Quasar

Enciclopedia del Novecento (1980)

Quasar

EE. Margaret Burbidge

di E. Margaret Burbidge

SOMMARIO: 1. Definizione. □ 2. La scoperta dei quasar. □ 3. Proprietà osservate: a) lo spettro; b) spostamento verso il rosso delle righe di emissione; c) righe di assorbimento e loro spostamento verso il rosso; d) variazioni di flusso e dimensioni. 4. La natura dello spostamento verso il rosso e le distanze dei quasar. 5. Modelli fisici dei quasar e il problema delle sorgenti di energia. 6. Relazione tra i quasar e altri fenomeni extragalattici. Bibliografia.

1. Definizione.

Gli ‛oggetti quasi stellari', detti anche ‛radiosorgenti quasi stellari' o ‛quasar', sono oggetti debolmente luminosi simili a stelle (v. fig. 1), distribuiti in modo apparentemente uniforme sulla sfera celeste, scoperti in origine come sorgenti di forti emissioni radio. L'analisi spettroscopica della radiazione ottica di tali oggetti mostra che essi assomigliano a lontanissimi sistemi completi di stelle, o galassie. Nello spettro si ritrovano le righe corrispondenti ai comuni elementi chimici, ma tutte spostate, talvolta di valori notevolissimi, verso la zona rossa dello spettro. Negli spettri delle galassie lontane questi spostamenti verso il rosso (red shifts) vengono interpretati come una conseguenza dell'effetto Doppler, prodotto dal moto assai veloce di allontanamento delle galassie dall'osservatore. Tale moto di allontanamento viene interpretato, a sua volta, come dovuto a un'espansione dell'intero Universo. Il valore della velocità di allontanamento delle galassie è proporzionale alla loro distanza dalla Terra. Così gli oggetti quasi stellari assomigliano a galassie lontanissime dalla Via Lattea.

Nel corso di questo articolo descriveremo la scoperta degli oggetti quasi stellari, le loro proprietà desunte dall'osservazione, la natura dello spostamento verso il rosso delle loro righe spettrali, la loro distanza, alcuni modelli fisici che li concernono, il problema delle sorgenti di energia, la relazione fra questi oggetti e altri fenomeni extragalattici.

2. La scoperta dei quasar.

La prima radiosorgente quasi stellare fu scoperta nel 1960 dai radioastronomi. Fino ad allora si era trovato che tutte le radiosorgenti identificate all'esterno della nostra galassia come oggetti ottici avevano la loro origine in altre galassie. Tuttavia varie determinazioni molto accurate, eseguite col telescopio da 5 metri di Monte Palomar, delle posizioni di tre radiosorgenti - elencate nel terzo catalogo di radiosorgenti di Cambridge con le sigle 3C 48, 3C 196 e 3C 286 - portarono Matthews e Sandage all'identificazione in quelle posizioni di deboli oggetti simili a stelle.

La sorgente 3C 48 fu studiata a lungo dagli astronomi, ma non si riuscì a identificare le righe del suo spettro. Finalmente, nel 1962, un altro oggetto simile a una stella, il 3C 273, molto più brillante del 3C 48, fu identificato dal radioastronomo Hazard e dai suoi collaboratori, che ottennero una determinazione molto accurata della posizione impiegando il radiotelescopio di Parkes (Australia) per osservare la radiosorgente mentre questa veniva eclissata dal bordo della Luna. Intanto, a Monte Palomar, M. Schmidt compiva il passo decisivo, studiando il corrispondente oggetto ottico e identificandone le righe dello spettro. Egli mostrò che certe bande di emissione, sovrapposte allo spettro continuo, corrispondevano alle righe della serie di Balmer dell'idrogeno, purché si spostassero i valori osservati in laboratorio verso le lunghezze d'onda più elevate, cioè verso la parte rossa dello spettro (red shift).

Lo spostamento verso il rosso, indicato comunemente con la lettera z, si ottiene dividendo la differenza fra la lunghezza d'onda della riga spettrale misurata, λmis, e quella, λlab, osservata in laboratorio, per λlab, cioè: z=(λmis−λlab)/λlab. Dalle righe di idrogeno del 3C 273 si ricava z=0,158.

