abitanti devono andare a riaccendere le torce nel deretano della donna che lo ha ingannato - nel Dit de la fontaine amoureuse di Guillaume de Machaut (Parigi, BN, fr. 1584, c. 167; prodotto forse a Reims, ca. 1372-1377).Il tema sopravvisse fino al sec. 16° nelle arti grafiche dell'Europa settentrionale. Già dal sec. 14° Petrarca si era scagliato contro le tradizioni leggendarie che deformavano l'immagine del poeta antico; tuttavia, per ironia della sorte, l'illustrazione dei Trionfi nell'Italia del sec. 15° reintrodusse in pieno Rinascimento il motivo di V. vecchio saggio, in veste di dottore. Nel Trionfo dell'amore Petrarca aveva elencato una numerosa schiera di illustri vittime dell'amore: la scelta degli artisti che dovevano raggrupparne molti intorno al carro di Cupido include talvolta V., sospeso nella sua cesta (Firenze, Bibl. Riccardiana, 1129, c. 1v; Firenze, Laur., Stroz. 174, c. 1). Tale immagine deformata del venerato autore delle Bucoliche, delle Georgiche e dell'Eneide era stata così potentemente costruita dal Medioevo che solo lentamente i tempi moderni riuscirono a recuperare l'immagine dell'antico poeta latino.

Bibl.:

Edd. in facsimile. - Virgilius, Opera Bucolica, Georgica, Aeneis. Manoscritto 492 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, a cura di B. Maracchi Biagiarelli, Firenze 1969; Vergil, Aeneis. Mit 136 Holzschnitten der 1502 in Strassburg erschienenen Ausgabe, a cura di J. Götte, M. Lemmer, München 1979; Vergilius Vaticanus. Vollständige Faksimile-Ausgabe im Originalformat des Codex Vaticanus Latinus 3225 der Bibliotheca Apostolica Vaticana, Graz 1980; D. Wright, Commentarius, Graz 1984; Vergilius Romanus. Codice Vaticano Latino 3867 conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana, I, Fac-simile, Milano 1985; II, Commento, a cura di I. Lana, Milano 1986; Publius Vergilius Maro: Bucolica, Georgica, Aeneis. Valencia Biblioteca General i Històrica de la Universitat, Ms. 837, a cura di A. Wlosok, München 1992; Heinrich van Veldeke, Eneas-Roman. Vollfaksimile des Ms. germ. fol. 282 zu Berlin, a cura di N. Henkel, A. Fingernagel, Wiesbaden 1992.

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