MATTIOLI, Raffaele. – Nacque il 20 marzo 1895 a Vasto, nell’Abruzzo meridionale, secondo dei tre figli di Cesario, commerciante, e Angiolina Tessitore, originaria di Gissi.
Dopo aver frequentato la locale scuola media, il M. fu allievo dell’istituto tecnico commerciale F. Galiani a Chieti; nell’autunno 1912 si iscrisse all’istituto superiore di studi commerciali di Genova.
Allo scoppio della prima guerra mondiale il M. si arruolò come volontario in fanteria. Ferito nel novembre 1916 e poi nel maggio 1917, trascorse vari mesi di convalescenza a Napoli e Ischia; là conobbe esponenti della vita professionale, culturale e politica napoletana, e completò la lettura dei classici del pensiero economico (V. Pareto, M. Pantaleoni e A. Marshall in primis). Tornato al fronte, partecipò con la 22ª armata alle controffensive del Montello nel giugno 1918 e del «medio Piave» fino al termine del conflitto; fu insignito di decorazioni al valor militare.
Nell’agosto 1919 il M. prestava ancora servizio nell’ufficio politico-militare del corpo d’occupazione interalleato di Fiume. Dopo la «marcia di Ronchi» (12 sett. 1919), si aggregò – come osservatore, senza arruolarsi – alle legioni di G. D’Annunzio, e per lui svolse mansioni di addetto all’ufficio stampa frequentando ufficiali, giornalisti e intellettuali, con molti dei quali in seguito sarebbe tornato in contatto. Lasciò definitivamente Fiume e l’esercito il 24 genn. 1920; a Trieste si era legato a Emilia Tami, morta prematuramente nel 1923, che gli aveva dato nel luglio 1920 il primo figlio, Giuliano.
A richiamare il M. agli studi fu Cabiati, sotto la cui direzione scientifica egli si laureò nel dicembre 1920 a Genova, con la tesi «Note storico-critiche intorno al progetto Fisher per la “stabilizzazione” della moneta», che presentava in anteprima in Italia le proposte dell’economista americano I. Fisher. Ma ben prima della laurea Cabiati gli aveva affidato la redazione della Rivista bancaria, organo della nascente Associazione bancaria italiana (ABI).
All’Università Bocconi di Milano il M. fu assistente volontario di Cabiati e aiutobibliotecario per incarico del rettore Angelo Sraffa. In quegli anni la biblioteca raddoppiò il patrimonio con importanti acquisizioni e divenne il centro di una vivace attività seminariale, ispirata all’esperienza del laboratorio Cognetti de Martiis. Negli anni accademici compresi tra 1922-23 e 1924-25 il M. fu assistente stipendiato dell’istituto di economia politica, diretto da Einaudi, ed ebbe l’opportunità di conversare con quest’ultimo di «libri sicuri» e di testi classici del pensiero economico; sarebbero stati mantenuti nel tempo il dialogo e l’amichevole concorrenza tra bibliofili, cui partecipava anche Piero Sraffa.
Alla Bocconi il manuale di base per l’economia politica era costituito dai Principî di economia di Marshall, che anche P. Sraffa adottò all’Università di Perugia nel 1923. È attestata la compartecipazione del M. alla stesura di alcune parti del celebre saggio di Sraffa, pubblicato nel 1925, Sulle relazioni fra costo e quantità prodotta, con il quale si propugnava un rinnovamento teorico in grado di spiegare «fatti economici» come la concorrenza imperfetta e l’esistenza di monopoli e oligopoli. Nello stesso anno il M. divenne socio a vita della Royal Economic Society e nel 1937 si sarebbe iscritto all’American Economic Association.