In seguito al lavoro sul 3C 273, si riuscì a identificare alcune righe spettrali del 3C 48 da cui risultò uno spostamento verso il rosso pari a z=0,367. Da allora, misurando lo spostamento verso il rosso, fu identificato un numero rapidamente crescente di quelle che si cominciarono a chiamare radiosorgenti quasi stellari. In generale gli spostamenti verso il rosso risultarono essere molto più grandi di quelli delle normali galassie e già prima del 1965 era stato scoperto almeno un oggetto con z≃2. Poiché la spiegazione naturale era che gli spostamenti verso il rosso fossero dovuti all'espansione dell'Universo, se ne concluse che questi oggetti dovevano essere molto distanti, e poiché le galassie ordinarie, se poste a distanze corrispondenti a quei valori di spostamento verso il rosso, sarebbero dovute risultare invisibili anche ai più grandi telescopi, si calcolò che tali oggetti dovessero essere intrinsecamente molto luminosi, anche cento volte più brillanti della più brillante delle galassie. Fu scoperto che gli oggetti quasi stellari emettono molta più energia nella parte ultravioletta dello spettro di quanta non ne venga emessa dalle stelle normali e ciò indusse Sandage a pensare che tali oggetti potessero anche esser scoperti con l'impiego esclusivo di metodi ottici, fotografando con un filtro ultravioletto varie parti del cielo e rilevando le stelle deboli, che appaiono molto più brillanti nell'ultravioletto che non in luce azzurra. Questa ricerca ebbe successo ed entro il 1970 Sandage, Luyten e altri mostrarono che, fra gli oggetti più deboli che possono essere rivelati con i grandi telescopi, vi sono circa 100 oggetti quasi stellari per grado quadrato. Soltanto una piccola frazione di tali oggetti è costituita da forti radiosorgenti, mentre la maggior parte di essi non emette radiazione radio in modo apprezzabile. Dapprima gli oggetti radio emittenti e quelli non emittenti furono distinti, chiamando i primi QSS o QSRS e i secondi QSO. Per semplicità, tutti gli oggetti quasi stellari vengono oggi indicati con la sigla QSO (Quasi-Stellar Objects) o col termine quasar.

Tra il 1976 e il 1979 A. Haag, M. Smith, P. Osmer, G. MacAlpine e altri hanno usato una tecnica diversa per scoprire quasar privi di emissione radio; la densità superficiale di tali oggetti, con luminosità maggiori o uguali alle più basse scoperte fino ad ora, sembra essere da 10 a 30 quasar per grado quadrato. Nelle osservazioni più recenti si interpongono, sul cammino dei raggi luminosi nel telescopio, sottili prismi o reticoli, così che per ogni oggetto si ottiene su una grande lastra fotografica uno spettro a bassa risoluzione. In questo modo i quasar, e certe galassie attive i cui nuclei hanno molte proprietà in comune con i quasar, possono essere facilmente distinti dalle stelle e dalle nebulose gassose nella Via Lattea osservando le righe di emissione dei loro spettri.

3. Proprietà osservate.

a) Lo spettro.

Nello spettro dei quasar si trovano spesso le righe prodotte dall'idrogeno, come s'è già visto nel caso del 3C 273. Per i quasar che presentano piccoli spostamenti verso il rosso si osserva la serie di Balmer, mentre, per i quasar che presentano spostamenti verso il rosso più accentuati, la riga Lyman-α dell'idrogeno, che in laboratorio ha una lunghezza d'onda di 1.216 Å nel lontano ultravioletto, è spostata verso la regione ottica dello spettro. Normalmente la parte dello spettro con lunghezze d'onda inferiori a 3.000 Å non può essere osservata in oggetti astronomici con telescopi terrestri, poichè l'atmosfera terrestre è opaca per tali lunghezze d'onda. Certe stelle brillanti della Via Lattea sono state osservate nel lontano ultravioletto da bordo di razzi o satelliti e alcuni dei quasar più brillanti sono stati osservati con il piccolo telescopio dell'International Ultraviolet Explorer, ma nella maggior parte dei quasar che presentano grandi spostamenti verso il rosso si è in grado di osservare queste radiazioni nel lontano ultravioletto anche con i grandi telescopi terrestri, proprio in virtù dei cospicui spostamenti verso il rosso nello spettro della luce emessa da questi oggetti.

