RADIOATTIVITÀ

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

RADIOATTIVITÀ (XXVIII, p. 690)

Giovanni BOATO
Mariano SANTANGELO

Il fenomeno della radioattività ha, negli ultimi anni, acquistato nuovo interesse; l'impiego delle pile e dei ciclotroni ha reso difatti possibile la produzione di numerosi radioelementi artificiali in quantità ingenti. Mentre la grande varietà degli isotnpi radioattivi preparati ha notevolmente accresciuto i dati sperimentali relativi alle radiazioni β e γ, l'abbondanza di alcuni di essi ne ha consentito applicazioni prima d'ora precluse, che sconfinano anche nel campo industriale. Tutto ciò ha favorito un rapido progresso nella conoscenza dei fenomeni concernenti la radioattività, sia dal lato teorico, sia da quello dei metodi di misura. Nel campo strettamente teorico restano valide in linea di massima tutte le conclusioni già raggiunte studiando la radioattività naturale; i metodi di misura si sono invece notevolmente migliorati e semplificati, anche per facilitare le misure alle persone inesperte che si servono delle sostanze radioattive solo come mezzo ausiliario.

Radiazioni β e γ: nuovi dati sperimentali e sviluppo della teoria. - Il neutrino. - Il successo ottenuto da E. Fermi con la sua teoria della disintegrazione β (1934) accordò pieno favore all'ipotesi del neutrino, formulata da W. Pauli nel 1933, per giustificare l'andamento continuo dello spettro energetico degli elettroni emessi.

Varî tentativi sono stati compiuti da allora per dimostrare sulle basi dell'esperienza l'esistenza del neutrino, ma sono rimasti senza successo. Ricordiamo ad esempio l'esperienza di J. S. Allen (1942); essa si basa sull'ipotesi che all'emissione del neutrino corrisponda un rinculo da parte del nucleo, secondo le leggi della meccanica; scegliendo un nucleo leggero radioattivo che emetta solo neutrini, si dovrebbe poter mettere in evidenza il suddetto rinculo. J. S. Allen scelse per i suoi esperimenti il Be7, che decade per cattura K (vedi sotto), e quindi, per la teoria di E. Fermi, deve emettere solo neutrini; ma non ottenne risultati plausibili. Il debole effetto di rinculo, da lui messo in evidenza, era purtroppo soggetto a correzioni troppo grandi per essere attendibile. La stessa sorte ebbero altre esperienze del genere, sicché la più convincente prova (se tale si può chiamare) dell'esistenza del neutrino resta il buon accordo della teoria di E. Fermi con i dati sperimentali.

Radioattività per cattura K. - Un nucleo radioattivo β+ invece di disintegrarsi con emissione di un positrone, può catturare uno degli elettroni dell'atomo, con conseguente emissione di un quanto x, dovuto alla caduta di un elettrone esterno sull'orbita lasciata libera. In altre parole, dato che una disintegrazione β+ è semplicemente la trasformazione di un protone nucleare in un neutrone, è logico supporre che in determinati casi questa trasformazione possa avvenire direttamente per cattura di un elettrone atomico. Questa osservazione fu fatta da H. Yukawa nel 1935, in un lavoro teorico sui processi nucleari; e insieme furono date le norme (poi confermate) che dovevano regolare il processo: la probabilità di cattura cresce con la vita media del radioelemento e con la variazione dello spin nucleare associata con la transizione.

In realtà il fenomeno avviene con una certa frequenza; l'elettrone catturato appartiene di solito all'orbita K, dato che nelle vicinanze del nucleo l'autofunzione relativa a quest'orbita assume i valori più alti (maggiore probabilità di trovare l'elettrone). Di qui il nome di cattura K. L'elettrone catturato può evidentemente appartenere anche alle orbite L, M, ecc., ma con una probabilità di cattura sensibilmente più piccola. Come già accennato, l'orbita libera viene subito occupata da un elettrone periferico con emissione di un quanto × caratteristico dell'atomo che precede immediatamente l'atomo emettente nel sistema periodico. I raggi X che così si originano sono l'unico mezzo per rivelare la cattura K.

La cattura K fu osservata la prima volta da L. W. Alvarez (1937) nel V48 e da lui confermata subito dopo e in modo decisivo nel Ga67. Egli constatò appunto, da parte di questo isotopo, la pura emissione dei raggi X dello Zn67, in cui il Ga67 si trasforma, con un periodo di 84 ore.

Si conoscono attualmente varie decine di isotopi che decadono per cattura K, pura o mista a raggi β. Interessante il fenomeno, ultimamente riscontrato, che anche un isotopo naturale, l'Os187 subisce un processo di cattura K, mentre si credeva fosse stabile. L'Os187 decade nel suo isobaro stabile Re187 con un periodo di dimezzamento estremamente lungo (3.108 anni). Con questa scoperta si sono ridotte a tre sole le coppie di isobari stabili contigui (v. nucleo, in questa App.).

