CORSO, Raffaele

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 29 (1983)

CORSO, Raffaele

Marina Santucci

Nacque a Nicotera (Catanzaro) l'8 febbr. 1885 da Diego e da Teresa Stilo. Il padre, medico, si interessava di storia e di archeologia ed aveva frequenti rapporti di studio con lo storico M. Amari.

Durante il periodo universitario il C. si stabilì nella città di Napoli, dove frequentò la facoltà di giurisprudenza. In occasione della preparazione della tesi di laurea entrò in contatto, tramite B. Croce, con G. Pitrè, docente di demopsicologia all'università di Palermo, di cui divenne un convinto allievo. Ebbe inizio una fitta corrispondenza tra lui e il Pitrè (Folklore della Calabria, VII [1962], pp. 49-58) a testimonianza di un fecondo rapporto di studio, al punto che, alla morte di Pitrè, il C. fu invitato a ricoprire la cattedra di demopsicologia all'università di Palermo. Nel 1906 il C. si laureò discutendo la tesi Proverbi giuridici italiani, pubblicata nell'Archivio delle tradizioni popolari (XXIII [1907], pp. 484-506), dove analizzava le forme elementari e popolari del diritto, l'origine del proverbio e la sua istituzionalizzazione in norma giuridica.

Passò quindi a studiare il cerimoniale nuziale dei popoli primitivi, determinando così definitivamente la sua attività di ricerca nell'ambito dell'emografia: nel saggio Gli sponsali popolari (in Revue des études ethnographiques et sociologiques, XI-XII [1908], pp. 1-13) sosteneva il valore rituale del dono opponendosi alla interpretazione comune che vedeva nello scambio dei doni uno scambio di merci e di compensi.

Gli altri saggi sul cerimoniale nuziale sono raccolti nel volume Patti d'amore e pegni di promesse (S.Maria Capuavetere 1924). Intervenne ancora sull'argomento al I Congresso di etnografia italiana (Roma 1911) in occasione del cinquantenario dell'unificazione italiana, con la relazione Per lo studio dei riti nuziali.

Collaborò con L. Loria nella ricerca di materiale etnografico per l'istituzione di un museo nazionale; catalogò anche la collezione etnografica della villa d'Este a Tivoli. Conobbe G. D'Annunzio ed insieme progettarono la fondazione di una rivista, Le tradizioni popolari italiane, e di una società delle tradizioni popolari italiane, ma tali progetti non furono realizzati. Dal 1914al '21 insegnò, primo in Italia, etnografia all'istituto di antropologia dell'università di Roma. Successe poi a L. Loria nella direzione del Museo etriografico di Roma e nel '22 fu chiamato a ricoprire la cattedra di etnografia all'Istituto orientale di Napoli, dove insegnò fino al raggiungimento del limite di età. Si interessò di etnologia africana e fu inviato dal ministero della Pubblica Istruzione e dall'Istituto orientale in Africa, a Fezzan, per studiare i costumi di vita dei Tuareg.

Sotto il fascismo questi studi ricevettero notevole impulso, e il C., sostenendo la politica coloniale del regime, pubblicò una serie di studi sulle abitudini e le tradizioni degli Etiopi e dei Somali (quali Genti, usi costumi e tradizioni dell'Etiopia e Genti, usi, costumi e tradizioni della Somalia, in L'Impero coloniale fascista, Novara 1937, pp. 151-189 e 321-337). Collaborò a numerose associazioni culturali italiane ed estere ed a molte riviste di etnografia e di folklore.

Nel 1925 fondò la rivista Il Folklore italiano, Archivio per la raccolta e lo studio delle tradizioni popolari italiane, che interruppe le pubblicazioni nel 1941, per riprenderle quindi dal '46 al '55con il titolo di Folklore. La rivista voleva essere uno strumento di coordinamento delle varie ricerche a carattere regionale e di valorizzazione delle testimonianze folkloristiche.

Durante il fascismo l'attività del C. fu particolarmente intensa; importante ricordare la polemica tra il C. e il titolare della cattedra di etnografia all'università di Leningrado, E. Kagaroff, che accusava gli studiosi di etnografia in Italia e in Germania di esaltare il concetto di razza e di nazione in campo etnico e di privilegiare il periodo imperiale e il mito della romanità in campo politico. II C. rispose sottolineando il ruolo che il fascismo aveva avuto, con l'esperienza coloniale, nella diffusione degli studi folkloristici e dichiarandosi sostenitore del fascismo quale espressione della nuova Italia (Critiche sovietiche allo studio dell'emografia nell'Italia fascista, Roma 1938).

Dopo la seconda guerra mondiale, il C. rallentò notevolmente la sua attività di studioso. Morì a Napoli il 29 luglio 1965.