Le righe spettrali osservate sono dovute agli elementi chimici più comuni: idrogeno, elio, carbonio, azoto, ossigeno, neon, magnesio, silicio e zolfo, che sono gli elementi più abbondanti nel Sole e nelle stelle più vicine; meno frequentemente sono state osservate le righe spettrali dell'argon e del ferro. Le righe spettrali sono per lo più righe di emissione, come nel caso di un gas caldo di densità relativamente bassa. Esse appaiono di solito allargate, probabilmente per effetto Doppler dovuto a moti casuali (con velocità dell'ordine di 1.000 km/s) nelle nubi di gas che circondano l'oggetto (v. fig. 2).

Lo spettro continuo sovrapposto alle righe di emissione è più intenso nell'ultravioletto di quanto non lo sia la radiazione proveniente dalle stelle ordinarie della Via Lattea aventi una temperatura superficiale di 5.000-10.000 °K e, come abbiamo detto nel secondo capitolo, questa proprietà è stata utilizzata per scoprire un gran numero di quasar. Spesso i quasar emettono anche nell'infrarosso una radiazione molto più intensa delle stelle ordinarie e anche di questa proprietà si è fatto uso per scoprire dei quasar con metodi fotografici, impiegando opportuni filtri.

Da quanto abbiamo detto risulta che le proprietà della radiazione di fondo dei quasar sono differenti da quelle della radiazione prodotta mediante processi termici in una nube di gas caldo, cioè non si tratta del normale scambio fra radiazione, atomi e ioni, come avviene per la radiazione emessa dal Sole e dalle stelle. La radiazione dei quasar viene quindi definita come ‛radiazione non termica'.

b) Spostamento verso il rosso delle righe di emissione.

Fino al 1979 sono stati studiati individualmente più di 1.000 quasar ed è stato misurato lo spostamento verso il rosso delle loro righe di emissione. I valori degli spostamenti verso il rosso noti fino a oggi sono compresi fra z=0,06 e z=3,53; il limite superiore è stato osservato per l'oggetto OQ 172, scoperto mediante il telescopio dell'Università dell'Ohio. Se si riporta in un grafico il logaritmo di z in funzione della magnitudine o luminosità apparente delle galassie, si vede che i punti osservati si distribuiscono lungo una retta; infatti, secondo la teoria dell'Universo in espansione, lo spostamento verso il rosso, o velocità di recessione, è proporzionale alla distanza e la luminosità apparente di un oggetto è inversamente proporzionale al quadrato della sua distanza. Questo effetto fu scoperto da Hubble all'osservatorio di Monte Wilson ed è chiamato legge di Hubble; il grafico sopra citato, del logaritmo dello spostamento verso il rosso in funzione della luminosità apparente, si chiama anche diagramma di Hubble.

Se si riportano gli stessi dati per 150 quasar, si ottiene il diagramma di Hubble della fig. 3, nel quale i punti appaiono distribuiti a caso, il che mostra che vi è pochissima correlazione tra la luminosità ottica e lo spostamento verso il rosso. Il numero degli oggetti con z maggiore di 3 diminuisce rapidamente e non si sa se il taglio apparente a 3,5 sia reale o se sia dovuto a un effetto selettivo nell'osservazione. Il taglio osservato nella luminosità apparente - sono stati studiati pochi quasar con luminosità apparente inferiore alla magnitudine 20,5 - è dovuto alla difficoltà di identificare od osservare quasar di intensità più deboli.

c) Righe di assorbimento e loro spostamento verso il rosso.

Quando si pone davanti a una sorgente luminosa a spettro continuo un gas a temperatura più bassa di quella della sorgente, si osservano delle righe di assorbimento alle lunghezze d'onda che il gas, riscaldato, emetterebbe. Misurando la lunghezza d'onda di queste righe si può determinare la composizione chimica del gas. Un effetto del genere è prodotto dal gas interstellare della nostra galassia sullo spettro delle stelle. Anche le atmosfere del Sole e delle stelle danno luogo a righe di assorbimento, non già perché esse siano fredde, ma perché la loro temperatura è minore di quella degli strati emittenti più profondi.