Isomeria nucleare. - Si dicono isomeri due nuclei identici per il numero dei loro costituenti (protoni e neutroni), ma diversi per quanto riguarda lo stato energetico. Il primo caso di isomeria nucleare fu osservato da O. Hahn nel 1921, ma in seguito ne vennero scoperti molti altri nei radioelementi artificiali.

L'isomero che si trova nello stato energetico superiore (stato metastabile) decade nell'altro emettendo raggi γ, con una vita media generalmente paragonabile a quelle dei nuclei radioattivi β. C. F. von Weizsäcker ha mostrato teoricamente che l'isomeria nucleare è possibile quando i due livelli energetici più bassi di un nucleo differiscono poco in energia, ma fortemente nello spin: un esempio di isomeria nucleare è fornito dal Br80, ottenuto dal Br99 per bombardamento con deutoni. Esso presenta due attività, una di 4,4 ore e una di 18 minuti: la prima è una attività γ altamente convertita, la seconda è una attività β. L'esperienza ha mostrato che i raggi γ si devono alla trasformazione del Br80 in un suo isomero più stabile, che a sua volta decade nel Kr80 stabile, con emissione di elettroni.

Disintegrazioni complesse. - Se, in una disintegrazione β, il nucleo d'arrivo possiede livelli energetici prossimi al livello fondamentale, lo spettro degli elettroni emessi è costituito dalla sovrapposizione di più spettri semplici, in corrispondenza ai varî stati energetici del nucleo di arrivo. Da questi il nucleo si porta allo stato fondamentale con emissione immediata di quanti γ: ecco uno dei casi più comuni di disintegrazioni complesse β + γ.

Processi del genere sono di difficile intepretazione sperimentale; una tecnica da poco sviluppata per chiarificare le relazioni tra i diversi tipi di radiazioni provenienti da uno stesso nucleo è il metodo dei contatori in coincidenza (attualmente norma corrente nelle esperienze sui raggi cosmici). Con esso si possono rivelare quelle associazioni di raggi β e γ, che comportano emissioni susseguentisi una immediatamente all'altra in una disintegrazione.

Nel metodo, le emissioni in coincidenza sono registrate da una coppia di contatori G. M., connessi a un circuito elettronico costruito n modo da contare solo le scariche simultanee nei due contatori (v. contatore, in questa App.). Per identificare le energie delle radiazioni associate, si interpongono opportuni assorbitori tra la sorgente radioattiva e i contatori. La misura dell'energia di un quanto γ, associato con un'altra particella, può essere anche ottenuta registrando le coincidenze triple originate dalla seconda particella e dal passaggio di un elettrone Compton attraverso due contatori, tra cui vengono interposti gli assorbitori. I primi esperimenti di coincidenza in radioattività furono condotti da W. Bothe, Norling, N. Feather, J. V. Dunworth, e altri dal 1935 al 1938.

La misura della frequenza delle coincidenze β + γ in funzione dell'energia dei raggi β è un metodo molto meno ambiguo di provare la complessità di uno spettro β che non la difficile analisi degli spettri semplici sovrapposti, condotta con uno spettrografo magnetico o altrimenti. Difatti ad uno spettro semplice deve corrispondere una frequenza di coincidenze β + γ indipendente dall'energia dei raggi β, perché l'emissione lascia il nucleo d'arrivo sempre nello stesso stato. Se invece c'è dipendenza, si ha una prova conclusiva per l'esistenza di un ulteriore processo β che porti a un differente stato finale.

Teoria dei processi β. - La teoria di E. Fermi sulla disintegrazione β è basata su criterî di semplicità e, come tale, si presta a varie possibili modificazioni, giustificabili però solo con una maggiore aderenza ai fatti sperimentali. Con questo proposito, nel 1936, E. J. Konopinski e G. E. Uhlenbeck pubblicarono una teoria modificata della disintegrazione β, che ebbe un certo successo. D'altra parte le critiche alla formulazione del Fermi si accentrarono sulle regole di selezione da lui enunciate, relativamente alle variazioni di spin (momento angolare) permesse al nucleo durante il processo di disintegrazione. G. Gamow ed E. Teller modificarono le regole del Fermi con criteri teorici su cui qui si sorvola.

Il punto alla situazione fu fatto da Konopinski nel 1943, quando furono raccolti dati sperimentali sufficienti, in una monografia sulla Reviews of modern Physics; mentre la teoria di Konopinski e Uhlenbeck dovette cedere a quella del Fermi, le regole di selezione di Gamow e Teller furono accettate integralmente.