Parallelamente, tra il 1922 e il 1925, il M. fu segretario generale della Camera di commercio di Milano di cui era presidente l’industriale A. Salmoiraghi, proprietario de La Filotecnica (apparecchi di precisione) e figura di spicco nell’ambiente magnatizio degli imprenditori milanesi. In quel triennio la Camera di commercio elaborò uno Schema di legge per l’ordinamento delle borse (1923), operazione che consentì al M. di maturare una raffinata conoscenza tecnica delle contrattazioni in borsa e fuori mercato. Fu ventilata anche la proposta di costituire un ente nazionale unico, dai lineamenti privatistici, per curare l’espansione commerciale italiana all’estero.
Non stupisce quindi che l’operato del M. avesse richiamato l’attenzione dell’amministratore delegato della Banca commerciale italiana (Comit), G. Toeplitz, che lo assunse come proprio segretario di gabinetto il 26 ag. 1925 (con inizio effettivo nel novembre e il grado di condirettore addetto).
Il M. collaborò alla stesura delle relazioni annuali della Comit fin dall’esercizio 1925; in esse si affaccia la logica dell’economista accanto a quella dell’operatore economico e affiora un ruolo propositivo, sul modello degli Annual reports di alcune banche inglesi e americane, da lui più volte riassunti e tradotti per la Rivista bancaria.
Dal 1926 la Comit si trovava in una preoccupante situazione di immobilizzo dei crediti industriali, mentre la crisi delle borse rendeva impossibile il ricorso al mercato finanziario interno; Toeplitz decise pertanto di percorrere la strada dei prestiti esteri, trattando con organismi finanziari inglesi, olandesi e soprattutto americani. Nelle relazioni di bilancio il M. rassicurava il pubblico circa la temuta perdita del controllo tecnico e dell’indipendenza amministrativa di alcuni settori dell’apparato produttivo italiano; per evitare questo pericolo si collocarono obbligazioni rappresentative di pacchetti azionari di gruppi di imprese, anziché titoli di singole aziende. Per le società elettriche, per esempio, venne costituita a Dover (Delaware) un’apposita holding, la Italian Superpower Corporation, coinvolgendo anche alcune aziende facenti capo al Credito italiano e al Credito industriale di Venezia (gruppo Volpi - Sade). A rappresentare la Comit nella Superpower furono M. Facconi e il M., i due futuri capi della banca. Il passo successivo fu un viaggio di Toeplitz negli Stati Uniti nel maggio 1928, con il M. e G. Malagodi, per rinsaldare i rapporti della Comit con il mondo finanziario americano e tentare il collocamento di American shares della Banca commerciale. Il M. fu promosso direttore addetto il 27 ott. 1928 e direttore centrale il 28 marzo 1931.
In seguito alle perturbazioni internazionali dovute alla «grande crisi» e alla svalutazione della sterlina, la Comit fu costretta a chiedere l’intervento dello Stato, per risanare una gravissima situazione di tesoreria.
Toeplitz fu costretto a lasciare la guida della banca e nell’assemblea del 25 marzo 1933 gli subentrarono Facconi e il M., che aveva soltanto 38 anni; come conseguenza, nell’aprile successivo il M. dovette iscriversi al Partito nazionale fascista (PNF). Perduravano irrisolte le conseguenze del salvataggio, tra cui un credito verso l’IRI, che aveva sostituito i precedenti crediti finanziari della Comit nei confronti delle imprese e assorbiva la maggioranza degli impieghi; tuttavia Facconi e il M., per tutelare l’autonomia della Commerciale da ingerenze esterne, si impegnarono a realizzare in tempi brevi un sostanziale riequilibrio del bilancio e una rapida riforma dell’organizzazione interna.
Particolarmente innovativo fu il decentramento amministrativo, con il completo trasferimento di autonomia e responsabilità ai direttori delle filiali, in anticipo su altre grandi aziende italiane che iniziavano allora a studiarne l’introduzione.
