QUASAR

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1981)

QUASAR

Livio Gratton

. Neologismo scientifico, derivato dalla locuzione inglese quasistellar radiosource (radiosorgente quasistellare, spesso abbreviata in QSS o QSRS), che indica una classe di oggetti astronomici scoperta nel 1962. La vera natura di questi oggetti è ancora alquanto misteriosa, perché le loro proprietà intrinseche appaiono in un certo senso contraddittorie, pur essendo praticamente certo che si tratta di oggetti extragalattici, cioè esterni alla nostra Galassia.

1. Scoperta delle quasar e loro proprietà generali. - Le prime osservazioni delle q. risalgono al 1960 o al 1961; in quell'epoca le osservazioni radioastronomiche erano divenute abbastanza precise da consentire l'identificazione di alcune radiosorgenti tra 100 e 5000 MHz di frequenza con oggetti osservabili con i metodi fotografici ordinari. In particolare si era potuto constatare così che la sorgente che porta il numero 48 nel 3° Catalogo di radiosorgenti dell'Osservatorio di Cambridge (G.B.), cioè la sorgente 3C 48, coincide con una stella di magnitudine 15, il cui spettro, allora, non si riusciva a interpretare; poco dopo vennero trovati altri tre casi analoghi ("radiostelle"), ma la vera scopera delle q. si verificò nel 1962, quando un gruppo di radioastronomi australiani, approfittando di un'occultazione lunare, poté determinare con grande precisione la posizione della radiosorgente 3C 273. Essi notarono inoltre che la sorgente appare doppia, cioè formata da due componentì A e B, separate tra loro di circa 22″; a 410 MHz la componente A è oltre due volte più intensa di B, mentre a 1420 MHz le due componenti sono circa ugualmente intense. La posizione di B coincide esattamente con quella di una "stella" di magnitudine 12,8, la cui immagine fotografica rivela una specie di "protuberanza" o "getto" luminoso che si prolunga per circa 20′′ e termina proprio dove dovrebbe trovarsi la componente A. Appena avuta notizia di queste osservazioni, un giovane astronomo olandese, appartenente all'Osservatorio del M. Palomar, M. Schmidt, esaminando lo spettro (ottico) della "stella" riuscì a interpretarne le caratteristiche, dimostrando che esso è emesso da un gas a elevata temperatura, come si osserva nelle nebulose gassose, le cui righe spettrali sono fortemente spostate verso le grandi lunghezze d'onda e si sovrappongono a uno spettro continuo non-termico, cioè con una distribuzione spettrale dell'energia profondamente diversa da quella che si osserva nelle stelle ordinarie. Lo spostamento verso il rosso (red shift) delle righe spettrali di 3C 273 è o,158 volte la loro lunghezza d'onda: z = 0,158; interpretato come effetto Doppler, esso indica che l'oggetto si allontana con una velocità V = cz ≈ 47.000 km/sec. Interpretato allo stesso modo, lo spettro di 3C 48 indica una velocità di quasi 91.000 km/sec. avendo tenuto conto dell'equazione dell'effetto Doppler data dalla teoria della relatività.

Velocità così elevate si trovano solamente tra le galassie, cioè tra le nebulose extragalattiche molto lontane, e vengono attribuite all'espansione dell'Universo ("red shift cosmologico"). L'opinione più diffusa è che anche i red shift delle q. abbiano la stessa origine, soprattutto perché ogni altra interpretazione porta con sé difficoltà insormontabili, al punto da richiedere la postulazione di nuove leggi fisiche, come diremo più avanti. Se i red shift delle q. sono cosmologici, esse sono gli oggetti più lontani e più luminosi che esistono nell'Universo. Il massimo red shift osservato, z = 3,53, spetta a una q. di magnitudine 20: la q. OQ 172; la velocità corrispondente è di più di 270.000 km/sec, poco meno della velocità della luce. Non è molto chiaro quale significato si debba dare alla "distanza" di questi oggetti; più corretto è parlare del tempo impiegato dalla luce ad arrivare a noi. Per calcolare questo tempo occorrerebbe un modello cosmologico, ma l'ordine di grandezza si può valutare a circa 15 miliardi di anni; ciò significa che l'oggetto OQ 172 che noi osserviamo ora risale, in realtà, all'epoca in cui nella nostra Galassia incominciavano a formarsi le prime stelle ed è molto più antico del Sole e di quasi tutte le stelle.