Le regole di selezione tentano di spiegare le relazioni intercorrenti tra vita media ed energia massima di emissione dei nuclei radioattivi β. Le disintegrazioni β dovrebbero essere permesse solo in determinate circostanze, dipendenti dagli stati energetici e dagli spin dei nuclei iniziale e finale. In realtà le disintegrazioni avvengono anche sotto altre condizioni e si parla allora di transizioni proibite.

Le transizioni permesse e proibite sono distinguibili sperimentalmente attraverso il confronto delle vite medie τ osservate nei varî elementi radioattivi τ, tenendo conto della carica nucleare Z e dell'energia massima di emissione Wo. La teoria fornisce la relazione:

dove f è il simbolo di una funzione introdotta da Konopinski e Uhlenbeck e k rappresenta una espressione, che è indipendente da Z e da Wo quando la transizione è permessa.

Ne segue che il prodotto fτ risulta piccolo (dell'ordine di 103), per le transizioni permesse, mentre cresce di varî ordini di grandezza quando le transizioni sono proibite. Esempî di transizioni proibite sono le disintegrazioni del K40 (periodo 4•108 anni) e del Rb87 (periodo 6,3•1010 anni) per i quali il prodotto fτ raggiunge il valore di 1016.

Queste considerazioni giustificarono l'idea avuta da B. W. Sargent nel 1933, che esistesse per i processi β una relazione del tipo di quella di Geiger e Nuttal per i processi α. Il Sargent portò in un diagramma cartesiano il

in funzione del log Wo e trovò che gli elementi radioattivi β si disponevano a gruppi sopra rette di diversa inclinazione. Tali gruppi (corrispondenti a valori costanti del prodotto Wo, con r costante opportuna) sono in relazione appunto con gli ordini di proibizione introdotti dalle regole di Gamow e Teller.

Isotopi radioattivi artificiali. - Gli isotopi radioattivi artificiali finora prodotti, o per bombardamento degli isotopi stabili o per scissione degli elementi pesanti (U235, U238, Th), ammontano a circa 500; sicché si conoscono ormai isotopi radioattivi di tutti gli elementi del sistema periodico, fino al numero atomico 96.

Particolarmente interessante è il caso degli elementi non esistenti in natura, perché privi di isotopi stabili, e quindi fino a qualche tempo fa sconosciuti: essi sono, com'è noto, il 43, il 61, l'85, l'87, e i transuranici dal 93 al 96. La scoperta di isotopi radioattivi per questi elementi ha reso possibile il loro studio, e si è tra l'altro potuto stabilire che effettivamente essi non possiedono isotopi stabili, mentre quelli instabili (radioattivi) hanno vite medie relativamente brevi, che giustificano appunto la loro assenza in natura.

La seguente tabella riporta alcuni dati sugli isotopi più stabili dei suddetti elementi, le cui proprietà chimiche e fisiche sono ancora poco conosciute, e solo possono essere previste in base alla classificazione periodica del Mendeleev. In ogni modo per alcuni di questi elementi, come il plutonio e il tecneto, si dispone già di quantità ponderabili, tali da permettere un controllo macroscopico delle loro proprietà chimico-fisiche. Per tutti gli altri particolari rimandiamo ai singoli nominativi.

I radioelementi artificiali emettono radiazioni β (positive o negative), o γ, o una combinazione di esse. Solo gli elementi transuranici e alcuni prodotti di scissione emettono particelle α. Nel caso degli elementi pesanti hanno talvolta origine vere e proprie famiglie radioattive, del tipo di quelle naturali già note. È stata scoperta e studiata nel 1947 da A. C. English e collaboratori la famiglia radioattiva del nettunio, così chiamata perché il Np237 è l'elemento della famiglia a periodo più lungo. Essa inizia col Pu241 e termina con un isotopo del bismuto, anziché con uno del piombo, come accade per le famiglie radioattive naturali (v. diagramma a fig. 1)

Tavole di isotopi. - Tra le numerose tavole di isotopi stabili e radioattivi uscite ultimamente, la più usata è la "Carta di Segrè" (E. Segrè, Isotope Chart, Los Alamos Scient. Labor., 1946); altra tavola, meno recente, è quella di G. T. Seaborg (Rev. of modern Physics, 1944, pp.1-32). Per i prodoui di scissione dell'uranio e del plutonio l'unica pubblicazione nota consiste nelle tabelle comparse sulla Rev. of modern Physics, 1946, pp. 513-44

Metodi di osservazione. - Poiché le radiazioni dei radioelementi artificiali sono generalmente β o γ, un ordinario contatore Geiger-Müller (G. M.) a parete sufficientemente sottile rimane il rivelatore di radioattività più comunemente adoperato. Stanno entrando però nell'uso alcuni nuovi tipi di rivelatori, di cui descriveremo le caratteristiche e il principio di funzionamento.