Sul piano dei rapporti con le autorità finanziarie, il M. difese strenuamente due tradizionali punti di forza della Comit: la capacità di collocamento dei titoli presso la clientela, «delicato amalgama di buona organizzazione, di fiducia goduta, di esperienza e di autorevolezza», e la rete estera, minacciata dalla tensione politica internazionale, dalle restrizioni commerciali che si accompagnavano al controllo dei cambi e da progetti di ridimensionamento accarezzati dall’azionista di maggioranza, l’IRI, fino alla pericolosa ipotesi di un’unica banca statale per il commercio estero. Altra cruciale battaglia del M., a seguito delle sanzioni decretate dalla Società delle nazioni per la guerra di Etiopia nel 1935, fu di sventare le «controsanzioni» (una moratoria dei pagamenti verso i Paesi sanzionisti).
Il M. aveva larghe visioni circa l’ordinamento complessivo del sistema bancario italiano e partecipò attivamente al concepimento della nuova legge bancaria del 12 marzo 1936, come ascoltato consigliere di Beneduce (si veda il promemoria sulla «riforma» bancaria, 9 apr. 1935, in G. Rodano, Il credito all’economia. R. M. alla Banca commerciale italiana, Milano-Napoli 1984, pp. 103-111).
Anche in seguito il M. produsse densi memoriali sull’organizzazione funzionale e territoriale delle banche, pochi dei quali sono stati pubblicati. Nel 1937 si batté per mantenere la «separatezza» del credito finanziario da quello a breve termine, come pure per ridurre i privilegi goduti dalle banche di diritto pubblico sia per l’apertura di nuovi sportelli sia per aggiudicarsi i servizi bancari degli enti pubblici. Nel 1937 Banca commerciale italiana, Credito italiano e Banco di Roma furono qualificati come banche di interesse nazionale, in considerazione della loro presenza sull’intero territorio del Paese; per tutte e tre lo Stato restò per circa un sessantennio l’azionista di maggioranza attraverso l’IRI.
Negli anni Trenta, e poi anche nel secondo dopoguerra, il più brillante centro di elaborazione delle analisi economiche fu l’ufficio studi della Comit, affidato ad A. Gerbi e posto alle dirette dipendenze degli amministratori delegati.
L’ascesa del prestigio professionale del M., dovuta al successo conseguito nel risanamento e nella riconversione organizzativa della Banca commerciale, gli consentì di essere rispettato dal regime, pur essendo stati segnalati più volte alla polizia i suoi sentimenti politici antifascisti. L’Università cattolica di Milano, per iniziativa di M. Boldrini (allora preside della facoltà di scienze politiche) e di padre A. Gemelli, lo invitò a tenere un corso di tecnica bancaria, tra il 1939-40 e il 1943-44, con l’aiuto di D. Boffito (attivo nella Resistenza come membro del Pd’A e del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia [CLNAI]) e di A. Ferrari (passato poi alla Banca dei regolamenti internazionali e successivamente ai vertici della BNL); le dispense, Appunti di tecnica bancaria (Milano 1941 e 1942) sono state ripubblicate nel 2006 (Lanciano).
Fin dal 1933 le banche erano state inserite coattivamente nella corporazione della Previdenza e del Credito; per non disperdere il know-how tecnico-bancario e legislativo dell’ABI fu creata l’Associazione tecnica bancaria italiana, che rimase a Milano con funzioni di ufficio studi e consulenza; nel 1937, con l’ausilio di N. Levi, il M. progettò l’Istituto di cultura bancaria, di diritto privato, garantendo la continuazione della Rivista bancaria - Minerva bancaria, con le pregevoli rassegne redazionali delle riviste italiane e straniere.
