CADORNA, Raffaele

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 34 (1988)

CADORNA, Raffaele

Giuseppe Sircana

Nacque a Pallanza (Novara) il 12 sett. 1889 da Luigi e da Giovanna Balbi, crede di una famiglia di illustri tradizioni militari (il padre fu capo di Stato Maggiore dell'esercito nella prima guerra mondiale, e il nonno paterno, Raffaele, comandante delle truppe italiane che entrarono in Roma il 20 sett. 1870). Dopo aver compiuto gli studi classici presso l'Istituto sociale di Torino e il collegio "Rosmini" di Domodossola, frequentò il corso allievi ufficiali di cavalleria presso l'Accademia militare di Modena.

Classificatosi al primo posto nel corso, il 19 sett. 1909 fu nominato sottotenente e inviato al reggimento Lancieri di Firenze. Nel 1911 partecipò alla guerra italoturca e fu con il suo reggimento in Libia. Per il comportamento tenuto nel fatto d'arme di Fonduk-el-Tokar ricevette una medaglia di bronzo al valor militare. Il 19 sett. 1912 fu promosso tenente.

Rientrato in Italia fu per un breve periodo a fianco del padre, divenuto nel 194 capo di Stato Maggiore dell'esercito, ma allo scoppio della prima guerra mondiale fu rimandato al reggimento. Poiché nei primi mesi di guerra la cavalleria era destinata a restare inoperosa, il C. richiese il trasferimento in fanteria per poter essere nei reparti impegnati in combattimento. Fu invece chiamato presso lo Stato Maggiore, ma non gli mancarono in tale ufficio occasioni per compiere ricognizioni al fronte e stare al fianco delle truppe combattenti. Trovandosi in trincee avanzate, il C. diede prova di coraggio al punto da guadagnarsi la promozione a capitano (26 giugno 1916) e tre medaglie d'argento.

Dopo la disfatta di Caporetto, fu vicino al padre, amareggiato per la propria sostituzione al comando dell'esercito. Alla fine della guerra fu a Innsbruck con le truppe italiane che occupavano il Tirolo. Nel maggio 1920 fu inviato a Berlino come membro della Commissione militare interalleata incaricata di controllare l'applicazione da parte della Germania delle clausole militari dei trattato di Versailles.

Durante il soggiorno in Germania ebbe modo di esprimere nelle lettere al padre impressioni e valutazioni sulla situazione tedesca, con interessanti annotazioni sull'insorgente sentimento revanscista tedesco e i primi movimenti reazionari. Significativo è altresì il duro giudizio sull'impresa dannunziana di Fiume, definita "ultimo sudicio episodio di guerra civile, senza senso né costrutto" (lettera del 24 ott. 1920, in La Riscossa, p. 26).

Nel 1924 fece ritorno in Italia e fu quindi al comando di uno squadrone del Savoia cavalleria fino al 1926. Promosso maggiore (31 marzo 1926), prestò servizio presso l'Ispettorato di cavalleria di Roma. Tenente collonnello dal 1° genn. 1929, nel dicembre fu inviato a Praga come addetto militare presso la legazione italiana, dove rimase fino all'ottobre 1934. Al suo rientro assunse il comando di gruppo presso il reggimento Lancieri di Firenze di stanza a Ferrara.

"Fu in questi anni - osserva il Brignoli - che si precisò la scelta politica di Raffaele Cadoma. Fascista, in realtà, non lo era stato mai. Fedele ai valori del Risorgimento, del "regime" non sopportava il pesante e rozzo illiberalismo, l'avventurismo politico, la sostanziale incuria per l'Esercito, la pomposa retorica" (p. 32). Il sentimento di avversione al flascismo maturò anche grazie all'apertura culturale e politica che al C. derivava sia dal lungo soggiorno in altri paesi europei, sia dall'amicizia familiare con illustri esponenti dell'antifmcismo, come Luigi Albertini e Tommaso Gallarati Scotti. A ciò si aggiunga il giudizio negativo del C. sulla politica militare dei fascismo, espresso in occasione della guerra d'Etiopia.

Nominato colonnello (1° sett. 1937), assunse il comando dei reggimento Savoia cavalleria a Milano, continuando a non far mistero della propria avversione al fascismo. Nel gennaio 1941 fu nominato comandante della Scuola di applicazione di cavalleria di Pinerolo. Promosso generale di brigata (1° luglio 1941), il C. non fu destinato al comando di un reparto operativo, presumibilmente per le sue posizioni politiche.