Contatori per raggi β molli. - Se la radiazione β da esaminare è costituita di elettroni di energia inferiore a o,2 ÷ 0,3 Mev, vengono usati contatori G.M. di costruzione speciale.

Nei contatori a finestra di mica (vedi fig. 2), un sottilissimo foglio di mica (spessore 10 ÷ 20 μ) è applicato all'estremità del tubo. Questo foglio, oltre a consentire il passaggio ai raggi β di energia molto bassa, può sopportare considerevoli pressioni su una superficie abbastanza vasta (qualche cm2), permettendo così di fare il vuoto nel contatore e disporre di una grande zona sensibile.

In alcune misure conviene mettere il preparato radioattivo addirittura dentro il contatore, come ha fatto W. F. Libby nei suoi screen walled counters; il preparato è convenientemente sistemato in un tubo a tenuta di vuoto, entro il quale c'è il vero contatore. Il metodo è anche usato per preparati radioattivi gassosi (C14O2, H3); in questo caso i gas radioattivi vengono direttamente immessi in un ordinario contatore assieme alla miscela di riempimento dello stesso. Il rendimento della misura è così sensibilmente aumentato, specie se l'energia dei raggi β è molto bassa, come nei casi citati (energia max. per il C14 0,17 MeV, per l'H3 0,014 MeV).

Contatori per raggi γ. - I raggi γ sono rivelati nei contatori G. M. mediante gli elettroni da essi prodotti nella loro interazione con la materia (gas di riempimento del contatore). Si intende per efficienza di un contatore la percentuale delle particelle o fotoni registrati rispetto a quelli incidenti. L'efficienza per i raggi γ di un ordinario contatore G. M. è generalmente bassa: essa cresce con la pressione e generalmente con il peso molecolare del gas usato per il riempimento, e varia con l'energia dei quanti γ incidenti. Le massime efficienze (~ 2%) sono state ottenute con xenon alla pressione di una atmosfera.

È stato ultimamente trovato un nuovo tipo di rivelatore per fotoni luminosi e raggi γ che ha permesso di accrescere molto le efficienze già raggiunte: il moltiplicatore elettronico. Esso è una cella fotoelettrica costituita di parecchi elettrodi a potenziali regolarmente decrescenti (come è mostrato in sezione dalla fig. 3).

Un fascetto di fotoni di bassa energia (o anche un elettrone), che colpisca la superficie sensibile A della cella, genera per effetto fotoelettrico (o per urto) elettroni, che, dal campo elettrico stabilito tra A e la placca 1, vengono accelerati verso quest'ultima; qui ogni elettrone, all'urto, provoca la fuoriuscita di un numero a pressoché costante di elettroni, che vengono accelerati verso la placchetta 2 dal campo esistente tra 1 e 2; in 2, ciascuno di essi genera a sua volta a elettroni, e così via; a è chiamato fattore di moltiplicazione dell'apparecchio. Siccome il fenomeno si ripete per le n (da 8 a 10) placchette del moltiplicatore, il collettore C riceverà an elettroni per ogni elettrone arrivato in 1; questi elettroni costituiscono una corrente abbastanza forte da essere rivelata con un galvanometro sufficientemente sensibile.

Il sistema può essere usato anche per la registrazione di raggi γ di grande energia, che non riuscirebbero a produrre in A un sufficiente effetto fotoelettrico. A questo scopo si pone davanti alla zona sensibile del moltiplicatore un'opportuna sostanza fluorescente, come per es. la naftalina; i raggi γ di grande energia eccitano multiplamente i livelli di fluorescenza del cristallo e producono un numero di fotoni luminosi sufficienti a rivelare, mediante il tubo moltiplicatore, anche un solo quanto y incidente. Si raggiungono in questo modo, con opportuni accorgimenti tecnici, efficienze sino al 20%

Il moltiplicatore elettronico viene impiegato anche per rivelare le particelle α, approfittando della fluorescenza da esse indotta su sostanze quali il platinocianuro di bario, o il solfuro di zinco, le stesse usate da lord Rutherford nel suo metodo delle scintillazioni.

Contatori a cristallo. - Per rivelare le particelle ionizzanti (α e β) sta entrando in uso anche un terzo tipo di apparecchio: il contatore a cristallo. Un monocristallo (per esempio di diamante) è posto fra due elettrodi tra i quali è stabilita una elevata differenza di potenziale. Una particella ionizzante che attraversi anche una porzione del cristallo provoca un impulso di tensione sugli elettrodi (dovuto forse all'eccitazione di elettroni sui livelli di conduzione del cristallo), che può essere amplificato e registrato. Il vantaggio sugli ordinarî contatori è la maggiore densità del materiale sensibile alla radiazione e quindi una più precisa delimitazione dell'angolo solido sotto cui incide la particella.

