GENTILE, Rainaldo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 53 (2000)

GENTILE, Rainaldo

Norbert Kamp

Non conosciamo né il luogo né la data della sua nascita. Divenne arcivescovo di Capua nel 1216 e si nominò nei documenti da lui emanati "Rainaldus secundus", per distinguersi dal suo immediato predecessore Rainaldo di Celano. Il cognome "Gentilis" figura in un documento redatto da un notaio di Federico II in Germania.

Identificare il G. e la sua famiglia d'origine nonché la sua formazione religiosa non è particolarmente facile: è noto, per il 1195, un canonico di Valva di nome Ranaldus Gentilis, presente a Troia nella cerchia dell'allora cancelliere Gualtieri di Pagliara; nel 1215, a Reggio Calabria, un altro Rainaldus Gentilis compare come decano della cattedrale, ma per l'identificazione dell'uno o dell'altro ecclesiastico con il G. mancano sicuri appigli documentari. Famiglie con questo cognome vivevano all'epoca del G. in Abruzzo, in Molise e in Puglia, fino alla Terra d'Otranto, ma la relazione del G. con esse non è assolutamente nota. Come protettore della carriera ecclesiastica del G. si può pensare al cardinale Tommaso da Capua, che proveniva anch'egli da un'eminente famiglia della città: il G. concesse a due nutriti del cardinale, dietro sua richiesta, terreni della Chiesa di Capua a Cancello.

Dopo un periodo di vacanza della sede episcopale - il che spiega anche l'assenza di rappresentanti della diocesi capuana al II concilio Lateranense (1215) - nel 1216 il G. fu eletto dal capitolo in base a un permesso d'elezione concesso dal papa. Probabilmente dopo la sua ordinazione, nell'estate 1216, egli accolse a Capua la regina Costanza d'Aragona, che si recava in Germania per ricongiungersi al marito, Federico II. In ogni caso, il G. sembra essersi unito al seguito della sovrana nel suo viaggio oltre le Alpi. Nel dicembre 1216 il G. si trovava all'accampamento regio a Norimberga insieme con l'arcivescovo Berardo di Bari, il conte di Nardò Bernardo Gentile e l'ammiraglio siciliano Guglielmo Porco, quando Federico II assegnò all'Ordine teutonico alcune rendite a Brindisi, in cambio di beni posseduti dall'Ordine in Germania, ricompensando inoltre i servigi di Berardo di Castagna, arcivescovo di Palermo, con un grosso donativo.

Prima del ritorno del G. in Italia, all'inizio del 1217, il re riordinò l'amministrazione del Regno; in questa circostanza, sembra che Federico abbia conferito al G. una sorta di rappresentanza per le province di terraferma, insieme con il vescovo di Catania e il cancelliere nominale Gualtieri di Pagliara, e in seguito anche con il logoteta e protonotario Andrea, mentre all'arcivescovo Berardo di Castagna (che rientrò nel Regno insieme con il G.) fu affidata la funzione di balius per la Sicilia. Comunque, negli anni successivi il G., in rappresentanza del re, effettuò restituzioni di beni ecclesiastici e concesse proprietà demaniali a monasteri, servendosi a questo scopo anche di rappresentanti locali. Sempre in tale veste nel 1219 il G. accolse la rinuncia di un barone di Aversa al suo feudo e creò al suo posto un feudo della Corona, che assegnò a un nobile di Capua. Dal gennaio 1219 esibì regolarmente il titolo di familiare del re, che legittimava ulteriormente la sua posizione.

Come arcivescovo, nel marzo 1217, a Capua, il G. conferì a un chierico l'investitura della chiesa di S. Leucio, che già Innocenzo III aveva concesso a costui, sebbene il capitolo, durante la vacanza precedente l'elezione del G., avesse assegnato quella chiesa al canonico Roberto di Franco. Nello stesso anno il G. confermò l'elezione di Girolamo a vescovo di Caserta, avvenuta, in verità, come presto si venne a sapere, sulla base di un falso decreto di elezione e all'oscuro del fatto che Girolamo era figlio di un chierico. Nel novembre 1217 Onorio III incaricò dell'indagine sull'eletto dapprima l'arcivescovo di Napoli, Pietro da Sorrento, ma nel marzo 1219 la affidò al G., la cui relazione portò il pontefice, nel giugno 1219, a cassare l'elezione.

