NASINI, Raffaello

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 77 (2012)

NASINI, Raffaello

Gianluca Nasini

− Nacque a Siena l’11 agosto 1854 da Olimpia Bustelli, cucitrice, e da Giuseppe, delegato di governo, di illustre e nobile famiglia, benemerita nelle arti, avendone fatto parte i celebri pittori Antonio, Francesco e Giuseppe (Nasini, 2002).

Compì gli studi secondari e si diplomò presso il Regio Collegio Cicognani di Prato. Si iscrisse quindi alla facoltà legale dell’Università di Pisa, ma subito passò al corso di laurea in scienze fisiche e matematiche.

La bassa votazione ottenuta all’esame di laurea in chimica, 66/100 (Levi, 1932), del tutto in contrasto con il suo iter accademico, sembrerebbe una conseguenza del suo carattere: il suo relatore di tesi, Paolo Tassinari, aveva una mentalità rigidamente disciplinata, mentre l’allievo era quanto mai incline alla critica e alla discussione (Fochi, 1994, p. 13).

Dopo la laurea, conseguita nel 1878, chiese senza successo un posto di interno; quindi preferì trasferirsi a Roma sotto la guida del professor Stanislao Cannizzaro, ottenendo l’incarico di ‘preparatore straordinario’, per un compenso di 60 lire mensili (Bassani 2001, p. 282); nel 1881 ebbe l’occasione di recarsi a Berlino per perfezionarsi presso il laboratorio di Hans Heinrich Landolt, dove si svolgevano studi di chimica ottica, relativi alla polarizzazione rotatoria, alla dispersione e alla rifrazione della luce delle sostanze organiche.

Tornato in Italia, nel 1882 ebbe la nomina ad assistente, entrando a far parte dei più vicini collaboratori di Cannizzaro. Ottenne la libera docenza nel 1887 e assunse poi, insieme a Vittorio Villavecchia, uno dei fondatori della chimica merceologica in Italia, il ruolo di vicedirettore del Laboratorio chimico delle gabelle, distinguendosi in particolare nell’elaborazione della normativa tecnica riguardante le imposte di fabbricazione e le tariffe doganali degli zuccheri (Provenzal, 1938, p. 258).

Concorse alla nomina di professore straordinario di chimica generale a Catania (1885) e poi a Padova (1887), dove vinse la cattedra nel 1891, al posto di Giacomo Ciamician, trasferitosi a Bologna.

Di Ciamician, fondatore della chimica organica in Italia, fu prima amico e poi cognato, avendone sposato la sorella Carolina; da questa unione nacque Antonio Giuseppe (1898-1963), che fu direttore dell’Istituto di chimica dell’Università di Torino dal 1942 al 1963. Rimasto vedovo, in seconde nozze Nasini sposò Evelina Banchi, dalla quale ebbe Giuseppe (1905-1991), anch’egli chimico.

Nell’ateneo padovano Nasini fu preside della facoltà di scienze (1897-1900) e poi rettore (1900-1905). Il suo rettorato fu una tappa fondamentale nell’evoluzione della struttura di base dell’ateneo. Il suo contributo non fu soltanto di ordine strettamente scientifico: non meno importanti furono i risultati nell’organizzazione degli studi; a lui infatti si devono l’introduzione della matematica superiore nel corso di chimica e la costituzione della prima cattedra di elettrochimica in Italia.

Quando arrivò a Padova, all’età di 37 anni, la sua personalità scientifica era già ben consolidata. Mettendo a frutto la sua esperienza presso Landolt, fece indagini sulla rifrazione molecolare, applicata alla determinazione delle strutture nell’ambito delle serie omologhe in chimica organica (per esempio di alcune olefine insature). Dopo la scoperta dell’argon e dell’elio da parte di lord Rayleigh e di William Ramsay, iniziò una serie di esami chimico-fisici e analitici sulle sorgenti termali, rintracciandovi la presenza di gas nobili e allargando poi le analisi ad altri bacini idrotermali di rilevante interesse. Tale settore, prevalentemente rientrante nella chimica applicata, rappresentò il secondo importante aspetto dei suoi interessi di ricercatore. Quando poi divennero note le caratteristiche radioattive di tali produzioni naturali indirizzò il lavoro del suo Istituto su questo nuovo filone di ricerca.

Dell’efficienza dell’Istituto, Nasini fu pienamente consapevole e non poco orgoglioso. In una lettera a Cannizzaro del 13 dicembre 1903 (Archivio dell’Accademia Nazionale dei XL, Roma, scatola 4, f. Nasini), gli rammentò la produzione scientifica del suo laboratorio, di circa 150 lavori, che gli valse elogi calorosi da parte di chimici stranieri, come Walther Nernst e Svante Arrhenius.

Con una decisione improvvisa, per motivi familiari, nel 1906 lasciò Padova per occupare la cattedra che era stata di Raffaele Piria all’Università di Pisa. La vita pisana  fu altrettanto intensa e brillante sul piano scientifico e accademico, ma certamente i due periodi, il patavino e il pisano, ebbero caratteristiche diverse, in quanto nell’attività pisana si accentuarono la tendenza naturalistica e quella applicativa (Bonino, 1954).