Valido aiuto allo sviluppo dei metodi di osservazione delle particelle è stato dato dallo straordinario perfezionamento che negli ultimi anni hanno subìto i metodi elettronici di registrazione come gli amplificatori, i discriminatori, le scale, i multivibratori in generale, le coincidenze e i circuiti di numerazione. Per questi argomenti si rinvia alle voci amplificatore; contatore, in questa Appendice.

Misure di attività e unità relative. - L'attuale più vasto uso delle sostanze radioattive ha reso necessaria una revisione delle unità di misura.

Il curie è una misura più raffinata dell'attività di un grammo di radio 0, il che è lo stesso, dell'emanazione in equilibrio con un grammo di radio (0,664 mm3 in condizioni normali); ha dato un valore minore di quello (3,7•1010 disintegrazioni/sec) stabilito nel 1930 per definire il curie. Ora, per non introdurre cambiamenti, si è convenuto di intendere in ogni caso per curie l'attività di un preparato radioattivo che subisca 3,7•1010 disintegrazioni/sec. E. U. Condon e L. F. Curtiss hanno proposto (1946) una nuova unità di misura, il rutherford pari a 106 disintegrazioni/sec, esprimendo i suoi multipli e sottomultipli con gli usuali prefissi del sistema metrico; il curie resterebbe come misura dell'attività dei soli componenti la famiglia del radio. In tal modo sarebbero evitate tra l'altro molte ambiguità. Una unità di misura utile per valutare la radiazione γ è quella già adottata per i raggi X: il röntgen. Un röntgen (Congresso radiologico di Chicago, 1937) è una quantità di radiazione X o γ tale che l'emissione corpuscolare con essa associata, in un cm3 di aria secca in condizioni normali (0o e 760 mm. Hg), produce una unità elettrostatica di ioni di ognuno dei due segni. Il röntgen è evidentemente solo una misura di intensità di ionizzazione; esso misura l'energia dissipata, non l'energia incidente, e come tale, dipende dall'energia dei singoli quanti. L'intensità vera dei raggi γ si misura, al solito, in erg per cm2 e per secondo o simili. La misura in röntgen è in ogni modo la più utile agli scopi pratici e protettivi, per es., in biologia o in medicina, perché rappresenta l'azione effettiva della radiazione sulla materia.

Per misurare la forza delle sorgenti radioattive è stata proposta recentemente (1946) negli Stati Uniti una nuova unità: il rhm (pronuncia ram), corrispondente all'intensità di un röntgen per ora alla distanza di un metro. L'uso di questa unità consente di farsi un'idea esatta della quantità totale di radiazioni γ emesse da una certa sostanza radioattiva; una misura in rhm non è in relazione con lo schema di disintegrazione, che purtroppo non si conosce ancora per la quasi totalità degli elementi radioattivi γ. In altre parole, data l'estrema complicazione di certi schemi di decadimento, l'uso del curie non presenta alcun vantaggio; mentre una camera di ionizzazione, per es., permette di trovare direttamente il valore in rhm della forza di un preparato γ.

La radiochimica. - I radioelementi artificiali come indicatori. - In seguito ai lavori di J. G. Hevesy e F. Paneth sui radioelementi naturali, l'uso degli isotopi, stabili e radioattivi, come indicatori si è largamente esteso ai più disparati campi della scienza, in special modo dopo l'inizio della produzione di grandi quantità di radioelementi artificiali. Un radioelemento è in grado di funzionare come indicatore quando la sua vita media non è né troppo corta, né eccessivamente lunga, e quando l'energia delle radiazioni emesse è sufficiente per la rivelazione. Si conoscono ormai isotopi radioattivi adatti a funzionare da indicatori per gran parte degli elementi; una limitazione posta alla disponibilità di alcuni di questi isotopi è il basso rendimento delle reazioni nucleari che servono a produrli.

Col nome di radiochimica si intende lo studio di tutte le operazioni atte a preparare, isolare e purificare gli isotopi radioattivi; la denominazione deriva dalla parte preminente che ha la chimica in questa disciplina. La radiochimica (che si ricollega all'antica alchimia in quanto tratta la trasmutazione degli elementi) si è sviluppata prevalentemente negli Stati Uniti dove sono disponibili i mezzi più adatti alla produzione degli isotopi radioattivi artificiali, cioè i ciclotroni e le pile atomiche.

Durante la guerra, gli sforzi degli scienziati americani furono diretti a problemi di ordine tecnico e militare, come la separazione chimica del plutonio dall'uranio e dai suoi prodotti di scissione, per la fabbricazione della bomba atomica. Furono però e sono tuttora affrontati anche altri problemi: specialmente interessante quello di ottenere isotopi radioattivi molto puri.