A partire dal 1966 sono stati osservati quasar che, oltre alle righe di emissione, presentano delle righe di assorbimento nello spettro. In generale molte delle righe osservate in emissione possono apparire in assorbimento (non tutte, però: le righe cosiddette ‛proibite' si possono osservare solo in emissione). Le righe di assorbimento più comunemente osservate sono righe di risonanza: Lyman-α dell'idrogeno, C IV 1.548, 1.551 Å, e Mg II 2.796, 2.803 Å (v. figg. 2 e 4). In alcuni casi lo spostamento verso il rosso delle righe di assorbimento è quasi uguale a quello delle righe di emissione e nei casi in cui risulta zass>zem, oppure zasszem, si tratta solo di piccole differenze. Tuttavia si è trovato che per numerosi quasar lo spostamento verso il rosso di molte righe di assorbimento è molto più piccolo di quello delle righe di emissione; in un caso sono state identificate 12 di tali righe di assorbimento. I quasar che hanno uno spettro con molte righe di assorbimento presentano anche righe di emissione con grandi z. L'origine delle righe di assorbimento e la molteplicità dei valori del loro spostamento verso il rosso sono oggetto di intensi studi da parte di numerosi ricercatori; per ora sembra potersi concludere che i gas assorbenti sono nuvole e filamenti emessi a velocità che talvolta raggiungono la metà di quella della luce. In alcuni casi i gas assorbenti possono trovarsi in galassie poste tra noi e i quasar.

d) Variazioni di flusso e dimensioni.

Una proprietà generale dei quasar finora studiati è la variazione temporale nel flusso delle loro radiazioni ottiche e radio. In alcuni casi il flusso varia di un fattore 10 o più entro intervalli di tempo inferiori a un anno. Oggi sappiamo che avvengono anche variazioni in tempi più brevi, dell'ordine di giorni.

All'epoca in cui queste variazioni furono scoperte non si conoscevano altri oggetti extragalattici che fossero variabili, ma recentemente è stato mostrato che i nuclei di alcune galassie, che, per le loro proprietà radiative, sono molto simili ai quasar, sono anch'essi variabili.

Dai periodi delle variazioni si può dedurre un limite superiore per le dimensioni dei quasar, purché si ammetta che la superficie radiante non si espanda relativisticamente; questo valore limite è pari al periodo di variazione moltiplicato per la velocità della luce. Così si può stimare che la dimensione delle regioni emittenti non superi l'anno luce (1013 km) o il giorno luce (2,5×1010 km).

La mancanza di nitidezza delle immagini ottiche dovuta agli effetti dell'atmosfera terrestre porta come conseguenza che con i telescopi posti sulla superficie terrestre non si possono misurare oggetti stellari il cui diametro sia minore di circa 0,5 secondi d'arco. Anche a distanze molto modeste questo angolo corrisponde già a una dimensione lineare molto maggiore di un anno luce (per es. per una galassia a 30 milioni di anni luce, nell'ammasso locale di galassie della Vergine, un angolo di 0,5 secondi corrisponde a circa 75 anni luce). Tuttavia, usando interferometri a base molto lunga, i radioastronomi riescono a misurare angoli fino a 10-3 secondi d'arco; si è così trovato che molti quasar e nuclei di galassie contengono delle regioni emittenti piccolissime. Per i nuclei di galassie più vicine le dimensioni che si misurano sono compatibili con i limiti superiori imposti alle dimensioni dalle variazioni del flusso.

Le variazioni temporali delle radio emissioni sono ristrette alle alte frequenze (per lunghezze d'onda minori di 20 cm) e sono compatibili con un modello che le rappresenta come dovute a fiotti successivi di elettroni relativistici emessi verso l'esterno da un oggetto centrale (v. cap. 5). In generale non si possono distinguere delle periodicità semplici nelle variazioni ottiche, sebbene si pensi che in uno o due quasar possa esservi una componente periodica.

4. La natura dello spostamento verso il rosso e le distanze dei quasar.

La distanza dei quasar è stata, fin dalla loro scoperta, oggetto di discussione. La spiegazione più semplice dei grandi valori degli spostamenti verso il rosso è che essi siano dovuti all'espansione dell'Universo e che quindi i quasar siano molto luminosi e molto distanti. Tuttavia, la natura variabile dei quasar indusse alcuni astronomi a porre in dubbio quest'interpretazione. Le ragioni per le quali le variazioni han fatto sorgere dei dubbi sulla natura cosmologica dello spostamento verso il rosso erano in parte preconcette: sembrava difficile immaginare che oggetti molto distanti, un centinaio di volte più brillanti delle galassie, potessero essere così piccoli da variare apprezzabilmente in tempi brevi come un anno o ancor meno. Questi argomenti, tradotti in termini fisici, portano alla conclusione che vi debbano essere delle serie difficoltà nel costruire modelli coerenti, essenzialmente perché l'enorme densità di radiazione che deve essere presente nella piccolissima sorgente deve reagire fortemente con gli elettroni che producono la radiazione (v. cap. 5). Se i quasar fossero molto più vicini di quanto non comporti il loro spostamento verso il rosso, la loro luminosità sarebbe molto minore e il problema sarebbe molto meno grave. Tuttavia oggi sappiamo che variazioni simili si presentano anche in nuclei di galassie che sappiamo essere certamente vicine, così che lo stesso problema, anche se in forma meno grave, nasce anche in tal caso.