Diede inizio al suo insegnamento a Pisa il 17 gennaio 1907, con una solenne prolusione, augurando ai suoi allievi queste doti: «l’entusiasmo nel concepire il lavoro del Cannizzaro, la sua profonda meditazione nell’idearlo, la calma e il prudente scetticismo del Tassinari nell’eseguirlo; l’acume nel vagliare i risultati e nel trarre le deduzioni del Piria» (Annali delle Università Toscane, XXVII [1907], p. 28).

La sua passione e le sue competenze spaziavano dalle proprietà delle soluzioni all’analisi delle acque minerali, a ricerche sulle emanazioni terrestri gassose. Accanto alle indagini dell’idrologo e del chimico fisico si ammirarono in lui anche l’acume dell’archeologo e l’abilità dell’analista quando comunicò ai Lincei e ad altre accademie europee la scoperta dell’acido borico nelle vernici degli antichi vasi sigillati di Arezzo (Provenzale, 1932, p. 3).

Per apprezzare il valore dei suoi studi sulle ricchezze idrominerali, basta considerare il monumentale lavoro sui soffioni boraciferi di Larderello (I soffioni e i lagoni della Toscana e l’industria boracifera. Storia, studi, ricerche, Roma 1930), in cui raccolse i risultati di 25 anni di lavoro sull’argomento, con la collaborazione fra gli altri di Mario Giacomo Levi, Camillo Porlezza e Umberto Sborgi, che successivamente salirono in cattedra a Milano e a Pisa.

Il volume illustra i notevoli risultati ottenuti da Nasini insieme con il principe Piero Ginori Conti, che aveva avviato la sperimentazione per utilizzare il vapore dei soffioni come forza motrice, e al conte Florestano de Larderel, figlio del fondatore Federigo, che aveva dato nome al comprensorio di Larderello: una effettiva collaborazione tra scienza e industria, come ebbe a dichiarare Nasini al 1° Congresso nazionale di chimica pura e applicata tenutosi a Roma. L’industria si stava potenziando, si producevano acido borico e solfato di ammonio e si erano quindi iniziati gli studi sull’utilizzazione dei soffioni per la produzione di energia elettrica. Si sviluppò anche la produzione di anidride carbonica e di gas preziosi quali l’argon e l’elio; quest’ultimo, dosato per la prima volta nel 1896 da Nasini e collaboratori nei gas emessi dai soffioni boraciferi, portò a una priorità italiana per la sua scoperta in gas naturali.

Durante la prima guerra mondiale Nasini si occupò anche di questioni attinenti il radio e l’estrazione dell’elio dai soffioni per uso aeronautico, presiedendo la commissione istituita presso l’Ufficio invenzioni e ricerche del Ministero d’armi e munizioni; nell’agosto 1918 ebbe un incontro con Madame Curie, per confrontare alcune esperienze sulla radioattività dei gas. Nel 1926 gli riuscì di fare affiancare all’Istituto di chimica generale da lui diretto l’Istituto di chimica fisica, primo in Italia e che gli fu intitolato nel 1954 (Bassani 2001, p. 320).

La posizione scientifica e le molteplici benemerenze gli valsero l’elezione a socio nazionale dell’Accademia dei Lincei (da cui aveva ricevuto il Premio reale per la chimica nel 1896), del Reale Istituto veneto, della Società dei XL, delle Accademie di Torino, Bologna, Padova, Modena e fu eletto nel 1930 corrispondente all’Accademia delle Scienze di Parigi. Oltre a essere dottore honoris causa delle Università di Glasgow e di Cambridge, fu socio d’onore della Società chimica francese e inglese e dell’Associazione britannica per il progresso delle scienze e grande Ufficiale dell’ordine della corona d’Italia.

In riconoscimento dei suoi meriti il governo lo insignì della Croce al merito civile di Savoia e di quella di commendatore dell’ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro «per benemerenze speciali in dipendenza della guerra 1915-1918» e lo nominò senatore del Regno nel 1928, onorificenza altamente apprezzata perché − come ebbe ad affermare − gli forniva il modo di dare ancora la sua opera al Paese, dopo la carriera universitaria. Si ritirò dall’insegnamento nel 1929.

Morì a Roma il 29 marzo 1931.

La commemorazione fu fatta da Mario Giacomo Levi, di cui Antonio Giuseppe Nasini fu poi assistente presso il Regio politecnico di Milano.

Nel 2001 è stata dedicata a Nasini la nuova aula magna di chimica dell’Università di Padova e la Società chimica italiana gli ha intestato una medaglia biennale della Divisione di chimica inorganica.

Fonti e Bibl.: M.G. Levi, R. N., in Gazzetta Chimica Italiana, LXII (1932), pp. 727-745; G. Provenzal, Pagine di storia della chimica. In ricordo di R. N., in L’Italia e la scienza, a cura di G. Bargagli Petrucci, Firenze 1932, pp. 104-113; Id., Profili bio-bibliografici di chimici italiani, sec. XV-XIX, Roma 1938, pp. 257-270 (contiene l’elenco delle pubblicazioni di Nasini); G.B. Bonino, R. N., in La chimica e l’industria, XXXVI (1954), pp. 3-21; G. Fochi, Le radici della chimica pisana, in Il chimico italiano, IV(1994), pp. 11-14; A. Bassani, Quaderni per la storia dell’Università di Padova, Padova 2001, pp. 281-335; G. Nasini, Nasini non solo pittori, in Amiata Storia e Territorio, 41/42 (2002), pp. 90-95.

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