DEL BALZO, Raimondo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988)

DEL BALZO, Raimondo

Jean-François Guiraud

Secondo conte di Avellino, nacque nel 1264 da Bertrando - consigliere e familiare del re di Sicilia Carlo I d'Angiò, primo conte di Avellino, giustiziere degli Abruzzi, capitano generale della guerra e vicario del re a Roma - e dalla prima moglie di questo, Filippina di Poitiers. Apparteneva dunque ad una delle più antiche e potenti famiglie provenzali la cui fortuna in Italia aveva avuto inizio quando il nonno del D., Barral de Baux, aveva seguito Carlo d'Angiò, conte di Provenza, nell'Italia meridionale, e che si era consolidata soprattutto quando il padre del D., Bertrando, aveva ricevuto dal re la contea di Avellino, nell'entroterra napoletano, come ricompensa per i servizi resi.

La famiglia de Baux, che avrebbe italianizzato il suo nome in Del Balzo, è uno dei più illustri esempi, di quell'aristocrazia provenzale che si stabilì nel Sud della penisola col favore della conquista angioina, formando il ristretto gruppo ancora francese di fedelissimi, che attorniò i primi re angioini e che seppe rafforzare la sua interna coesione attraverso attente alleanze matrimoniali. Ed in effetti nel 1272 Bertrando Del Balzo, consigliere e familiare del re, ottenne da Carlo d'Angiò il consenso - obbligatorio in base alla costituzione di Federico II - alle nozze del figlio Raimondo con Giovanna, figlia di un altro consigliere e familiare regio, Giovanni Britaud di Nangis, "gran panettiere" della corte di Francia, divenuto titolare della più alta carica del Regno di Sicilia, quella di connestabile, e fedele servitore del re di Napoli. L'importanza di questo matrimonio non sta soltanto nei legami che fece nascere tra due famiglie dell'oligarchia meridionale; esso fornì alla famiglia Del Balzo la possibilità di aggiungere al proprio patrimonio i ricchi possedimenti francesi ed italiani di Giovanni Britaud. Questi, infatti, si impegnava a lasciare tutti i suoi beni, nel caso che non avesse avuto figli maschi, alle due figlie - una delle quali era la sposa del D. - nate dal suo primo matrimonio con Margherita di Nemours. Bertrando Del Balzo prometteva dal canto suo di designare il figlio come erede della signoria di Baux e della contea d'Avellino. Tuttavia, riunire i patrimoni delle due famiglie si sarebbe dimostrato più difficile del previsto, poiché Giovanni Britaud, avendo avuto un figlio dal suo secondo matrimonio, si rifiutò di versare la dote della figlia Giovanna. Solo dopo la morte di Giovanni e di suo figlio, entrambe avvenute nel 1278, il D. ottenne il versamento di 250 lire tornesi, che costituivano la dote, dagli ufficiali regi incaricati di amministrare i beni del defunto (questi ultimi si erano procurati il denaro liquido necessario vendendo bestiame alla fiera di Benevento).

Il 24 luglio 1277, all'età di tredici anni, il D. fu ammesso a corte come "familiare del re" e valletto. Carlo d'Angiò, una volta divenuto re di Sicilia, aveva infatti riorganizzato la corte sul modello di quella del re di Francia e si era circondato di familiari. Si era in tal modo dato anche il mezzo per ricompensare e legare maggiormente a sé i fedeli servitori della sua causa e per rafforzare la coesione del gruppo dominante attraverso la concessione di un favore desiderato e ricercato sia per il prestigio che conferiva sia per i vantaggi materiali che procurava: il titolo di "familiare del sovrano" accompagnato da una carica a corte. I giovani nobili della seconda generazione, come il D., non dovevano tuttavia la loro nomina a meriti propri, ma al favore goduto dal loro padre e beneficiavano, in virtù della loro nascita, di uno statuto privilegiato tra i servitori del re. In effetti, il giovane figlio del conte di Avellino fu accolto nel corpo dei valletti - il più numeroso, che veniva dopo quello dei cavalieri e quello dei chierici ed era superiore solo a quello dei semplici domestici -, ma godette di un trattamento speciale: i suoi compensi furono infatti molto più rilevanti di quelli degli altri valletti, i quali ricevevano tre cavalli, o il loro equivalente di dodici grani d'oro, e due vesti l'anno: il D., malgrado la sua giovane età, aveva diritto a cinque cavalli. In realtà, al pari di altri giovani aristocratici, egli era entrato nel corpo dei valletti per rimanervi solo temporaneamente, in attesa che l'età gli consentisse di essere ammesso nei ranghi dei cavalieri.