Se i quasar fossero molto più vicini, il loro spostamento verso il rosso potrebbe esser dovuto a un motivo diverso dall'espansione dell'Universo. I soli meccanismi noti che possano spiegare lo spostamento verso il rosso sono l'effetto Doppler o la presenza di fortissimi campi gravitazionali. Ogni altra spiegazione cade al di fuori delle leggi della fisica oggi conosciute. I tentativi di spiegazione fondati sull'ipotesi che gli oggetti siano stati espulsi ad altissima velocità dalle galassie e che si stiano allontanando da noi in modo da presentare spostamenti verso il rosso molto alti (un oggetto con z=2 si deve allontanare con una velocità pari all'80% di quella della luce) non sono convincenti, poiché non sono stati osservati spostamenti verso il violetto, e cioè non vi è traccia di alcun oggetto che si avvicini a noi. È noto che si possono avere grandi spostamenti verso il rosso di origine gravitazionale se le transizioni atomiche avvengono in regioni in cui esistono campi gravitazionali molto forti, ma non è stato possibile costruire modelli realistici in base all'ipotesi che le righe spettrali che noi osserviamo siano prodotte in questo modo. Quindi, senza appellarsi a nuovi effetti, le argomentazioni teoriche suggeriscono che lo spostamento verso il rosso sia di origine cosmologica.

La distribuzione degli spostamenti verso il rosso suggerisce l'ipotesi che esistano effetti nuovi. In particolare vi è un indizio dell'esistenza di un picco marcato nel numero degli spostamenti verso il rosso sia in emissione che in assorbimento a z=1,95 e se si includono classi di oggetti simili sembra vi siano altri picchi a z minori; tuttavia un'analisi statistica di questa osservazione ne ha messo in dubbio la validità. Attualmente la difficoltà di risolvere il problema della natura dello spostamento verso il rosso dei quasar sta nel fatto che non esiste altro modo di stimare la loro distanza se non supponendo che esso abbia un'origine simile a quella dello spostamento verso il rosso delle galassie, che obbedisce alla legge di espansione dell'Universo, o legge di Hubble. Come è mostrato nella fig. 3, non vi è però alcuna relazione di Hubble per i soli quasar. Questo non significa che il loro spostamento verso il rosso non possa avere un'origine cosmologica. In altri termini ciò equivale a dire che se Hubble e il suo collega Humason avessero osservato solo dei quasar anziché le normali galassie, non avrebbero scoperto che l'Universo si espande. Oltre che attraverso lo spostamento verso il rosso, il solo altro metodo noto che può essere usato per misurare la distanza di un oggetto extragalattico è stabilire che esso è fisicamente associato a un altro oggetto di cui sia nota la distanza. A questo proposito va osservato che quasar con z piccoli si trovano in gruppi di galassie con circa lo stesso z; d'altra parte, l'analisi statistica ha mostrato che quasar con grande z sono apparentemente collegati a galassie con spostamento verso il rosso notevolmente diverso. Non si è ancora riusciti a conciliare queste opposte osservazioni.

Inizialmente si pensò che, se i quasar sono situati a distanze cosmologiche, nel loro spettro si dovrebbero vedere le caratteristiche proprie dell'assorbimento della luce da parte della materia intergalattica che si trova tra noi e i quasar. La scoperta di tali caratteristiche di assorbimento, oltre a stabilire che i quasar si trovano a distanze cosmologiche, ci avrebbe anche fornito un metodo per lo studio della materia intergalattica. Tuttavia le osservazioni hanno mostrato che non c'è alcun assorbimento continuo dovuto ad atomi neutri di idrogeno distribuiti uniformemente nello spazio; ciò significa o che la densità di questo gas è minore di 10-11 atomi per cm3, un valore incredibilmente basso, oppure che i quasar sono locali. Una molteplicità di dati spettroscopici e statistici suggerisce ora che le righe di assorbimento osservate nello spettro di alcuni dei quasar prima menzionati abbiano origine nel gas emesso dagli oggetti stessi e non nel mezzo intergalattico. Così anche questa prova non ha condotto a risolvere il problema della distanza dei quasar.