Dopo il suo ritorno nel Regno nel novembre 1220 Federico II, divenuto imperatore, confermò i provvedimenti presi dal G., in rappresentanza dell'autorità imperiale, riguardo le proprietà demaniali e feudali. Come suo familiare, il G. prese parte senza dubbio alle incisive riforme che nel dicembre 1220 furono promulgate nelle Assise di Capua. Nel febbraio 1221, a Capua, fece da testimone con altri tre familiari in un importante privilegio per l'arcivescovo di Salerno, che da un lato riduceva i diritti della Chiesa locale, secondo le disposizioni delle Assise, dall'altro però garantiva le rimanenti proprietà che non rientravano in quelle disposizioni.

Onorio III nel 1221 incaricò il G. della soluzione di una lite per un feudo della Chiesa di Isernia, nella quale le parti non avevano applicato due mandati emanati nel 1207 dal pontefice Innocenzo III e a esse indirizzati. Sicligayta, badessa del monastero di S. Maria di Capua, che il G. nella sua qualità di arcivescovo non aveva voluto riconoscere e che aveva in seguito scomunicato, gli si sottomise dopo un intervento del papa, il quale affidò inoltre al G., unico fra i prelati del Regno, l'incarico di inviare in Curia preti o monaci adatti al ruolo di missionari. Durante il pontificato del G. si riaccese il conflitto sui diritti di sepoltura di alcuni monasteri di Capua posti nella città e nel suburbium, che già al tempo di Rainaldo di Celano avevano portato a scontri accesi, dato che il capitolo vedeva minacciati i suoi diritti e le sue entrate. Quando, dopo il 1216, l'arcidiacono Riccardo di Citro con alcuni chierici sospese una processione funebre dei monaci di S. Benedetto e fece portare via la salma, si arrivò di nuovo a uno scontro aperto. Nel conflitto con i benedettini presenti in città e nella diocesi il G. si dimostrò tutt'altro che disposto a una ricomposizione al pari del suo successore, Giacomo (1227-42).

Quest'ultimo in particolare reagì con ancora maggiore durezza e provocò perciò un processo dinanzi alle istanze ecclesiastiche, nel corso del quale, nel 1232, furono ascoltati dei testimoni, ma non abbiamo notizia di un giudizio finale su tale inquisitio.

Nell'aprile 1222, papa Onorio III chiamò il G. nella commissione che doveva decidere circa le opposizioni dell'imperatore contro i candidati eletti nelle diocesi in Terra di Lavoro. Anche se la commissione non si riunì mai, la nomina era comunque una testimonianza di quanto fosse stimato il giudizio del G. sia dal pontefice sia dall'imperatore.

Le campagne militari indette dal sovrano contro Tommaso di Celano, conte di Molise, e la sua consorte Giuditta - ai quali Federico II contestava i diritti comitali - videro, dopo un breve ritiro del Celano nella Marsica, un'energica controffensiva del conte, che investì a sorpresa gli alleati dell'imperatore. Federico II nel 1222 fece perciò riunire un esercito più potente, al cui comando mise il G., insieme con il conte Tommaso di Acerra e l'abate Stefano da Montecassino. Il primo obiettivo era l'assedio della torre di Celano, dove il conte di Molise si era asserragliato.

Il G. però morì, prima della fine della spedizione, nello stesso 1222 a causa di un'improvvisa malattia.

Dopo la sua morte, la Chiesa di Capua fu al centro del conflitto per le investiture sorto tra il papa e l'imperatore e rimase perciò di fatto priva di una guida per quasi cinque anni, fino al 1227.

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