Gli isotopi radioattivi preparati artificialmente sono necessariamente accompagnati da notevoli quantità di altre sostanze, che sono, oltre al preparato che ha subìto il bombardamento (coi ciclotroni o con i neutroni di una pila), i radioelementi prodotti nelle reazioni secondarie che si verificano quasi sempre in concorrenza a quella che interessa.

Sono stati già illustrati (XXVIII, p. 700) i metodi per separare un isotopo radioattivo dalle sostanze che l'accompagnano. Si è visto però che in ogni caso si ottiene una piccola quantità del radioelemento diluita in una grande quantità dei suoi isotopi stabili. Il rapporto tra il numero di atomi dell'isotopo radioattivo e quello degli isotopi stabili si chiama attività specifica; essa si valuta in pratica conoscendo l'attività totale fornita da un contatore, la vita media del radioelemento e il peso complessivo del preparato.

Come esempio si considerino le reazioni nucleari che hanno luogo per assorbimento di neutroni lenti ed emissione successiva di quanti γ, le cosiddette reazioni (n, γ), che avvengono prevalentemente nelle pile. In questo caso l'elemento bombardato non cambia numero atomico: il prodotto finale è costituito generalmente da un isotopo radioattivo dell'elemento stesso diluito in un'enorme quantità dei suoi isotopi stabili. L'attività specifica è necessariamente molto bassa; l'unico mezzo per elevarla è l'applicazione del metodo di Szilárd-Chalmers, se possibile.

L. Szilárd e T. A. Chalmers nel 1934 trovarono che quando lo ioduro d'etile è bombardato con neutroni lenti, gli atomi d'alogeno resi attivi si trovano nella massima parte sotto forma di iodio libero, che si può separare facilmente dallo ioduro d'etile. Ciò è dovuto alla rottura del legame tra il carbonio e lo iodio, causata dalla reazione nucleare. Il metodo è stato generalizzato e in parecchi casi può servire a isolare un radioelemento dai suoi isotopi stabili; condizione necessaria per l'applicabilità del metodo è che l'energia liberata dal nucleo nell'assorbimento del neutrone sia sufficiente alla rottura del legame chimico.

Per avere altissime attività specifiche si dimostrano vantaggiosi opportuni procedimenti chimici; il Gass (che si ottiene per bombardamento dello zinco con deutoni) è stato preparato allo stato puro da G. T. Seaborg, nel modo seguente. Dopo il bombardamento lo zinco è stato disciolto in acido cloridrico e la soluzione ottenuta agitata con etere etilico; tutto il Ga68 passa in soluzione eterea come cloruro, senza necessità di un'aggiunta di Ga inattivo come "trascinatore".

Altre separazioni senza bisogno di trascinatore si effettuano per via elettrochimica, nei casi di grande differenza tra i potenziali ossido-riduttivi degli elementi da separare.

È interessante notare come, nei casi sopraesposti le ordinarie leggi della chimica e della fisica (ripartizione di una sostanza tra due solventi, leggi della termochimica, ecc.) valgano ancora per quantità estremamente piccole di sostanza. Ma non accade sempre così; si è constatato ultimamente che lo iodio radioattivo I126, preparato per bombardamento del Te125 con deutoni, si trova in una forma chimica che non si riesce a sepamre adoperando come trascinatore lo iodio inattivo negli ordinarî stati di valenza (da − 1 a + 7). In quale stato chimico si trovi lo I126 è una questione non ancora interamente risolta, che fa parte di un intero nuovo capitolo della chimica, la chimica delle bassissime concentrazioni, che dovrà essere chiarita nei prossimi anni. Si potranno risolvere parecchie questioni sulle velocità di reazione, sugli equilibrî, sulle proprietà dei colloidi, sull'adsorbimento e così via.

Le applicazioni degli isotopi radioattivi alla chimica e alla chimica fisica non si limitano qui; tutti i fenomeni di migrazione degli atomi sono tuttora studiati con grande profitto col metodo degli indicatori. La diffusione e l'autodiffusione allo stato solido e liquido sono state indagate ultimamente da parecchi autori con buoni risultati. J. Bardeen e collaboratori hanno studiato il meccanismo di ossidazione del rame, interpretandolo come dovuto alla diffusione di atomi di rame attraverso lo strato d'ossido superficiale.

Un nuovo campo di ricerca si è aperto in metallurgia con il metodo degli autoradiogrammi. Allo scopo di studiare le proprietà delle leghe contenenti piccole quantità di altri elementi, si "marcano" gli elementi aggiunti con l'addizione di un loro isotopo radioattivo. Una lastra fotografica fatta aderire a una sezione piana della lega in istudio si impressiona nei punti di contatto con l'elemento in questione, rivelando con esattezza la sua ripartizione. Anche l'azione dei lubrificanti è stata chiarita per mezzo degli indicatori. Ma i campi di più fruttifera applicazione delle sostanze radioattive sono la biologia e la medicina; e per ciò si rinvia alle voci isotopismo e biofisica, in questa App.