A capo della Scuola, il C. si batté per la motorizzazione della cavalleria e per l'adeguamento dell'arma alle esigenze della guerra moderna, riuscendo ad attuare significative trasformazioni che portarono alla costituzione di unità meccanizzate e corazzate. Nel contempo, l'andamento sfavorevole per l'Italia degli eventi bellici rafforzò nel C. la convinzione che occorresse liquidare al più presto il fascismo. Con tale intento si rivolse agli ambienti della corona, sollecitando in particolare il principe ereditario Umberto.

Nel maggio 1943 fu trasferito a Ferrara al comando della divisione di cavalleria corazzata Ariete. Qui ebbe contatti con esponenti dell'antifascismo che gli si erano rivolti per conoscere l'atteggiamento dell'esercito nei confronti di una eventuale iniziativa volta a provocare la caduta dei regime. Il 25 luglio 1943 colse il C. ancora a Ferrara, ma il mese successivo ricevette l'ordine di trasferirsi con la sua divisione a Roma, dove avrebbe dovuto partecipare alla difesa della capitale dai prevedibili attacchi tedeschi. L'assenza di precise direttive e di un piano coordinato da parte dello Stato Maggiore dell'esercito mise in gravi difficoltà la divisione Ariete allorché, il 9 settembre, si trovò a fronteggiare le truppe tedesche. Dopo l'occupazione di Roma e lo scioglimento della divisione, egli fu ricercato dalla polizia fascista, e iniziò l'azione cospirativa in contatto con il colonnello Montezemolo, comandante dei fronte clandestino militare di Roma.

Per meglio conoscere la consistenza e le prospettive,del movimento di Resistenza in Alta Italia, nel dicembre il C. prese contatti con i rappresentanti del Comitato di liberazione nazionale dell'Alta Italia (CLNAI), F. Parri, A. Pizzoni e G. Dozza, e nel giugno 1944, dopo la liberazione di Roma, su richiesta dei CLNAI, il governo Bonomi e gli alleati ne richiesero la presenza nel Nord come consigliere militare del movimento di Resistenza. La notte dell'11 agosto fu paracadutato in Vai Cavallina, nel Bergamasco, dove lo attendeva un distaccamento di Fiamme verdi che lo condusse a Milano.

Sorsero ben presto contrasti sulle funzioni che il C. avrebbe dovuto svolgere, se quella di semplice consigliere militare oppure quella di effettivo comandante del Corpo dei volontari della libertà (CVL). Per la prima ipotesi propendevano i partiti di sinistra, mentre la seconda era sostenuta dai liberali, dal governo di Roma, dagli alleati e dallo stesso Cadorna. Dopo lunghe discussioni fu trovato un accordo: il C. assumeva il comando del CVL affiancato però da due vicecomandanti: l'azionista Parri e il comunista L. Longo.

L'intesa raggiunta non appianò però le divergenze tra il C., sostenitore di una condotta strettamente militare della lotta partigiana, e gli esponenti dei partiti, che rappresentavano la maggioranza delle formazioni in armi e che rivendicavano gli obiettivi eminentemente politici della Resistenza. Nel febbraio 1945, contrario al progetto, sostenuto da comunisti e azionisti, di unificazione delle formazioni partigiane (che secondo lui avrebbe sancito la prevalenza dei partiti sul piano militare), il C. presentò le dimissioni, ritirate al raggiungimento di un nuovo accordo per il quale il comandante del CVL, appoggiato dagli alleati e dal governo, riuscì ad ottenere maggior autonomia nei confronti del CLNAI.

In qualità di comandante dell'esercito partigiano, il C. trattò la resa delle truppe repubblichine. Promosso generale di divisione per meriti di guerra il 5 marzo 1945, dopo la Liberazione venne nominato (4 luglio 1945) capo di Stato Maggiore dell'esercito, la medesima carica che trent'anni prima aveva ricoperto il padre.

Il 1° febbr. 1947, poiché non era stata accolta la sua richiesta per una chiara normativa che gli assegnasse specifiche responsabilità, il C. si dimise, abbandonando anche la carriera militare (il 30 giugno 1949 ebbe però la nomina a generale di corpo d'armata). Fu eletto senatore come indipendente nelle liste della Democrazia cristiana per il collegio della Vai d'Ossola nell'aprile 1948 e confermato nel 1953 e 1958. Abbandonò la vita politica nel 1963 e si ritirò nella sua casa di Pallanza.

Dei suoi scritti militari va ricordato La riscossa. Dal 25 luglio alla Liberazione, Milano 1948.

Il C. morì a Verbania il 20dic. 1973.

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