Per essere osservabili a queste enormi distanze, le q. devono essere luminosissime: 3C 273 ha una magnitudine assoluta pari a -27, cioè è 100 volte più luminosa della Galassia; l'energia messa da questa q. per unità di tempo è più di 6000 miliardi di volte quella emessa dal Sole. La q. PHL 957 è ancora 10 volte più luminosa. Queste energie si riferiscono all'emissione ottica e ultravioletta; la potenza corrispondente alla radioemissione, pur essendo molto elevata, è assai meno rilevante.

Nonostante questi valori elevatissimi della potenza irradiata, le dimensioni delle q. sono modeste. Questo è dimostrato non tanto dall'aspetto stellare, cioè puntiforme, quanto dalla variabilità dell'emissione. Infatti le dimensioni di una sorgente variabile devono essere minori del tempo caratteristico della variazione, moltiplicato per la velocità della luce; in caso contrario la luce proveniente dalle diverse parti della sorgente giungerebbe all'osservatore sfasata in modo tale da non rendere percettibile la variazione. In varie q. sono state osservate più volte variazioni molto forti in tempi dell'ordine di un giorno; ciò dimostra che la regione che in un certo istante contribuisce alla maggior parte dell'emissione deve possedere dimensioni che non superano quelle del sistema solare. Naturalmente l'intero oggetto potrebbe essere alquanto più grande, se fosse formato da più regioni di emissione, che divengono attive in tempi diversi. Ciò è confermato dalle osservazioni interferometriche intercontinentali, le quali hanno rivelato la struttura complessa di alcune quasar. Per es., 3C 273 è costituito da varie radiocomponenti, di cui le due principali sono quelle scoperte nel 1962. È notevole che queste radiocomponenti, divenendo attive in istanti successivi, producono l'impressione di moti interni con velocità superiore a quella della luce. Non è chiaro però se questa struttura "composita" si riferisca unicamente alla radiosorgente o anche alla sorgente dell'emissione ottica e ultravioletta.

2. Modelli delle quasar; radiogalassie e nuclei galattici. - La fonte primaria dell'energia irradiata è ancora sconosciuta; è certo che le normali fonti nucleari - sintesi di elio e altri elementi a partire da nuclei di idrogeno - che alimentano l'emissione delle stelle, non sono sufficienti. Generalmente si assume che la fonte primaria sia il collasso gravitazionale di masse molto grandi; il collasso gravitazionale può, in linea di principio, "liberare", cioè trasformare in altre forme, un'energia pari alla metà della massa di un corpo moltiplicata per il quadrato della velocità della luce. D'altra parte il collasso di una massa molto grande - un milione di masse solari - inizialmente in equilibrio non produce, ma assorbe energia! Bisogna allora pensare a un grandissimo numero di piccole masse - dell'ordine di qualche decina di masse solari al più - le quali collassano in modo più o meno indipendente; ma anche questa ipotesi conduce a difficoltà molto gravi, se si considera il volume relativamente piccolo in cui dovrebbero essere contenute.

Comunque, dalle considerazioni energetiche emerge la conclusione che l'emissione delle q. non può essere di lunga durata, se confrontata con la durata dell'evoluzione di una stella o di una galassia. La vita di una q. in quanto tale non dovrebbe superare un milione di anni - di fronte ai 15 miliardi di anni, corrispondenti all'età della nostra Galassia e, presumibilmente, di quasi tutte le altre galassie conosciute. Si presenta, allora, naturale la possibilità che il "fenomeno quasar" sia un episodio transitorio dell'evoluzione di una classe più vasta di oggetti celesti, ed è anche naturale identificare questi oggetti con le galassie, i soli oggetti conosciuti che possiedano masse dell'ordine di grandezza necessario. Ovviamente sarebbe prematuro identificare questo episodio con la fase iniziale (la "nascita") o con quella finale (la "morte") di una galassia. Sarebbe anche prematuro affermare che tutte le galassie o anche solo le galassie di massa abbastanza grande debbano a un certo momento o più volte attraversare la fase "quasar". Piú corretto è farsi guidare da queste considerazioni per cercare se nelle galassie, più o meno "normali", si verificano fenomeni o processi che presentano qualche analogia con quelli osservati nelle quasar.