Nei primi anni Quaranta, il M. assunse un ruolo defilato nelle riunioni confederali, tirando «i remi in barca» anche nelle concessioni di credito alle industrie belliche. Evitò, soprattutto, di collaborare a progetti espansionistici nei Paesi balcanici, al seguito dell’occupazione militare tedesca e italiana; in questo si scontrò con il secondo amministratore delegato, A. D’Agostino, il quale nel 1942 lasciò la Comit e divenne direttore generale della BNL. Il M. perseguì un dialogo sempre più stretto con il Credito italiano, dapprima concordando i memoriali inoltrati alle autorità e poi cooperando – sia insieme sia disgiuntamente – alla Resistenza. Nel dopoguerra la collaborazione fu sviluppata anche sul versante sindacale: il M. propugnò la separazione di questa materia dall’ABI, favorendo la costituzione di un apposito organo, l’Assicredito, del quale seguì personalmente i lavori.
La decisiva azione di sostegno al periodico giocata dal M. era nota solo a una cerchia ristretta di collaboratori, che si ritrovavano il lunedì sera nella sua casa in via Bigli (cfr. R. Bacchelli, Le notti di via Bigli, in Un augurio a R. M., Firenze 1970, pp. 3-44). La liberalità privata rimaneva nell’ombra, per cautela politica, per la necessità di non coinvolgere in alcun modo la Comit e anche per una radicata avversione del M. nei confronti di ogni tipo di esternazione in pubblico.
A tenere le fila della redazione era di fatto A. Cajumi, giornalista e cultore di francesistica, che accentuò il carattere militante e pugnace della rivista. A questa venne mantenuto l’indirizzo di De Lollis: multidisciplinarità, osmosi tra accademici di professione e uomini di cultura, divulgazione della produzione letteraria europea e di quella locale, attenzione al contesto storico-morale e culturale in cui si erano formati gli scrittori, recensioni a opere di giovani autori (firmate da critici illustri), problemi della scuola, commenti e polemiche.
Tra i collaboratori sono da annoverare alcuni tra i migliori studiosi emergenti o già affermati (tra gli altri: B. Migliorini, M. Praz, P.P. Trompeo, L. Ginzburg, C. Pavese, M. Mila, N. Sapegno, G. Devoto, A. Zottoli, E. Cecchi, A. Banfi, E. Colorni, L. Salvatorelli, A. Pincherle, A. Momigliano). A fine 1933 La Cultura, unitamente al logo dello struzzo (e al suo motto: Spiritus durissima coquit), passò alla nascente casa editrice Einaudi; già nel maggio 1935 la rivista fu chiusa e alcuni redattori vennero arrestati. Nella collana di libri che affiancava la rivista uscirono importanti saggi di L. Ambrosini, Gerbi, Praz, De Lollis e altri. Da ricordare è anche la pubblicazione, a Milano nel 1934 e 1935, di due raffinati volumi, editi sul modello della «Pléiade» francese, delle Opere di G. Leopardi e di A. Manzoni, a cura di Bacchelli e Scarpa.
Durante il periodo bellico il M. intensificò la promozione della ricerca storica, impostando dal 1941 con F. Chabod la collana «Studi e ricerche di storia economica italiana nell’età del Risorgimento», destinata a celebrare il cinquantenario della Banca commerciale italiana (1944).
Negli anni di guerra il M. esplicò un’azione personale volta al coordinamento dei vari raggruppamenti antifascisti. Nel suo studio presso la rappresentanza di Roma della Banca commerciale – dove si era trasferito dopo il 25 luglio 1943, creando una direzione centrale distaccata, con il consenso della Banca d’Italia – transitarono, ricevendo aiuti e consigli, non solo gli esponenti del Pd’A (La Malfa, Salvatorelli e A. Tino, con i quali il M. ebbe frequenti colloqui, partecipando tra l’altro al lancio del giornale L’Italia libera), ma anche cattolici di varia estrazione, liberali, monarchici, socialisti e comunisti. Tale attività è testimoniata, tra gli altri, da Giuliana Benzoni («aristocratica ribelle» vicina a G. Salvemini, che prima della destituzione di Mussolini aveva stimolato il M. a incontrare la principessa Maria José di Savoia), da Giorgio Amendola e dal marchese M. Majnoni, capo della rappresentanza di Roma della Comit, nei suoi diari ancora inediti.