Si può insomma concludere che le distanze dei quasar non sono ancora oggi conosciute.

5. Modelli fisici dei quasar e il problema delle sorgenti di energia.

Si suole ritenere che un quasar consista di un nucleo piccolissimo e di una grande massa, di diametro complessivo minore di un anno luce, circondata da un esteso alone di gas eccitato dall'energia irraggiata dall'oggetto centrale. Le righe spettrali, sia quelle di emissione sia quelle di assorbimento, hanno origine in parti differenti di questa nube di gas. La temperatura e la densità degli elettroni nel gas sono, rispettivamente, Te~30.000 °K e Ne~104-109 elettroni (e protoni) per centimetro cubico. Vi è chiaramente una gamma di valori diversi per differenti quasar e per regioni differenti di uno stesso quasar. La composizione del gas, per quegli elementi che possono essere analizzati, appare simile a quella delle nebulose gassose della nostra galassia (e anche a quella del Sole). La molteplicità dei valori dello spostamento verso il rosso delle righe di assorbimento deve probabilmente associarsi a degli strati di gas che si muovono con velocità variabili da circa 1.000 km/s a circa 150.000 km/s rispetto all'oggetto centrale e che potrebbero essere stati accelerati verso l'esterno dalla sua alta pressione di radiazione o dalla pressione degli stessi elettroni ad alta energia.

L'oggetto centrale emette radiazioni su di un vasto intervallo spettrale e si suppone che il meccanismo fondamentale di tale irraggiamento sia quello di sincrotrone, sia cioè dovuto al moto di elettroni relativistici in un campo magnetico. Lo spettro ha approssimativamente, nella parte ottica, l'andamento di una legge di potenza, cioè l'intensità è proporzionale all'inverso della frequenza della radiazione elevata a un esponente, solitamente minore di 1. In molti casi la forma dello spettro nell'infrarosso sale più rapidamente. La maggior parte dell'energia irradiata è contenuta nella banda spettrale del visibile e dell'infrarosso. In alcune situazioni la diffusione di fotoni da parte di elettroni (effetto Compton) può anche diventare importante.

Si ammette generalmente che l'energia emessa dai quasar, dalle radiosorgenti intense e dai nuclei delle galassie sia energia gravitazionale e non sia di origine termonucleare. Si è pensato che tale energia possa essere generata o da esplosioni di più supernove, che liberano nel collasso una grande quantità di energia gravitazionale, o da collisioni fra stelle, o nel collasso gravitazionale di una singola stella di massa enormemente grande, o infine che derivi dall'energia rotazionale di una tale stella. E stato anche proposto che al centro dei quasar vi siano buchi neri probabilmente in rotazione veloce e che l'energia sia fornita dall'accrescimento di gas. L'energia totale emessa si determina sulla base della luminosità e della vita media dell'oggetto. La luminosità è un dato incerto in quanto dipende dall'ipotesi che si fa sulla distanza. Se gli spostamenti verso il rosso sono di origine cosmologica, le luminosità possono essere dell'ordine di 1046-1047 erg/s, cioè pari a 100 o 1.000 volte l'energia totale irraggiata per secondo da una galassia brillante, mentre se gli oggetti fossero a distanze di soli 100 milioni di anni luce le luminosità sarebbero di 1042-1043 erg/s, paragonabili cioè all'energia irraggiata dai nuclei, o dalle regioni centrali, di alcune galassie. Le vite medie della fase luminosa si suppone siano di circa 106-107 anni, di modo che l'energia totale irraggiata dev'essere compresa nell'intervallo tra 1056 e 1062 erg, che corrisponde all'energia che si sprigionerebbe dalla distruzione totale di un numero di masse solari compreso fra 102 e 108. (La legge di Einstein afferma che massa ed energia sono equivalenti, cioè che l'energia prodotta è uguale alla massa per il quadrato della velocità della luce). Nel caso di radiogalassie intense, sulle cui distanze non vi sono dubbi, si sa che l'energia totale liberata è di circa 1060-1062 erg. Poiché anche nelle situazioni più favorevoli, secondo la teoria generale della relatività, soltanto una piccolissima percentuale della massa di riposo può trasformarsi in energia, è chiaro che nei piccolissimi volumi osservati ci devono essere delle enormi masse. Gli studi teorici su questo problema non hanno ancora portato a nessuna teoria precisa accettabile. Vi sono due problemi di base: quello di capire come si possano produrre e come possano evolvere delle grandi concentrazioni di massa e quello di comprendere i meccanismi per i quali una gran parte dell'energia a disposizione si trasforma in particelle relativistiche che poi irraggiano la loro energia per mezzo di processi di sincrotrone o di diffusione Compton.