Ora un'evidente analogia è quella con le cosiddette "radiogalassie", cioè con galassie, per lo più ellittiche giganti, associate a una forte radioemissione. La maggior parte di queste deve la propria radioemissione a enormi nubi di plasma, in cui gli elettroni possiedono velocità pari a quella della luce (plasma relativistico); questi elettroni estremamente energetici movendosi in un volume in cui esistono campi magnetici emettono onde elettromagnetiche con il cosiddetto meccanismo di sincrotrone. La radiazione di sincrotrone, a seconda dell'intensità del campo magnetico e dell'energia degli elettroni, può estendersi su tutto lo spettro delle onde elettromagnetiche, dalle radioonde fino ai raggi X e gamma. Siccome l'energia irradiata viene fornita dagli elettroni del plasma, questi perdono rapidamente la loro energia e dopo qualche tempo il Plasma deve cessare di emettere a meno che gli elettroni non vengano continuamente accelerati; perciò una teoria delle radiosorgenti basata sul meccanismo di sincrotrone deve prevedere anche un processo capace di accelerare elettroni fino a energie enormi. Questo processo può svolgersi in modo più o meno continuo durante un certo periodo di attività o essere concentrato in un unico evento iniziale, dopo di che gli elettroni emettono radiazione fino a esaurire la loro energia.

Nel caso delle radiogalassie molto spesso, ma non sempre, le nubi di plasma sono due e si presentano simmetricamente e ben allineate con il centro della galassia a cui sono associate; esse occupano per lo più un volume molto più grande di quello della galassia e si estendono fino a distanze che possono arrivare a qualche centinaio di volte il raggio di questa, cioè fino a qualche megaparsec (i megaparsec = 3,26 milioni di anni luce), cioè fino a distanze dello stesso ordine o maggiori di quelle che separano una galassia dalle altre. Malgrado queste enormi distanze vi è un generale consenso tra gli studiosi che le nubi radioemittenti siano originate da una sorta di attività violenta che si verifica nelle regioni centrali ("nucleo"); s'ignora peraltro quale sia la natura fisica di questa attività e il meccanismo con cui le nubi di plasma possano pervenire a queste distanze senza sparpagliarsi per effetto dei moti individuali delle particelle e senza che queste perdano nel loro cammino la loro energia per irraggiamento e per l'espansione, se l'energia da esse posseduta è stata loro conferita al momento dell'espulsione dal nucleo della galassia madre.

Talora è stata osservata anche l'emissione di radioonde, nonché di onde infrarosse e raggi X dalle regioni centrali di queste galassie, come nel caso delle radiogalassie Centaurus A e Cygnus A, che sono fra le più tipiche radiogalassie con estese nubi di plasma relativistico. Ma un'emissione più concentrata è caratteristica di un altro gruppo di radiogalassie, come la galassia M 87 (Virgo A). Comunque questa e anche altre osservazioni si possono considerare come un valido indizio che l'attività primaria che, in definitiva, è la vera causa della radioemissione e dei fenomeni a essa associati, risiede effettivamente nel nucleo delle galassie; ma l'attività nucleare è soprattutto caratteristica di un gruppo non molto numeroso di spirali, dette "galassie di Seyfert". Le galassie di Seyfert sono radiosorgenti di bassa o moderata intensità; otticamente si presentano con un nucleo estremamente brillante, tanto che nelle fotografie con posa molto lunga la sua immagine copre totalmente le spirali, che possono essere osservate solo con pose intermedie. Ma soprattutto l'emissione delle galassie di Seyfert è intensa nello spettro infrarosso, dove la quantità di energia emessa (dal nucleo) è pari e addirittura superiore a quella emessa da tutta la nostra Galassia nello spettro visibile. In molti casi l'emissione ottica e infrarossa dei nuclei delle galassie di Seyfert rivela forti variazioni d'intensità con tempi caratteristici di qualche giorno o qualche settimana.

3. Processi esplosivi nei nuclei galattici. - La presenza nel centro della nostra Galassia di un oggetto di natura molto complessa, la radiosorgente Sagittarius A, che è anche una sorgente di raggi X e di radiazioni infrarosse - benché per molti ordini di grandezza meno potente dei nuclei delle galassie di Seyfert - fa pensare che il nucleo propriamente detto di una galassia sia un corpo (o un insieme di corpi) di questo tipo, che è sede di un'attività violenta, forse intermittente, la cui causa primaria ci sfugge e si manifesta, oltre che con l'emissione di radiazione di origine non-termica in varie regioni spettrali, anche con la proiezione di masse di plasma nello spazio circostante. L'espulsione in forma esplosiva di masse gassose si osserva nelle regioni centrali della nostra Galassia e, con violenza assai maggiore, nelle galassie di Seyfert. Anche la formazione di "getti di plasma" o protuberanze, come nella galassia M 87 (Virgo A) o di filamenti gassosi in rapida espansione, come in M 82 e in NGC 1275 (Perseus A) - quest'ultima è considerata una galassia di Seyfert, benché atipica - e, infine, probabilmente l'origine delle nubi di plasma relativistico, come quelle di Cygnus A, appartengono alla stessa classe di fenomeni, sebbene su scala e modalità diverse.