Bibl.: F. Rasetti, Elements of nuclear Physics, New York 1936; O. Hahn, Applied radio Chemistry, Ithaca 1936; G. Hevesy, F. Paneth, Manual of Radioactivity, Oxford 1938; E. Pollard, W. L. Davidson, Applied nuclear Physics, New York 1942; E. J. Konopinski, Beta decay, in Reviews of modern Physics, XV, 1943; H. D. Smyth, Atomic energy for military purposes, Princeton 1945; J. M. Cork, Radioactivity and nuclear Physics, New York 1947; M. D. Kamen, Radioactive tracers in Biology, ivi 1947; H. A. Bethe, Elementary nuclear Theory, ivi 1947 e i periodici: Physical review e Reviews of modern Physics.

Radioattività della Terra.

I moderni metodi di ricerca (contatori, camere di ionizzazione, lastre fotografiche) hanno rivelato come nel nostro pianeta la radioattività sia dovunque diffusa. In ogni materiale terrestre si riscontrano quantità piccolissime, ma misurabili, di elementi radioattivi. Nei petrolî, negli asfalti, nei carboni fossili si osservano tracce di radioattività e di elio proveniente da disintegrazioni nucleari; nelle acque, in misura diversa a seconda della loro natura, la presenza di radon è frequentissima: anche in quelle marine si riscontra una debole attività.

Le grandi masse che costituiscono la crosta terrestre hanno un contenuto medio di sostanze radioattive che si può valutare, secondo le ultime determinazioni, a circa 10-12 grammi di radio per grammo di materiale come risulta dalla tabella seguente.

Misure recenti (R. D. Evans, G. Goodman e altri, 1941) hanno dato valori un po' più bassi di quelli riportati nella tabella precedente. Infatti, secondo questi autori, il contenuto in grammi di radio in un grammo di sostanza, varia come segue:

N. B. Keevil nel 1943 eseguendo misure molto accurate, ha trovato una concentrazione in sostanze radioattive ancora minore. Queste discrepanze tra le varie determinazioni sono giustificate dal fatto che i metodi di misura impiegati sono molto differenti gli uni dagli altri e che le caratteristiche morfologiche delle rocce sulle quali vengono eseguite le determinazioni stesse sono spesso diverse. Esistono minerali che hanno un contenuto di sostanze radioattive elevatissimo, in essi si ritrovano gli elementi delle tre famiglie radioattive naturali: uranio-radio, torio, attinio (v. XXVIII, p. 697); la concentrazione di questi elementi è funzione della loro costante di disintegrazione e dipende in modo essenziale dalla loro volatilità più o meno spiccata; così gli elementi a periodo di dimezzamento molto breve sono presenti in quantità infinitamente piccole, l'uranio, U238, il cui periodo è valutato in 4,5 × 109 anni è invece contenuto, in media, nel rapporto di 4 gr. per t. di roccia: la sua abbondanza in natura è perciò circa uguale a quella dell'arsenico e del berillio.

Oltre che negli elementi pesanti, numero atomico 83-92, è stata riscontrata per la prima volta da J. J. Thomson un'attività nel potassio, attribuita successivamente all'isotopo K40 (1937) e consistente nella emissione di elettroni (raggi β). Questa attività è molto debole, l'isotopo instabile si trova nel rapporto 1/8000 rispetto a quelli stabili dello stesso elemento K39 e K41. Un altro elemento leggero con attività β è l'isotopo del rubidio, Rb87; attività α e β presentano pure 2 isotopi del samario e del cassiopeio, Sm148 e Cp176 (1938-39).

Recentemente (1942) G. T. Seaborg e M. L. Perlman hanno iniziate ricerche per svelare la presenza di elementi transuranici (numero atomico > 92) sulla Terra. Lavorando con la pechblenda essi hanno trovato una debolissima attività che è stata attribuita ad un isotopo del plutonio Pu239 con vita media 24.000 anni. La quantità di tale isotopo corrisponderebbe ad una parte su 1014.

Minerali radioattivi e loro distribuzione. - L'uranio si riscontra in quantità apprezzabili in un gran numero e varietà di minerali; esso si trova molto spesso associato con terre rare come il tantalio, il niobio ed il vanadio. I minerali principali per la estrazione dell'uranio e quindi del radio, sempre presente in ragione di 1 grammo per ogni 3 tonnellate di uranio, sono: la pechblenda (ossido di uranio), la carnotite (vanadato di uranio e potassio) ed un po' meno la torbernite e la autunite (fosfati). Le rocce contenenti minerali di uranio si possono classificare in tre distinte categorie (v. anche radioattivi, minerali, XXVIII, p. 688).

