QADESH

Enciclopedia dell' Arte Antica (1965)

QADESH

S. Donadoni
A. M. Roveri

Divinità siriana introdotta in Egitto dalla Siria nel tardo Nuovo Regno. Quale che sia il significato del suo nome, la sua tipologia è assai caratteristica: essa è raffigurata come donna nuda in posizione frontale, con due serpenti nelle mani, e stante su un leone gradiente. Sulle stele che la rappresentano è spesso accompagnata dalle figure di Min (v.) e Reshef (v.) poste di profilo ai suoi lati. L'acconciatura sul capo è di tipo hathorico, con riccioli a tortiglione attorno al volto e sistro sulle chiome. La frontalità del volto (assai rara in Egitto) è determinata sia dal suo essere straniera (così come son rappresentati di faccia i vinti) ma più per la sua acconciatura hathorica, che già in epoca assai antica (si ripensi alla tavolozza protodinastica di Narmer) comporta una visione frontale del volto. La nudità - rituale - è connessa probabilmente con il carattere erotico della dea: ma ha come radici figurative l'esperienza di eleganti nudi femminili nella piccola arte decorativa del primo Nuovo Regno. Suo centro di culto in Egitto era Memfi, la città più fortemente esposta alle importazioni straniere.

(S. Donadoni)

Questo tipo iconografico si trova anche in Siria-Palestina, ma niente assicura che si tratti della dea Q., quasi sconosciuta del resto alle fonti di tale regione, che conoscono anche, come variante dello stesso nome, la forma Kent. Nel Tardo Bronzo appaiono assai di frequente piccole placche di terracotta con rappresentazioni a stampo di una dea nuda, con acconciatura hathorica e serpenti o fiori di loto nelle mani. È da notare tuttavia che in questa stessa classe di monumenti sono comprese anche rappresentazioni in cui predominano elementi non egiziani: la dea è priva di acconciatura hathorica oppure ha sul capo un elmo crestato e copre con le mani i seni o il pube, atteggiamenti questi del tutto sconosciuti alla iconografia egiziana. L'analogia iconografica con la Q. egiziana è invece molto più stretta nelle laminette a sbalzo in oro o argento, trovate soprattutto a Ugarit, in alcune delle quali un leone gradiente appare sotto i piedi della dea. Queste rappresentazioni, secondo l'Albright e il Dunand, accoppierebbero elementi iconografici della Mesopotamia del III millennio e dell'Egitto del Medio Regno. Tale fusione si sarebbe verificata a Biblo durante la XII Dinastia a seguito del processo sincretistico Ba῾alat-Ḥatḥōr come "Signora di Biblo". Un aspetto di Ba῾alat sarebbe appunto Q., la quale poi dalla Siria sarebbe passata in Egitto durante la XIX dinastia. Tuttavia, mentre la Q. egiziana è chiaramente identificata dalle iscrizioni che l'accompagnano, quella siro-palestinese è, almeno per ora, assai più difficilmente afferrabile, ed è forse probabile che le placche sopra menzionate, rivelatrici di complesse componenti (mesopotamiche, egiziane e siro-palestinesi), assumano identificazioni diverse nelle varie regioni e riproducano quindi divinità più note quali Astarte, Asherah o Anat. La connessione esistente tra queste divinità è del resto provata da una stele egiziana nella quale si trovano riuniti e riferiti alla stessa dea i nomi Astarte-Anat. Un'altra ipotesi ammette infine che queste figurine rappresentino non una dea, ma le prostitute sacre addette al suo culto o siano talismani atti a fornire, per processi magici, la fecondità.

Bibl.: Ch. Boreaux, La stèle C. 86 du Musée du Louvre et les stèles similaires, in Mélanges syriens offerts à R. Dussaud, II, Parigi 1939, pp. 637-687; J. Leibovitch, Une imitation d'époque romaine d'une stèle de la déesse Qadesh, in Annales du Service des Antiquités de l'Égypte, XLI, 1942, pp. 77-89; J. B. Pritchard, Palestinian Figurines in Relation to Certain Goddesses Known through Literature, New Haven 1943, pp. 6-10; 32-42; 83-87; H. Bonnet, Reallexikon de aegyptischen Religionsgeschichte, Berlino 1952, s. v. Kadesh; I. E. S. Edwards, A Relief of Qudshu-Astarte-Anath in the Winchester College Collection, in Journal of Near Eastern Studies, XIV, 1955, pp. 49-51; J. Leibovitch, Kent et Qadech, in Syria, XXXVIII, 1961, pp. 23-34.

(A. M. Roveri)