Giovane, nobile, ricco, sposato ad una nobildonna che rappresentava uno dei migliori partiti del Regno, già colmato di onori, non restava al D. che meritarseli e svolgere la sua funzione: servire il re e combattere per lui. A partire dal 1280 egli partecipò dunque alla campagna di Albania intrapresa da Carlo I contro i Bizantini nel quadro della sua politica di espansione verso Oriente. Nell'aprile del 1281 il D. fu fatto prigioniero nella battaglia di Beràt, che si risolse in una sconfitta per l'esercito angioino. Quando ritornò in patria, nell'agosto dello stesso anno, dovette richiedere l'intervento del re per poter rientrare in possesso dei beni che gli erano stati indebitamente sottratti durante la prigionia. Dal 1282 partecipò attivamente a quello che sarebbe diventato l'obiettivo e il principale impegno di politica estera della monarchia angioina nel corso dei successivi vent'anni: la riconquista della Sicilia passata agli Aragonesi dopo i Vespri siciliani. Le campagne militari si succedettero le une alle altre, intervallate da tregue, e il D. ne approfittò per salire i gradini della carriera militare. Nel 1287, in occasione della battaglia nella baia di Napoli del 23 giugno, ebbe il comando di una nave della marina angioina. Sconfitto dall'ammiraglio siciliano Ruggero di Lauria, perdette la nave, che fu catturata insieme con una quarantina d'altre; egli stesso fu fatto prigioniero e inviato a Messina. Venne quindi trasferito nell'isola di Ischia, quando questa fu ceduta agli Aragonesi in pegno di una tregua di due anni dal legato pontificio Gerardo da Parma e da Roberto d'Artois, reggenti del Regno durante l'assenza di Carlo II prigioniero del nemico. Il D. venne liberato nel 1290 in cambio di un consistente riscatto che gravò pesantemente sul patrimonio familiare, già dissestato dalla cattiva amministrazione e dalla prodigalità del padre del D., Bertrando.

Il D. si mise al servizio di Carlo II d'Angiò quando il re tornò dalla prigionia (1289): fu da lui nominato infatti, nel 1294, capitano generale della guerra, una delle più alte cariche militari del Regno, la quale ebbe una grande importanza in quel periodo di lotte continue contro gli Aragonesi di Sicilia. Il 15 apr. 1295 entrò a far parte del Consiglio che il re aveva costituito per assistere il figlio Carlo Martello nei compiti di vicario generale del Regno che avrebbe dovuto svolgere durante l'assenza del sovrano. Il 20 aprile, poi, Carlo II, nell'assegnare ad ogni capitano una zona di residenza e di operazioni, destinò al D. il Principato - la regione tra Benevento e Salerno - dove si trovava il feudo della famiglia Del Balzo, Avellino. Come capitano generale il D. prese parte alle operazioni militari contro gli Aragonesi che ripresero nel 1296, ad onta della pace di Anagni del 1295 e, in particolare, alla campagna di Sicilia del 1299, che si concluse con la vittoria navale angioina di Capo d'Orlando ottenuta nel mese di luglio, agli ordini del figlio ed erede di Carlo II, Roberto. La pace, che fu conclusa a Caltabellotta nel 1302 e che durò più a lungo delle precedenti, liberò la corte di Napoli del fardello delle guerre siciliane e segnò una svolta sia nella storia del Regno angioino, il quale si rivolse di nuovo verso l'Italia settentrionale, sia nella vita del D., che vide chiudersi un lungo periodo di guerre quasi continue durante il quale era pervenuto ai gradi più alti della gerarchia militare.