Nei primi anni Quaranta il M. aveva iniziato a coordinare la preparazione al dopoguerra di giornalisti e intellettuali: tra i più intimi vanno ricordati i componenti di un gruppo informale di lavoro, soprannominato da Majnoni «il quadrumvirato», composto da C. Antoni, G. De Ruggiero, U. Morra di Lavriano e P. Pancrazi, e al quale presto si aggiunse Salvatorelli. Dal gennaio 1943 furono progettate una rivista settimanale di attualità e una collana di traduzioni e opere originali, da stampare con «le macchine e la carta» di Rizzoli a Roma; l’iniziativa, sollecitata ancora dal M. a Rizzoli nel dicembre 1943, non andò in porto ma costituì la gestazione della rivista settimanale di politica e cultura La Nuova Europa, diretta da Salvatorelli (e di fatto, senza che vi apponesse il suo nome, dallo stesso Mattioli). La rivista, pubblicata dal 10 dic. 1944 al marzo 1946, riuscì a essere organo di formazione oltre che di informazione ed ebbe prestigiosi collaboratori; in quanto periodico di leadership democratica, è stato riconosciuto come l’antecedente de Il Mondo di M. Pannunzio.
Fin dal 1938, in modo non appariscente, il M. aveva rilevato la casa editrice Riccardo Ricciardi, di Napoli, il cui precedente proprietario, divenuto parente in seguito al matrimonio della propria figlia con un cugino del M., partecipò spesso agli incontri romani e napoletani con vari intellettuali, finché durò la guerra, e anche in seguito continuò a occuparsi attivamente della casa editrice.
Gli anni 1944-45 furono contraddistinti dalla compresenza di eventi bellici e di un singolare fervore politico in vista del dopoguerra. Il M. fu sospeso dalla carica di amministratore delegato il 23 ag. 1944, perché non era di fatto rientrato a Milano (come avrebbe preteso l’IRI, trasferitosi al Nord); preziosa fu l’opera del secondo amministratore delegato della Banca commerciale, A. Rossi, del segretario del consiglio E. Brusa e del direttore centrale C. Franzi.
Dall’autunno 1944 il M. fu chiamato a testimoniare sull’operato di personalità divenute oggetto dei processi di epurazione (primo tra tutti Menichella); si batté con forza, in questo clima surriscaldato, per non alimentare nuove divisioni settarie. Come già avvenuto in precedenza a favore di molti ebrei aiutati a espatriare tempestivamente, innumerevoli furono i profughi che trovarono aiuti e ricovero da parte del M. a Roma, a Nozzole (la tenuta di famiglia nel Chianti, dove restò nascosto per esempio L. Russo) e in varie altre località. Nel periodo più difficile dell’occupazione tedesca la Comit cooperava con la rete di interventi di solidarietà posta in essere tra il Vaticano, la Croce rossa e la Svizzera (ove un terminale attivo era l’affiliata Banca della Svizzera italiana, con il suo direttore A. Lory).
Nel quadro dei progetti per la ricostruzione spicca la gestazione di Mediobanca, a partire dall’agosto 1944. Il M. riprese un’idea, lungamente coltivata, di completare la Comit con un organismo a sé stante per l’erogazione del credito a medio termine, dopo aver sperimentato come insoddisfacente la collaborazione con l’Istituto mobiliare italiano (IMI) e nel desiderio di giungere al «distacco del finanziamento industriale dalla firma dello Stato».
Sempre nel 1944 il M. fu designato a fare parte della missione economica italiana negli Stati Uniti diretta da Q. Quintieri (novembre 1944 - marzo 1945), per le sue virtù di mediazione, la sua credibilità internazionale e il sostegno del Pd’A.
