QUATERNARIO

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1994)

QUATERNARIO

Paolo Roberto Federici

(App. III, II, p. 535)

I problemi riguardanti il Q. si sono dimostrati con il tempo sempre più complessi e interconnessi con lo sviluppo della società umana, come si è constatato al 12° Congresso dell'INQUA (International Association on Quaternary Research), tenutosi a Ottawa nel 1987. Rimangono aperte numerose questioni, da quella della stessa terminologia (anche se ormai la dizione ''Quaternario'' sembra prevalente), a quella della sua pertinenza al Cenozoico o a un'era distinta (il Neozoico), alla sua suddivisione in due periodi, il Pleistocene e l'Olocene, che per alcuni non è giustificata. Tuttavia sembra assai improbabile che vengano portate innovazioni per termini e concetti in uso da moltissimo tempo e universalmente intesi. Anche sull'età complessiva del Q. sono stati indicati valori diversi, fino a 2,3 milioni di anni sulla base della stratigrafia delle faune, fino a oltre 3 milioni di anni sulla base di datazioni radiometriche effettuate su depositi glaciali.

I metodi già conosciuti di datazione geochimica (C14, K40/Ar40, Ar40/Ar39, serie dell'U, delle paleotemperature con gli isotopi dell'O, delle varve) sono stati affinati e ne sono stati usati altri, tra i quali: il metodo delle tracce di fissione (tefrocronologia), basato sulla fissione dell'U238 e applicato a vetri e minerali vulcanici; quello della termoluminescenza, applicato ai grani di quarzo di loess o sabbie; quello della magnetostratigrafia, basato sul principio della magnetizzazione termorimanente nelle rocce; quello della racemizzazione degli aminoacidi, per ossa, denti e gusci di molluschi; quello della lichenometria, che, con la dendrocronologia e la palinologia, questa in grandissimo sviluppo, si è affermato per misurazioni dell'Olocene recente ed è basato sulla correlazione fra l'accrescimento di alcuni licheni, in particolare Rhizocarpon geographicum, e l'età degli stessi.

Attualmente prevale la tendenza a far iniziare il Pleistocene a 1,6 milioni di anni fa sulla base di datazioni di sedimenti oceanici continui, nei quali è stato possibile compiere analisi isotopiche dell'ossigeno dei gusci di foraminiferi e misure paleomagnetiche. Nel Pleistocene così limitato sarebbe compreso il periodo a polarità magnetica normale Brunhes (fino a 700.000 anni fa) e il periodo a polarità inversa Matuyama fino alla sommità dell'evento, a polarità positiva, Olduvai. Rimangono tuttora difficili le correlazioni fra i sedimenti oceanici e quelli continentali o marini affioranti, ma va riconosciuto che l'evento Olduvai ha valore planetario. D'altra parte la ricerca del limite Plio-Pleistocene nella serie marina di S. Maria di Catanzaro, che fu indicata quale strato-tipo, ha trovato obiettive difficoltà, anche se nella sezione di Vrica (Catanzaro) il limite P-P sembra attestarsi proprio intorno a 1,65 milioni di anni. Nonostante questa situazione, nel Mediterraneo si cerca sempre di stabilire una stratigrafia basata sui classici stratotipi marini e piani cronostratigrafici convenzionali. Un'organica proposta prevede: un piano Selinuntiano, con 3 sottopiani, Santerniano (Calabriano Auctt.), Emiliano, Siciliano, per il Pleistocene inferiore; un piano Crotoniano per il Pleistocene medio; un piano Tirreniano per il Pleistocene superiore; e un piano Versiliano (=Flandriano) per l'Olocene. Ognuno di essi è ovviamente caratterizzato da una fauna propria, sempre dipendente dal principio di distinguere nel Mediterraneo le faune immigrate dalle zone calde o dalle zone fredde e quindi di far coincidere l'inizio del Q. con la comparsa dei primi ospiti freddi, in particolare il lamellibranco Arctica islandica. La contemporaneità fra i primi sintomi di raffreddamento nel Mediterraneo e in altre regioni rimane tuttavia un problema irrisolto. La calotta glaciale antartica, per es., ha cominciato a formarsi già prima del Pliocene ed è sicuro che anche le altre, poi scomparse, del Nord Europa e del Nord America hanno avuto un inizio precoce rispetto ai primi freddi mediterranei. Da qui le proposte di scale basate sui sedimenti oceanici.