A partire dall'inizio del sec. XIV, ritornata la pace, il D., conte di Avellino dopo la morte del padre nel 1305, si dedicò infatti all'amministrazione del suo patrimonio in Provenza e in Italia, tentando di migliorare l'assetto delle finanze familiari lasciategli dal padre in uno stato disastroso. Per raggiungere il suo scopo risiedette spesso in Provenza, dove si fermò dal 1304 al 1308 e vi soggiornò di nuovo intorno al 1310; nel 1314, dopo un periodo passato in Italia, si trovava ancora Oltralpe, a Aubagne. Alla morte della prima moglie, Giovanna, figlia di Giovanni Britaud, il D. si risposò con una cugina, Stefanella des Baux-Puyricard, appartenente ad un ramo della famiglia residente in Provenza. Da lei ebbe un figlio, Ugo, poi terzo conte di Avellino, e una figlia, Sibilla, che avrebbe sposato Giacomo di Savoia-Acaja. Il D., comunque, non lasciò il servizio regio. Carlo II, liberatosi degli affari della Sicilia, aveva ripreso la politica del padre nell'Italia settentrionale e in particolare in Piemonte, dove riuscì a restaurare il dominio angioino in quelli che erano stati i possessi di Carlo I e li eresse in contea di Piemonte per il figlio Raimondo Berengario, ma alla morte improvvisa di quest'ultimo (fine ottobre 1305) riservò questo titolo e questi domini a sé. Nel 1308 quando questa regione, dopo la sottomissione del Monferrato nel 1306, era pervenuta "alla pienezza della tranquillità desiderata", Carlo II nominò un nuovo siniscalco nella persona del Del Balzo. In una lettera, che inviò a quest'ultimo nel maggio del 1308, il re gli assegnò come compito la pacificazione degli animi e la riconciliazione delle fazioni, facendo appello più alle doti diplomatiche del D. che alle sue capacità militari. Più tardi, il figlio e successore di Carlo II, Roberto, si ricordò delle doti di amministratore del D. e lo nominò nel 1315 siniscalco di Provenza.

La lotta tra Napoletani e Siciliani era tuttavia destinata presto a riaccendersi: nel 1320 il D. lasciò la Provenza per la Calabria, dove Roberto, in vista della grande offensiva che avrebbe lanciato nel 1325, stava conducendo una guerra di logoramento fatta di scaramucce contro le posizioni siciliane.

Il 21 marzo 1321 il D. redasse il testamento. Morì poco dopo combattendo nella battaglia di Grusana, ritrovando alla fine della vita, dopo una lunga carriera al servizio dei re angioini, il mestiere di soldato della sua giovinezza.

Fonti e Bibl.: Bartholomaei de Neocastro Historia Siculae, in Rer. Italic. Script., 2 ed., XIII, 3, a cura di G. Paladino, p. 100; I registri della Cancell. angioina, a cura di R. Filangieri, VIII, Napoli 1957, p. 127; XVI, ibid. 1962, p. 156; XVII, ibid. 1963, p. 124; XVIII, ibid. 1964, p. 298; XIX, ibid. 1964, p. 240; XX, ibid. 1966, p. 147; XXI, ibid. 1967, p. 261; XXV, ibid. 1978, pp. 90, 174, 183; XXX, ibid. 1971, p. 106; P. Durrieu, Les archives angevines de Naples. Etude sur les registres du roi Charles Ier (1265-1285), Paris 1886, I, p. 125; II, ibid. 1887, p. 280 s.; M. Schipa, Carlomartello, in Arch. stor. per le provincie napolet., XV (1890), pp. 96 ss.; E.-G. Leonard, Les Angevins de Naples, Paris 1954, p. 204.

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