Il M. era già stato proposto, nel giugno 1944, come governatore della Banca d’Italia (o direttore generale del Tesoro, o ministro degli Esteri). Il 12 maggio 1945 fu nominato commissario straordinario della Comit per le filiali dell’Italia settentrionale, e poi reintegrato nella carica di amministratore delegato. Dal maggio 1945 in avanti venne invitato a far parte di commissioni su programmi politico-economici per la ricostruzione (commissione di studio per le conferenze internazionali del ministero degli Affari esteri, comitato interministeriale per la ricostruzione) ed entrò a far parte del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. Il contributo specifico del M. può riassumersi nel suo convogliare la riflessione dei vari movimenti politici sui non pochi e persistenti problemi di arretratezza storica dell’Italia, da affrontare con priorità e da risolvere con spirito unitario.
Sull’intervento dello Stato nell’economia, e nelle banche in particolare, il confronto si fece serrato presso la commissione economica dell’Assemblea costituente.
Risale al 1944 la progettazione dell’Istituto italiano per gli studi storici, presso l’abitazione e la biblioteca di Croce a Napoli, inaugurato il 16 febbr. 1947.
Inoltre, il M. sostenne i primi studiosi di storia della banca, da A. Gerschenkron a R. Webster ad A. Confalonieri. Nel 1967 affidò il progetto per la costituzione dell’Archivio storico della Banca commerciale italiana a B. Vigezzi, G. Rumi ed E. Decleva. L’ultima proposta in campo storiografico fu l’Associazione per lo studio della formazione della classe dirigente nell’Italia unita, per la quale stese la Premessa e lo Statuto (1972).
In questi anni è anche da ricordare la frequentazione del gruppo della sinistra cristiana (cattolici comunisti) e di F. Rodano in particolare. Dal 1947, la crisi del Pd’A e la crescente delusione politica avvicinarono il M. al Partito comunista italiano (PCI), in una posizione di aperto dialogo, testimoniata dalla sua lettera a P. Togliatti del 28 maggio 1947, stesa con la collaborazione di Malagodi e Rodano. Di Togliatti il M. apprezzava il programma «gramsciano» di educazione delle masse, per rendere possibile la loro partecipazione responsabile al governo del Paese. Si è tramandato (in una testimonianza di Nilde Iotti) che il M. ebbe un ruolo nel conservare i Quaderni di Gramsci, dopo la sua morte, nella cassaforte della Banca commerciale a Roma; non esiste, tuttavia, una prova scritta o una versione univocamente accettata di tale intervento.
Anche come banchiere il M. guardava con interesse ai Paesi del blocco comunista, sui quali riceveva rapporti e commenti da vari osservatori e informatori. Nella primavera del 1947, fu prescelto per guidare la delegazione economica inviata a Belgrado per stipulare un trattato commerciale con la Iugoslavia. Una delle riviste sostenute dal M., Lo Spettatore italiano (1948-56), pubblicava editoriali sulla necessità di mantenere rapporti con l’Est europeo e di formare quadri per le relazioni internazionali, di ampliare la documentazione e gli studi sui problemi internazionali, di incrementare i contatti con gli enti di cooperazione internazionale e di curare gli aspetti, anche remoti, dell’educazione al «civismo» internazionale.
Per queste posizioni il M. era oggetto di speciale vigilanza da parte dei servizi d’informazione statunitensi, che più volte segnalarono la sua vicinanza al «fronte comunista», fino a un tentativo, fallito, di defenestrarlo dal vertice della banca, avvenuto nel 1954, al tempo del governo presieduto da M. Scelba. Questi invitò, infatti, l’IRI a non ricandidare il M., considerandolo filocomunista. Il presidente della Comit, C. Giussani, scrisse allora a Scelba che l’allontanamento del M. sarebbe stato nocivo non solo per la banca, ma anche per la reputazione internazionale dell’Italia; tra i difensori del M. intervenne anche il presidente della Repubblica, Einaudi.