Benché la natura profonda di questa violenta attività, com'è stato detto più volte, sia del tutto sconosciuta, è molto diffusa tra gli specialisti della materia l'opinione che anche i fenomeni delle q. appartengano alla medesima categoria. Se questa opinione è corretta, ciò significa che nel cosmo, accanto ai processi normali che accompagnano l'evoluzione delle stelle - e che talora possono avere anche manifestazioni molto violente, come avviene nell'esplosione di una supernova - si verificano altri processi che interessano energie e quindi masse molto maggiori. Dal punto di vista osservativo, le belle osservazioni di J. Kristian all'Osservatorio del M. Palomar sembrano dimostrare al di là di ogni dubbio l'affinità delle q. con i nuclei galattici. Le dimensioni dell'immagine di un oggetto "puntiforme" (stella o q.) sulle fotografie celesti dipendono dalla sua magnitudine (apparente) e dal tempo di esposizione; quelle di un oggetto esteso (galassia o nube gassosa) dipendono invece dalle sue dimensioni intrinseche e dalla sua distanza. Supponiamo allora che nel centro di una galassia G si trovi una q. A - che potrebbe essere il nucleo di G in una fase di grande attività - della quale è stato misurato il red shift; assumendo che G appartenga a una certa categoria di galassie - per es., che G sia un'ellittica gigante - si può calcolare in base al red shift di A quali dovrebbero essere le dimensioni dell'immagine di G e anche il tempo di posa necessario perché questa immagine appaia nella fotografia; d'altra parte, data la magnitudine apparente di A, si può anche verificare se, con quel tempo di posa, l'immagine di A sarebbe così grande da coprire completamente quella di G, rendendola inosservabile, oppure no. In tutti i casi in cui si prevedeva in tal modo di poter osservare una galassia sovrapposta a una q., essa fu effettivamente osservata e viceversa, quando si prevedeva che la galassia non fosse osservabile, essa non fu osservata. Inoltre, è stato possibile verificare che la magnitudine apparente delle galassie sottostanti a q. è in accordo con la relazione magnitudine-red shift (legge di Hubble) corrispondente alle gatassie normali, cioè senza una q. associata, assumendo come red shift quello della quasar. Anche il caso di BL Lacertae rientra in questo tipo di oggetti: gli osservatori del M. Palomar non hanno dubbi che si tratta di una galassia ellittica nel cui centro si trova una q., che ne forma il nucleo.

Oltre alle q. propriamente dette, che sono potenti radiosorgenti, esiste un'altra importante categoria di "oggetti quasistellari" (QSO, QuasiStellar Objects), che si potrebbero chiamare "q. radioquiete", scoperti da A. Sandage nel 1965. La scoperta non avvenne per caso; già da tempo era stato notato che alle alte latitudini galattiche, cioè in prossimità dei poli della Galassia, esiste un numero di stelle, con un eccesso di emissione ultravioletta, più elevato di quello che si aspettava. Un eccesso di emissione ultravioletta è per lo più indice di alta temperatura e le stelle di alta temperatura si possono dividere "grosso modo" in due categorie: stelle B di recente formazione e alta luminosità, che sono confinate al piano galattico, e stelle poco luminose di varie classi (nane bianche, variabili esplosive, ecc.), che si trovano un poco dappertutto. Anche le q., però, possiedono un forte eccesso di radiazione ultravioletta, ma, come tutti gli oggetti extragalattici, sono più numerose verso i poli della Galassia, perché l'estinzione della luce da parte della materia interstellare ne impedisce l'osservazione nella prossimità dell'equatore galattico, dove tale materia è più densa. A. Sandage si chiese, allora, se una parte degli oggetti con eccesso ultravioletto ad alte latitudini galattiche potessero essere, anziché stelle, delle q. senza radioemissione. L'osservazione spettroscopica rivelò effettivamente che una percentuale considerevole degli oggetti ad alta latitudine galattica con eccesso ultravioletto presenta uno spettro ottico simile a quello delle q. con red shift molto elevato.

Siccome gli oggetti da osservare a tale scopo sono selezionati tra quelli di cui è stato misurato il colore, da cui si può riconoscere se presentano un eccesso ultravioletto, le osservazioni sono limitate a oggetti relativamente brillanti; ciononostante, Sandage fu in grado di concludere che le QSO, o q. radioquiete, sono più numerose delle q. radioemittenti e si devono considerare una componente importante dell'Universo fisico.

