Rabbia

Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2008)

rabbia

Mauro Capocci

Malattia infettiva provocata da un virus a RNA che determina un’encefalite a esito letale. Viene trasmessa all’uomo da animali infetti tramite la saliva o per lambitura di una ferita aperta. La malattia è già menzionata nel Codice di Hammurabi redatto tra il 1792 e il 1750 a.C., ma solo nel XX sec. è divenuto possibile contrastarla con successo, attraverso la preparazione di vaccini sempre più efficaci, l’identificazione delle tipiche inclusioni citoplasmatiche (corpi del Negri) nelle cellule nervose infette e lo sviluppo di un test per la diagnosi di animali sospetti. Una volta penetrato nell’organismo, il virus rimane localizzato nella sede dell’inoculazione per gran parte del suo periodo di incubazione (estremamente variabile, ma solitamente 1÷2 mesi), replicandosi nei tessuti muscolari prima di arrivare ai nervi periferici. Dal momento in cui vengono colpiti i nervi periferici, l’infezione decorre piuttosto rapidamente e, attraverso i gangli spinali, arriva al cordone spinale per proseguire, tramite passaggio cellula-cellula, verso il sistema nervoso centrale. Raggiunto il cervello inizia la sua diffusione agli organi periferici. Durante la fase prodromica della malattia i sintomi sono piuttosto generici e possono coinvolgere il tratto respiratorio, gastrointestinale o il sistema nervoso centrale. Successivamente i sintomi a carico del sistema nervoso centrale divengono più specifici: agitazione, fotofobia, insonnia, incubi, disturbi psichiatrici. Nella sede del morso si verificano bruciori, indolenzimento, prurito. Nell’uomo, una volta che il virus rabbico ha raggiunto il sistema nervoso centrale, l’infezione ha un esito letale. La prevenzione della rabbia umana è stata resa possibile grazie alla disponibilità di un virus fisso, che presentasse, cioè, un periodo di incubazione fisso (5÷8 giorni), un ridotto numero di corpi del Negri nelle cellule infette, e l’incapacità di infettare per via extracerebrale. Tali virus sono stati utilizzati per la preparazione di vaccini antirabbici sia per la somministrazione all’uomo sia per la vaccinazione di animali. Già nel 1885 Luis Pasteur dimostrò l’efficacia del vaccino vivente attenuato, ma i primi vaccini, prodotti utilizzando sospensioni di tessuto nervoso di animali infetti, presentavano effetti collaterali imputabili alla presenza di virus vivente residuo e a fattori in grado di scatenare una reazione autoimmune. Più recentemente, sono stati introdotti vaccini preparati con cellule umane cresciute in vitro. Questi ultimi si sono dimostrati largamente superiori a tutti i precedenti poiché sono completamente privi di effetti collaterali, riducono il numero di dosi vaccinali da somministrare e, inoltre, inducono una risposta immunitaria più elevata e duratura. La vaccinazione di cani e gatti è stata comunque la principale causa del rapido declino della malattia nell’uomo. La profilassi antirabbica precontagio è attuata solo per soggetti a forte rischio (veterinari, cacciatori, forestali, laboratoristi ecc.). Nel caso di esposizione al virus rabbico, la combinazione di siero iperimmune (a elevato titolo anticorpale verso il virus) e vaccinazione previene, salvo rarissime eccezioni, la malattia.

Virus.

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