Il dinamismo della Comit fu del resto continuamente frenato dall’IRI, che negò gli aumenti di capitale richiesti con insistenza dal M. per riadeguare i mezzi propri della banca dopo l’inflazione di guerra e garantirle un adeguato sviluppo. A sua volta la banca centrale, nell’accordare i permessi di apertura di nuovi sportelli, assecondava più volentieri la crescita delle banche regionali e locali e promuoveva gli istituti di credito speciale e il credito agevolato, moltiplicando le poltrone e spingendo il lavoro bancario verso una routine burocratica. La crescita del potere delle banche centrali era vista dal M. come un fenomeno comune ai paesi dell’Europa occidentale, nei quali l’istituto di emissione spiccava come organo «centralizzatore» e si andava trasformando da organo di disciplina e controllo, da moderatore della liquidità e da «banca al servizio delle banche» in arbitro dell’intero sistema; mentre, d’altro canto, rischiava la riduzione a strumento tecnico posto al servizio della politica economica (cfr. la premessa del M. ad A. Gerbi, La banque en Italie, in Institutions et mécanismes bancaires dans les pays de la Communauté économique européenne, a cura di O. Moreau-Neret, Paris 1969, p. 298).
Pur nelle restrizioni costantemente imposte, il credito all’economia rimase uno dei meriti distintivi della lunga gestione del M., divenuto nel 1960 presidente della Comit: aiutare le imprese a pensare in grande, a compiere salti di qualità e dimensione, ricorrendo possibilmente al mercato finanziario. Il M. era tra i più consapevoli propugnatori di politiche del credito anticicliche e su questi temi fu un carismatico interlocutore delle autorità monetarie centrali. I dati sul credito erogato erano illustrati e commentati nelle relazioni annuali di bilancio della Comit, un appuntamento atteso non solo nell’ambito degli osservatori finanziari.
Impossibile sarebbe elencare le imprese decollate con l’aiuto decisivo del M. (si è soliti ricordare la fiducia accordata a E. Mattei per evitare la liquidazione dell’Azienda generale italiana petroli [AGIP] e per sostenere l’Ente nazionale idrocarburi [ENI]). Per esperienza diretta il M. diffidava degli industriali italiani, poco propensi al rischio imprenditoriale e pronti a cercare i favori dello Stato; espose con coraggio questi pensieri in un dibattito alla televisione sulla nazionalizzazione delle imprese elettriche (cfr. Mondo economico, XVII [1962], 29, pp. 29-35). A livello internazionale, il M. aveva salvato negli anni di guerra la Sudameris, banca italo-francese diffusa in tutto il continente sudamericano, mediante un accordo di «neutralizzazione» (creando una direzione separata dall’Europa che fu affidata a Malagodi) e con il decisivo aiuto del Vaticano (che detenne una quota importante del capitale azionario); il M. ne fu vicepresidente dal 1936 al 1972. Analoga continuità di presenza si riscontra nella Banca della Svizzera italiana.
Più in generale, il M. intrattenne contatti diretti con banchieri esteri fin dagli anni Venti.
Nel 1963 il M. fu nominato adviser al fianco dei maggiori banchieri del mondo (Abs, Rothschild, ecc.) nell’International Finance Corporation, braccio operativo della World Bank per catalizzare gli investimenti privati verso i paesi in via di sviluppo e per tentare di favorire negli stessi, tramite emissioni di titoli, la nascita o la crescita dei mercati finanziari. Già alla fine del 1959 il M. era stato candidato alla presidenza di una commissione tra le associazioni bancarie dei paesi del Mercato comune europeo (MEC) e aveva scritto un programma di lavoro Sur l’aide aux pays sous-développés, nel quale, anziché soffermarsi su questioni procedurali di carattere tecnico-finanziario, proponeva uno studio integrato dei problemi dell’economia e della civilizzazione mondiale, a partire dagli squilibri causati nei paesi progrediti dal troppo rapido sviluppo tecnologico-industriale. La proposta, che non ebbe successo, fu pubblicata in italiano con una dedica alla memoria di V. Valletta (estr. da Atti e rassegna tecnica degli ingegneri e degli architetti in Torino, dicembre 1967).