4. La polemica del red shift. - Malgrado l'opinione contraria prevalente, alcuni autorevoli astrofisici, come H. Arp, G. Burbidge e anche, seppure con minore decisione, F. Hoyle, sostengono che il red shift delle q. non sia cosmologico, cioè non sia un indice di distanza. Essi pensano che se il red shift non fosse cosmologico, le q. sarebbero relativamente vicine e quindi le luminosità precedentemente indicate dovrebbero essere drasticamente ridotte; ciò permetterebbe, secondo l'opinione di questi studiosi, di superare più facilmente le difficoltà di trovare fonti adeguate di energia. In tal caso, però, si presentano due sole possibilità: o i red shift corrispondono a un effetto Doppler e quindi le velocità misurate sono reali, oppure sono dovute a un effetto ancora sconosciuto, una nuova legge della fisica.

Se le velocità sono reali, le q. sarebbero oggetti espulsi presumibilmente dai nuclei galattici con enormi velocità, il che ripropone con gravità pressappoco immutata il problema della fonte di energia. Ma soprattutto, in questo caso non si comprende perché tutti gli spostamenti spettrali siano verso il rosso e quindi indichino velocità solamente positive, cioè corrispondenti a moti di allontanamento. Certamente i corpi espulsi dalla nostra Galassia si allontanano, ma noi dovremmo osservare almeno qualcuno dei corpi espulsi dalle galassie più vicine, che avvicinandosi dovrebbero avere le righe spettrali spostate verso le corte lunghezze d'onda, cioè verso il violetto. Per quanto concerne la seconda possibilità, ogni scienziato serio è molto riluttante ad ammettere una nuova legge della natura ogni volta che viene scoperto un fenomeno apparentemente inesplicabile. Perciò da parte dei sostenitori di essa si attribuisce molta importanza all'esistenza di altri oggetti, oltre eventualmente alle q., i quali possiedano red shift anomali, cioè non spiegabili mediante cause conosciute. La polemica sui red shift è stata particolarmente vivace tra gli anni 1970 e 1973 soprattutto a seguito delle osservazioni di Arp, il quale fece notare che esistono vari esempi di gruppi di galassie apparentemente associate e quindi presumibilmente vicine nello spazio, nei quali uno dei membri aveva un red shift considerevolmente diverso da quello degli altri, talora maggiore e talora minore. Secondo Arp e Burbidge questi gruppi o associazioni di galassie non sono un semplice effetto casuale di prospettiva e quindi esistono delle differenze reali tra i red shift, che sono troppo grandi per essere spiegate da differenze tra i moti delle diverse galassie di un gruppo se esse sono fisicamente associate. L'esempio più tipico è il cosiddetto "quintetto di Stephan", formato da 5 galassie le cui immagini sono così vicine da apparire quasi a contatto; tuttavia una di esse ha un red shift molto minore di quello delle altre quattro. È però praticamente certo che la galassia discrepante è molto più vicina a noi che le altre quattro e appartiene a un altro gruppo di galassie alquanto disperso che si proiettano nella stessa regione celeste. Questo esempio dà pertanto ragione a coloro che, come J. Bahcall, sostengono che non è possibile affermare, in base soltanto a una distribuzione apparentemente poco probabile sulla sfera celeste, che gruppi di galassie siano tra loro fisicamente associate; di fatto non esiste neppure un caso in cui i red shift anomali non possano essere attribuiti a effetti prospettici che fanno apparire associate galassie in realtà lontanissime tra loro.

L'importanza delle q. per la cosmologia, date le loro enormi distanze è stata sottolineata da molti autori, ma la grande dispersione delle loro magnitudini assolute ha impedito finora ogni applicazione sicura allo studio delle grandi leggi cosmologiche fondamentali (espansione dell'Universo). Così pure, come si è visto, è ancora misteriosa la loro natura fisica intrinseca e la loro relazione con il problema generale dell'origine e dell'evoluzione delle galassie.

Bibl.: G. Burbidge, M. Burbidge, Quasi-stellar objects, San Francisco 1967; S.A. Colgate, Quasistellar objects and Seyfert galaxies, in Physics Today, 22 genn. 1969; K.J. Kellermann, Radiogalaxies and quasars, in Galaxies and extragalactic radioastronomy, New York e Berlino 1974. Si veda inoltre la bibliografia della voce pulsar, in questa Appendice.

TAG

Spostamento verso il rosso

Radiazione di sincrotrone

Teoria della relatività

Onde elettromagnetiche

Magnitudine apparente