L'opera più importante del C. è il volume del 1923 Folklore- Storia-Obietto-Metodo (Napoli 1923; quattro edizioni, fino al 1953) che conobbe larga fortuna in Italia e all'estero. Il volume nasceva dall'esigenza, avvertita dal C. e da altri studiosi di folklore, di avere un approccio rigoroso con questa disciplina, determinandone i principi fondamentali sia concettualmente sia metodologicamente. Il C., con questo manuale, intendeva precisare l'oggetto del folklore, la sua peculiarità rispetto ad altre discipline quali l'antropologia, la sociologia, la psicologia, ecc., che assumevano allora carattere scientifico, e il suo rapporto con l'emografia. Il C. analizza il nome "folklore" con cui, nel 1846, si decise di indicare lo studio delle tradizioni e delle consuetudini di vita del popolo, che, in Italia, G. Pitrè diffuse con il nome, di origine greca, di demopsicologia.

Già l'etimologia del nome è sufficiente, secondo il C., a stabilire il rapporto esistente tra il folklore e l'etnografia. Infatti mentre quest'ultima (GRECO) studia i popoli e le forme di organizzazione sociali, culturali che si sono dati, il folklore studia il patrimonio culturale di quella parte del popolo che, nell'ambito della società evoIuta, conserva residui di cultura anteriori, primitive; secondo il C. i nuclei plebei e rustici sono depositari di forme primordiali e primitive di civiltà che l'uomo urbano ha invece totalmente modificato. L'oggetto del folklore è dunque, secondo il C., quello di ricercare nell'ambito della vita quotidiana del popolo minuto quelle forme di civiltà remote e primitive ormai scomparse negli altri strati della società evoluta. È, quindi, il concetto di sopravivvenza che informa lo studio dei pregiudizi, delle cerimonie, delle leggende, ecc., dell'età passata, che continuano ad esistere e ad avere il loro peso per alcune componenti della società civile. Il folklore è, secondo il C., una branca particolare dell'emografia, è una etnografia del volgo ed ha per oggetto una preistoria contemporanea.

GraMsci criticò piuttosto duramente questa definizione del folklore data dal C. (cfr. Quaderni del carcere; a cura di V. Gerratana, Torino 1975, p. 1105). Gli sembrava, infatti, troppo riduttivo definire in questo modo un fenomeno tanto complesso, che, per la sua stessa peculiarità, si presentava estremamente frammentario e contraddittorio e non consentiva una facile definizione; entrando quindi nel merito dell'espressione del folklore come studio della preistoria contemporanea, Gramsci osservava l'impossibilità di ricercare in una stessa area folkloristica le diverse stratificazioni e la difficoltà di fare la storia delle influenze che ogni area ha avuto e insisteva sul carattere di maggiore mobilità del folklore rispetto alla lingua e ai dialetti; lo stesso rapporto esisteva anche tra la cultura delle classi colte e la lingua letteraria, dove quest'ultima si modifica meno velocemente del proprio contenuto culturale ed è difficile trovare una adesione perfetta tra forma sensibile e contenuto culturale. La seconda parte del volume del C. è dedicata all'illustrazione del metodo da adottare nello studio del folklore. Le fasi iniziali sono due: la prima comprende la semplice raccolta del materiale, quindi succede la schedatura secondo criteri geografici (regionali, nazionali) e cronologici. Queste prime classificazioni entrano nell'ambito del folklore; se poi la tradizione, o un'altra manifestazione presa in esame, si estende ai popoli senza distinzione di tempo e di luogo si può definire etnografia generale. Il metodo da adottare è quello comparativo, che permette di stabilire gli elementi primordiali presenti in una particolare manifestazione di vita popolare, confrontarla con le altre determinando gli elementi comuni e quelli divergenti ed, eventualmente, il carattere generale di una tradizione che mantiene la sua specificità esulando dalle contingenze geografiche e storiche.

Del C., oltre alle opere citate, ricordiamo ancora: L'arte dei pastori, Roma 1920; Reviscenze, Catania 1927; Gli studi delle tradizioni popolari nel clima fascista, ibid. 1939; Etnografia-Prolegomeni, Napoli 1941; Africa, cenni razziali, Roma 1941; Aspetti di vita africana, Napoli 1943; I popoli dell'Europa. Usi e costumi, ibid. 1948; Studi africani, ibid. 1950.

Bibl.: T. Onciulescu, L'opera scientifica del Prof. R. C., in Atti del Congresso di studi etnografici ital., Napoli 1953, p. 158; L. Lombardi Satriani-A. Rossi, Calabria 1908-1910. La ricerca emografica di R. C., Roma 1973; T. Rovito, Diz. biobibliogr. dei letterati e giornalisti contemp., Napoli 1908, p. 113; Dizionario biog. degli italiani d'oggi, Roma 1948, pp. 266 s.

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