Tra le iniziative culturali del M., infine, spiccano il varo della Fondazione Longhi per la storia dell’arte, della quale fu presidente dal 1971 al 1973, e il vitale sostegno all’Accademia della Crusca, a Firenze; i numerosi interventi a favore di case editrici in difficoltà (le Edizioni di storia e letteratura di don G. De Luca, le case editrici Einaudi, Sansoni, Il Saggiatore e altre); l’impulso dato alle edizioni di opere complete di economisti, sociologi e storici (C. Cattaneo, F. Ferrara, Pareto, Salvemini); l’aiuto per l’acquisto da parte del Comune di Milano della Pietà Rondanini (1949-52) e del fondo stendhaliano Bucci (1970), nonché la promozione del catalogo dei codici arabi della Biblioteca Ambrosiana e della monumentale catalogazione dei Musei milanesi, iniziative portate a compimento dalla Banca commerciale nel corso di un trentennio; infine, si può menzionare il piano innovativo di fund-raising (con emissione di titoli) per la salvaguardia di Venezia, concepito insieme con l’ambasciatore inglese in Italia sir Ashley Clarke. Ininterrotti furono gli interventi a favore di singoli libri e singoli studiosi, spesso con atti di liberalità privata.
Nell’aprile 1972, dietro forti pressioni politiche, il M. non venne rinnovato dall’IRI alla presidenza della Banca commerciale; gli fu negata la facoltà di designare un successore interno, sintomo del prevalere della partitocrazia nelle nomine ai vertici di imprese ed enti pubblici.
Il M. rifuggì dai riconoscimenti onorifici e non ebbe il tempo di completare i molti progetti che aveva in animo. Morì, infatti, a Roma il 27 luglio 1973 e fu sepolto a Milano, nell’abbazia cistercense di Chiaravalle.
Fonti e Bibl.: Milano, Arch. stor. di Intesa Sanpaolo, Patrimonio BCI, Carte Mattioli, 1925-1972, a struttura alfabetica per corrispondenti o società (oltre 3700 nominativi), e piccola miscellanea di Carte private (tra gli scritti inediti del M. si segnalano promemoria per le autorità, commemorazioni e discorsi ufficiali, comunicazioni ai collaboratori sull’andamento della Banca, talvolta più ricche ed esplicite delle relazioni di bilancio); gli archivi privati e le carte di lavoro dei più stretti collaboratori del M. forniscono un indispensabile complemento per le ricerche. Si vedano ancora: Milano, Centro Apice dell’Università degli studi, Carte della Casa editrice Ricciardi, in corso di inventariazione; Ibid., Fondazione Raffaele Mattioli, Biblioteca di economia politica, e nucleo di manoscritti diversi (cfr. Catalogo della Biblioteca, a cura di C. Tremolada, Milano 2006). In assenza di una ricostruzione scientifica completa della figura del M.: G. Malagodi, Profilo di R. M., Milano-Napoli 1984 e S. Gerbi, R. M. e il filosofo domato, Torino 2002. Per le testimonianze e gli articoli pubblicati dopo la sua scomparsa: R. M. 27 luglio - 27 ag. 1973, Milano 1973 e vari volumi collettanei, tra cui La figura e l’opera di R. M., Milano-Napoli 1999 (convegni di Vasto, 1980 e 1996). Sulla riorganizzazione della Comit dopo il salvataggio: F. Pino, Introduzione all’inventario Segreteria degli amministratori delegati Facconi e M., 1925-1972, Milano 2000, pp. VII-LXXIX. Sulla casa editrice Ricciardi: G. Doria, I primi quarantacinque anni della casa editrice Ricciardi, Milano-Napoli 1951, passim; D. Isella, Per una collezione di classici. La letteratura italiana. Storia e testi, Milano-Napoli 1982, ad indicem.