I mutamenti del clima rimangono il tema di maggior interesse del Q., poiché essi hanno provocato da una parte un'estensione dei ghiacciai maggiore di quella attuale e dall'altra una diminuzione del livello del mare, il tutto ripetuto più volte. Non solo, ma faune, flore e ambienti a tutte le latitudini hanno subito profonde trasformazioni in conseguenza di tali mutamenti, cosicché il volto odierno della superficie terrestre è in parte un'eredità delle vicende del Pleistocene, anche se diversi dati starebbero a indicare che mutamenti climatici cospicui si sono avuti anche nel Terziario. È un fatto che la temperatura media sembra sia progressivamente diminuita lungo tutto il Terziario per cause non note. I dati ricavati dalle carote oceaniche e confermati dagli studi sui loess della Cina, dell'URSS e dell'Europa, stanno a indicare non meno di 17 cicli glaciali negli ultimi 1,6 milioni di anni (9 nell'epoca Brunhes), molti di più delle quattro (poi divenute sei) glaciazioni del classico modello alpino di Penck e Brückner. Tuttavia, anche negli schemi del passato ogni glaciazione aveva più di una fase (stadio) di avanzamento e di ritiro. Sebbene aspre critiche vengano rivolte a coloro che tentano correlazioni a distanza senza datazioni di supporto, innumerevoli schemi di cronologia e nomenclatura quaternaria sono stati proposti. Può essere comunque confortante il fatto che le datazioni radiometriche dimostrino una sostanziale contemporaneità dell'ultima glaciazione, con acme a 18÷20.000 anni fa, nell'emisfero settentrionale (Würm, Alpi; Weichsel, Nord Europa; Devensian, Isole Britanniche; Valdai, Russia; Wisconsin, Nord America), ma è ancora un problema aperto quello della simultaneità degli eventi glaciali nei due emisferi e nelle zone di montagna. Attualmente si tende a convergere sull'idea della simultaneità dei cambiamenti climatici, pur tenendo conto del complesso rapporto alle varie latitudini dell'insolazione con l'atmosfera e l'idrosfera terrestri. Molti lavori indicherebbero che le quattro più recenti glaciazioni siano comparse negli ultimi 900.000 anni, cioè dopo l'evento a polarità magnetica normale Jaramillo (situato entro l'epoca Matuyama), cosicché si potrebbe distinguere un Pleistocene Glaciale da uno precedente caratterizzato da minori punte delle temperature dei momenti più freddi. Le carote oceaniche mostrano appunto un aumento della frequenza delle oscillazioni climatiche fredde dopo l'evento Jaramillo. Moltissimo resta dunque da fare, soprattutto in termini di correlazione fra episodi continentali e marini e, quindi, di ricerca di una scala cronostratigrafica del Pleistocene che possa godere del favore della maggioranza degli studiosi appartenenti a discipline diverse.