6. Relazione tra i quasar e altri fenomeni extragalattici.

Oggi si pensa che il fenomeno dei quasar sia legato strettamente alla violenta attività che ha luogo, anche se con potenze diverse, nei nuclei, cioè nelle regioni centrali di molte o forse anche di tutte le galassie. Questa attività si manifesta attraverso la generazione di radioonde e di raggi infrarossi e visibili di origine non termica, attraverso il riscaldamento e l'eccitazione di grandi masse di gas e attraverso l'espulsione sia di materia relativamente fredda sia di plasma relativistico (particelle cariche - elettroni - che si muovono con velocità prossima a quella della luce in un campo magnetico circostante). Il plasma relativistico dà luogo all'emissione radio da parte di regioni molto lontane dai centri di numerose galassie. Sia il nucleo della nostra galassia sia quelli di molte galassie vicine presentano alcune di queste caratteristiche di attività violenta, con potenze però assai più basse, così che non sarebbero osservabili se fossero a grandi distanze. Il fatto che tante galassie si comportino in questa maniera suggerisce che il fenomeno abbia luogo in modo quasi continuo durante gran parte della vita di una galassia. Una comprensione precisa della sequenza di eventi che porta a questa situazione si avrà soltanto quando sarà noto il modo in cui si formano ed evolvono le galassie e questo è un problema che va risolto nell'ambito di una teoria cosmologica. Se l'Universo è in evoluzione e se le galassie si formano dalla materia diffusa in uno stadio primitivo immediatamente successivo a una fase iniziale di altissima densità - secondo un modello proposto da molti studiosi -, occorre allora spiegare come si possa formare, attraverso stadi evolutivi successivi, un nucleo in cui si raggiungono densità sempre più alte, tanto compatto che, alla fine, l'energia gravitazionale liberata porti all'attività osservata. Una possibile alternativa, suggerita originariamente per altri motivi da Jeans e in tempi moderni da Mc Crea e da Hoyle e Narlikar, nell'ambito di una concezione statica dell'Universo, è che i nuclei delle galassie siano i luoghi in cui la materia viene creata e che l'attività dei quasar e dei nuclei in generale sia una manifestazione di questo fenomeno. Lo scienziato sovietico V. A. Ambartsumian, che già nel 1958 aveva indicato la grande importanza di questo tipo di attività, ha congetturato, nell'ambito delle teorie dell'Universo in espansione, che l'attività violenta abbia luogo in piccole regioni, nella configurazione iniziale di alta densità, in cui l'espansione sia stata variamente ritardata.

Evidentemente tali problemi sono di grande importanza, dal momento che in questo campo l'astronomia potrebbe influenzare direttamente le nostre idee sulla fisica fondamentale; finora, però, non è emerso nessun quadro chiaro.

Vi è una palese continuità tra il fenomeno dei quasar e l'attività nei nuclei delle galassie. Se si accetta che gli spostamenti verso il rosso siano tutti dovuti all'espansione dell'Universo, allora i quasar rappresenterebbero eventi più energetici ma simili a quelli che si osservano nei nuclei galattici. Ciò vorrebbe dire che in epoche corrispondenti a un valore di z pari a circa 2-3, l'Universo dev'essere passato attraverso una fase di attività molto maggiore di quella attuale. Se i quasar sono invece degli oggetti locali, le loro proprietà energetiche non sono molto maggiori di quelle di molti nuclei galattici e le potenti radiogalassie resterebbero le manifestazioni più energetiche dell'attività dei nuclei finora scoperte. In questo caso, tuttavia, l'esistenza di grandi spostamenti verso il rosso dovrebbe dipendere dalla fisica dei nuclei stessi.

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