1) Pegmatiti, che si trovano nel Canada, nel Sud Dakota, nel Texas, in Norvegia e nell'isola di Madagascar.

2) Rocce di origine idrotermale, tra cui la pechblenda: quella dei depositi di Shinkolobwe nelle miniere di rame del Katanga nel Congo Belga ed il deposito del Canada settentrionale rappresentavano fino al 1930 le sorgenti principali. Pure a questa classe appartengono le storiche miniere di Jáchymov (Cecoslovacchia) e di Schneeberg (Sassonia). Altri minerali di uranio della famiglia della blenda sono stati scoperti in Portogallo, a Monte Painter nell'Australia meridionale e nel distretto di Sofia in Bulgaria.

3) Rocce sedimentarie, quasi sempre in associazione con il vanadio; i principali depositi sono quelli di carnotiti del Colorado, del Turkestan, del Tagikistan e del Caucaso (URSS). Altri sedimenti ricchi di uranio sono stati scoperti recentemente nel Cambriano della Svezia del Sud.

I più ricchi minerali di torio sono gli ossidi ed i silicati che si trovano nelle pegmatiti; i più abbondanti depositi sono nell'isola di Ceylon. Per l'estrazione del torio si lavorano anche le monaziti, fosfati di cerio e ittrio contenenti torio, che si trovano in India, Ceylon, Brasile, Carolina del Nord e Florida. Altre sorgenti sono quelle delle Indie Olandesi e della Nuova Galles del Sud.

Effetti delle disintegrazioni nucleari all'interno della Terra. - Le determinazioni di radioattività sul nostro pianeta sono necessariamente limitate al solo strato più superficiale del suo involucro esterno; le misure più recenti (W. J. Jackson e J. L. P. Campbell - American Inst. of Mining and Met. Eng, 1945) si sono spinte fino a circa 3 km. di profondità. Se il valore medio del contenuto radioattivo riscontrato nelle rocce esaminate in questo strato si volesse estrapolare a tutta la massa della terra, si avrebbe una quantità di uranio pari a 6 × 1015 tonnellate.

Questa enorme massa di uranio svilupperebbe insieme a tutti i prodotti di decadimento della sua famiglia un'energia, sotto forma di calore, uguale a circa 6 × 1017 calorie per ora; si sa che questo risultato urta contro tutti i dati di cui siamo in possesso circa l'equilibrio termico della terra. Del resto anche per altre ragioni si ammette oggi che gli elementi pesanti attivi si siano, nel corso della formazione e stabilizzazione del nostro pianeta, localizzati negli strati superficiali della crosta: una valutazione, necessariamente grossolana,fissa a circa 50-60 km. lo spessore di tale mantello. Allo stato attuale delle nostre conoscenze non è però possibile precisare lo spessore e la composizione degli strati superficiali, comunque sembra ragionevole concludere che gli elementi radioattivi concentrati nella scorza terrestre siano largamente sufficienti per sopperire con la loro disintegrazione esoenergetica alla perdita continua di calore del nostro globo. Resta ancora il problema del calore del nucleo più interno che forse potrebbe, come ammette Rittmann, essere costituito da elementi leggeri (materia solare) come idrogeno e elio.

L'individuazione e la misura quantitativa delle sostanze radioattive nei materiali terrestri ha assunto in questi ultimi anni grande interesse: vasti nuovi orizzonti si sono aperti alle scienze geologiche in genere: geofisica, geologia, petrografia, geodinamica, paleontologia sfruttano oggi i metodi radioattivi. Del resto tutti i fenomeni interessanti la vita passata e presente del nostro pianeta (ad es., età della terra, formazioni delle rocce, vulcanismo, tettonica), vanno riguardati sotto questo nuovo aspetto: si spera che presto si possa avere una carta radiogeologica completa con il concorso di tutte le nazioni.

Bibl.: A. Holmes, Principles of physical Geology, 1944; E. Rothé, Les tremblements de terre et la radioactivité, in Travaux scientifiques, 1946; W. Vernadsky, Les problèmes de la radiogéologie, Parigi 1935; J. Noetzlin, Bilans énergétiques en géophysique, 1948; R. D. Evans e G. Goodman, Radioactivity of rocks, in Bulletin of the Geological Society of America, 1941; N.B. Keevil, Radiogenic heat in rocks, in Journal of Geology, 1943; F. Birch e altri, Handbook of physical constants, in Bull. Geological Society of America, 1942; R. D. Evans, Measurements of terrestrial Radioactivity, in Journal of applied Physics, 1941; R. A. Alpher, R. Herman e G. A. Gamow, Termonuclear reactions in the Expanding Universe, in Physical Review, 1948.

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