In questo quadro la regione alpina ha perduto il suo ruolo di riferimento per la stratigrafia continentale e l'Italia riveste tuttora un ruolo incerto per quella marina, che pure nelle risoluzioni dei consessi internazionali era stata indicata come il luogo di elezione degli stratotipi quaternari. Un dato acquisito è la relativamente lunga evoluzione delle fasi glaciali e, al contrario, la veloce deglaciazione. Il fatto dovrebbe essersi verificato anche nell'ultimo glaciale e nel periodo successivo, convenzionalmente indicato come Tardiglaciale, fino a 10.000 anni fa, e successivamente come Post-Glaciale od Olocene o Recente. Per molti studiosi siamo comunque attualmente in un periodo Interglaciale. Gli studi sull'Olocene hanno raggiunto un'intensità eccezionale anche per la convergenza delle più diverse discipline, perfino quelle storiche, interessate ai mutamenti climatici che possono aver avuto una qualche influenza sulla vita delle comunità. Inoltre la preoccupazione per l'eventuale influenza dell'attività antropica sul clima e sull'ambiente terrestri spinge alla ricerca di modelli evolutivi fisici che possano conciliarsi con quelli dello sviluppo della società umana. Il limite dell'Olocene a 10.000 anni è un ragionevole compromesso fra dati diversi e si colloca fra il massimo freddo dell'ultima glaciazione e l'optimum post glaciale. Questo momento, posto a circa 7000 anni fa, fu caratterizzato da temperature più alte e maggiori precipitazioni rispetto a oggi. Da allora la temperatura media è andata calando (misure in Scandinavia indicano 2°C), però con oscillazioni che sembra abbiano avuto un rilevante significato per la storia umana.

A tutt'oggi le principali fasi climatiche riconosciute nell'Olocene sono: 1) un periodo caldo dal 4000 al 2000 a.C.; 2) un periodo freddo dal 1000 o 900 al 300 a.C. con acme negli anni più remoti; 3) un periodo caldo medievale tra l'800 e il 1200 d.C.; 4) un periodo freddo, detto ''Piccola Età Glaciale'', tra il 1400 e il 1850; 5) un periodo caldo a partire dal 1850 con un raffreddamento fra il 1962 e il 1985 circa. Tuttavia il comportamento climatico appare in generale assai complesso: sono segnalate infatti fasi minori, accertate localmente, come una fase fredda tra il 400 e il 900 d.C. culminata nell'800, e un'altra ancora tra 1200 e 1350 d.C., che per alcuni non rappresenta altro che l'inizio della Piccola Età Glaciale. Una fase caldo arida, molto discussa per i supponibili riflessi storici quali la fine della civiltà micenea e lo spopolamento di Creta, avrebbe avuto inizio verso il 1200 a.C. e soltanto verso il 900 a.C. si sarebbe avuto il ripristino di precipitazioni più abbondanti. Molte risposte sono state date dallo studio delle oscillazioni frontali dei ghiacciai. Da essi viene confermata l'importanza della Piccola Età Glaciale, che quasi ovunque ha segnato il massimo delle avanzate glaciali oloceniche. In genere si ritiene che le variazioni termiche non abbiano superato il grado rispetto alle medie odierne.

Nonostante varie ipotesi, alcune classicamente conosciute, non si hanno a tutt'oggi convinzioni documentate sulle cause dei cambiamenti climatici maggiori e minori. Le vecchie ipotesi di una causa generale di tipo astronomico, come quella fondamentale di M. Milanković, dopo una lunga eclisse hanno ripreso vigore e su di esse è ripreso a lavorare. Va ricordata infine l'influenza del mare sul clima a partire dalla fine dell'ultima glaciazione: l'oscillazione del livello del mare è una combinazione di variazione eustatica delle acque e isostasia delle terre deglacializzate. Da circa 14.000 anni il mare ha iniziato a risalire, prima rapidamente (fino a 1 m/anno) poi con un ritmo più lento, dando origine alla trasgressione Flandriana, che secondo molti è il più importante avvenimento della storia recente della Terra, in quanto il mare, risalendo da 110 m circa del massimo negativo di 18÷20.000 anni fa ai livelli odierni, ha influito decisamente sul clima, sull'evoluzione e migrazione di flore e faune, e sull'uomo, e ha costituito il livello di riferimento per la costruzione dei paesaggi morfologici attuali. Dopo la Piccola Età Glaciale si assiste, oltre che a una progressiva erosione costiera, diversa da luogo a luogo e dovuta anche a una diminuzione degli apporti sedimentari dal continente, a un incremento del livello medio dei mari, che può destare qualche preoccupazione per l'uomo.

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